CAPITOLO XV:
OMBRA SUL SOLE

Quell'aria era così calda, quella sera.
Non erano ancora in estate, però per Ramon quell'aria era troppo irrespirabile, guardò un orologio che indicava i gradi in lontananza e si chiese come mai 15 gradi fossero per lui troppi.
Alzò le spalle e scese dall'auto.
Visto che tenendo la mano leggera non aveva ottenuto quello che voleva, doveva forzarla un po'. Del resto cosa aveva da perderci?
Si sentiva un idiota a buttarsi e lottare tanto per qualcosa, nella sua vita non si era mai dato tanta pena per nessuno.
O quasi.
Si poteva dire che uscire per cercare Marcel e cercare anche di raggiungerlo in capo al mondo pur di rivederlo, magari era segno di darsi pena.
Ramon scacciò lo sgradevole viso di Marcel. Sgradevole solo per modo di dire, poiché a tutt'oggi rimaneva uno dei più belli che avesse mai incontrato.
Era strano sentire caldo e pensare a Marcel dopo tanto che era riuscito a non farlo.
Poco prima di incontrare Kay si era disperato per lui, fino a quella volta l'aveva insultato fra sé e sé perchè per colpa sua non riusciva più a fare sesso o a provare piacere in nessuno dei suoi soliti modi.
Lui si era portato via tutto il suo piacere.
Gli aveva dato quello che voleva e poi se l'era ripreso senza completare il lavoro.
Poi Kay era arrivato ed aveva fatto il miracolo, perchè era riuscito ad interessarsi ad altro e lentamente a volerci provare. Si era sentito bene, sereno, in pace. Gli era piaciuto lui, i suoi modi, i suoi sorrisi radiosi e quel modo di parlare con passione delle cose che gli piacevano.
Kay era riuscito a sbaragliare Marcel, per questo non poteva evitare di riprenderselo.
Suonò il campanello di casa sua immaginando che fosse appena arrivato. Non gli aveva lasciato molto tempo per fare la strada. Ramon arrivato a casa propria ci aveva ripensato subito: no, Kay andava inseguito, così detto fatto aveva tolto dalla polvere la sua vecchia auto che ormai usava sempre meno, odiando uscire di casa.
Aveva affrontato una guida che non ricordava bene come si faceva ed era arrivato lì da lui dopo aver trovato il suo indirizzo fra i documenti inviatigli dal suo agente, quando l'aveva convinto a vederlo la prima volta.
Dal citofono nessuna voce. Nessuno gli chiese chi era, non vide telecamere per inquadrare il viso, per cui il cancello si aprì e lui semplicemente entrò.
Una volta davanti alla porta di casa, la vide socchiusa, per cui pensando che forse l'aveva visto arrivare, entrò.
Una volta dentro riconobbe subito il suo tocco, il gusto del bizzarro.
Fece un sorrisino divertito ed intenerito per poi guardarsi intorno e cercarlo.
Stava per chiamarlo quando fu catturato dal suono del pianoforte che veniva dal soggiorno.
Ramon percorse l'ingresso e seguì la melodia, si fermò prima di varcare la soglia e vedere dentro. Fermo col fiato sospeso ed il pallore più marcato del solito.
Era un modo di suonare diverso da quello sempre allegro di Kay, era un suono più disperato e sofferente. Il pianoforte gli parlava da sempre, ma quando si unì la sua voce tutto finì per lui.
Il mondo, la sua vita, qualunque cosa.
Per Ramon ci fu un distacco completo ed un brusco improvviso salto indietro nel tempo, a quelle volte, quei tempi, quelli che per mesi aveva rimpianto fino a ridursi in cenere più che mai.
La sua voce era sempre calda, alta e speciale. Quella sofferenza era così evidente nel suo tono, ma quando le parole le colorarono meglio, ebbe conferma.
Non aveva mai sentito quella canzone, ma le parole erano così inequivocabili.
Parlava di lui.
- Mi hai consumato, usato, distrutto.
Hai avuto il mio mostro.
Mi hai mostrato chi sono.
Mi hai buttato all'inferno
ed ora io non ne uscirò più.

Stordisco me stesso
per assopire la bestia.
Tremo che esca.
Ignorarla non posso.
È parte di me.
C'è e sempre ci sarà.
Ma continuare non posso.
Anche se in qualche modo ti amo,
mio ossessivo amore,
mio malato pazzo estremo disperato diamante,
stare con te non posso.

Mi hai consumato, usato, distrutto.
Hai avuto il mio mostro.
Mi hai mostrato chi sono.
Mi hai buttato all'inferno
ed ora io non ne uscirò più.

La bestia mi divorerà e non voglio.
Devo lottare col mio mostro.
Non so se era vero amore
Mi chiedo se esistono amori giusti
So però che è stato forte e corrosivo.
Mi ha ferito e formato.
Qualunque cosa sia stato,
porrò fine a tutto in qualche modo.
Non vivrò più, non sarò più io.
Mi soffocherò. Mi legherò. Mi stordirò.
Non farò più del male a nessuno.

Mi hai consumato, usato, distrutto.
Hai avuto il mio mostro.
Mi hai mostrato chi sono.
Mi hai buttato all'inferno
ed ora io non ne uscirò più.

Quanto male ci siamo fatti.
Quanto ce ne saremo fatti ancora.
Non eravamo giusti.
Non sapevamo farci del bene.
Le ferite resteranno e non ti dimenticherò.
Ma è avanti che devo andare e così lo faccio.
Chiudo il mio passato,
prego che il mostro continui a dormire.
Da oggi rinasco.

Mi hai consumato, usato, distrutto.
Hai avuto il mio mostro.
Mi hai mostrato chi sono.
Mi hai buttato all'inferno
ed ora io non ne uscirò più. -
Ramon aveva perso completamente la sua consistenza, aveva camminato leggero senza accorgersene, non aveva quasi respirato e nemmeno battuto ciglio.
Il corpo rigido, le braccia tese lungo i fianchi.
Gli occhi sbarrati, lucidi, il pallore spaventoso, la mascella contratta.
Ramon faceva spavento, ma quel che risaltava di più era il suo terrore.
Terrore per qualcosa che non sapeva ben definire nemmeno lui.
Sapeva solo che dentro di sé tremava e appena lui avrebbe alzato gli occhi dal piano e l'avrebbe visto, sarebbe tremato anche fuori.
Marcel si perse le ultime parole aprendo gli occhi, vide una figura alla porta del salotto e aggrottò subito le sopracciglia.
Le gambe si fecero molli, le mani si fermarono dal suonare e nella testa una musica apocalittica suonava una specie di marcia funebre.
Forse erano entrambi, a sentirla. Dopotutto così simili, in qualche piccola parte di loro.
Marcel lo vide ed ogni legamento si disarticolò, lui sapeva che alzandosi sarebbe finito a terra, però non poteva stare seduto.
Lo stomaco si contrasse in una morsa così forte da farlo quasi vomitare, se avesse mangiato l'avrebbe fatto.
Si strinse al bordo del pianoforte, tese tutti i muscoli spasmodicamente fino a far diventare bianche le nocche, tremando per la forza che metteva in quella stretta, si alzò e sempre appoggiandosi allo strumento, lo circumnavigò fino ad affiancarlo.
Ed era lì davvero, non era un miraggio perchè cantando l'aveva richiamato come si faceva coi fantasmi.
Era lì.
Era lì sul serio.
Dopo mesi passati a scappare da lui, a stordirsi per dimenticarlo, odiarlo, consumarsi nell'insultarlo e nel ricordarlo.
Lui era lì.
Si era materializzato come un demone pronto a torturarlo ancora. Sempre pallido, sempre i suoi capelli quasi tutti grigi scombinati ed eccentrici, sempre quel suo fascino gotico e sinistro.
- Cosa diavolo... - Ma Marcel poteva immaginare cosa ci facesse, perchè sapeva che aveva fatto una canzone con Kay.
La sua mente registrò il campanello di prima, Marcel aveva aperto cancello e porta senza assicurarsi che fosse Kay, aveva solo pensato che avesse dimenticato le chiavi. Del resto era notte fonda, chi poteva essere se non lui?
Ed invece no.
Per Ramon fu più sconvolgente, perchè nella sua mente non riusciva a capacitarsi nemmeno di sfuggita o con molta fantasia, sul motivo per cui lui era lì a casa di Kay.
Era convinto che ormai Marcel fosse morto e sepolto, che la sua vita stesse prendendo tutt'altre direzioni e che di lui ci fosse solo un doloroso ricordo.
Eppure no.
Era lì davanti a lui in tutta la sua bellezza così tenebrosa.
Quel po' di barba sul viso, i capelli corti ma senza un taglio specifico, solo morbidi intorno al viso che sfioravano appena il collo. Gli occhi dalle lunghe ciglia nere, quelle iridi d'onice.
I suoi lineamenti così perfetti e semplicemente bellissimi.
Ed il suo corpo.
Atletico ma non troppo, ricordava ancora ogni linea, ogni muscolo, ogni singolo centimetro.
Anche il suo inguine era esattamente come lo ricordava, come non aveva smesso di sognarlo.
Perchè lui?
Perchè fra tutti gli amanti avuti lui lo ricordava così bene e l'aveva ridotto in quello stato?
Aveva sempre odiato il mondo, la vita e le persone, ma non si era mai soffermato ad odiarne una in particolare.
Marcel sì. Marcel era il nucleo del suo fallimento. Era arrivato vicino al suo massimo desiderio e poi l'aveva abbandonato.
Quello che lui chiamava mostro era la sua redenzione, la sua speranza di stare bene, un giorno.
Perchè l'aveva rifiutato così?
Perchè ne era scappato?
Però ora aveva incontrato Kay, aveva scoperto che si poteva anche stare bene nel mondo e volere altro, oltre che morire, distruggersi, dissolversi.
Ora cosa doveva fare?
- Cosa ci fai qua? - Disse finalmente cercando di non guardare la sua nudità che era la tortura peggiore.
Ovviamente era servito a poco, perchè si era subito sentito eccitare.
Da quanto non aveva un orgasmo?
Da quanto non faceva sesso?
Da quando non l'aveva più visto.
Ed ora si sentiva di nuovo caldo e gonfio là sotto.
Marcel capì che lui non aveva idea di come mai lì ci fosse lui e non Kay.
- Non ci arrivi? - Chiese allora provocante ed insolente, era più forte di lui. Non poteva semplicemente rispondergli.
Rivederlo così improvvisamente l'aveva scombussolato al punto da non controllare la direzione dei propri pensieri, tanto meno delle proprie emozioni.
Sentiva caldo e freddo insieme, sentiva tutto nello stesso momento. Repulsione, attrazione, odio ed una specie di amore... o quella cosa che l'aveva spinto a cercarlo sempre e sempre fino al momento in cui aveva deciso di smettere.
Per lui era stato capace di qualunque cosa. Qualunque.
Ramon riuscì per qualche miracolo ad arrivare all'unica logica conclusione e lo fece sempre con smarrimento sorprendente.
- Sei il famoso misterioso ragazzo di Kay... - Poi capì il resto. E nel capirlo si sentì di nuovo picchiare a sangue, ma non era piacevole come le altre volte. - E' per questo che non voleva lavorare con me... è colpa tua... sei tu che gli hai detto di starmi lontano. -
Marcel tornava a sentire il sangue pompare e la forza fluire. Troppa forza.
Ora doveva stare attento, molto attento.
Doveva gestirla bene e con calma e mandarlo via.
- Vattene, Ramon. Esci dalle nostre vite e torna alla tua triste, patetica esistenza isolato! - sapeva che dicendogli così lui avrebbe reagito in tutt'altro modo, ma la propria bocca aveva desiderato a lungo di poterglielo dire ancora.
Ramon a quel punto tornò sé stesso, quel sé stesso di prima di Kay, quello che agognava una fine ma che non sapeva darsela da solo. Quello che pur di essere indimenticabile, arrivava a fare e dire le cose più sbagliate.
Il Ramon incapace di resistere dal torturare Marcel per tirargli fuori esattamente quello che voleva.
Quel mostro che lui, il primo giorno in cui l'aveva guardato negli occhi, aveva scorto.
Lo stesso che, dopotutto, aveva lui in sé stesso ma che non aveva mai osato tirare fuori del tutto, solo in parte. La parte più vigliacca.
Ramon voleva morire da sempre, ma non ne era capace e sperava che qualcuno lo facesse al posto suo. O che lo portasse finalmente in vita.
Da solo, però, non era capace di nulla.
Si avvicinò lentamente come un serpente, come ai vecchi tempi. Marcel lo riconobbe subito: lui, la sua camminata, i suoi modi. E quel suo sguardo seducente e malefico. Di chi guardava e vedeva quanto male poteva fare all'altro.
- Non sei tu il padrone di casa, io volevo vedere Kay. - Rispose con logica.
Quell'adrenalina che ora scorreva nelle vene lo faceva sentire così vivo, la possibilità di colpire qualcuno che meritava di essere colpito.
Quanto male gli aveva fatto Marcel sparendo in quel modo?
Quanto?
Non ne aveva idea!
Marcel poteva dargli quello che voleva.
Gli sembrava di non vederlo dal giorno prima dopo una delle loro solite litigate furiose.
Marcel si separò dal piano e si mosse in sincronia con lui, in modo da stargli sempre davanti e a debita distanza, come una specie di danza circolare che due lottatori facevano prima di attaccarsi.
Marcel sentiva dentro di nuovo quella voglia di cancellare quel sorriso malefico dalla faccia, quella sua voglia di ferirlo per il gusto di farlo. Moriva dalla voglia di eliminarlo.
Sentiva di nuovo le mani prudere ed i muscoli tremare. Come una volta.
Cominciò a pregare che Kay arrivasse in tempo, perchè sentiva il mostro bussare, risalire dalle viscere e raggiungergli la gola.
Stava arrivando.
- Vattene. Kay non è affar tuo, questa vita non è affar tuo. Riesci sempre a ficcarti nella mia vita in qualche modo... ma non ti permetterò di rovinarmi ancora... - Disse a denti stretti, basso e penetrante.
Sembravano un cobra ed una pantera pronti ad attaccarsi e sbranarsi.
- Non mi dai ordini, Kay è affar mio in quanto lavoriamo insieme. -
- Avete finito! - Disse subito.
- Però ci è piaciuto molto, dobbiamo fare altre canzoni, è uno spreco non farne ancora. E lo convincerò. E se non vorrà farne più, farò in modo che non esca più dalla mia vita. Lo sai che ottengo sempre quello che voglio. Kay è speciale... non posso farmelo scappare... troverò il modo. - Marcel ora trovava davvero impossibile trattenersi, aveva come degli spasmi, alzò il dito di scatto e lo puntò contro di lui, sempre però a debita distanza.
- Osa toccarlo in qualche modo e giuro che ti ammazzo. Stagli. Lontano. - Disse sempre più incisivo, stentava a non gridare e a non mettergli le mani addosso. Dentro di sé il mostro scalpitava.
Perchè diavolo Ramon doveva ancora tormentarlo? Non l'aveva distrutto abbastanza?
- Non sei padrone della sua vita, non lo sei della tua! - Disse con derisione. Ancora lo provocava. Ancora camminava cercando di avvicinarsi. Ancora lui manteneva le distanze con fatica.
- E nemmeno tu della tua, perchè altrimenti riusciresti ad ammazzarti come vuoi tanto! -
- Oh, il mio hobby è cambiato... - Fece ironico. - Adesso voglio essere felice, ma c'è solo una persona con cui ho capito di poterlo essere. Ed è la stessa che ha aiutato te! - Marcel non poté più trattenersi, lo scoppio arrivò, il mostro era uscito.
Si sentì fluire la forza, l'odio e la rabbia fuori dalle proprie stesse mani. Mani che afferrarono Ramon per la gola e strinsero spingendolo contro il pianoforte, piegandolo sopra di esso, premendocisi sopra col busto, i visi di nuovo a vicinanze pericolose e l'odio vivo, più vivo che mai.
- Non azzardarti a toccarlo! Vattene dalle nostre vite! Vai a morire da qualche parte! Fottiti! - Gli ringhiò contro. Ramon sorrideva soddisfatto, mellifluo.
Lo stava facendo rabbrividire di piacere, Ramon era contento.
- Mi piacerebbe, ma è da quando te ne sei andato che nessuno riesce a farmi godere come voglio... eri unico in quello... - Le mani vagarono abili sul suo corpo nudo. - A fottermi. - E si intrufolarono sul suo inguine fino a toccargli l'erezione non proprio insensibile.
Appena l'ebbe fra le dita strinse e Marcel si staccò di scatto allontanandosi veloce. Ramon ormai era fortemente eccitato. Non provava quella sensazione pazzesca da troppo tempo.
Quel godimento, quel piacere, quel calore.
Quei brividi.
Doveva averlo ancora.
Forse per l'ultima volta, ma doveva averlo.
Doveva.
Cos'era per lui Marcel?
Se Kay era la possibilità di essere felice, Marcel cos'era?
Perchè non riusciva a controllarsi con lui? Perchè lui vinceva su Kay?
Fra lui e Kay stava scegliendo in un attimo lui di nuovo.
Cos'aveva Marcel?
Ramon non riusciva a capirlo, ma non riusciva a staccarsene, non ci era riuscito in passato, quando aveva visto quel suo lato devastante bruciarlo, e non ci riusciva ora.
Con lui era sempre stato facile avere quello che voleva e sapeva sempre darglielo. Nessuno glielo dava come lui.
- Hai paura che ti piaccia come quella volta? Che ti piaccia più di quanto ti piace ora scopare con Kay? - Marcel cercava di nuovo di controllarsi, ma fremeva per attaccarlo di nuovo, aveva come una spinta irresistibile basica.
- E tu mi hai cercato tanto perchè non godevi più da solo? Lo so quanto ci hai provato! Come un disperato! Quanto mi volevi, eh? Ma era finita! Com'è che non ti sei ammazzato da solo? Ah giusto, tu sei un vigliacco di merda! Non puoi farlo! Vuoi che sia io, no? Beh, sappi che non sarò un assassino! Posso esserlo, voglio esserlo, ma non lo sarò! -
Ramon cominciò a pensare che forse non ci sarebbe riuscito sul serio.
- Pensi a lui? Pensi a Kay? Ma glielo hai detto di cosa sei capace? Che hai voglia di ammazzare, ogni tanto? E che ci sei quasi riuscito con me? - Tirando fuori quell'argomento vide una reazione inconfondibile in Marcel, una luce disperata e terrorizzata negli occhi e capì di cosa si trattava, infatti si avvicinò di nuovo senza toccarlo, provocandolo col suo solito atteggiamento.
- Ah, non glielo hai detto! Chi è ora il vigliacco? Sai che scapperebbe da te! Sai che gli faresti schifo! Lui non è come noi! Solo noi possiamo capirci! Lui non capirebbe, se ne andrebbe, gli faresti paura! Per questo non glielo puoi dire! Stai con lui senza farti conoscere davvero! -
Marcel apriva e chiudeva le mani a pugno ripetutamente, era piantato fermo immobile e non si muoveva più, stava concentrando tutte le sue forze sul non attaccarlo, ma non era facile, perchè le sue parole scavavano dentro come aveva sempre fatto.
- E pensi che nascondendoglielo lui possa amarti davvero? Quello che ama non è il vero Marcel! E tu lo sai! Credi di non mostrarti mai a lui? Credi che non gli farai mai quello che hai fatto a me? Tu sei così, Marcel! Ti devi accettare e lo devi lasciare, o finirai per ammazzare lui al mio posto! Sei così, sei un mostro, sei un assassino, uno che picchia gli altri! È questo che sei! Lo farai con lui e ti odierai al punto che ti ucciderai! Perchè non lo fai prima di arrivare a quel punto? Perchè te lo devi trascinare all'inferno? Lui è pulito, non può fare la nostra fine, lo sai che non è giusto! - Ora Ramon parlava ad alta voce concitato, pieno di una passione che gli era mancata, convinto, sicuro. Lo schiaffeggiava con le sue parole sferzanti e velenose che Marcel non riusciva più a distinguere dalla menzogna e dalla verità. Come sempre era stato con lui.
La paura si intrufolò in lui fino a togliergli la ragione.
- Tu non sai cosa stai dicendo! Smettila, vattene, lasciami! - Disse frenetico scuotendo la testa. Ramon gli prese i polsi delle mani che aveva alzato per allontanarlo, strinse con forza agitandolo con cattiveria e decisione.
- Lo so bene invece e tu lo sai! Non lo farai mai felice! Finirai per ferirlo! Farai l'irreparabile! Lo sai, è di questo che hai paura! Come puoi stare con lui lo stesso? Come? Lo odi così tanto? - Marcel chiuse gli occhi e scosse ancora la testa nel terrore che tutto quello fosse vero, che le sue paure si realizzassero, che le sue parole fossero premonitrici.
Era di quello che aveva paura giorno dopo giorno.
- No no smettila! -
- Sai che ho ragione! Lo devi lasciare per la sua sicurezza, se davvero lo ami è la sola cosa giusta da fare! Noi siamo uguali! -
Ramon avrebbe continuato se la porta aperta di casa non avesse sbattuto e nel giro di qualche istante due mani forti non l'avessero strappato da Marcel.
Le stesse mani presero lui e l'abbracciarono, dopo di che Kay rivolto verso Ramon inebetito e senza parole, gli gridò contro furioso.
- Lascialo in pace e vattene! Come osi dirgli queste cose? Tu non sai niente! Tu hai una visione distorta del mondo e della vita! Sei triste e pieno di odio! Non sei obiettivo! Cerchi di plagiarlo per far di lui il tuo giocattolo o per allontanarlo da me, ma devi farti una vita tua! Devi trovare la tua fonte di felicità! Lascialo in pace una volta per tutte! - Kay era davvero furioso e se non avesse avuto Marcel da abbracciare, forse l'avrebbe picchiato lui.
Ramon rimase di stucco a guardarlo accendersi a quel modo. Aveva l'aria di un innocente, ingenuo e buonissimo individuo che sembrava incapace di difendersi da solo, ma non era proprio così.
Quando serviva tirava fuori tutto.
Era come una leonessa pronta a sbranare chiunque per i cuccioli.
Assolutamente non plagiabile.
- Sei tu che non sai, Kay! E devi sapere! Io so cose di lui che tu non sai! - Kay scosse la testa e lo lasciò per girarsi meglio e guardarlo puntandogli il dito contro. Marcel si accasciò nel divano e raccolse le gambe contro di sé chiudendosi gli orecchi. Glielo stava per dire. Era finita. Ora Kay l'avrebbe odiato.
Sarebbe scappato.
Era finito tutto.
Non poteva impedire a Ramon di dirglielo e del resto era vero che doveva sapere.
E non era forse vero che era pericoloso per Kay? L'aveva sempre pensato ma lasciarlo era diventato via via più difficile. Ora era impossibile.
- Me lo dirà quando sarà pronto! Non voglio sapere niente che non sia lui a dirmi! Io lo amo così com'è e niente di quello che è o ha fatto potrà cancellare questo! Tu devi andare a viverti la tua vita e lasciarlo in pace! - Ramon rise amaro e con lo scherno negli occhi disse:
- Tu non hai idea di che cosa dici! Appena saprai ti odierai per non averlo saputo subito! Questa era la prima cosa che doveva dirti! -
Kay non ce la faceva più, come osava Ramon tornare nella vita di Marcel ricostruita a fatica, ancora così fragile, e distruggergliela di nuovo. E se fosse tornato a drogarsi?
Kay riusciva solo a pensare a lui.
- Niente potrà mai allontanarmi da lui, niente! -
Ramon rise ancora con veleno, poi si sporse verso Marcel, chiuso e rannicchiato che lottava contro sé stesso e quella parte oscura di sé che ormai era tornata in quel modo orribile.
- Diglielo tu, allora! Diglielo cosa mi facevi! Chissà che storia gli hai detto! Che ti manipolavo, che ero io lo stronzo bastardo che ti ha ferito, no? E tu? Tu cos'è che mi hai fatto? Cos'è che sei in realtà? Perchè non glielo dici? - Kay gli mise una mano sul petto per allontanarlo, ma Ramon era piantato lì davanti al divano e a Marcel che ancora non lo fissava e non riemergeva.
- Ramon, va via! - Gridò Kay.
- No! Marcel, digli che mi picchiavi e che mi hai quasi ammazzato! Digli che mostro sei e vediamo se ti ama e ti difende ancora! -
A quel punto il silenzio calò brusco e repentino.
Fu come staccare una spina e togliere tutti i suoni rumorosi di un concerto metal.
Silenzio impetuoso. Mortale.
Pericoloso.
Uno di quei silenzi da cui forse non ci si può riprendere.
Un silenzio che sapeva di fine.