‘Credere
nell'amore... no. Impossibile credere a qualcosa che non è
mai
esistito.’
/
Shut up – Black Eyed Peas /
Aveva
ancora chiara la sensazione sulla pelle dell'acqua che gli cadeva
lungo il corpo dai muscoli rilassati, ma ancor di più aveva
indelebili i suoi occhi puntati su sé stesso. Quegli occhi
così sprezzanti e penetranti.
Freddi.
Eppure
Gianluca non era proprio freddo, era l'idea che dava in certi
momenti, l'antipatia che nasceva dagli altri verso di lui non era
perché il campione era un tipo gelido, tutt'altro. Era
complicato. Ogni volta che Alessandro ci pensava finiva per alzare le
spalle pieno di mal di testa, non lo capiva.
Non
lo capiva affatto.
Adorava
provocarlo, farlo arrabbiare, scambiarsi pugni con lui, litigarci,
fare le sfide, ma poi quando si trattava di capirlo e decifrarlo non
ci riusciva mai. Era così ombroso e chiuso.
Lui
era alla continua ricerca di qualcosa che non comprendeva.
Era
irrequieto, sembrava solo ma non lo era.
Non
capiva affatto.
Sapeva
perfettamente la sensazione che aveva provocato facendo la doccia per
la prima volta accanto a lui. Si era lavato in quel modo languido di
proposito per vedere la sua reazione, ma mentre l’aveva fatto
si
era chiesto 'cosa' volesse ottenere, poi però si
trovò
a domandarsi perché adorasse provocarlo sempre. Puro spirito
di contrasto? Erano incompatibili e quindi bisogna stuzzicarsi a
vicenda a tutti i costi?
Non
credeva affatto che Gianluca fosse gay, tuttavia si era comportato lo
stesso a quel modo come volesse sedurlo e la reazione gli era
piaciuta dannatamente, in modo impressionante.
Non
era tipo da mascherare le impressioni.
Lo
ammetteva: se fossero stati soli non sarebbe scappato infuriato... o
meglio non l'avrebbe fatto scappare!
Anche
lui aveva un bel corpo, i suoi occhi erano segretamente stati
attratti dalle gocce che erano cadute dal suo corpo atletico e
sottile.
Mentre
camminava verso casa ripensò attentamente a quel momento. Si
era divertito ed era stato più forte di lui dirgli quelle
cose.
Gianluca
che era sempre stato fondamentalmente sulle scatole a tutti per il
suo talento, per lui era una minaccia. Se in squadra non ci fosse
più
stato bisogno di un asso perché c'era già,
Alessandro
sarebbe dovuto andarsene o meglio l'avrebbero mandato via. Non era
mai stato detto ma lo sapeva.
Lui
non pagava la retta, non l'aveva mai pagata perché era
povero
e non poteva permetterselo, l'avevano tenuto in squadra per volere
dell'allenatore che aveva nascosto il particolare dei soldi a tutti
perché nel gruppo c'era bisogno del fuoriclasse Alessandro.
Ora
che le squadre si erano unite molti campioni erano arrivati, specie
quel dannato Gianluca perfetto in ogni tipo di gioco.
Avevano
addirittura lo stesso difetto di essere individualisti e del resto le
Ali erano questo.
Sospirò.
Ad
ogni modo non sarebbe mai andato via, il basket era la sua vita,
l'unica cosa bella e decente dello schifo di cui faceva parte.
Arrivò
nel suo fedele quartiere malfamato. Le case cadevano pezzi, i topi
giravano tranquilli per i marciapiedi, i cassonetti dell'immondizia
spezzati a far uscire i rifiuti, un odore sudicio e schifoso, in ogni
angolo e vicolo un gruppo, una banda di teppisti, alcuni lo
salutarono riconoscendolo come uno di loro, altri lo guardarono male
per la rivalità che avevano.
In
fondo alla via quasi non si notava, c'era una specie di abitazione,
ma ci voleva coraggio a chiamarla tale. Era di un piano solo, bassa,
cadente, vecchia, muri scrostati, tegole cadute, tetto in diversi
punti scoperto e curvato, vetri di alcune finestre spaccati, porta
rotta. Non tirò nemmeno fuori la chiave, non sarebbe
servita,
una spallata e l'apri, entrò e richiuse con uno spintone
incastrandola a dovere. Era un pericolo in quel posto, ma nessuno si
sarebbe sognato di rubare in una merda simile, specie perché
la merda in questione era di Alessandro.
Fece
una smorfia all'odore di vecchio e sporco che lo accolse.
Andò
subito ad aprire una finestra sgangherata ma non entrò un
odore migliore. Camminò facendo attenzione a non pestare
qualcosa e il pavimento cigolò. Era un buco in disordine, il
salotto era vuoto, il divano dalle molle sporgenti scomodissimo non
presentava segni di visite, la tv minuscola era spenta. Saltando un
ostacolo indefinito arrivò nell'altrettanto piccola cucina,
era un miracolo che ci fosse. C'era un vecchio che seduto al tavolo
dalla gamba piegata, mangiava una minestra di solo brodo. La solita
cena.
-
Ciao vecchio. -
Salutò
con la voce dalla leggera inclinazione divertita.
Gli
rivoltava lo stomaco quel posto, quella vita, quel cibo. Non avrebbe
mangiato nemmeno sotto tortura, l'importante era che il nonno si
nutrisse. Non aveva molto da vivere, ne era sicuro, ma non avrebbe
saputo che fare senza di lui. Era ancora minorenne e sarebbe finito
in un fottutissimo istituto.
A
parte quello, in fondo ci era affezionato a quell'uomo. I suoi ricchi
genitori erano morti quando era piccolo lasciandolo nei guai, l'unico
parente era il nonno che l’aveva preso con sé
finendo in
miseria e crescendolo come aveva potuto.
Si
era sempre preso gioco di lui facendo tutto quello che gli era parso,
non aveva dimostrato troppo sentimento e affetto però lo
provava, sotto sotto entrambi lo sapevano.
Anche
quella sera Alessandro sarebbe andato a scroccare la cena da
qualcuno, come sempre. Era un approfittatore nato.
Ricevuto
il cenno del capo dell'altro uscì entrando nella porta
accanto, la sua camera... o una specie. Impossibile descrivere
quell'intrico di vestiti, legni, fili e quant'altro. La rete del
letto non c'era, il materasso poggiava direttamente a terra, come i
giapponesi. Era per risparmiare soldi e spazio.
Lo
specchio non esisteva nemmeno.
Si
spogliò scegliendosi altri vestiti puliti o quasi: prese
jeans
scoloriti, cadenti e strappati in diversi punti e una maglietta nera
attillata che evidenziava il suo bel fisico notevole.
Prima
di indossarla rimase un attimo a torso nudo. Si fermò e
perse
lo sguardo nel vuoto. C'era il ricordo, a quel punto.
Totalmente
sovra pensiero alzò la mano posando un solo dito alla base
del
suo collo.
Con
la testa da tutt'altra parte iniziò a muoverlo lento e
leggero
seguendo la clavicola, scese sui pettorali per poi raggiungere uno
dei capezzoli, lo prese fra l'indice e il pollice e cominciò
a
tormentarselo languido. Socchiuse gli occhi, si morse il labbro
inferiore pieno e trattenne il respiro.
Il
piacere che provò in quel gesto fu evidente ma l'eccitazione
arrivò in un altro modo, con un'altra fantasia… e
se fosse
Gianluca a toccarlo in quel modo? Magari continuando sotto la doccia
di prima, con quelle sue mani curate che avevano picchiato solo lui.
Immaginò liberamente senza freni inibitori che la cosa si
approfondisse e dovette appoggiarsi al muro crepato dietro di
sé
aiutandosi con l'altra mano a continuare. Il suo corpo parve
ringraziarlo mentre fremeva, buttò la testa all'indietro e
si
abbandonò a quelle sensazioni forti e appaganti di
autoerotismo.
Quando
finì si scosse e fermandosi immobile dov'era si chiese che
diavolo gli fosse preso.
Corrugò
la fronte e l'azzurro cielo divenne tempestoso per un attimo.
Non
poteva certo sapere di non essere stato l'unico ad aver fatto una
cosa simile in quel momento pensando al proprio rivale!
Decise
di andare a finire di prepararsi in bagno, quel buco puzzolente di
cesso schifoso; si lavò mani e rinfrescò il viso,
poi
bagnò i capelli mettendosi un po’ di gel, erano
molto mossi
e ancor più indomabili appena lavati, se li
sistemò un
po' domando quelle bionde ciocche ribelli lasciando qualcuna scendere
sugli occhi chiari.
Un
occhiata veloce ai vetri rotti riflettenti ed uscì.
Si
affacciò alla cucina e disse noncurante:
-
Ehi, io esco di nuovo, vado dagli altri, mangio da loro... non
aspettarmi, vai a dormire. -
Un
altro cenno e se ne andò.
Era
una vita orrenda e pesante, difficile, che faceva da molti anni, ma
gli andava bene così. Si era fatto il callo e aveva la sua
reputazione, il suo territorio. Se la cavava bene, era furbo e quando
era necessario rubacchiava qua e là. Nulla di che, giusto
per
vivere.
Anche
da solo se la sarebbe cavata alla grande, ma suo nonno aveva solo lui
e per quanto gli rimaneva da vivere, avrebbe condiviso.
Arrivò,
senza più pensare a Gianluca, al solito posto lì
vicino. Erano radunati alcuni ragazzi all'incirca della sua
età.
Lo salutarono e gli cedettero il suo posto preferito, sulla moto di
uno di loro. Era una moto di strada nera, non di una gran marca ma
pur sempre moto.
Appoggiò
il suo sedere sodo avvolto dai jeans, sul sellino e mantenendo le
mani nelle tasche ascoltò i discorsi degli amici o presunti
tali. In realtà non erano amici ma solo seguaci, non provava
nulla per loro e loro per lui avevano solo sana invidia per quello
che era e non per quello che aveva.
Lo
circondavano e lo imitavano sperando di non averlo mai contro.
Una
vita, tutto sommato, su misura per lui. Non poteva lamentarsi anche
se di motivi ne avrebbe avuti molti.
Se
si deve si fa.
O
ti uccidi o vivi... anzi, sopravvivi.
Sapeva
che prima o poi avrebbe avuto anche lui il suo riscatto. Ne era
certo.
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Behind blue eyes - Limp Bizkit /
L'auto
nera entrò nella stradina che scendeva nei sotterranei per
arrivare al garage, tipico di una palazzina di appartamenti.
Entrò
nel suo e dopo avervi deposto la C3 elegante come lui, uscì
dirigendosi all'ascensore che scendeva fin lì.
Mentre
saliva nei piani alti raggiungendo il suo appartamento, si
trovò
a riflettere, come sempre accadeva.
Quella
ragazza gli sembrava ogni giorno più strana. Era da molto
tempo che li seguiva fedelmente e non aveva mai spiccicato parola con
lui, sorrise a quel che era successo quel giorno. Che effetto le
aveva fatto parlarle... insolito, decisamente insolito.
Ora
che era dello staff sicuramente sarebbe stata costretta a rapportarsi
un po' di più. Eppure non era una tipa timida e riservata,
lo
si capiva facilmente dal tifo e da come si comportava normalmente.
Essere
la sorella maggiore di Gianluca non era certo facile, fra l'altro; da
quel che sapeva era una famiglia numerosa.
Ancora
una volta si trovò a pensare a Samntah.
Quella
ragazza insolita dai capelli e gli occhi neri e dalla bocca
decisamente morbida. Senza accorgersene posò due dita sulle
proprie labbra chiuse che poco prima avevano rubato un bacio alla
dormiente fonte delle sue attenzioni.
Marek
non era un tipo che mostrava i suoi sentimenti in maniera normale e a
quanto pare nemmeno lei lo era. Era strano anche lui, ma nella sua
stranezza decisamente più sulla norma.
Partendo
dal fatto che non si capiva mai cosa pensasse e che non si sapeva
assolutamente nulla di lui, si poteva avere solo un piccolo quadro
effimero della figura complessa quale lui era.
L'accolse
il silenzio e l'ordine che regnava in quella casa.
Si
diresse nella sua camera dopo aver percorso il salotto, posò
le sue cose e mantenendo quel silenzio religioso si diresse in
cucina, era vuota, allora andò nella stanza in fondo al
corridoio corto, come aveva immaginato seduta sulla sedia della
scrivania c'era la sorella china sui libri.
Posò
i magnetici e adulti occhi blu su quelli chiari più giovani
ed
eleganti della ragazza che increspò le labbra in un
brevissimo
sorriso di accoglienza, né tirato, né espansivo.
Controllato.
Nel
complesso era una persona diplomatica ed estremamente introversa,
matura per la sua età, intelligente e saggia. La sua degna
sorella cresciuta, però, in una campana di vetro. La
bellezza
era notevole con quei grandi occhi pieni di grazia e nobiltà
di sguardo, fronte alta, volto ovale e sottile, bocca piccola sempre
seria, minuta, altezza media, eretta, braccia ai lati del corpo, mani
curate e affusolate, polsi, vita e caviglie fini, lunghi capelli
castani lisci pettinati, abiti semplici ordinati. Portamento e modi
di fare aristocratici.
Non
avevano un titolo nobiliare, non erano nemmeno stabili
economicamente, lui era diviso fra lavoro part time e allenatore, la
madre lavorava a tempo pieno e la sorella era all'ultimo anno di
liceo, il prossimo sarebbe andata all'università. Era una
testa non indifferente.
Ma
l'idea che davano era ben diversa da quella che avrebbero dovuto
dare.
Guardandoli
dall'esterno parevano solo persone benestanti imparentate con una
qualche famiglia di conti e l'alone misterioso che avevano intorno,
specie il ragazzo, non aiutava di certo.
Tuttavia
erano sempre ammirati e rispettati nonché stimati.
-
Ciao Nicole... -
Lei
rispose allo stesso modo:
-
Ciao Marek... è andata bene oggi? -
Un
dolce sorriso in risposta, un inclinazione speciale che riservava
solo a lei.
Teneva
molto alla sorella. Da quando il padre se ne era andato che era
piccola, l'aveva cresciuta lui poiché la madre era sempre
stata a lavorare. L'aveva messa in un ampolla di vetro evitandole
quei dolori che solo l'amore e le delusioni potevano dare.
Le
aveva fatto da scudo per tutto, anche dall'amore estraneo.
-
Subito arriva la mamma, prepariamo qualcosa per cena? -
Così
dicendo si diressero entrambi in cucina.
Anche
se erano in buoni rapporti non parlavano molto fra di loro, niente
resoconti, impressioni o simili. Semplicemente ognuno per sé.
Si
misero al lavoro insieme riflettendo su cose proprie.
Il
mondo del moro era caratterizzato da un forte contrasto fondamentale,
che a conoscerlo non si sarebbe mai detto.
Il
padre li aveva abbandonati da piccolo per andare con un'altra donna
rivelandogli che il vero amore non esisteva. La madre aveva sofferto
molto e così anche loro, ma non c'era stato modo per
risolvere
o tornare indietro.
I
fatti anche in seguito dimostrarono al giovane che non si poteva
parlare di qualcosa di inesistente inventato da sciocchi per business
e far soldi. Era solo una grande bugia ben architettata che faceva
illudere la gente di poter provare qualcosa di sensazionale ed
eterno.
In
realtà anche l'amore, come la vita, era di breve durata
destinato a finire, e ¼‘ qualcosa finisce
così
facilmente è solo finzione.
Aveva
un idea distorta dei sentimenti e dell'amore in particolare.
Credeva
all'amicizia, aveva qualche amico fedele ma non credeva all'amore.
Ora
quel qualcosa che l'attirava in Samantah non avrebbe mai ammesso
essere profondo a tal punto da cercargli un nome diverso da
'interesse'.
Nicole
era diversa seppur cresciuta in un certo modo per evitarle
sofferenze.
Lei
l'aveva provato, lei ci credeva, lei aveva nonostante tutto una
sensibilità, delle credenze, dei principi diversi.
Con
pazienza gli avrebbe fatto capire i suoi errori, errori che
mostravano umano uno all'apparenza perfetto come Marek.
Quei
suoi modi distinti e controllati rivelavano chiaramente dei difetti
di fondo quali l'eccessiva severità con sé stesso
e la
negazione di qualcosa di importante.
Lui
ne era sempre stato convinto e sicuro che mai sarebbe cambiato questo
suo lato 'contro l'amore', andava avanti nella sua contraddicente
vita impegnata.
Certo
era però che quando aveva posato le labbra su quelle di
Samantah addormentata qualcosa aveva sentito. Quel senso di
morbidezza esteriore ed interiore. Aveva sentito chiaro il desiderio
di approfondirlo quel senso che non era solo tattile.
Sapeva
solo che nonostante la coscienza di detestare il sentimento amore,
avrebbe approfondito il rapporto con la mora.
L'amore
esisteva? Difficile dirlo anche se per lui era una certezza. Come
poteva esistere qualcosa in cui non si credeva... qualcosa che veniva
sempre calpestato e che faceva soffrire?
Forse
più di qualcuno l'avrebbe smentito.
E
comunque le cose che riguardavano Marek non erano tutte
lì…