CAPITOLO
XV:
OMBRA
SUL SOLE
Quell'aria
era così calda, quella sera.
Non
erano ancora in estate, però per Ramon quell'aria era troppo
irrespirabile, guardò un orologio che indicava i gradi in lontananza
e si chiese come mai 15 gradi fossero per lui troppi.
Alzò
le spalle e scese dall'auto.
Visto
che tenendo la mano leggera non aveva ottenuto quello che voleva,
doveva forzarla un po'. Del resto cosa aveva da perderci?
Si
sentiva un idiota a buttarsi e lottare tanto per qualcosa, nella sua
vita non si era mai dato tanta pena per nessuno.
O
quasi.
Si
poteva dire che uscire per cercare Marcel e cercare anche di
raggiungerlo in capo al mondo pur di rivederlo, magari era segno di
darsi pena.
Ramon
scacciò lo sgradevole viso di Marcel. Sgradevole solo per modo di
dire, poiché a tutt'oggi rimaneva uno dei più belli che avesse mai
incontrato.
Era
strano sentire caldo e pensare a Marcel dopo tanto che era riuscito a
non farlo.
Poco
prima di incontrare Kay si era disperato per lui, fino a quella volta
l'aveva insultato fra sé e sé perchè per colpa sua non riusciva
più a fare sesso o a provare piacere in nessuno dei suoi soliti
modi.
Lui
si era portato via tutto il suo piacere.
Gli
aveva dato quello che voleva e poi se l'era ripreso senza completare
il lavoro.
Poi
Kay era arrivato ed aveva fatto il miracolo, perchè era riuscito ad
interessarsi ad altro e lentamente a volerci provare. Si era sentito
bene, sereno, in pace. Gli era piaciuto lui, i suoi modi, i suoi
sorrisi radiosi e quel modo di parlare con passione delle cose che
gli piacevano.
Kay
era riuscito a sbaragliare Marcel, per questo non poteva evitare di
riprenderselo.
Suonò
il campanello di casa sua immaginando che fosse appena arrivato. Non
gli aveva lasciato molto tempo per fare la strada. Ramon arrivato a
casa propria ci aveva ripensato subito: no, Kay andava inseguito,
così detto fatto aveva tolto dalla polvere la sua vecchia auto che
ormai usava sempre meno, odiando uscire di casa.
Aveva
affrontato una guida che non ricordava bene come si faceva ed era
arrivato lì da lui dopo aver trovato il suo indirizzo fra i
documenti inviatigli dal suo agente, quando l'aveva convinto a
vederlo la prima volta.
Dal
citofono nessuna voce. Nessuno gli chiese chi era, non vide
telecamere per inquadrare il viso, per cui il cancello si aprì e lui
semplicemente entrò.
Una
volta davanti alla porta di casa, la vide socchiusa, per cui pensando
che forse l'aveva visto arrivare, entrò.
Una
volta dentro riconobbe subito il suo tocco, il gusto del bizzarro.
Fece
un sorrisino divertito ed intenerito per poi guardarsi intorno e
cercarlo.
Stava
per chiamarlo quando fu catturato dal suono del pianoforte che veniva
dal soggiorno.
Ramon
percorse l'ingresso e seguì la melodia, si fermò prima di varcare
la soglia e vedere dentro. Fermo col fiato sospeso ed il pallore più
marcato del solito.
Era
un modo di suonare diverso da quello sempre allegro di Kay, era un
suono più disperato e sofferente. Il pianoforte gli parlava da
sempre, ma quando si unì la sua voce tutto finì per lui.
Il
mondo, la sua vita, qualunque cosa.
Per
Ramon ci fu un distacco completo ed un brusco improvviso salto
indietro nel tempo, a quelle volte, quei tempi, quelli che per mesi
aveva rimpianto fino a ridursi in cenere più che mai.
La
sua voce era sempre calda, alta e speciale. Quella sofferenza era
così evidente nel suo tono, ma quando le parole le colorarono
meglio, ebbe conferma.
Non
aveva mai sentito quella canzone, ma le parole erano così
inequivocabili.
Parlava
di lui.
-
Mi hai consumato, usato, distrutto.
Hai
avuto il mio mostro.
Mi
hai mostrato chi sono.
Mi
hai buttato all'inferno
ed
ora io non ne uscirò più.
Stordisco
me stesso
per
assopire la bestia.
Tremo
che esca.
Ignorarla
non posso.
È
parte di me.
C'è
e sempre ci sarà.
Ma
continuare non posso.
Anche
se in qualche modo ti amo,
mio
ossessivo amore,
mio
malato pazzo estremo disperato diamante,
stare
con te non posso.
Mi
hai consumato, usato, distrutto.
Hai
avuto il mio mostro.
Mi
hai mostrato chi sono.
Mi
hai buttato all'inferno
ed
ora io non ne uscirò più.
La
bestia mi divorerà e non voglio.
Devo
lottare col mio mostro.
Non
so se era vero amore
Mi
chiedo se esistono amori giusti
So
però che è stato forte e corrosivo.
Mi
ha ferito e formato.
Qualunque
cosa sia stato,
porrò
fine a tutto in qualche modo.
Non
vivrò più, non sarò più io.
Mi
soffocherò. Mi legherò. Mi stordirò.
Non
farò più del male a nessuno.
Mi
hai consumato, usato, distrutto.
Hai
avuto il mio mostro.
Mi
hai mostrato chi sono.
Mi
hai buttato all'inferno
ed
ora io non ne uscirò più.
Quanto
male ci siamo fatti.
Quanto
ce ne saremo fatti ancora.
Non
eravamo giusti.
Non
sapevamo farci del bene.
Le
ferite resteranno e non ti dimenticherò.
Ma
è avanti che devo andare e così lo faccio.
Chiudo
il mio passato,
prego
che il mostro continui a dormire.
Da
oggi rinasco.
Mi
hai consumato, usato, distrutto.
Hai
avuto il mio mostro.
Mi
hai mostrato chi sono.
Mi
hai buttato all'inferno
ed
ora io non ne uscirò più. -
Ramon
aveva perso completamente la sua consistenza, aveva camminato leggero
senza accorgersene, non aveva quasi respirato e nemmeno battuto
ciglio.
Il
corpo rigido, le braccia tese lungo i fianchi.
Gli
occhi sbarrati, lucidi, il pallore spaventoso, la mascella contratta.
Ramon
faceva spavento, ma quel che risaltava di più era il suo terrore.
Terrore
per qualcosa che non sapeva ben definire nemmeno lui.
Sapeva
solo che dentro di sé tremava e appena lui avrebbe alzato gli occhi
dal piano e l'avrebbe visto, sarebbe tremato anche fuori.
Marcel
si perse le ultime parole aprendo gli occhi, vide una figura alla
porta del salotto e aggrottò subito le sopracciglia.
Le
gambe si fecero molli, le mani si fermarono dal suonare e nella testa
una musica apocalittica suonava una specie di marcia funebre.
Forse
erano entrambi, a sentirla. Dopotutto così simili, in qualche
piccola parte di loro.
Marcel
lo vide ed ogni legamento si disarticolò, lui sapeva che alzandosi
sarebbe finito a terra, però non poteva stare seduto.
Lo
stomaco si contrasse in una morsa così forte da farlo quasi
vomitare, se avesse mangiato l'avrebbe fatto.
Si
strinse al bordo del pianoforte, tese tutti i muscoli spasmodicamente
fino a far diventare bianche le nocche, tremando per la forza che
metteva in quella stretta, si alzò e sempre appoggiandosi allo
strumento, lo circumnavigò fino ad affiancarlo.
Ed
era lì davvero, non era un miraggio perchè cantando l'aveva
richiamato come si faceva coi fantasmi.
Era
lì.
Era
lì sul serio.
Dopo
mesi passati a scappare da lui, a stordirsi per dimenticarlo,
odiarlo, consumarsi nell'insultarlo e nel ricordarlo.
Lui
era lì.
Si
era materializzato come un demone pronto a torturarlo ancora. Sempre
pallido, sempre i suoi capelli quasi tutti grigi scombinati ed
eccentrici, sempre quel suo fascino gotico e sinistro.
-
Cosa diavolo... - Ma Marcel poteva immaginare cosa ci facesse, perchè
sapeva che aveva fatto una canzone con Kay.
La
sua mente registrò il campanello di prima, Marcel aveva aperto
cancello e porta senza assicurarsi che fosse Kay, aveva solo pensato
che avesse dimenticato le chiavi. Del resto era notte fonda, chi
poteva essere se non lui?
Ed
invece no.
Per
Ramon fu più sconvolgente, perchè nella sua mente non riusciva a
capacitarsi nemmeno di sfuggita o con molta fantasia, sul motivo per
cui lui era lì a casa di Kay.
Era
convinto che ormai Marcel fosse morto e sepolto, che la sua vita
stesse prendendo tutt'altre direzioni e che di lui ci fosse solo un
doloroso ricordo.
Eppure
no.
Era
lì davanti a lui in tutta la sua bellezza così tenebrosa.
Quel
po' di barba sul viso, i capelli corti ma senza un taglio specifico,
solo morbidi intorno al viso che sfioravano appena il collo. Gli
occhi dalle lunghe ciglia nere, quelle iridi d'onice.
I
suoi lineamenti così perfetti e semplicemente bellissimi.
Ed
il suo corpo.
Atletico
ma non troppo, ricordava ancora ogni linea, ogni muscolo, ogni
singolo centimetro.
Anche
il suo inguine era esattamente come lo ricordava, come non aveva
smesso di sognarlo.
Perchè
lui?
Perchè
fra tutti gli amanti avuti lui lo ricordava così bene e l'aveva
ridotto in quello stato?
Aveva
sempre odiato il mondo, la vita e le persone, ma non si era mai
soffermato ad odiarne una in particolare.
Marcel
sì. Marcel era il nucleo del suo fallimento. Era arrivato vicino al
suo massimo desiderio e poi l'aveva abbandonato.
Quello
che lui chiamava mostro era la sua redenzione, la sua speranza di
stare bene, un giorno.
Perchè
l'aveva rifiutato così?
Perchè
ne era scappato?
Però
ora aveva incontrato Kay, aveva scoperto che si poteva anche stare
bene nel mondo e volere altro, oltre che morire, distruggersi,
dissolversi.
Ora
cosa doveva fare?
-
Cosa ci fai qua? - Disse finalmente cercando di non guardare la sua
nudità che era la tortura peggiore.
Ovviamente
era servito a poco, perchè si era subito sentito eccitare.
Da
quanto non aveva un orgasmo?
Da
quanto non faceva sesso?
Da
quando non l'aveva più visto.
Ed
ora si sentiva di nuovo caldo e gonfio là sotto.
Marcel
capì che lui non aveva idea di come mai lì ci fosse lui e non Kay.
-
Non ci arrivi? - Chiese allora provocante ed insolente, era più
forte di lui. Non poteva semplicemente rispondergli.
Rivederlo
così improvvisamente l'aveva scombussolato al punto da non
controllare la direzione dei propri pensieri, tanto meno delle
proprie emozioni.
Sentiva
caldo e freddo insieme, sentiva tutto nello stesso momento.
Repulsione, attrazione, odio ed una specie di amore... o quella cosa
che l'aveva spinto a cercarlo sempre e sempre fino al momento in cui
aveva deciso di smettere.
Per
lui era stato capace di qualunque cosa. Qualunque.
Ramon
riuscì per qualche miracolo ad arrivare all'unica logica conclusione
e lo fece sempre con smarrimento sorprendente.
-
Sei il famoso misterioso ragazzo di Kay... - Poi capì il resto. E
nel capirlo si sentì di nuovo picchiare a sangue, ma non era
piacevole come le altre volte. - E' per questo che non voleva
lavorare con me... è colpa tua... sei tu che gli hai detto di starmi
lontano. -
Marcel
tornava a sentire il sangue pompare e la forza fluire. Troppa forza.
Ora
doveva stare attento, molto attento.
Doveva
gestirla bene e con calma e mandarlo via.
-
Vattene, Ramon. Esci dalle nostre vite e torna alla tua triste,
patetica esistenza isolato! - sapeva che dicendogli così lui avrebbe
reagito in tutt'altro modo, ma la propria bocca aveva desiderato a
lungo di poterglielo dire ancora.
Ramon
a quel punto tornò sé stesso, quel sé stesso di prima di Kay,
quello che agognava una fine ma che non sapeva darsela da solo.
Quello che pur di essere indimenticabile, arrivava a fare e dire le
cose più sbagliate.
Il
Ramon incapace di resistere dal torturare Marcel per tirargli fuori
esattamente quello che voleva.
Quel
mostro che lui, il primo giorno in cui l'aveva guardato negli occhi,
aveva scorto.
Lo
stesso che, dopotutto, aveva lui in sé stesso ma che non aveva mai
osato tirare fuori del tutto, solo in parte. La parte più vigliacca.
Ramon
voleva morire da sempre, ma non ne era capace e sperava che qualcuno
lo facesse al posto suo. O che lo portasse finalmente in vita.
Da
solo, però, non era capace di nulla.
Si
avvicinò lentamente come un serpente, come ai vecchi tempi. Marcel
lo riconobbe subito: lui, la sua camminata, i suoi modi. E quel suo
sguardo seducente e malefico. Di chi guardava e vedeva quanto male
poteva fare all'altro.
-
Non sei tu il padrone di casa, io volevo vedere Kay. - Rispose con
logica.
Quell'adrenalina
che ora scorreva nelle vene lo faceva sentire così vivo, la
possibilità di colpire qualcuno che meritava di essere colpito.
Quanto
male gli aveva fatto Marcel sparendo in quel modo?
Quanto?
Non
ne aveva idea!
Marcel
poteva dargli quello che voleva.
Gli
sembrava di non vederlo dal giorno prima dopo una delle loro solite
litigate furiose.
Marcel
si separò dal piano e si mosse in sincronia con lui, in modo da
stargli sempre davanti e a debita distanza, come una specie di danza
circolare che due lottatori facevano prima di attaccarsi.
Marcel
sentiva dentro di nuovo quella voglia di cancellare quel sorriso
malefico dalla faccia, quella sua voglia di ferirlo per il gusto di
farlo. Moriva dalla voglia di eliminarlo.
Sentiva
di nuovo le mani prudere ed i muscoli tremare. Come una volta.
Cominciò
a pregare che Kay arrivasse in tempo, perchè sentiva il mostro
bussare, risalire dalle viscere e raggiungergli la gola.
Stava
arrivando.
-
Vattene. Kay non è affar tuo, questa vita non è affar tuo. Riesci
sempre a ficcarti nella mia vita in qualche modo... ma non ti
permetterò di rovinarmi ancora... - Disse a denti stretti, basso e
penetrante.
Sembravano
un cobra ed una pantera pronti ad attaccarsi e sbranarsi.
-
Non mi dai ordini, Kay è affar mio in quanto lavoriamo insieme. -
-
Avete finito! - Disse subito.
-
Però ci è piaciuto molto, dobbiamo fare altre canzoni, è uno
spreco non farne ancora. E lo convincerò. E se non vorrà farne più,
farò in modo che non esca più dalla mia vita. Lo sai che ottengo
sempre quello che voglio. Kay è speciale... non posso farmelo
scappare... troverò il modo. - Marcel ora trovava davvero
impossibile trattenersi, aveva come degli spasmi, alzò il dito di
scatto e lo puntò contro di lui, sempre però a debita distanza.
-
Osa toccarlo in qualche modo e giuro che ti ammazzo. Stagli. Lontano.
- Disse sempre più incisivo, stentava a non gridare e a non
mettergli le mani addosso. Dentro di sé il mostro scalpitava.
Perchè
diavolo Ramon doveva ancora tormentarlo? Non l'aveva distrutto
abbastanza?
-
Non sei padrone della sua vita, non lo sei della tua! - Disse con
derisione. Ancora lo provocava. Ancora camminava cercando di
avvicinarsi. Ancora lui manteneva le distanze con fatica.
-
E nemmeno tu della tua, perchè altrimenti riusciresti ad ammazzarti
come vuoi tanto! -
-
Oh, il mio hobby è cambiato... - Fece ironico. - Adesso voglio
essere felice, ma c'è solo una persona con cui ho capito di poterlo
essere. Ed è la stessa che ha aiutato te! - Marcel non poté più
trattenersi, lo scoppio arrivò, il mostro era uscito.
Si
sentì fluire la forza, l'odio e la rabbia fuori dalle proprie stesse
mani. Mani che afferrarono Ramon per la gola e strinsero spingendolo
contro il pianoforte, piegandolo sopra di esso, premendocisi sopra
col busto, i visi di nuovo a vicinanze pericolose e l'odio vivo, più
vivo che mai.
-
Non azzardarti a toccarlo! Vattene dalle nostre vite! Vai a morire da
qualche parte! Fottiti! - Gli ringhiò contro. Ramon sorrideva
soddisfatto, mellifluo.
Lo
stava facendo rabbrividire di piacere, Ramon era contento.
-
Mi piacerebbe, ma è da quando te ne sei andato che nessuno riesce a
farmi godere come voglio... eri unico in quello... - Le mani vagarono
abili sul suo corpo nudo. - A fottermi. - E si intrufolarono sul suo
inguine fino a toccargli l'erezione non proprio insensibile.
Appena
l'ebbe fra le dita strinse e Marcel si staccò di scatto
allontanandosi veloce. Ramon ormai era fortemente eccitato. Non
provava quella sensazione pazzesca da troppo tempo.
Quel
godimento, quel piacere, quel calore.
Quei
brividi.
Doveva
averlo ancora.
Forse
per l'ultima volta, ma doveva averlo.
Doveva.
Cos'era
per lui Marcel?
Se
Kay era la possibilità di essere felice, Marcel cos'era?
Perchè
non riusciva a controllarsi con lui? Perchè lui vinceva su Kay?
Fra
lui e Kay stava scegliendo in un attimo lui di nuovo.
Cos'aveva
Marcel?
Ramon
non riusciva a capirlo, ma non riusciva a staccarsene, non ci era
riuscito in passato, quando aveva visto quel suo lato devastante
bruciarlo, e non ci riusciva ora.
Con
lui era sempre stato facile avere quello che voleva e sapeva sempre
darglielo. Nessuno glielo dava come lui.
-
Hai paura che ti piaccia come quella volta? Che ti piaccia più di
quanto ti piace ora scopare con Kay? - Marcel cercava di nuovo di
controllarsi, ma fremeva per attaccarlo di nuovo, aveva come una
spinta irresistibile basica.
-
E tu mi hai cercato tanto perchè non godevi più da solo? Lo so
quanto ci hai provato! Come un disperato! Quanto mi volevi, eh? Ma
era finita! Com'è che non ti sei ammazzato da solo? Ah giusto, tu
sei un vigliacco di merda! Non puoi farlo! Vuoi che sia io, no? Beh,
sappi che non sarò un assassino! Posso esserlo, voglio esserlo, ma
non lo sarò! -
Ramon
cominciò a pensare che forse non ci sarebbe riuscito sul serio.
-
Pensi a lui? Pensi a Kay? Ma glielo hai detto di cosa sei capace? Che
hai voglia di ammazzare, ogni tanto? E che ci sei quasi riuscito con
me? - Tirando fuori quell'argomento vide una reazione inconfondibile
in Marcel, una luce disperata e terrorizzata negli occhi e capì di
cosa si trattava, infatti si avvicinò di nuovo senza toccarlo,
provocandolo col suo solito atteggiamento.
-
Ah, non glielo hai detto! Chi è ora il vigliacco? Sai che
scapperebbe da te! Sai che gli faresti schifo! Lui non è come noi!
Solo noi possiamo capirci! Lui non capirebbe, se ne andrebbe, gli
faresti paura! Per questo non glielo puoi dire! Stai con lui senza
farti conoscere davvero! -
Marcel
apriva e chiudeva le mani a pugno ripetutamente, era piantato fermo
immobile e non si muoveva più, stava concentrando tutte le sue forze
sul non attaccarlo, ma non era facile, perchè le sue parole
scavavano dentro come aveva sempre fatto.
-
E pensi che nascondendoglielo lui possa amarti davvero? Quello che
ama non è il vero Marcel! E tu lo sai! Credi di non mostrarti mai a
lui? Credi che non gli farai mai quello che hai fatto a me? Tu sei
così, Marcel! Ti devi accettare e lo devi lasciare, o finirai per
ammazzare lui al mio posto! Sei così, sei un mostro, sei un
assassino, uno che picchia gli altri! È questo che sei! Lo farai con
lui e ti odierai al punto che ti ucciderai! Perchè non lo fai prima
di arrivare a quel punto? Perchè te lo devi trascinare all'inferno?
Lui è pulito, non può fare la nostra fine, lo sai che non è
giusto! - Ora Ramon parlava ad alta voce concitato, pieno di una
passione che gli era mancata, convinto, sicuro. Lo schiaffeggiava con
le sue parole sferzanti e velenose che Marcel non riusciva più a
distinguere dalla menzogna e dalla verità. Come sempre era stato con
lui.
La
paura si intrufolò in lui fino a togliergli la ragione.
-
Tu non sai cosa stai dicendo! Smettila, vattene, lasciami! - Disse
frenetico scuotendo la testa. Ramon gli prese i polsi delle mani che
aveva alzato per allontanarlo, strinse con forza agitandolo con
cattiveria e decisione.
-
Lo so bene invece e tu lo sai! Non lo farai mai felice! Finirai per
ferirlo! Farai l'irreparabile! Lo sai, è di questo che hai paura!
Come puoi stare con lui lo stesso? Come? Lo odi così tanto? - Marcel
chiuse gli occhi e scosse ancora la testa nel terrore che tutto
quello fosse vero, che le sue paure si realizzassero, che le sue
parole fossero premonitrici.
Era
di quello che aveva paura giorno dopo giorno.
-
No no smettila! -
-
Sai che ho ragione! Lo devi lasciare per la sua sicurezza, se davvero
lo ami è la sola cosa giusta da fare! Noi siamo uguali! -
Ramon
avrebbe continuato se la porta aperta di casa non avesse sbattuto e
nel giro di qualche istante due mani forti non l'avessero strappato
da Marcel.
Le
stesse mani presero lui e l'abbracciarono, dopo di che Kay rivolto
verso Ramon inebetito e senza parole, gli gridò contro furioso.
-
Lascialo in pace e vattene! Come osi dirgli queste cose? Tu non sai
niente! Tu hai una visione distorta del mondo e della vita! Sei
triste e pieno di odio! Non sei obiettivo! Cerchi di plagiarlo per
far di lui il tuo giocattolo o per allontanarlo da me, ma devi farti
una vita tua! Devi trovare la tua fonte di felicità! Lascialo in
pace una volta per tutte! - Kay era davvero furioso e se non avesse
avuto Marcel da abbracciare, forse l'avrebbe picchiato lui.
Ramon
rimase di stucco a guardarlo accendersi a quel modo. Aveva l'aria di
un innocente, ingenuo e buonissimo individuo che sembrava incapace di
difendersi da solo, ma non era proprio così.
Quando
serviva tirava fuori tutto.
Era
come una leonessa pronta a sbranare chiunque per i cuccioli.
Assolutamente
non plagiabile.
-
Sei tu che non sai, Kay! E devi sapere! Io so cose di lui che tu non
sai! - Kay scosse la testa e lo lasciò per girarsi meglio e
guardarlo puntandogli il dito contro. Marcel si accasciò nel divano
e raccolse le gambe contro di sé chiudendosi gli orecchi. Glielo
stava per dire. Era finita. Ora Kay l'avrebbe odiato.
Sarebbe
scappato.
Era
finito tutto.
Non
poteva impedire a Ramon di dirglielo e del resto era vero che doveva
sapere.
E
non era forse vero che era pericoloso per Kay? L'aveva sempre pensato
ma lasciarlo era diventato via via più difficile. Ora era
impossibile.
-
Me lo dirà quando sarà pronto! Non voglio sapere niente che non sia
lui a dirmi! Io lo amo così com'è e niente di quello che è o ha
fatto potrà cancellare questo! Tu devi andare a viverti la tua vita
e lasciarlo in pace! - Ramon rise amaro e con lo scherno negli occhi
disse:
-
Tu non hai idea di che cosa dici! Appena saprai ti odierai per non
averlo saputo subito! Questa era la prima cosa che doveva dirti! -
Kay
non ce la faceva più, come osava Ramon tornare nella vita di Marcel
ricostruita a fatica, ancora così fragile, e distruggergliela di
nuovo. E se fosse tornato a drogarsi?
Kay
riusciva solo a pensare a lui.
-
Niente potrà mai allontanarmi da lui, niente! -
Ramon
rise ancora con veleno, poi si sporse verso Marcel, chiuso e
rannicchiato che lottava contro sé stesso e quella parte oscura di
sé che ormai era tornata in quel modo orribile.
-
Diglielo tu, allora! Diglielo cosa mi facevi! Chissà che storia gli
hai detto! Che ti manipolavo, che ero io lo stronzo bastardo che ti
ha ferito, no? E tu? Tu cos'è che mi hai fatto? Cos'è che sei in
realtà? Perchè non glielo dici? - Kay gli mise una mano sul petto
per allontanarlo, ma Ramon era piantato lì davanti al divano e a
Marcel che ancora non lo fissava e non riemergeva.
-
Ramon, va via! - Gridò Kay.
-
No! Marcel, digli che mi picchiavi e che mi hai quasi ammazzato!
Digli che mostro sei e vediamo se ti ama e ti difende ancora! -
A
quel punto il silenzio calò brusco e repentino.
Fu
come staccare una spina e togliere tutti i suoni rumorosi di un
concerto metal.
Silenzio
impetuoso. Mortale.
Pericoloso.
Uno
di quei silenzi da cui forse non ci si può riprendere.
Un
silenzio che sapeva di fine.