CAPITOLO
XVIII:
L'ADDIO
AL MOSTRO
Marcel
si accese una sigaretta e gliela mise fra le labbra per poi
accendersene un'altra. Ramon non mosse la siringa, si spostò la
sigaretta all'angolo della bocca e la tenne a penzoloni dopo aver
tirato.
Sembrava
paralizzato, come che non potesse muoversi.
Marcel
era tranquillo, sorprendentemente tranquillo.
Come
poteva essere tanto tranquillo dopo quello che era stato?
-
Perchè sei così? E quella voglia di farmi del male? Di litigare? Di
dirmi di tutto? Cosa diavolo ti è successo? Non ci credo che tu ora
sia tanto sereno! Tu non sei così! Stai solo fingendo per non
darmela vinta! - Marcel rise e lo schernì montandogli ancora molto
nervoso.
-
Guarda che a prescindere da come mi pongo, io ho vinto. Tu stai
cercando di ucciderti e nemmeno ci riesci. Doppiamente perdente, come
sempre. Ti è bastato rivedermi. Kay alla fine era solo una pallida
speranza, no? Non era lui la questione, ero io. Sono sempre stato io.
Ma vuoi sapere la verità? - Marcel parlava pesando bene le parole,
ma le usava come lame di coltelli, Ramon non riusciva a staccargli
gli occhi di dosso. Si vedeva in lui, continuava a vedersi in lui, i
suoi atteggiamenti provocatori, i suoi modi odiosi, quello sguardo di
sufficienza.
Era
sconvolto, ma non voleva dargliela vinta. Non poteva.
-
Sono cazzi miei perchè voglio uccidermi! Non sei tu! -
-
Certo che sono io! Scopi dalla mattina alla sera con chiunque, ma
solo con la sega che ti sei fatto stanotte hai avuto un vero orgasmo
indimenticabile. Come ai vecchi tempi. Pensando a me, no? Dopo avermi
rivisto. - Ci era andato molto vicino, parlava senza pietà però
Ramon gli stava dando conferma nell'odio che aumentava in quel suo
sguardo scuro.
-
Non scopo da quando te ne sei andato! Ci ho provato e non ci sono
riuscito più, ok? Ti ho odiato come una merda! Tu ti sei portato via
tutto di me. Non scopo da mesi, cazzo! Non so nemmeno quanto tempo è!
E poi ti rivedo e mi eccito! Era la prima volta che avevo un orgasmo
da quando te ne sei andato! Solo pensando a te ci riesco. Sempre.
Ancora. Ancora e ancora, cazzo! Per questo voglio farla finita! Non
ne posso più di te! Mi devo liberare di te, mi hai rovinato! Mi
hai... - Non poteva far altro che dargli la colpa di tutto, per
sopravvivere ancora un po'. Perchè in realtà pensava di voler
morire, ma non era davvero così.
Per
questo era bloccato.
-
Hai fatto tutto da solo. - Ramon si alzò finalmente dalla sua
posizione, levò la siringa dal braccio, la puntò verso Marcel senza
volergli fare male e ruggì col volto deformato dalla rabbia più
cieca.
-
SEI STATO TU! TU! SEI ENTRATO NELLA MIA VITA E NON NE SEI PIU'
USCITO! MI HAI TOLTO LA MIA VITA! NON SONO PIU' QUELLO DI PRIMA! ERO
PAZZO MA VIVEVO BENE, ERO FELICE A MODO MIO NELLA MIA PAZZIA! NON SO
CHE DIAVOLO MI HAI FATTO, ORA NON RIESCO PIU' AD ANDARE AVANTI, PORCA
PUTTANA! NON SCOPO! PRIMA SCOPAVO SEMPRE! HO FATTO MUSICA CON KAY PER
LA PRIMA VOLTA E C'ERA QUALCOSA IN LUI CHE NON MI TORNAVA ED INDOVINA
UN PO'? DIETRO C'ERI TU! ERI TU IN LUI CHE NON MI QUADRAVA! NON HO
VOGLIA DI FARE UN CAZZO! PRIMA RESUSCITAVO PER LA MUSICA O L'ARTE,
ORA NIENTE, NIENTE NEMMENO QUESTO! TU SEI IL COLPEVOLE! TU! -
Marcel
non perse le staffe, non gli tolse la siringa di mano e non gliela
spostò nemmeno. Non si sentiva più la rabbia pericolosa e violenta
montargli dentro, perchè non aveva voglia di fargli male.
Ora
stava vedendo tutto, ora aveva capito ogni cosa.
Fece
un sorriso pacato, così lontano dal Marcel che Ramon aveva
conosciuto, più simile a quello che ora vedeva Kay.
-
Ma non hai capito? - Chiese stupefatto che davvero non capisse.
-
COSA DIAVOLO DOVREI CAPIRE? CHE SEI UN SADICO? CHE TU ACCUSI ME DI
AVERTI ROVINATO MA SONO IO AD ESSERE STATO ROVINATO?! -
Marcel
non mutò il proprio tono e allo stesso modo rispose.
-
Perchè ti sei fissato tanto su di me, cosa c'è in me di speciale
che ti ha fatto arrivare a questo punto. Perchè sono sempre io il
punto, alla fine. - Era presuntuoso ma era vero, sapeva cosa diceva.
Ramon scosse il capo svanito e Marcel continuò. - Ramon, è te
stesso che hai visto in me la prima volta. È te stesso che hai
cercato di tirare fuori, è te stesso che hai forgiato in me. Il
mostro che hai tirato fuori, che tu dici era in me. Quel mostro è la
parte di me che è come te, che ti somiglia. Quel mostro sei tu! -
Crudele, duro, senza una seconda scelta. Solo quello così com'era e
basta.
Ramon
smise di respirare, sbarrò gli occhi e gli cadde la siringa
cominciando a tremare e sudare freddo.
Lo
capiva. Lo sentiva. Lo realizzava.
Era
così.
Il
cuore batteva fortissimo nel petto, si sentiva così vivo perchè era
davanti alla verità dopo anni ed anni di continue domande, cosa
c'era di diverso in Marcel? Perchè lui? Perchè?
Per
quello.
Marcel
sospirò.
-
L'ho capito ora anche io. Mi tormentavo perchè non capivo che mostro
fosse, come fosse nato, di cosa si trattasse, perchè... mi
tormentavo e non capivo. Appena ti ho rivisto senza lo shock della
sera prima, dopo tanto che non ti vedevo, ora che sono lucido, in me
e pulito, ho capito. -
Marcel
spense la sigaretta in un portacenere pieno di mozziconi, quella di
Ramon era caduta dalla sua bocca, aveva bucato il lenzuolo, ma si era
spenta.
I
due si guardavano ad una vicinanza media, sentivano uno l'odore
dell'altro ed era un tuffo in quel passato turbolento condiviso, una
vita fa che non attirava più Marcel.
Ramon
non sapeva cosa pensare, sapeva solo che era così.
-
E perchè volevo che mi uccidessi? - Disse realizzandolo e
ammettendolo per la prima volta.
Marcel
alzò le spalle piegando la testa.
-
Perchè non sapevi cosa volevi. Vivere o morire? Pensavi che facendo
decidere a me sarebbe stato come se fossi stato tu a scegliere. -
Erano discorsi complicati che solo loro potevano capire, perchè i
loro erano stati sempre discorsi così.
Marcel
si sentiva sempre meglio, stava esorcizzando i suoi demoni e
dopotutto era giusto che fosse con lui, lui che glieli aveva fatti
nascere.
-
Sei davvero come me? Se sei come me non puoi uscirne. Non ne esci
dalla merda... - Disse Ramon lasciandosi cadere faccia sul materasso,
tutto piegato, sfiorando le sue gambe e la sua mano. Marcel non si
mosse, ma non si turbò, rispose calmo e semplice, semplice com'era
un tempo.
-
Ti ricordi com'ero quando sono arrivato? - Ramon faticò a ricordare
ma si sforzò.
-
Un ragazzino semplice come tanti con un tocco d'inquietante
eccentricità. -
-
Non più di quella che hanno tanti altri artisti come noi. Una cosa
comune anche quella, dopotutto. La mia grande colpa è stata di
essere plagiabile. Ero creta nelle tue mani. Volevo te, farti
piacere, renderti orgoglioso. Mi hai affascinato, mi hai ammaliato
perchè sapevi come fare. - Marcel si fermò chiedendosi se dovesse
dirgli il resto, però in effetti era giusto per togliersi tutto di
dosso.
Dopotutto
era così che era andata.
-
E' diventato qualcosa di ossessivo... - Si chinò e completò. - Ma
ti amavo. Per me era vero amore. Anche se poi si è ammalato perchè
non era sano. - Con questo schiacciò definitivamente Ramon.
Marcel
glielo aveva gridato mille volte che lo amava, nei suoi scatti folli,
però non erano mai stati presi seriamente in considerazione. Ora era
vero. Ramon lo sentiva.
Non
poteva più rialzarsi, non aveva la forza nemmeno di cercare la
siringa e mettersela in vena, non era proprio capace.
Era
sempre più finito, si sentiva così e non capiva perchè.
-
Cosa ti ho fatto? Cosa? - Mormorò capendolo, una redenzione? Forse
non era tardi, si disse Marcel. Ma non con lui.
Ramon
non si capacitava di nulla di ciò che stava vedendo ora per la prima
volta.
Avrebbe
retto alla verità?
-
Ti sei odiato tramite me. Ti odiavi così tanto che nel vedere te in
me stesso, dopo avermi trasformato di più in te, mi hai rovinato e
torturato per farmi quanto più male potevi. Per ferire te stesso.
Perchè ti odiavi. È l'egocentrismo incarnato. Tu vedi solo te
stesso, vivi solo per te stesso, non esistono davvero gli altri. Non
potrai mai amare nessuno, mai vivere per nessun altro. Tu ti odi e ti
ami allo stesso tempo, sei innamorato di te fino al punto da non
considerare niente che te, tutto quello che fai lo fai per te, tutto,
qualunque cosa. E ti ami e ti odi e non sai se ucciderti o vivere e
non sai nemmeno come vivere, per cui ti lasci solo andare. Ma non
potrai mai amare nessuno. Mai. Sei sempre te il centro di te stesso.
- Marcel lo sapeva. Aveva ragione.
Dopo
di questo si raddrizzò e si alzò in piedi rimettendosi il cappello
che si era tolto non sapeva bene nemmeno lui quando. Prese gli
occhiali scuri dal colletto e ci giocò un po' per poi esitare.
Era
ancora steso nel letto a faccia in giù, la siringa più in là.
Sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di uccidersi, alla
fine si amava troppo.
Ma
non avrebbe nemmeno mai trovato il coraggio di vivere bene, si odiava
troppo.
Marcel
non aveva idea di che cosa gli fosse capitato per arrivare a quel
punto, era al limite della follia più vera e forse c'era già
dentro. Non lo sapeva, non lo capiva.
Kay
sapeva la sua storia difficile, sapeva i maltrattamenti subiti, da
essi derivava l'odio di Ramon per sé stesso. Questa dualità l'aveva
portato ad un'incapacità di vivere in modo equilibrato.
Marcel
non aveva idea di che fine avrebbe fatto, come avrebbe vissuto, se ne
sarebbe mai uscito.
“Non
si ucciderà mai, ma penso che non sarà nemmeno mai felice.”
Concluse.
-
Hai un dono, Ramon. Concentrati su quello. - Ramon alzò
faticosamente la testa e lo guardò amaro, scontento, disilluso,
spento, finito, schiacciato.
-
E quale cazzo è? - Ringhiò a denti stretti.
-
La musica. Tirarla fuori dagli altri, da te stesso. Quella canzone
che hai fatto con Kay è la cosa più bella che ho sentito ed ho
subito riconosciuto il tuo tocco perchè conosco il suo. Tu è questo
che devi fare quanto più puoi, con chiunque, con un sacco di gente.
Devi uscire di qua, trovare giovani talenti e dar loro la musica.
Senza rovinarli per prendere in cambio qualcosa. È quella la tua
salvezza. - Ramon scosse il capo incerto, senza saper cosa dire.
Tornò ad appoggiare la testa, ma in modo da vederlo un'ultima volta
mentre si allontanava ed andava verso la porta.
Marcel
poi si fermò, si girò e Ramon smise di respirare, il cuore si
fermò. Un ultimo sguardo a quegli occhi neri in cui non si sarebbe
più potuto perdere.
-
Cerca di stare bene. È quello che farò io. - Con questo, se ne
andò.
Quando
rimase solo, Ramon guardò la siringa poco più in là indeciso se
prenderla e farsela o buttarla. Alla fine la ignorò. Prese il
mozzicone spento di sigaretta ancora sul letto, quello che gli aveva
dato Marcel, e se lo portò alle labbra senza accenderlo. Non
l'avrebbe mai acceso e nemmeno mai buttato, l'avrebbe tenuto sempre
così a portata di dita, ogni tanto se lo sarebbe messo fra le
labbra, avrebbe chiuso gli occhi, avrebbe ripensato a lui e al suo
odore e avrebbe pensato le stesse medesime cose che ora si ritrovò a
pensare per la prima volta, amaro, sconfitto.
“Ti
sbagli, Marcel. Non amo solo me stesso.”
Il
meglio che sarebbe mai riuscito a fare.
Dopotutto
anche quello era amore.
Marcel
uscì dalla casa che sentiva ancora un peso dentro. Il timore che
Ramon non ce la facesse, che dopo di quello si mettesse la siringa in
vena e si facesse venire un'overdose.
Però
era sicuro che non avrebbe avuto il coraggio.
Mille
domande gli vorticavano ancora nella mente mentre se ne andava,
percorreva la casa e poi il giardino. Appena fuori si rimise gli
occhiali scuri perchè il sole lo accecò, troppo in contrasto con
l'interno buio.
Tossì
anche per l'aria aperta e pulita, fresca.
Però
continuava a chiedersi se quello fosse stato il colpo di grazia.
“Ma
del resto che cosa potrei fare? Io non sono in grado di aiutarlo, ci
siamo quasi uccisi a vicenda. E Kay non può. Non voglio rischiarlo.
So che Kay è diverso da me, non è plagiabile, non è
impressionabile, non è manovrabile. Pensavo fosse più delicato di
quanto non lo è.
Kay
decide una cosa e non lo scrosti da lì. Io ero quello fragile e
debole. Però non voglio che comunque Ramon gli metta le mani
addosso. Non lo so, forse sono geloso, forse possessivo, forse
ossessivo. Forse tutto. Però se c'è una cosa su cui mi impunterò è
che non lo riveda. Non voglio. Dobbiamo uscire dalla sua vita. Anzi,
è lui che deve uscire dalla mia. L'ho amato, l'ho ammesso. Ma per
stare meglio mi ha trasformato in sé stesso e poi ha passato il
tempo ad amarmi ed odiarmi così tanto che mi ha fatto impazzire. Ora
se sono ancora in piedi non lo devo a me o a lui, ma a Kay. Adesso è
ora di vivere sul serio. Chiudere tutto e voltare pagina. Anche se...
c'è qualcosa che mi resta in fondo all'anima nel pensare a Ramon.
Non è per il talento unico che è e che spreca da solo. Non è per
un sentimento nostalgico o di rimpianto nei suoi confronti. È solo
che... è finita. È finita davvero ed adesso Ramon non ci sarà più.
Né lui né il suo fantasma. E non so come dovrei sentirmi, sono solo
strano, incerto. Quando hai da una vita un peso enorme... che poi non
è una vita, ma comunque tanto tempo. Quando ce l'hai e poi non ce
l'hai più non capisci niente, quando ti si toglie. Ti manca una
parte importante di te, ma non perchè vorresti che tornasse e ci eri
affezionato. Ti manca perchè semplicemente non c'è più e sai che
non ci sarà più. Come la devo vedere? Non lo so... però è finita
con Ramon. È finita davvero. E penso che mi dispiaccia per lui,
perchè si odia al punto da ridursi in quello stato. Non so perchè
sia così, però mi dispiace.”
Quando
Marcel uscì dal cancello del giardino di Ramon e se lo chiuse alle
spalle, si voltò a cercare Kay in macchina, ma la vide vuota. Per un
momento pensò che fosse andato a spiarli, lo cercò verso la casa di
Ramon, ma la sua attenzione fu attirata da un parco lì accanto, si
estendeva per molto, ma subito davanti c'era una zona di erba e di
alberi dove le margherite erano cresciute in abbondanza, come a
formare un invito per i passanti a fermarsi e sostarvi sopra.
Cosa
che naturalmente Kay aveva fatto.
Marcel
lo vide e non poté che sorridere scuotendo la testa.
Non
sarebbe mai cambiato.
Era
così!
Kay
era perso nelle margherite che strappava e lavorava fra le dita in
qualche modo che non poteva capire da lontano.
Sospirò
e con un sorriso che non riusciva a spegnersi, sistemandosi il
cappello sulla testa e gli occhiali sul naso, lo raggiunse rimanendo
in piedi dietro di lui.
-
Che combini? Fai m'ama non m'ama come gli adolescenti? -
Kay
rise gettando la testa all'indietro e poi rimase così per guardarlo
al contrario.
-
Era il mio gioco preferito da piccolo... - ovviamente aveva un
sorriso larghissimo, il sole rifletteva nel suo viso, lo baciava e
lui stava così bene che sembrava il suo elemento naturale.
-
Potevo scommetterci! - Commentò Marcel camminando per mettersi
davanti e guardare meglio ciò che aveva fra le mani.
Era
inginocchiato tutto storto ed aveva margherite ovunque sulle gambe e
sulla giacca.
-
Però non sto facendo quello... - Disse alzando la coroncina di
margherite.
Era
piuttosto lunga, ma non ancora completa.
Marcel
scoppiò a ridere dopo averlo guardato con aria strana.
-
Dio mio, ma la sai fare davvero? Pensavo che ci riuscissero solo le
eroine dei cartoni animati! -
Kay
rise contento che scherzasse e addirittura ridesse. Era andata meglio
del previsto, aveva immaginato uscisse cupo e buio e per questo aveva
pensato ad un modo per farlo sorridere.
O
quel modo aveva davvero funzionato, o era andata in qualche modo
bene.
-
C'è il trucco! - Così dicendo gli prese la mano e lo tirò giù con
lui. Marcel non ebbe scelta che obbedire e si trovò seduto sull'erba
fra le margherite. Kay a quel punto alzò ago e filo. Il filo era
doppio ed attaccato alle margherite, era quello che componeva la
famosa collana.
-
Ah ecco! Tu sei attrezzato! Ma allora è così che si facevano! -
Esclamò sorpreso di quella incredibile scoperta. Kay continuò
ridendo contento di condividere quella cosa con lui.
-
E come credevi si facessero? -
Marcel
prese due margherite, una per il gambo e l'altra per il fiore e
facendo la faccia maliziosa, rispose un po' schietto:
-
Che ne so, che una entrasse nell'altra? - Kay si coprì il viso con
le mani scuotendo la testa, la sua risata risuonò per tutto il
parco.
-
Oh Dio non ci credo, sei un maniaco! - Ovviamente il doppio senso era
ben evidente...
-
Quando i miei mi hanno spiegato come nascono i bambini hanno preso
due fiori ed hanno messo un gambo nel centro dell'altro! - Kay si
stese di schianto allargando le braccia, non riuscendo più a
riprendersi, continuava a ridere e singhiozzare e Marcel sporgendosi
su di lui lo guardò meglio. - Ma stai piangendo dal ridere? -
Kay
annuì asciugandosi le lacrime che gli uscivano dal troppo ridere e
naturalmente contagiò Marcel che in un istante non ricordava più
come si era sentito poco prima.
-
Sei stato deviato da un esempio terribile che ti ha rovinato tutto il
romanticismo! Ecco perchè in tutte le cose guardi il lato sessuale e
non quello sentimentale! Perchè hanno usato i fiori per farti capire
come si fa sesso! - Non riusciva più a riprendersi e nemmeno ad
immaginare come due genitori potessero davvero spiegare le cose in
quel modo ad un bambino.
Poi
Kay improvvisamente si fermò, si alzò e guardando un Marcel ancora
ridente disse puntandolo con le mani aperte:
-
Aspetta, fammi indovinare! Erano fan dei Pink Floyd! -
Marcel
annuì ridendo ancora, ormai l'aveva contagiato. I due andarono
avanti così per un bel po'.
I
Pink Floyd avevano fatto la stessa metafora dei fiori che si
penetrano in uno dei loro video più famosi.
-
Il mio povero Mar... deviato dai Pink Floyd! Chissà quanti ne hanno
deviati, fra l'altro! Quelli sono responsabili del 80 percento della
follia mondiale! - Era convinto mentre lo diceva e non si poteva dire
che avesse torto.
Marcel,
ancora ridendo, lo prese per il braccio.
-
Il restante 20 è deviato da te, per caso? -
Stando
bene ed essendo sereni sull'argomento, avrebbero detto 'no da Ramon,'
lo pensarono ma non lo dissero.
Kay
preferì dire di sì e continuare ridendo appoggiandosi su di lui con
la testa fino a riuscire a respirare normalmente.
Le
guance gli tiravano da tanto che aveva pianto ridendo e gli occhi gli
bruciavano.
Rimase
così appoggiato a lui, la testa sulla sua spalla e le mani di nuovo
alle margherite abbandonate.
I
respiri si fecero via via più calmi e tranquilli fino a che
tornarono normali e le menti, libere di ragionare, non proposero loro
la fine di quell'episodio.
Un
episodio che in qualche modo andava finito.
Marcel
lo sapeva e l'alzò carezzandogli il viso con dolcezza, lo guardò
per trovare le sue risposte, risposte a domande eterne in continuo
mutamento.
Era
giusto tenerlo a sé anche se era potenzialmente pericoloso?
Era
vero che il mostro era una cosa tutta di Ramon o era una soluzione
facile e comoda?
Ma
la vera domanda era un'altra.
Sarebbe
mai stato capace di allontanarlo?
Marcel
guardando i suoi grandi occhi illuminati dal sole e dalla sua stessa
gioia, non ebbe dubbi.
L'aria
da folletto, i capelli buffi pieni di boccoli, i lineamenti delicati
ed eleganti.
Quel
sorriso agli angoli della bocca sempre pronto ad uscire per lui e per
chiunque.
“Non
potrei mai allontanarlo, non ne avrei la forza e non vorrei nemmeno.
Non voglio allontanarlo e non posso. Non so se sia giusto o
sbagliato, ma so che è questo che farò. Affronterò tutto faccia a
faccia, a viso aperto, a testa alta. Farò di tutto per farlo
funzionare, lotterò nella direzione giusta e non controcorrente.
Se
voglio vivere con lui, è con lui che vivrò. “
-
Come è andata? - Disse poi finalmente Kay con quella sua dolcezza
che variava in modo impressionante dall'allegria inarrestabile di
sempre.
Marcel
fece un sorriso malinconico pensando a Ramon.
-
E' stata meno dura di quel che pensavo. Niente urla e violenza. Ho
parlato calmo e sereno perchè appena l'ho rivisto lucido e calmo, ho
visto quello che non ero mai riuscito a capire. Ho avuto le mie
risposte, l'ho affrontato, gli ho detto tutto quello che dovevo
dirgli ed ho chiuso. - Di norma Marcel non diceva nemmeno quello, Kay
si stupì di quella condivisione che di suo non diceva poi molto, se
la fece andare bene e sorrise baciandolo sulle labbra.
-
Sono contento. Come ti senti? - Marcel nel pensarci si illuminò, non
c'era più tristezza nei suoi bellissimi occhi neri.
-
Bene. Era quello che dovevo fare. Mi sento come esorcizzato. - Era
vero. Si sentiva bene. La sensazione di stranezza di prima era stata
rimpiazzata da Kay, come aveva sempre rimpiazzato tutto.
“Ha
vinto su tutta la linea. Senza di lui sarei morto.”
Pensò
pensando che glielo avrebbe scritto in una delle canzoni del nuovo
album. La vena creativa tornò, ma più che andare a comporre
canzoni, ora aveva voglia di lui.
Non
di lui, del suo corpo, di possederlo.
Aveva
voglia di farsi scaldare dai suoi dolci e splendidi raggi solari.
Così
sospirando sereno si stese accanto a lui a pancia in su, lasciò che
il sole gli arrivasse addosso e sul viso, si rimise gli occhiali
scuri che si era tolto per guardarlo negli occhi ed appoggiò la
testa sulle sue gambe.
Kay
gli carezzò il viso e la testa con la cuffia, sorrise intenerito e
contento d'aver superato anche quell'ultimo scoglio e aver raggiunto
quel bell'equilibrio, ora ancora molto delicato, e riprese le
margherite in mano continuando ad infilarle nel filo.
A
quel punto, in quel silenzio strano fra loro perchè di solito era
riempito da parole di Kay, Marcel lo stupì e cominciò a
raccontargli nel dettaglio quello che era capitato in casa con Ramon,
dalla A alla Z.
Come
l'aveva trovato, cosa gli aveva detto parola per parola, le
sensazioni provate e le conclusioni raggiunte.
Kay
ascoltò tutto sorpreso e senza parole, non di quello che gli stava
dicendo, ma del fatto che lo facesse.
Non
riuscì a dire niente, non riuscì nemmeno ad infilare una piccola
margherita nell'ago. Le mani gli tremavano troppo e del resto anche
la vista era troppo appannata dalle lacrime.
Lacrime,
queste, non di risate ma di commozione.
Commozione
non di gioia, ma di emozione.
Un'emozione
tale portata da una cosa che non stava nel suo racconto toccante,
bensì dal fatto che finalmente si stesse aprendo.
L'aveva
fatto a fatica e a monosillabi, a stento, costretto. Ora era lì che
lo faceva da solo, facilmente, completamente.
La
sua voce calda e bassa che parlava di sé e di quel che provava, di
Ramon, del mostro e dei sentimenti.
Aveva
lottato mesi per riuscire ad arrivare a quel punto, al punto da
vederlo aprirsi da solo di sua iniziativa e come si doveva, non
tramite musica e canzoni o gesti.
Ora
c'erano. Ora era successo.
Ora
era lì a raccontarsi. Il traguardo raggiunto, la sicurezza che quel
mostro non sarebbe più tornato, la certezza granitica che erano le
persone, i momenti, gli eventi, le circostanze, l'ambiente ed una
serie di elementi concomitanti, a creare i mostri. Mostri che non
esistono per nascita nelle persone, mostri che vengono creati da
certe cose.
Mostri
che, quindi, possono essere estirpati e abbattuti.
Per
quello Kay vedeva quel traguardo importantissimo e piangeva dalla
felicità mentre gli carezzava la testa rinunciando alla corona di
fiori.
Aveva
avuto ragione ad insistere tanto con lui.
Il
sole di Marcel era il più bello mai visto.
“No,
il sole è diverso dal mostro. Il mostro viene creato, il sole c'è.
Noi nasciamo col sole dentro, perchè nasciamo puri ed incontaminati
e quella purezza è il nostro sole. Non ha ragione Ramon quando dice
che siamo luce e tenebre. Siamo luce e basta. Se diventiamo tenebre è
per colpa della vita e del mondo, ma non nostra. Mai. Per cui così
come diventiamo tenebre, possiamo tornare ad essere luce.
Sapevo
di potercela fare, lo sapevo, lo sentivo.”
Quando
Marcel finì di raccontare, rimasero in silenzio ad ascoltare i
rumori esterni, le macchine in lontananza, uccellini fra gli alberi,
un ruscello. La vita tutt'intorno.
Kay
prese respiro a pieni polmoni, strinse gli occhi che gli bruciavano
dalle lacrime, alzò il viso verso l'alto, si fece bagnare dal sole e
rigenerato, mormorò piano.
-
Ti amo, Marcel. Tu mi ami? -
-
Sì che ti amo. -
-
Hai vinto tu... hai vinto tu contro la vita, il mondo, le dure prove,
le persone sbagliate... hai vinto tu. Sei felice? - Marcel però non
pianse, fece qualcosa di migliore. Kay abbassò lo sguardo sul suo
viso, si era tolto gli occhiali scuri e lo guardava dal basso dove
era sistemato.
Si
incrociarono con gli sguardi e Marcel sorrise.
Sorrise
anche Kay.
-
Sono felicissimo. - Rispose.
E
lo era davvero, finalmente.
FINE
NOTE FINALI:
Uno
dei finali che avevo pensato era che Ramon si uccidesse, l'altro era
che Ramon rimanesse vivo, ma che Marcel e Kay si lasciassero.
Come vedete alla fine sono stata buona ed ho scelto il migliore per tutti.
Non
sapremo mai che fine farà davvero Ramon, so che i più ottimisti
penseranno che seguirà il consiglio di Kay e Marcel e si dedicherà ad
aiutare i giovani talenti a sfondare nella musica, senza più prendere
da loro qualcosa. Ed in questo modo migliorerà lui stesso, comincerà ad
amare la vita.
Per i più pessimisti Ramon potrebbe continuare come
ha sempre fatto... senza mai uccidersi. Perchè come dice Marcel non ne
ha il coraggio, si ama troppo per farlo.
Non ho voluto
approfondire molto la questione del suo passato, ho voluto far capire
che è arrivato a quel punto per motivi specifici, per un vissuto non
facile e per una questione di carattere.
Ogni cosa inserita o no,
tutto quel che ho scritto in un determinato modo è precisamente voluto
da me, niente è stato lasciato al caso. Ho avuto motivi specifici per
ogni cosa e se avete domande e volete chiarimenti, sarò felice di
illustrare le mie scelte!
Personalmente volevo puntare i riflettori
sulla possibilità di riscatto della vita, nella quale io ho sempre
creduto molto. Le cose brutte succedono a tutti ed alcuni ne escono,
altri no. Però io penso che chi riesce ad uscirne non ha doti speciali
se non quella di provarci e riprovarci... perchè non è tanto una
questione di trovare le persone giuste sul proprio cammino, che aiutano
molto ovviamente, ma quanto di volere qualcosa con cocciutaggine, con
tutta l'anima, e lottare per ottenerla.
I protagonisti erano il sole ed il mostro, non Marcel, Kay e Ramon. Loro erano il mezzo tramite cui parlavo di loro.
Perchè proprio quei termini?
Perchè
tutti, da bambini, hanno paura dei mostri... e molti, crescendo, si
rendono conto che spesso i mostri non sono fuori, ma dentro e ne
rimangono schiacciati. Però esiste sempre il modo di abbattere il
mostro.
Il mostro ed il sole erano due analogie che mi piacevano
molto, più dei suggestivi 'luce' e 'tenebre', dava un tocco di estrema
semplicità a due concetti che in realtà sono di una profondità
sconvolgente.
Alla fine io la penso come Kay, noi nasciamo buoni,
ma possiamo facilmente diventare cattivi per diverse motivazioni,
perchè la vita non è facile. Però non è impossibile tornare buoni.
E'
il solito esempio. Due fratelli che subiscono violenza da piccoli. Uno,
crescendo, diventa un sociopatico serial killer, l'altro un poliziotto.
Stesse esperienze, stesso ambiente, diverso carattere.
Per cui
insomma... non è vero che siamo segnati punto e basta e non possiamo
fare niente contro ciò che siamo, perchè decidiamo noi quello che
saremo. Possiamo raccontarci tutte le bugie che vogliamo, ma la verità
è solo questa.
E dopo questa riflessione finale....
UN GRAZIE DI CUORE A TUTTI QUELLI CHE HANNO COMMENTATO E SEGUITO LA STORIA!
Sono
onorata che abbia ricevuto così tanti commenti, perchè è un'original e
non sempre vengono seguite così tanto. Soprattutto sono contenta se ha
stimolato riflessioni nel lettore.
Sicuramente tornerò con altre
fic, non ci sono dubbi. Per il momento non ho nulla in progetto, però
sono imprevedibile, potrei mettermi a scrivere improvvisamente da
un'idea dell'ultimo momento!
Nella mia pagina autore su facebook
avverto sui vari aggiornamenti ed anche se scrivo qualcosa di nuovo o a
che livello sono con le varie fic... per cui se vi chiedete che combino
o se avete domande o richieste, andate qua:
http://www.facebook.com/pages/Akane/172173736268762?fref=ts