CAPITOLO
XVII:
IL
SOLE FILTRA
Kay
aprì gli occhi con l'ansia di non trovarlo nel letto.
Quando
lo sentì ancora steso con lui, prese un respiro di sollievo e si
sistemò meglio, Marcel si svegliò subito e sorrise prima ancora di
aprire gli occhi.
Aveva
dormito nonostante le aspettative disastrose ed era stato anche
piuttosto riposante.
Aveva
sognato il periodo con Ramon tutta la notte.
La
prima cosa che provò appena aperti gli occhi e visto Kay e la sua
buffa testa riccia, fu sollievo.
Si
sentì subito bene, come avesse diecimila tonnellate in meno addosso.
In realtà non si era mai sentito così meglio, sentiva d'avere tutto
il controllo della propria vita, cosa che fino a quel momento non
aveva avuto mai.
Era
vissuto convinto che qualcosa gli potesse sfuggire da un momento
all'altro ed ora che si sentiva fermo e sicuro di sé, si chiedeva
come fosse possibile.
-
Come stai? - Chiese Kay subito con ansia. Marcel sorrise guardando il
suo viso alzarsi dal petto su cui appoggiava col mento, si
osservarono studiandosi a vicenda. Kay non aveva dormito molto bene,
ora il peso l'aveva lui.
Marcel
si chiese se fosse stato giusto darglielo.
Giusto
o meno, ormai l'aveva.
Kay
aveva fatto di tutto per prenderselo e che fosse in grado di portarlo
o no, non si tornava indietro.
-
Bene. Sorprendentemente bene. - Disse infatti serenamente. Kay vide
che era sincero e si rilassò. Lo sentì sotto le sue dita, contro il
petto. Ogni muscolo in tensione venne rilasciato insieme ad un
sospiro.
-
Hai dormito male per colpa mia? - Marcel percorse con un dito le sue
occhiaie e Kay arricciò il naso delizioso.
-
Saprai rimediare... - Disse con sincerità senza fingere inutili 'ma
no che dici ho dormito come un sasso!'
Kay
non mentiva, non era nel suo DNA.
-
Grazie, Kay. - Disse poi Marcel come se fosse un collegamento al
dialogo che stavano avendo. Kay aprì e chiuse gli occhi un paio di
volte disorientato, faticando a mettere a fuoco il senso delle cose.
-
Perchè rimedierai? - Marcel ridacchiò per poi rispondere senza più
ombra e tensioni.
-
Grazie per quello che hai fatto per me. Non credevo che dopo averti
detto tutto mi sarei sentito così bene. Credevo mi sarei sentito
peggio, ma mi sbagliavo... - Per Kay era molto chiaro e semplice.
-
E' ovvio, se ti liberi di un peso poi non puoi che stare meglio! Quel
segreto ti stava divorando... non lo potevi più tenere. Certo è
venuto fuori in modo teatrale, però mi piace la spettacolarità
quindi va bene! - Concluse soddisfatto e sornione. Marcel sorrise e
tornò di nuovo serio, si mordicchiò un po' le labbra e poi riprese.
-
Io non sono sicuro che stare insieme sia la cosa giusta per te. Però
non sono mai stato così bene come ora in tutta la mia vita. - Kay si
fece serio e risoluto come lo era stato la sera prima, gli mise una
mano sulla guancia, l'accarezzò sulla barba trascurata che in quei
giorni non si era fatto e disse:
-
Io invece lo so che è la cosa giusta. Quelli che hanno problemi non
possono stare soli perchè allora peggiorano le cose. Hanno bisogno
di gente fidata intorno che sanno tutto di loro. Se sanno tutto,
possono difendersi ed aiutarli. - Marcel non era certo avesse
ragione, ma era vero che da quando era nella sua vita tutto era
lentamente migliorato, quindi doveva solo continuare a fidarsi.
Kay
sembrava uno sprovveduto impulsivo che si buttava a capofitto nelle
cose e non sapeva quello che faceva, ma chiaramente non era così.
Forse era l'unico che sapeva quel che faceva.
Marcel
era deciso a fidarsi completamente.
Mise
a sua volta una mano sulla sua guancia e risalì fra i capelli
ingarbugliati, poi con aria serena e tranquilla disse:
-
Affido la mia vita nelle tue mani, farai di me tutto quel che vorrai.
Mi potrai calpestare, scaricare, sgridare... tutto quello che vorrai.
Io mi fiderò. Sono tuo al cento percento. -
Kay
era combattuto fra il sgridarlo subito ed il sciogliersi per la cosa
bella che gli aveva detto, ma alla fine optò per una via di mezzo.
Gli
mise un dito sulle labbra.
-
Allora comincio con l'amarti! Ti va? - Marcel sorrise e farlo era
così bello.
Kay
si innamorò di quel sorriso sempre più rischiarato giorno dopo
giorno e lo baciò suggellando quel patto, quella specie di promessa
di nuova vita.
Le
bocche si fusero come avevano fatto i loro corpi quella notte, era
stato tutto così vivido che sentivano tutto ancora come fosse appena
successo.
Rimasero
a baciarsi per un po' prendendosi i sapori un po' amari per il
risveglio, ma sciogliendosi per la bellezza dei loro sentimenti.
Sapere, sentire che quello che stavano avendo era ciò che
desideravano di più, era davvero splendido.
Kay
si accoccolò contro il suo collo dopo un po' per riprendere fiato e
con la mente vagò al cambiamento di Marcel, cos'era stato davvero
che l'aveva aiutato in quel periodo insieme.
-
Sai cosa penso che sia stato ad aiutarti? - Marcel scosse il capo.
-
Tu? -
-
Che mi hai parlato. Mi hai accettato nel tuo mondo, ma sei stato
davvero bene solo quando me ne hai parlato. Mi hai detto tutto, hai
lasciato che i pesi uscissero, non ti sei tenuto più niente dentro.
È questo che ti ha aiutato sul serio. Per questo ora stai bene. -
Marcel ci rifletté e pensò che dopotutto potesse aver ragione. Era
vero che tenendosi tutto dentro aveva macinato un cancro dentro di
sé.
-
Pensi che se ti dica sempre tutto, se ti parli di ogni cosa che mi
agita... il mostro non esca più? - Kay voleva capire bene la
questione di quel mostro, così si mise a pancia in giù e si
appoggiò sui gomiti, accanto a lui. Marcel si voltò sul fianco e
guardandosi attese.
-
Tutti siamo luce e tenebre. In questo Ramon ha ragione. Però ci sono
determinate cose che contribuiscono a far crescere più la luce o le
tenebre. Esperienze personali, predisposizione mentale ed interiore,
conoscenze varie, atteggiamenti specifici. Però non è detto che una
volta che le tenebre prendano il sopravvento, la luce muoia. La luce
c'è sempre e può tornare a galla e vincere sulle tenebre. Dipende
dagli atteggiamenti prossimi, dalle persone che si avrà accanto,
dalle nuove esperienze... - Marcel si stava un po' perdendo anche se
questo discorso gli stava piacendo, era come il completamento di
quello di Ramon. Non gli aveva mai detto il resto.
-
E quindi il mio mostro? -
-
Il tuo mostro... non so come sia nato. Forse avevi un po' la
predisposizione alla violenza, all'instabilità emotiva...
sicuramente è così. Incontrare uno distruttivo e manipolatore come
Ramon ti ha acceso quei tuoi lati negativi che lui ha visto in te. Li
ha visti perchè li ha riconosciuti, li ha uguali. - Marcel
rabbrividì all'idea di essere come lui.
-
Ho speranza che stando con te che sei così positivo, quel brutto
lato non esca più? -
Kay
si strinse nelle spalle.
-
Come ho detto ci sono determinate cose che fanno uscire certi aspetti
di noi stessi. Non sempre siamo allo stesso modo, non siamo uguali
con tutti in ogni momento. Dipende da molti fattori. Se tu con lui
sei diventato violento è perchè ti ha spinto ad esserlo, ha fatto
leva sulla tua instabilità. Ma io non lo farò mai. Ti aiuterò a
gestire le tue incertezze, le tue fragilità, ti ascolterò e
troveremo insieme delle buone soluzioni, non ti lascerò mai solo.
Perchè tu non puoi assolutamente stare solo. - Kay ci doveva aver
pensato molto, al posto di dormire.
Marcel
gli percorse i lineamenti dolci col dito rilassandolo.
-
Pensi che ce l'abbia ancora il sole? - Chiese. Kay glielo diceva
sempre, ma Marcel era convinto di non averlo più per colpa del
mostro, però se ora glielo diceva, se ora che sapeva tutto glielo
diceva, poteva benissimo crederci.
Kay
gli sfiorò le labbra estasiato chiudendo gli occhi:
-
Mi acceca. - Marcel sorrise e lo prese tirandoselo addosso. Non
intendeva alzarsi mai più dal letto. Poteva stare con lui sopra per
sempre, per sempre e basta.
Però,
nel baciarlo e nello stringerlo, nel sentirlo ridere, tornò a
pensare a Ramon e capì che per chiudere davvero quel capitolo della
sua vita, doveva affrontarlo seriamente. Solo dopo avrebbe potuto
seppellirlo. Solo dopo avrebbe avuto senso cantare quella canzone che
aveva scritto il giorno prima.
Chiusura.
-
Devo parlare un'ultima volta con Ramon. - Disse poi dopo averlo
carezzato per qualche istante, le dita risalivano e scendevano la sua
schiena nuda.
-
Mi sembra giusto. - Rispose Kay. - Vuoi che venga con te? - Ma sapeva
che non doveva esserci.
Marcel
sospirò e ci pensò.
-
Rimani in macchina. - Kay annuì e gli baciò il petto dove
appoggiava la guancia.
-
Andrà tutto bene. - Marcel non rispose, però decise ancora una
volta di fidarsi di lui e crederci.
Fino
a quel momento non si era ancora pentito.
Da
quanto non ci veniva più?
Erano
mesi, era già passato qualche anno?
Aveva
completamente perso la cognizione del tempo, non aveva la minima idea
di quanto avesse passato intossicato e poi a disintossicarsi.
Sicuramente almeno un anno, forse più.
Marcel
provò a ricordare quando aveva messo piede lì l'ultima volta e si
sentì male. Si irrigidì spasmodicamente davanti al cancello che non
era nemmeno chiuso bene. Completamente disinteressato a tutto quello
che avveniva intorno a lui.
Ramon
non era davvero cambiato?
Kay,
dalla macchina, si sporse per guardare se entrava o tornava indietro,
pronto ad aiutarlo in qualsiasi caso.
Marcel
rimase un po' in attesa davanti al cancello.
L'ultima
volta era stata quando l'aveva quasi ucciso.
Prese
un respiro molto profondo, gonfiò il petto fino a non averne più,
trattenne l'aria e chiuse gli occhi. Stava stringendo i pugni lungo i
fianchi, i piedi ben piantati a terra, leggermente divaricati.
Sembrava dovesse andare in guerra.
Marcel
provò a riaprire gli occhi e buttare fuori l'aria, ma non riuscì
ancora a muoversi, per cui si prese una sigaretta e se l'accese. Il
primo tiro lo rilassò un po', sbuffò il fumo fuori dalla bocca e lo
guardò salire in alto fino a perdersi.
Le
sigarette gli ricordavano ancora lui.
Tutto
quello che lo componeva, poteva ricordargli Ramon.
Anche
la sua mania di stare nudo in casa, quella di tenersi i capelli in
modo osceno e scomposto, le proprie ideologie, il fumare tanto. Certi
atteggiamenti, certi modi di dire erano così tanto di Ramon.
Ma
qual era l'autentico Marcel?
Se
lo chiedeva da quando l'aveva lasciato ed ora che era pulito, quella
domanda era ancora più pressante.
Ramon
aveva voluto che lui diventasse un doppio, un folle. Però era
davvero così?
Lui
sosteneva che aveva solo tirato fuori quello che già era in lui,
però non si sentiva così prima del loro incontro.
Com'era
stato, prima di Ramon?
Marcel
strinse gli occhi mentre guardava in alto, la testa abbandonata
all'indietro, la sigaretta fra le labbra che non tirava più, la
cenere aumentava, ma rimaneva in equilibrio.
La
temperatura esterna era ormai sempre più calda, andavano verso la
primavera ed il sole usciva con maggior convinzione.
Non
si poteva stare fuori senza giacca e Marcel se usciva si metteva un
qualche cappello o cuffia per non farsi riconoscere. Naturalmente
anche gli occhiali scuri grandi. Questo lo rendevano ancora più
divo.
Marcel
chiuse gli occhi.
“Prima
di Ramon ero una persona semplice e comune come tanti, non avevo
niente di particolare. Mi perdevo nella musica, ero un po' eccentrico
però non a questi livelli. Ero eccentrico perchè potevo passare ore
a suonare il piano e a scrivere canzoni, perdevo la cognizione del
tempo.
Prima
di Ramon ero semplice.
Poi
lui mi ha catturato, volevo piacergli e quindi volevo colpirlo,
volevo essere speciale.
Ho
fatto tutto, per lui. Sono anche diventato un mostro.
Ma
quando sono diventato violento?
Lo
sono sempre stato e non lo sapevo?
In
che misura sono violento?
Come
sono violento?
Lo
sono ancora?
Sono
violento solo con lui?
Posso
essere violento anche con altri?
È
mia la violenza?
Come
potrò capire queste cose senza rischiare Kay?
Non
voglio rischiare Kay, ma non posso fargli fare ciò che non vuole,
non ce la faccio. Ci ho provato ma non riesco proprio... “
Marcel
riaprì gli occhi e guardò la grande casa cadente in stile gotico di
Ramon, una villetta troppo grande per uno da solo.
Buttò
la sigaretta, sospirò e decise di entrare.
La
risposta, forse, era lì dentro.
Suonò
il campanello, tremava ma era normale. Era così nervoso che se
qualcuno gli avesse fatto 'buh' da dietro, lui sarebbe saltato e poi
scappato gridando.
Ramon
non venne ad aprire, scosse il capo e cercò la chiave che teneva
nascosta lì fuori. Ramon non aveva mai la testa per ricordarsi di
portarsi dietro le chiavi di casa. Usciva così poco che era normale.
Le
trovò, proprio come le altre volte, le prese ed entrò.
Anche
l'interno era uguale.
Per
un momento si sentì tornare indietro nel tempo all'epoca in cui
frequentava assiduamente casa sua.
Un
flashback del sé stesso che entrava sbattendo la porta, correva da
lui riverso sul letto e gli gridava di tutto sul fatto che fosse di
nuovo sparito. Per poi prenderlo a sberle a quel suo sorrisino da
maledetto bastardo.
“Scappa,
vattene, non rimanere a litigare con lui! Ti spingerà a fargli del
male e poi ti odierai!”
Disse
agitato al sé stesso che gli pareva proprio di vedere.
Era
tutto così uguale a quella volta.
La
casa buia e puzzolente di alcool, fumo, polvere e chissà cos'altro.
Tutto
in disordine. Tutto alla rinfusa.
Marcel
aprì la luce dell'ingresso e cercò figure rovesciate da qualche
parte... o sigarette accese al pianoforte.
Nemmeno
una nota.
Entrò
piano e silenzioso, si era tolto gli occhiali e se li era messo nel
colletto della maglia. Si era aperto la giacca, ma teneva il
cappello.
Era
molto serio, gli pareva di camminare nei suoi incubi.
Quella
sensazione era vivida, l'angoscia di non essersi veramente liberato
di lui.
Strinse
le labbra con angoscia e proseguì. In soggiorno non c'era. Andò in
camera e lì lo trovò.
C'era
la luce del comodino accesa e Marcel se ne stupì, di solito stava al
buio.
Guardò
sul letto, lui era lì, nudo come quelle volte in cui arrivava e,
proprio come quelle volte, aveva la sigaretta accesa e sul comodino
una bottiglia di qualche super alcolico a scelta.
In
più, però, quella volta aveva qualcosa fra le dita.
Ramon
era steso sul letto con le spalle e la testa appoggiati alla
testiera, il resto era abbandonato a casaccio, una gamba piegata di
lato e l'altra a penzoloni. Lo sguardo fisso in avanti, verso il
vuoto, il nero, il buio.
Un
braccio steso di lato sul materasso e l'altro piegato verso
quest'ultimo.
Aveva
un laccio emostatico sul bicipite e fra le dita, pronta da essere
infilata nell'avambraccio a cui già appoggiava, c'era la siringa
piena.
Marcel
non provò un vero e proprio stupore, né soddisfazione per una
vittoria che in un certo senso era sua.
Non
provò nemmeno shock o sconvolgimenti di alcun tipo.
Marcel,
in effetti, provò solo tristezza. Una profonda, autentica e vera
tristezza.
“Che
pena... nemmeno sa uccidersi sul serio... come quella volta... come
sempre... non è cambiato di una virgola. Per lui sarebbe positivo se
ci riuscisse, significherebbe che almeno è cresciuto!”
Marcel
era duro per non farsi prendere dalla vera pietà e dalla voglia di
aiutarlo.
Perchè
doveva volerlo aiutare?
Ora
per colpa sua non sapeva nemmeno se era un vero mostro o no. Non
sapeva chi era sul serio. Viveva in una costante paura di scattare
verso Kay ed ucciderlo.
Non
poteva farcela.
Tutto
per colpa di Ramon e delle sue psicopatie.
Marcel
si accostò al letto matrimoniale disfatto, non si sedette sapendo
che probabilmente era pieno di sperma rappreso.
“Chissà
quante volte avrà fatto sesso qua sopra senza cambiare mai
niente...”
Si
disse. Ramon voltò lentamente il capo e fu come se tornasse, come se
lo vedesse solo ora.
Quando
posò gli occhi sui suoi, quando lo vide, quando fu di nuovo davanti
a lui, anche per Ramon fu come tornare indietro nel tempo a quelle
volte in cui lo provocava in tutti i modi per spingerlo a dargli
quello che voleva, che non era capace di prendersi da solo.
L'aveva
sempre visto come la sua salvezza. Sempre.
Ramon
era coi capelli lunghi e abbandonati in disordine su metà viso,
quasi del tutto grigi. Volutamente grigi, forse. Non era così
vecchio d'averli tutti di quel colore, Marcel sapeva che se li
tingeva per avere un'idea decadente più congeniale alla propria
immagine. Così, evidentemente, si sentiva meglio con sé stesso.
Marcel
guardò il suo viso stanco e segnato, la barba era stata fatta
regolarmente in quei giorni con Kay. Si vedeva che non era vecchio
come voleva sembrare anzi, forse era anche più giovane dell'età che
chiunque poteva dargli.
Era
un bell'uomo con un suo fascino e con un dono incredibile. Perchè
non lo vedeva?
Marcel
lo vedeva ora per la prima volta, ma era stato grazie a Kay che gli
aveva fatto sentire la canzone fatta insieme.
Marcel
vedeva quello che vedeva Kay e si sentì lui.
“E'
stato così quando si è messo in testa di aiutarmi? Ha visto uno
spreco troppo grande per essere lasciato a me stesso? E cosa dovrei
fare io con lui? Non lo posso aiutare... finirei come prima...
finirei trascinato nel suo mondo nero... non posso. Non sono io
quello capace di aiutarlo. Deve trovare la forza da solo o cercare
qualcun altro.”
Pensò
a ruota libera.
Ramon,
in Marcel, stava rivivendo le volte in cui si erano odiati fino a
ferirsi in tutti i modi e stava cercando di capire cosa diavolo ci
fosse di speciale in lui che ancora lo riduceva in quel modo.
Non
lo capiva.
Aveva
incontrato Kay, si era convinto d'amarlo perchè era così solare e
positivo ed era stato bene con lui, l'aveva aiutato, era uscito di
casa, si era curato... però era bastato rivedere Marcel per
ributtare tutto all'aria e spazzare via Kay ed il suo lato positivo.
Non gli importava di nuovo di niente.
Perchè
Marcel lo faceva sentire in quel modo, ancora, sempre?
I
suoi occhi neri lo penetravano, lo facevano sempre sentire in un
modo... come guardato dal diavolo. Un diavolo che lo provocava a dare
il peggio di sé.
'Beh,
è tutto qua quello che sai fare? Non sei molto impressionante, sai!'
Marcel
era ancora bello come quando l'aveva lasciato quella volta.
Era
ancora così diverso dagli altri per qualche motivo.
Cosa
c'era in lui che lo attirava tanto, che lo rendeva dipendente?
Con
Kay non aveva voluto farci sesso, l'aveva baciato, ci aveva provato
ma non perchè fosse sessualmente attratto da lui, era solo che
voleva la sua positività. Sperava che lo aiutasse, che potesse
farlo.
Ma
dopo aver visto Marcel era andato tutto a rotoli.
-
Non ci riesci ancora? Dopo tutto questo tempo non sei affatto
cambiato. - Disse saccente per non farsi vedere debole e fragile.
Odiava, l'aveva sempre odiato che Ramon lo credesse debole, per
questo si atteggiava a qualcuno che non era. Rivederlo la sera prima
era stato un colpo enorme.
Ma
lo era stato per entrambi.
Ramon
non poteva sopravvivere, però non ci riusciva.
-
Vaffanculo! Ti ha lasciato, vero? - Disse senza muovere la siringa
dal braccio che però non era ancora infilzata.
La
sua voce era sibillina e marcata come quella di un serpente e lo
sguardo era lo stesso.
Sembrava
odiarlo, ma Marcel cominciava a capire e a vedere tutto con una
chiarezza sconcertante. Vedeva tutto quello che anni fa non aveva
visto.
-
No. Ho provato a lasciarlo io per proteggerlo, ma non me l'ha
permesso. Non vuole che io stia solo perchè non è quella la
soluzione. Dice che l'affronteremo insieme in qualche modo. Che non
permetterà mai che si arrivi a quel punto. Al punto di odiarci e di
diventare violenti. -
Ramon
colse molti sottintesi in quel discorso e assottigliò lo sguardo
velenoso, l'odio era straripante. Ma continuava a non muoversi da
quella posizione scomposta.
-
Sono io che ho permesso arrivasse la violenza? Sono io che l'ho
chiamata? - Disse ringhiando.
-
Sei tu che l'hai creata! - Disse Marcel con fermezza vedendoci
chiaro.
Ramon
rise amaro.
-
Sei sempre il solito! Non ti prendi mai le tue responsabilità! E poi
dici di me! - Marcel non perse la calma, scosse il capo e decise di
sedersi nel letto per essere più vicino al suo sguardo in quella
penombra d'atmosfera.
Una
resa dei conti da fare fino in fondo, per mettersi alla prova e
vedere a che punto era... dov'era davvero quel mostro.
Se
c'era sul serio.
Di
cosa si trattava.
Quale
era realmente il mostro.
Era
arrivato il momento di guardarlo seriamente in faccia.
-
Sono qua proprio per prendermele una volta per tutte. Perchè poi
chiuderò per sempre ed andrò oltre sul serio. E sarò felice. Ma
felice fino in fondo, come si deve, al mille per mille. - Un'altra
provocazione, agli occhi di Ramon, che guardò sempre peggio quello
splendido bellissimo ragazzo che osava stargli vicino dopo tutto
quello che aveva osato fargli.
-
Tu... tu non sai cosa mi hai fatto... non ne hai davvero idea! Pensi
che mi hai picchiato e ridotto in fin di vita e che questa sia la tua
colpa! Quello non è niente! Non me ne fotte un cazzo che mi
picchiavi! - Ringhiò ancora.
Marcel
allora sorrise inquietante in quel modo da palcoscenico che l'aveva
reso famoso, nel modo in cui gli aveva insegnato a fare Ramon. Nel
modo in cui faceva anche lui stesso.
-
Oh credimi Ramon... lo so bene... - Ed improvvisamente si sentì
davanti ad uno specchio.
Ramon
vide Marcel e mentre lo guardava vedeva sé stesso.
Ecco
la sua risposta.
Eccola.
Cosa
c'era in lui che lo ossessionava sempre ancora dopo tutto quel tempo?
Sé
stesso.