SOLE E MOSTRI

CAPITOLO I:
LUCE E BUIO

Dalla saracinesca abbassata filtravano dei timidi raggi di sole che macchiavano la superficie della camera da letto, il pavimento, i mobili, il letto, le gambe intrecciate, i corpi che dormivano uno accanto all'altro. Il primo a svegliarsi fu il più sensibile alla luce del sole, sia pure solo così parziale.
Kay strinse gli occhi e sorrise realizzando che ad aver disturbato il suo sonno era il sole.
Era un bel risveglio.
Kay era meteopatico, il suo umore dipendeva dal tempo atmosferico.
Se il sole c'era si svegliava con un sorriso splendente, se invece pioveva sorrideva meno splendidamente.
C'era differenza fra i due sorrisi, comunque non ne mancava mai nemmeno uno.
Decisamente l'opposto del suo compagno.
Kay lo baciò sulla fronte per svegliarlo, ma quando Marcel ritrovò la percezione, sia pure nebbiosa, mugolò in un misto incomprensibile fra il piacere delle sue labbra ed il fastidio di quei piccoli raggi solari che carezzavano anche il suo viso.
Marcel strinse gli occhi e nascose il viso sotto il cuscino lasciando un piccolo spazio per respirare.
Odiava profondamente il sole di primo mattino, per lui il risveglio era una cosa molto delicata e per mesi l'aveva odiato sul serio.
Adesso ci stava facendo pace, ma non era una cosa molto facile.
Al mattino era off limits.
Kay rise e questo fece incurvare un pochino le sue labbra imbronciate. Naturalmente le vide e naturalmente continuò a destarlo coi suoi baci alternati alle sue risate.
- Sei un micio lunatico... - Diceva fra un bacio e l'altro posto sulla sua spalla. - ed in quanto micio... - scese sulla schiena, Marcel era a pancia in giù. - hai un risveglio davvero brutto... - giù sulla zona lombare. - ma bastano un po' di coccole... - le curve sode delle sue natiche: - per migliorarlo! -
Questo fece ridere Marcel, Kay lo percepì perfettamente viste le labbra sempre su qualche porzione di pelle. Così quando lo sentì risalì in alto salendogli sopra con tutto il suo corpo, come una coperta. Quando ebbe conquistato la cima, infilò la testa sotto al cuscino che finì di lato per far spazio a lui ed ai suoi ricci non proprio incolti ma nemmeno indiscreti.
Il resto del trattamento fu per il suo viso, nonostante la barba che non si faceva da giorni, Kay non esitava a ricoprirlo di baci anche lì fino a raggiungere la sua bocca che ormai era piegata in un sorriso divertito e beato.
Riusciva a svegliarsi bene solo da quando stava con lui, ma dopotutto era normale quando due stavano insieme.
Marcel ripensò brevemente ai propri risvegli col suo ex e si corresse.
No, non era detto che svegliarsi col proprio compagno comportasse il buon umore, anzi.
“E' Kay che è speciale!”
Concluse sicuro.
Fu a quel punto, mentre le loro labbra erano unite come i loro stessi corpi nudi, uno sull'altro, che il telefono li interruppe.
Un mugolio da parte di entrambi.
Non si staccarono ancora, ma quando il telefono continuò a suonare, Marcel seccato separò il proprio viso dal suo per permettergli di rispondere.
- Hai una suoneria insopportabile... - Le trombe del risveglio militare evidentemente mettevano allegria a Kay, lui diceva che oltre all'allegria dovevano permettergli di sentire il telefono quando suonava.
Marcel lo odiava, la sua suoneria era molto più normale.
Il ragazzo steso sopra si allungò fino al comodino e lo prese, rispose con uno squillante 'buongiorno' e Marcel scosse il capo. Non si capacitava di come potesse tirare fuori tanta allegria appena sveglio.
- Sì, non l'ho dimenticato... sono già sveglio... no, non sono pronto ma sarò puntuale. Grazie della sveglia speciale! Ci vediamo dopo... - Così Kay mise giù scendendo dal suo personale materasso.
- Il lavoro chiama! - Esclamò allegro. Marcel si girò sulla schiena e si stiracchiò seccato.
- Sei il solo contento di andare a lavoro! - Brontolò più che altro per il fatto che non preferisse rimanere con lui.
Kay rise mentre si infilava in bagno per una doccia veloce.
- Non fare il geloso, io amo il mio lavoro... e anche tu il tuo! -
Marcel finalmente tornò a sorridere, sempre per causa sua.
- Che è come il tuo! -
Kay era ormai nella doccia quando Marcel leccandosi le labbra guardò il vapore dell'acqua calda uscire dalla porta aperta del bagno, quindi con un sorrisino furbo si alzò e sinuoso come un felino lo raggiunse. Tempo due secondi, Kay stava gridando di uscire che non aveva tempo di fare altre porcate che doveva andare davvero a lavoro.
Per Marcel era un invito a continuare e lo fece fino a che non riuscì a fargli raggiungere il piacere. Del resto quando si metteva in testa una cosa, non cambiava idea in nessun modo.
Non che a Kay dispiacesse essere 'deviato'.
Quando uscirono dal bagno, quest'ultimo era tutto trafelato e correva impazzito come una scheggia per la stanza, Marcel era pacifico e soddisfatto. In tutta calma si ributtò sul letto e lo guardò divertito mentre si preparava.
Lo vide infilarsi uno dei tanti paia di boxer strambi, quelli avevano gli orsacchiotti.
I pantaloni attillati erano giallo canarino, mentre la camicia era blu elettrico ed aveva le cuciture arricciate, i bottoni con delle piccole pietre azzurre. Le scarpe erano le sue amate converse ed erano verdi a strisce.
Si fermò a sistemarsi i ricci castano chiaro, se li era accorciati da poco, ma erano comunque piuttosto difficili da gestire. Si limitò a scuotere la testa e a passarsi le mani sopra. Il risultato fu identico a prima.
Il verde delle scarpe richiamava il colore dei suoi occhi vispi, il giallo quello del sole, il suo elemento preferito, il blu era il colore del martedì. Il martedì doveva indossare qualcosa di blu. Ogni giorno aveva il suo colore.
Alla fine, soddisfatto della propria immagine, si girò verso il suo ragazzo ancora nudo e bagnato sul letto che lo fissava in una posa da sirena e gli chiese cosa gli sembrasse.
Marcel lo osservò meglio.
Kay era molto magro, quasi scheletrico. Ogni tanto lo credeva anoressico, ma mangiava molto, per cui era solo metabolismo. Il viso non era eccessivamente magro come il resto del corpo, era giusto, i ricci gli davano il giusto volume. Non era particolarmente bello, ma nemmeno brutto.
Aveva il naso piccolo, la bocca larga e sottile che quando sorrideva dava l'idea di un topolino per la dentatura appena appena accentuata sugli incisivi.
Per questo Marcel lo soprannominava 'Mikey', come Miky Mouse versione vezzeggiativa.
La pelle era molto chiara. Nel complesso era un tipo interessante, normale, ma non spiccava per la bellezza. Era molto carino, ma non splendido.
Spiccava e conquistava per un'altra dote.
Anzi, due.
I colori che indossava ed il suo carattere.
Era solare, coinvolgente e, come amava definirlo Kay, puro.
Kay era un puro, genuino, integro.
Era davvero una rarità nel suo ambiente, per cui aveva sempre paura che qualcuno gli mettesse le zampacce addosso per sporcarlo.
Era la tentazione che tutti avevano quando lo vedevano la prima volta... e anche la seconda e la terza.
Però pareva cavarsela abbastanza, del resto era ancora vivo.
- Ti manca qualcosa... - Disse poi Marcel con un'aria da principe impigrito.
Kay sorrise sapendo a cosa si riferiva, si chinò su di lui e lo baciò.
- Ci vediamo più tardi. -
Con questo scappò fuori investendo probabilmente tutti gli oggetti ed i soprammobili incontrati sul suo cammino, lo sentì saltare per le scale, scivolare con la suola delle converse e scardinare l'appedino all'ingresso. Dopo di che la porta sbatté.
Era una calamità naturale.
Tutto il suo opposto, lento, pigro, elegante, sinuoso e, nel complesso, estremamente inquietante.
Marcel sospirò nel silenzio che improvvisamente non gli piaceva più e rotolo a pancia in giù per niente intenzionato ad alzarsi.
Per quella giornata non aveva impegni, voleva farsi trovare così al ritorno di Kay, già pronto per il secondo round.
“E dire che una volta questo silenzio mi piaceva un sacco...”
Pensò chiudendo gli occhi.


//Acido corrosivo.
È questo che Marcel spera di inghiottire con quella pastiglia.
Spera di venir divorato, spera di venir distrutto una volta per tutte.
Spera di non riaprire gli occhi alla fine del viaggio.
Un viaggio maledettamente bello, leggero, solitario.
Chiudere gli occhi ed escludere il mondo, chiudere gli occhi e venir risucchiati altrove dove non ci sono colori, suoni, forme. È tutto mescolato in un grigio scuro che sfocia in nero. Nulla ferisce gli occhi alla vista. La mente non è distratta da forme definite, c'è solo un generico mescolamento di nulla. Le orecchie non hanno fastidio in quel silenzio perfetto.
Fosse sempre così.
Ma Marcel, come sempre, riapre gli occhi e sbuffa. È ancora vivo e l'effetto ormai dura sempre meno. Insufficiente per creare qualcosa, insufficiente per trovare le forze e la voglia di fare.
Così torna a stendersi nella brandina e aspetta la prossima chiamata che spera sia la morte. Chi diavolo è stato a ridurlo così?
Perchè lui sa che è un qualcuno. Lui sa che non era sempre stato così. Lo sa.
- Maledetto Ramon fottuto! - Perchè dare la colpa a qualcuno è l'unica soluzione per sopravvivere, visto che è obbligato a farlo e che il mondo è ancora lì.

**
Marcel era un ragazzo timido, gentile, a modo.
Marcel non era quel perdente corroso dalla vita. O da qualcuno.
Marcel è stato usato e prosciugato, è stato ridotto così.
Marcel è stato creato e poi rovinato, sempre dalla stessa persona.
La vita, la vita scorreva in lui, quel giorno. Il giorno in cui aveva presentato il suo demo al discografico, così timido, così sottomesso, così pieno di speranze. Un ragazzino pulito, a modo, un po' nervoso. Ma forse celava qualcosa, forse quel qualcosa l'aveva comunque dentro, per questo hanno potuto forgiarlo.
- Ho sentito il tuo demo, ragazzo. - Il discografico era un signore di mezz'età. - Niente male, devo dire. Davvero niente male. - La gioia provata dentro non aveva avuto eguali. Niente di paragonabile a quel momento. Quel fuoco, quella speranza accesa. - Ho un progetto discografico per te, ma sei da sistemare e modellare, così come sei non vai bene, sei molto grezzo, ma hai una buona base. Quando ho ascoltato il tuo demo ero con un mio amico che nel settore musicale è molto affermato, è un eccezionale scopritore di talenti. Mi ha chiesto di darti a lui, mi ha assicurato che ti avrebbe portato sul tetto del mondo. - l'uomo aveva riso mentre Marcel diventava bluastro per il fiato trattenuto ed il cuore ormai scoppiato nel petto. - Lui è megalomane, ma ci prende piuttosto spesso. Mi voglio fidare. Hai una voce eccezionale, ragazzo. Segui questo mio amico, mi raccomando. Fai qualunque cosa lui ti dirà, senza esitazioni. Se non può aiutarti lui, non può farlo nessuno! - Marcel aveva annuito. I sogni stavano diventando realtà, un progetto discografico tutto per lui, una possibilità. La vita era bella, la vita valeva la pena di essere vissuta, la vita era la cosa più meravigliosa ed incredibile che gli fosse mai capitata.
- Senz'altro, non la deluderò, farò del mio meglio, lo giuro! - Così l'uomo gli aveva detto il nome del suo amico produttore che l'avrebbe seguito e gli aveva detto che l'aspettava a casa sua.
- Ha detto di darti l'indirizzo e di spedirti da lui subito, lui ti aspetta là per conoscerti di persona e cominciare a lavorare. - Marcel aveva annuito ed era volato all'indirizzo.
La gioia non l'avrebbe mai dimenticata.
La speranza, la voglia di spaccare il mondo, di conquistarlo, l'ottimismo, la positività.... erano in lui.
Suonò al cancello e una voce roca gli chiese chi fosse, lui si presentò col suo nome e disse che doveva vedere Ramon Wilson.
Il cancello si era aperto, aveva attraversato il giardino incolto e trascurato ed era arrivato alla porta aperta. Si era infilato dentro e la sensazione avuta era stata di passare le porte dell'inferno. Una strana sensazione per uno convinto d'aver trovato il paradiso.
Marcel si era dato dello sciocco, probabilmente era solo intimidito perchè era la prima volta che metteva seriamente piede in quel mondo. Aveva spedito il suo demo a tutte le case discografiche, aveva fatto provini e concorsi ma gli era sempre andata male. Era giovane, si era detto di dover crescere musicalmente parlando. Ora si sentiva pronto o forse sperava di esserlo e finalmente la proposta era arrivata.
Era pronto a tutto pur di farcela, a tutto.
- Vieni avanti! - La voce del citofono era la stessa, la puzza di fumo nauseante, di chiuso e di alcool. Per non dire il buio.
Da quanto non apriva le finestre e non faceva arieggiare ed entrare un po' di sole?
Finalmente l'aveva visto. O meglio intravisto.
Una forma umana seduta al pianoforte a coda, una piccola luce rossa indicava che aveva la sigaretta in bocca, l'ombra che distingueva aveva dei capelli lunghi e scomposti antigravitazionali che si autogestivano a piacimento. Fu tutto quello che notò.
Poi le note cominciarono a levarsi nell'aria e tutto svanì.
Lentamente il fumo come ogni altra puzza insopportabile.
Ma fu la sua voce a scacciare il buio e a portargli la luce.
Marcel ebbe una visione nel sentire la sua voce bassa e roca cantare in modo seducente e strascicato, come un divo senza tempo che proveniva da un posto oscuro.
La luce che batteva le tenebre col dono dell'arte.
Quell'uomo era arte.
Lo capì mentre lo sentiva cantare, quel contrasto fra luce e tenebre. Il mondo per Marcel si fermò in quel momento, sedotto dal solo suono della sua voce, la più bella e particolare che avesse mai sentito.
Perse la sua innocenza solo ascoltandolo cantare, mentre la seduzione e l'erotismo l'accarezzavano nell'intimo riscaldandolo e scuotendogli le viscere.
Luce e tenebre, inferno e paradiso, angeli e demoni.
Il calore scacciò il freddo e Marcel chiuse gli occhi facendosi trasportare dalla bellezza inaudita della sua voce. Ma non era quella quanto il suo modo di cantare. Non era bella in quanto perfetta, acuta, pulita o potente e corposa. Era bassa, graffiante, rauca e quasi inesistente. Tecnicamente era una voce molto debole, un timbro particolare. Però l'usava in un modo talmente seducente che ipnotizzava.
Quando concluse, si alzò ed accese un luce ad angolo, fioca ma sufficiente per vedere.
Poi gli andò davanti e lo guardò da vicino.
L'uomo non si capiva quanti anni avesse, doveva essere molto pallido e magro, decisamente sciupato nonostante la scarsa illuminazione.
I capelli erano lunghi fino a ricoprire il collo, lisci e disordinati, ciocche si perdevano ovunque intorno al suo viso e lui li toccava di continuo, come un tik nervoso.
Non era molto alto. Marcel si concentrò sui suoi lineamenti. Affascinanti era dire poco.
“Un lupo cattivo.”
Pensò paradossalmente senza controllarsi. Si sentì idiota a pensarlo, ma quella definizione era perfetta per descrivere la sua bellezza.
Era vestito di nero.
Non gli tese la mano, si sentì passato ai raggi X, come che immaginasse come ricostruirlo.
- C'è una splendida base su cui lavorare. - Disse con la stessa voce rauca sentita prima. Lo faceva impazzire la sua voce per qualche motivo. Così svanita, come lui.
- Non mi ha ancora sentito cantare... - L'altro fece un sorriso di scherno tirando l'ultimo respiro di sigaretta prima di buttarla a terra e calpestarla, il gesto sconvolse Marcel che però non disse nulla.
- Intendevo sulla tua immagine. - Così aprì la bocca ma non seppe dire altro che 'oh'. L'altro rise ancora imbarazzandolo, si prendeva decisamente gioco di lui. - Il cantante ottiene successo grazie al talento ed al personaggio, lo stile è la cosa che conta, la sola cosa che conta. Certo, se sei una capra sei fottuto, ma da quel che ricordo hai una bella voce. Mi hai fatto venire in mente un demonio travestito da angelo. Voglio crearti quest'immagine, voglio che ti concentri su quest'idea. Il male che si trasforma da bene per incantare e che appena ha tutti in mano li distrugge mostrando il suo vero io. Una volta che lo ascolta, nessuno ha più scampo. Ti creerò questo forte contrasto sconvolgente. - Marcel era rimasto catturato da lui e dai concetti che esprimeva, era molto preso dall'argomento, ma soprattutto si perdeva a parlarne.
- Come mai quest'idea di me? Immagino che il personaggio viene fuori da una base che già c'è latente... io non penso di essere così... - L'altro a quel punto aveva riso di gusto schernendolo di nuovo con fare davvero mortificante.
- Tu credi di non essere così! Fidati che se ho un talento è quello di trovare da tutti quelli che vedo ciò che nascondono là sotto! - Con questo aveva toccato il suo basso ventre, Marcel si era ritirato di scatto spaventato dall'idea che potesse toccargli più in giù, l'altro aveva riso ancora di più. - Le viscere, piccolo. Intendo le viscere. Comunque vedo che non ti conosci ancora per niente! -
Marcel aveva aperto la bocca per respirare e rispondere qualcosa, ma aveva solo potuto buttare qualcosa di stupido.
- Ho solo venti anni, cosa posso saperne di me? - La risposta era piaciuta al suo nuovo capo che per vederlo meglio l'aveva spostato vicino alla luce. Così Marcel stesso l'aveva potuto guardare. Fascino da cattivo, si disse.
L'aveva così toccato e carezzato. Il viso pulito, i lineamenti perfetti, gli occhi affilati, la bocca piccola.
- Che nero in quegli occhi... - Disse catturato l'uomo. Marcel provò un fortissimo orgoglio verso sé stesso per essergli piaciuto ed averlo stupito.
Poi gli aveva passato le dita fra i capelli neri dal taglio corto ma semplice, glieli aveva spettinati in modo intimo e dominatore.
- Ti sistemerò io... vedrai... sarai il mio capolavoro... questa è una promessa. -
Marcel si morse le labbra eccitato, voleva credere che fosse per quella promessa, una promessa che comunque c'entrava col panorama musicale. Non con altro.
Anche se poi, di fatto, era ben altro. Quel calore non aveva a che fare con orgoglio musicale o cose simili, era la prima volta che lo provava, proveniva da quel posto che lui aveva toccato prima. Viscere.
Istinti.
Intimo. Sperava di potergli piacere ancora di più.
- Chiamami Ramon e dammi del tu... - Disse poi dopo essersi decisamente perso nel suo viso, ancora le mani addosso, incapace di non toccarlo.
Marcel aveva annuito.
- Vai a cantare. - Aveva detto dopo.
Forse era cominciato tutto così, cantando. Forse se non avesse avuto del vero talento, Ramon non si sarebbe interessato oltre. L'avrebbe sedotto, se lo sarebbe portato a letto e basta. Non avrebbe fatto niente altro.
Però, peccato o fortuna che fosse, Marcel era talento. Era quel talento capace di risvegliare un dormiente depresso distruttivo come Ramon. Quando si diceva il risveglio della bestia.
Un talento di quel calibro.
Al termine della sua canzone, Ramon lo abbracciò da dietro con eccessivo entusiasmo gridando qualcosa di euforico ed estremamente spiritoso.
Però quelle braccia intorno al suo collo e al suo torace e quell'abbraccio, fu il segno. Il vero segno. Come una marchiatura.
Ramon aveva deciso. L'aveva scelto. Dopo tanto cercare aveva trovato un'altra ragione di vita, un nuovo stimolo degno, capace di farlo uscire dal suo regno oscuro e deforme.
- Faremo grandi cose insieme, tesoro! - Aveva questo modo di parlare molto particolare, Marcel cercava ancora di orientarsi quando lo vide andare alla finestra e aprirla. Le aprì tutte e finalmente si guardarono.
- Splendido. - Ripeté catturato da quello che al momento appariva come un angelo agli occhi di Ramon.
Il suo angelo, l'angelo da cui avrebbe succhiato via la vita per poter essere lui a vivere.

**
Marcel ripensando a lui può definirlo con un unico termine che racchiude perfettamente il suo essere.
- Quel maledetto vampiro! -
E' così che si gira dall'altra parte per coprirsi meglio il viso dalla luce che viene dalla porta chiusa, quelle fastidiose fessure non lo lasciano in pace, penetrano quel buio così perfetto e non le sopporta.
Si morde le labbra, vuole dimenticare, ma non è più possibile, non si può più dimenticare, è impossibile. Così si asciuga gli occhi e se li strofina perchè il trucco nero gli brucia, doveva struccarsi, ma non aveva voglia, così ora sembra che lo abbiano picchiato.
Una bambola rotta che piange.
Lui non sta piangendo, non ha voglia di fare nemmeno quello. Non gli sembra sensato sprecare tempo per quello.
Il silenzio ed il buio sono sufficienti, il suo trucco disfatto ed il suo aspetto schifoso non contano niente, spera solo di potersi sciogliere nell'acido per sfigurarsi e sparire. Per sempre. Sparire per sempre. Per sempre.
Svanire. Non vuole altro. \\