Questa è La Mia Vita

CAPITOLO 6:

INCOMPLETI

alemarek

Credere nell'amore... no. Impossibile credere a qualcosa che non è mai esistito.’


/ Shut up – Black Eyed Peas /
Aveva ancora chiara la sensazione sulla pelle dell'acqua che gli cadeva lungo il corpo dai muscoli rilassati, ma ancor di più aveva indelebili i suoi occhi puntati su sé stesso. Quegli occhi così sprezzanti e penetranti.
Freddi.
Eppure Gianluca non era proprio freddo, era l'idea che dava in certi momenti, l'antipatia che nasceva dagli altri verso di lui non era perché il campione era un tipo gelido, tutt'altro. Era complicato. Ogni volta che Alessandro ci pensava finiva per alzare le spalle pieno di mal di testa, non lo capiva.
Non lo capiva affatto.
Adorava provocarlo, farlo arrabbiare, scambiarsi pugni con lui, litigarci, fare le sfide, ma poi quando si trattava di capirlo e decifrarlo non ci riusciva mai. Era così ombroso e chiuso.
Lui era alla continua ricerca di qualcosa che non comprendeva.
Era irrequieto, sembrava solo ma non lo era.
Non capiva affatto.
Sapeva perfettamente la sensazione che aveva provocato facendo la doccia per la prima volta accanto a lui. Si era lavato in quel modo languido di proposito per vedere la sua reazione, ma mentre l’aveva fatto si era chiesto 'cosa' volesse ottenere, poi però si trovò a domandarsi perché adorasse provocarlo sempre. Puro spirito di contrasto? Erano incompatibili e quindi bisogna stuzzicarsi a vicenda a tutti i costi?
Non credeva affatto che Gianluca fosse gay, tuttavia si era comportato lo stesso a quel modo come volesse sedurlo e la reazione gli era piaciuta dannatamente, in modo impressionante.
Non era tipo da mascherare le impressioni.
Lo ammetteva: se fossero stati soli non sarebbe scappato infuriato... o meglio non l'avrebbe fatto scappare!
Anche lui aveva un bel corpo, i suoi occhi erano segretamente stati attratti dalle gocce che erano cadute dal suo corpo atletico e sottile.
Mentre camminava verso casa ripensò attentamente a quel momento. Si era divertito ed era stato più forte di lui dirgli quelle cose.
Gianluca che era sempre stato fondamentalmente sulle scatole a tutti per il suo talento, per lui era una minaccia. Se in squadra non ci fosse più stato bisogno di un asso perché c'era già, Alessandro sarebbe dovuto andarsene o meglio l'avrebbero mandato via. Non era mai stato detto ma lo sapeva.
Lui non pagava la retta, non l'aveva mai pagata perché era povero e non poteva permetterselo, l'avevano tenuto in squadra per volere dell'allenatore che aveva nascosto il particolare dei soldi a tutti perché nel gruppo c'era bisogno del fuoriclasse Alessandro.
Ora che le squadre si erano unite molti campioni erano arrivati, specie quel dannato Gianluca perfetto in ogni tipo di gioco.
Avevano addirittura lo stesso difetto di essere individualisti e del resto le Ali erano questo.
Sospirò.
Ad ogni modo non sarebbe mai andato via, il basket era la sua vita, l'unica cosa bella e decente dello schifo di cui faceva parte.
Arrivò nel suo fedele quartiere malfamato. Le case cadevano pezzi, i topi giravano tranquilli per i marciapiedi, i cassonetti dell'immondizia spezzati a far uscire i rifiuti, un odore sudicio e schifoso, in ogni angolo e vicolo un gruppo, una banda di teppisti, alcuni lo salutarono riconoscendolo come uno di loro, altri lo guardarono male per la rivalità che avevano.
In fondo alla via quasi non si notava, c'era una specie di abitazione, ma ci voleva coraggio a chiamarla tale. Era di un piano solo, bassa, cadente, vecchia, muri scrostati, tegole cadute, tetto in diversi punti scoperto e curvato, vetri di alcune finestre spaccati, porta rotta. Non tirò nemmeno fuori la chiave, non sarebbe servita, una spallata e l'apri, entrò e richiuse con uno spintone incastrandola a dovere. Era un pericolo in quel posto, ma nessuno si sarebbe sognato di rubare in una merda simile, specie perché la merda in questione era di Alessandro.
Fece una smorfia all'odore di vecchio e sporco che lo accolse. Andò subito ad aprire una finestra sgangherata ma non entrò un odore migliore. Camminò facendo attenzione a non pestare qualcosa e il pavimento cigolò. Era un buco in disordine, il salotto era vuoto, il divano dalle molle sporgenti scomodissimo non presentava segni di visite, la tv minuscola era spenta. Saltando un ostacolo indefinito arrivò nell'altrettanto piccola cucina, era un miracolo che ci fosse. C'era un vecchio che seduto al tavolo dalla gamba piegata, mangiava una minestra di solo brodo. La solita cena.
- Ciao vecchio. -
Salutò con la voce dalla leggera inclinazione divertita.
Gli rivoltava lo stomaco quel posto, quella vita, quel cibo. Non avrebbe mangiato nemmeno sotto tortura, l'importante era che il nonno si nutrisse. Non aveva molto da vivere, ne era sicuro, ma non avrebbe saputo che fare senza di lui. Era ancora minorenne e sarebbe finito in un fottutissimo istituto.
A parte quello, in fondo ci era affezionato a quell'uomo. I suoi ricchi genitori erano morti quando era piccolo lasciandolo nei guai, l'unico parente era il nonno che l’aveva preso con sé finendo in miseria e crescendolo come aveva potuto.
Si era sempre preso gioco di lui facendo tutto quello che gli era parso, non aveva dimostrato troppo sentimento e affetto però lo provava, sotto sotto entrambi lo sapevano.
Anche quella sera Alessandro sarebbe andato a scroccare la cena da qualcuno, come sempre. Era un approfittatore nato.
Ricevuto il cenno del capo dell'altro uscì entrando nella porta accanto, la sua camera... o una specie. Impossibile descrivere quell'intrico di vestiti, legni, fili e quant'altro. La rete del letto non c'era, il materasso poggiava direttamente a terra, come i giapponesi. Era per risparmiare soldi e spazio.
Lo specchio non esisteva nemmeno.
Si spogliò scegliendosi altri vestiti puliti o quasi: prese jeans scoloriti, cadenti e strappati in diversi punti e una maglietta nera attillata che evidenziava il suo bel fisico notevole.
Prima di indossarla rimase un attimo a torso nudo. Si fermò e perse lo sguardo nel vuoto. C'era il ricordo, a quel punto.
Totalmente sovra pensiero alzò la mano posando un solo dito alla base del suo collo.
Con la testa da tutt'altra parte iniziò a muoverlo lento e leggero seguendo la clavicola, scese sui pettorali per poi raggiungere uno dei capezzoli, lo prese fra l'indice e il pollice e cominciò a tormentarselo languido. Socchiuse gli occhi, si morse il labbro inferiore pieno e trattenne il respiro.
Il piacere che provò in quel gesto fu evidente ma l'eccitazione arrivò in un altro modo, con un'altra fantasia… e se fosse Gianluca a toccarlo in quel modo? Magari continuando sotto la doccia di prima, con quelle sue mani curate che avevano picchiato solo lui. Immaginò liberamente senza freni inibitori che la cosa si approfondisse e dovette appoggiarsi al muro crepato dietro di sé aiutandosi con l'altra mano a continuare. Il suo corpo parve ringraziarlo mentre fremeva, buttò la testa all'indietro e si abbandonò a quelle sensazioni forti e appaganti di autoerotismo.
Quando finì si scosse e fermandosi immobile dov'era si chiese che diavolo gli fosse preso.
Corrugò la fronte e l'azzurro cielo divenne tempestoso per un attimo.
Non poteva certo sapere di non essere stato l'unico ad aver fatto una cosa simile in quel momento pensando al proprio rivale!
Decise di andare a finire di prepararsi in bagno, quel buco puzzolente di cesso schifoso; si lavò mani e rinfrescò il viso, poi bagnò i capelli mettendosi un po’ di gel, erano molto mossi e ancor più indomabili appena lavati, se li sistemò un po' domando quelle bionde ciocche ribelli lasciando qualcuna scendere sugli occhi chiari.
Un occhiata veloce ai vetri rotti riflettenti ed uscì.
Si affacciò alla cucina e disse noncurante:
- Ehi, io esco di nuovo, vado dagli altri, mangio da loro... non aspettarmi, vai a dormire. -
Un altro cenno e se ne andò.
Era una vita orrenda e pesante, difficile, che faceva da molti anni, ma gli andava bene così. Si era fatto il callo e aveva la sua reputazione, il suo territorio. Se la cavava bene, era furbo e quando era necessario rubacchiava qua e là. Nulla di che, giusto per vivere.
Anche da solo se la sarebbe cavata alla grande, ma suo nonno aveva solo lui e per quanto gli rimaneva da vivere, avrebbe condiviso.
Arrivò, senza più pensare a Gianluca, al solito posto lì vicino. Erano radunati alcuni ragazzi all'incirca della sua età. Lo salutarono e gli cedettero il suo posto preferito, sulla moto di uno di loro. Era una moto di strada nera, non di una gran marca ma pur sempre moto.
Appoggiò il suo sedere sodo avvolto dai jeans, sul sellino e mantenendo le mani nelle tasche ascoltò i discorsi degli amici o presunti tali. In realtà non erano amici ma solo seguaci, non provava nulla per loro e loro per lui avevano solo sana invidia per quello che era e non per quello che aveva.
Lo circondavano e lo imitavano sperando di non averlo mai contro.
Una vita, tutto sommato, su misura per lui. Non poteva lamentarsi anche se di motivi ne avrebbe avuti molti.
Se si deve si fa.
O ti uccidi o vivi... anzi, sopravvivi.
Sapeva che prima o poi avrebbe avuto anche lui il suo riscatto. Ne era certo.

/ Behind blue eyes - Limp Bizkit /
L'auto nera entrò nella stradina che scendeva nei sotterranei per arrivare al garage, tipico di una palazzina di appartamenti.
Entrò nel suo e dopo avervi deposto la C3 elegante come lui, uscì dirigendosi all'ascensore che scendeva fin lì.
Mentre saliva nei piani alti raggiungendo il suo appartamento, si trovò a riflettere, come sempre accadeva.
Quella ragazza gli sembrava ogni giorno più strana. Era da molto tempo che li seguiva fedelmente e non aveva mai spiccicato parola con lui, sorrise a quel che era successo quel giorno. Che effetto le aveva fatto parlarle... insolito, decisamente insolito.
Ora che era dello staff sicuramente sarebbe stata costretta a rapportarsi un po' di più. Eppure non era una tipa timida e riservata, lo si capiva facilmente dal tifo e da come si comportava normalmente.
Essere la sorella maggiore di Gianluca non era certo facile, fra l'altro; da quel che sapeva era una famiglia numerosa.
Ancora una volta si trovò a pensare a Samntah.
Quella ragazza insolita dai capelli e gli occhi neri e dalla bocca decisamente morbida. Senza accorgersene posò due dita sulle proprie labbra chiuse che poco prima avevano rubato un bacio alla dormiente fonte delle sue attenzioni.
Marek non era un tipo che mostrava i suoi sentimenti in maniera normale e a quanto pare nemmeno lei lo era. Era strano anche lui, ma nella sua stranezza decisamente più sulla norma.
Partendo dal fatto che non si capiva mai cosa pensasse e che non si sapeva assolutamente nulla di lui, si poteva avere solo un piccolo quadro effimero della figura complessa quale lui era.
L'accolse il silenzio e l'ordine che regnava in quella casa.
Si diresse nella sua camera dopo aver percorso il salotto, posò le sue cose e mantenendo quel silenzio religioso si diresse in cucina, era vuota, allora andò nella stanza in fondo al corridoio corto, come aveva immaginato seduta sulla sedia della scrivania c'era la sorella china sui libri.
Posò i magnetici e adulti occhi blu su quelli chiari più giovani ed eleganti della ragazza che increspò le labbra in un brevissimo sorriso di accoglienza, né tirato, né espansivo. Controllato.
Nel complesso era una persona diplomatica ed estremamente introversa, matura per la sua età, intelligente e saggia. La sua degna sorella cresciuta, però, in una campana di vetro. La bellezza era notevole con quei grandi occhi pieni di grazia e nobiltà di sguardo, fronte alta, volto ovale e sottile, bocca piccola sempre seria, minuta, altezza media, eretta, braccia ai lati del corpo, mani curate e affusolate, polsi, vita e caviglie fini, lunghi capelli castani lisci pettinati, abiti semplici ordinati. Portamento e modi di fare aristocratici.
Non avevano un titolo nobiliare, non erano nemmeno stabili economicamente, lui era diviso fra lavoro part time e allenatore, la madre lavorava a tempo pieno e la sorella era all'ultimo anno di liceo, il prossimo sarebbe andata all'università. Era una testa non indifferente.
Ma l'idea che davano era ben diversa da quella che avrebbero dovuto dare.
Guardandoli dall'esterno parevano solo persone benestanti imparentate con una qualche famiglia di conti e l'alone misterioso che avevano intorno, specie il ragazzo, non aiutava di certo.
Tuttavia erano sempre ammirati e rispettati nonché stimati.
- Ciao Nicole... -
Lei rispose allo stesso modo:
- Ciao Marek... è andata bene oggi? -
Un dolce sorriso in risposta, un inclinazione speciale che riservava solo a lei.
Teneva molto alla sorella. Da quando il padre se ne era andato che era piccola, l'aveva cresciuta lui poiché la madre era sempre stata a lavorare. L'aveva messa in un ampolla di vetro evitandole quei dolori che solo l'amore e le delusioni potevano dare.
Le aveva fatto da scudo per tutto, anche dall'amore estraneo.
- Subito arriva la mamma, prepariamo qualcosa per cena? -
Così dicendo si diressero entrambi in cucina.
Anche se erano in buoni rapporti non parlavano molto fra di loro, niente resoconti, impressioni o simili. Semplicemente ognuno per sé.
Si misero al lavoro insieme riflettendo su cose proprie.
Il mondo del moro era caratterizzato da un forte contrasto fondamentale, che a conoscerlo non si sarebbe mai detto.
Il padre li aveva abbandonati da piccolo per andare con un'altra donna rivelandogli che il vero amore non esisteva. La madre aveva sofferto molto e così anche loro, ma non c'era stato modo per risolvere o tornare indietro.
I fatti anche in seguito dimostrarono al giovane che non si poteva parlare di qualcosa di inesistente inventato da sciocchi per business e far soldi. Era solo una grande bugia ben architettata che faceva illudere la gente di poter provare qualcosa di sensazionale ed eterno.
In realtà anche l'amore, come la vita, era di breve durata destinato a finire, e ¼‘ qualcosa finisce così facilmente è solo finzione.
Aveva un idea distorta dei sentimenti e dell'amore in particolare.
Credeva all'amicizia, aveva qualche amico fedele ma non credeva all'amore.
Ora quel qualcosa che l'attirava in Samantah non avrebbe mai ammesso essere profondo a tal punto da cercargli un nome diverso da 'interesse'.
Nicole era diversa seppur cresciuta in un certo modo per evitarle sofferenze.
Lei l'aveva provato, lei ci credeva, lei aveva nonostante tutto una sensibilità, delle credenze, dei principi diversi.
Con pazienza gli avrebbe fatto capire i suoi errori, errori che mostravano umano uno all'apparenza perfetto come Marek.
Quei suoi modi distinti e controllati rivelavano chiaramente dei difetti di fondo quali l'eccessiva severità con sé stesso e la negazione di qualcosa di importante.
Lui ne era sempre stato convinto e sicuro che mai sarebbe cambiato questo suo lato 'contro l'amore', andava avanti nella sua contraddicente vita impegnata.
Certo era però che quando aveva posato le labbra su quelle di Samantah addormentata qualcosa aveva sentito. Quel senso di morbidezza esteriore ed interiore. Aveva sentito chiaro il desiderio di approfondirlo quel senso che non era solo tattile.
Sapeva solo che nonostante la coscienza di detestare il sentimento amore, avrebbe approfondito il rapporto con la mora.
L'amore esisteva? Difficile dirlo anche se per lui era una certezza. Come poteva esistere qualcosa in cui non si credeva... qualcosa che veniva sempre calpestato e che faceva soffrire?
Forse più di qualcuno l'avrebbe smentito.
E comunque le cose che riguardavano Marek non erano tutte lì…