CAPITOLO
VIII:
IL SOLE BUSSA
Non era facile ricordarsi di guardare
l'ora, con Ramon il tempo volava perchè aveva una vasta cultura,
sapeva tutto di ogni cosa e si poteva parlare spaziando su ogni
argomento, ci si perdeva delle ore perchè aveva delle opinioni molto
competenti, acute ed interessanti. Non proprio classiche, ma nemmeno
assurde, per cui l'ascoltavi volentieri.
Kay stesso gli piaceva molto parlare,
quindi era normale trovarsi bene con lui.
Era anche in fase positiva in quanto
casa sua continuava ad essere pulita e presentabile, quindi non era
un covo per cui speravi di potertene andare subito.
Quel giorno parlarono del testo,
dovevano tirare fuori dei versi adeguati, ma dal momento che sarebbe
dovuto essere più Kay che Ramon, si trovarono a parlare
dell'argomento e da questo finirono tutta la mattina a disquisire
anche di molte altre cose.
Kay sforò di gran lunga l'ora del
pranzo, ma si stupì nel vedere il telefono senza sms, squilli o
quant'altro.
Ad ogni modo si congedò con Ramon che
non insistette e tornò a casa.
Convinto di trovare Marcel a dormire,
si stupì ascoltando il suono del pianoforte.
Stava suonando qualcosa di nuovo, capì
subito che era una nuova canzone, non era un'espressione interiore
del suo stato d'animo, era molto di più.
Era qualcosa di preciso, composto,
completo.
Kay si fermò silenzioso all'ingresso
piegando la testa per capire comunque a cosa avesse potuto pensare.
Senza tutti gli strumenti del caso non era facile avere un'idea
precisa, però lui ormai sapeva tradurre bene tutto di Marcel.
Era nudo, seduto al pianoforte, la
sigaretta fra le labbra si stava spegnando, ormai la cenere era al
filtro ed il fumo saliva facendogli stringere un occhio, però non lo
notava, forse non aveva fatto nemmeno un tiro da quando l'aveva
accesa.
Ripeteva concentrato quello che aveva
composto per capire se andava perfezionato.
Kay lo vide metterla nel portacenere
pieno di mozziconi spenti, tolse la cenere dai tasti, bevve un po'
d'acqua, prese respiro e cominciò anche a cantare.
A questo si stupì il doppio di prima.
Fare una melodia era un conto, fare una
canzone intera nell'arco di una mattina era incredibile.
Lui e Ramon, in due super ispirati, ci
stavano mettendo due giorni minimo e, per come tiravano per le lunghe
sul testo, sicuramente anche di più. Fare il testo era la parte più
difficile.
Marcel e la sua voce dal timbro unico,
partirono piano, con un calore disilluso, nostalgico. Mano a mano che
proseguiva saliva come solo lui sapeva fare, fino a raggiungere vette
inimmaginabili. In quelle vette c'era la disperazione.
Il testo parlava di un personaggio
molto controverso che prendeva la luce dagli altri per scacciare le
proprie tenebre e che poi, a sua volta, lasciava nel buio.
L'angelo cadeva ed il demone brillava.
C'era molto rancore, ma anche molto
combattimento interiore, Kay capì che doveva essere Ramon anche da
quel po' che aveva detto di lui.
Il ragazzo capì anche un'altra cosa
importante.
In quei giorni probabilmente avrebbe
composto il suo terzo album e gli avrebbe così raccontato la sua
storia, quella che non era mai riuscito a raccontargli.
Quando finì, Marcel prese la penna e
si mise ad appuntarsi delle cose nello spartito che aveva anche le
parole. Lo vide cancellare e sistemare per poi ricominciare.
Capendo che sarebbe potuto andare
avanti tutta la giornata, decise di avvicinarsi sempre senza
disturbarlo, una volta dietro di lui, lo abbracciò piano e gli baciò
la guancia con dolcezza.
Marcel si ammorbidì immediatamente e
si appoggiò a lui piegando la testa verso la sua. Il suono della
voce si ammorbidì.
Kay adorava il modo in cui riusciva ad
esprimere ogni cosa cantando, la sua voce era estremamente
espressiva.
Lo cinse da sotto le braccia e poi
intorno al torace nudo, come tutto il suo corpo.
Quando smise di cantare ed alzò le
dita dai tasti, Kay lo salutò con un altro bacio sulla guancia.
- Ciao... scusa il ritardo... - Marcel
guardò l'ora solo in quel momento e si stupì di vedere che erano
già le due e mezza.
- Oh... non me ne sono accorto! -
Kay sorrise lieto che fosse così,
significava che si era assorbito.
- E' una canzone molto bella e molto
sofferta. -
Marcel fece un sorrisino amaro.
- La vera sofferenza deve ancora
arrivare... - Commentò.
Kay si sedette accanto a lui, al
pianoforte, e guardò il testo meglio.
- Intendi scrivere tutta la storia? -
Chiese senza paura di essere indiscreto. Era chiaro di chi parlasse.
Marcel aveva già le idee chiare e si
sentiva sorprendentemente pronto per farlo.
- Sì... ma non solo quella... - Kay
alzò lo sguardo dal foglio e lo posò interrogativo sul suo, quel
suo solito tocco d'ingenuità.
- E cos'altro? - Marcel si rasserenò.
- Posso farti una sorpresa? - Ma a
quello Kay capì e con uno dei suoi sorrisi solari e radiosi lo
abbracciò di slancio, riempiendolo di baci su ogni centimetro del
viso.
Marcel, immerso nel buio di Ramon,
tornò a respirare e a sorridere a sua volta. Solo lui poteva.
- Ti senti pronto? Sei sicuro? - Chiese
sapendo che scrivere un album in preda alla rabbia e al dolore era un
conto, scriverlo a posteriori, dopo che teoricamente avevi superato
tutto con fatica, era un altro. Si finiva per scrivere sempre cose
molto particolari.
Marcel sapeva perché glielo chiedeva e
si strinse in una spalla guardando in basso, i tasti.
- Sì... lo sono... - Fece pensieroso.
Poi li alzò sui suoi occhi gentili e carichi di quel sentimento che
era sempre presente. - Perchè ci sei tu, ora, nella mia vita. Ed è
come raccontarlo a te. Per il resto del mondo sarà solo una storia.
Sei tu che sai qual è questa storia. -
Kay si sentì investito di un onore
incredibile, non era consapevole dell'importanza che aveva per
Marcel. O meglio lo sapeva, ma non fino a che livello poteva
arrivare. Delle canzoni presto l'avrebbero illuminato. - Sei la mia
forza, lo sai. Non avrei fatto niente senza di te. - Kay sorrise
addolcito, non che di norma assumesse inclinazioni chissà che dure.
Però l'accarezzò col naso arricciato sulla guancia ruvida per la
barba non fatta, per poi sospirare.
- Se hai bisogno di qualcosa, lo sai...
- Marcel chiuse gli occhi a si assaporò quel tenero contatto
abbandonandosi al suo braccio che gli circondava la schiena e
risaliva sulla nuca, fra i capelli neri scompigliati. Era sempre un
costante abbandono, sapeva di essere la sua ancora di salvezza, ma
non aveva davvero idea fino a che punto lo potesse essere.
- Solo del mio sole. - Marcel non era
proprio romantico, ma in certi momenti gli uscivano quel genere di
cose e a Kay piacevano da matti perchè lui, al contrario, era molto
romantico.
Così lo baciò.
Il sole di Marcel era Kay.
- Ma il sole c'era già dentro di te,
io l'ho solo tirato fuori. - Kay aveva i suoi motivi per
ripeterglielo ogni volta che lo chiamava così.
Lo sapeva bene. Bisognava
ricordarglielo, visto che quando l'aveva incontrato si definiva
mostro, convinto di dover essere rinchiuso da un momento all'altro.
Marcel sorrise con amarezza.
“E pensare che per Ramon avevo un
mostro dentro. Lui dice che ho il sole. Che cos'ho in realtà?”
Non lo sapeva ancora, ma gli piaceva
fidarsi di Kay. Più che altro sapeva che anche nel caso in cui lui
si sbagliasse e quel sole in lui non ci fosse, comunque c'era nel suo
compagno e questo gli bastava.
//Quel mostro, quel mostro è lui. Quel
mostro è lui.
Marcel ormai ne è convinto. Ormai lo
sa.
Ramon ha ragione, è così.
Vive i giorni consumandosi, pensa a
questo e si rovina cercando di dimenticare, di stordirsi abbastanza
da dimenticarsi della propria immensa voglia di ucciderlo. Però
parte del mostro è anche quella dipendenza, quella distruzione,
quell'odio, quel marcio.
È negativo, non riesce a trovare il
bello di quello che gli succede, non riesce a risalire e a divertirsi
più nel cantare. Non prova quel brivido di vita. È sempre più un
gesto automatico.
Vorrebbe smettere e farla finita, ma
dopotutto anche lui è come Ramon.
Non ne è capace.
Quasi quasi paga qualcuno perchè lo
faccia al suo posto.
È in attesa di un festival, deve
suonare con altri artisti un paio di canzoni, sta aspettando il
proprio turno di provare, ma non ne ha voglia, non ricorda nemmeno
che cosa deve fare. Cerca nelle tasche uno dei soliti rimedi, se non
tira è finito. Sta anche perdendo le forze, si sente uno straccio.
Si sistema la striscia sul proprio
tavolino davanti allo specchio, prende la cannuccia e sta per tirare
quando un rumore alla porta lo fa voltare, si gira di scatto e
impreca maleducato cacciando chiunque sia.
- Vaffanculo e lasciami in pace! - Non
gli importa chi è.
Però rimane di sasso quando lo vede.
Lo conosce, ovviamente. Non può non
conoscerlo, non di persona ma di fama.
È un altro che ha cominciato un poco
prima di lui, però alla fine sono quasi concomitanti. Il successo
che hanno avuto è simile anche se il loro tipo di musica è molto
diverso.
Kay. Solo un nome. Niente cognome.
Kay fa canzoni felici e positive e si
veste come un pagliaccio in quanto a colori ed eccentricità, non
ricorda altro.
Lo squadra e pensa: “Psichedelico...”
Prima di notare lo shock nel suo sguardo pulito. È tutto pulito.
“Dio mio, è l'opposto di me!” Lo
capisce subito, ma la nebbia nella testa gli impedisce di capire
altro, così se ne frega che sia lì paralizzato a guardarlo. Si
china e tira davanti a lui.
Solo quando l'effetto arriva ad
elettrizzarlo e a dargli un po' di pace, si rende conto dell'enorme
figura di merda fatta.
Di solito non gliene importa di farsi
davanti agli altri, purchè non siano giornalisti o fan, però lì
nel backstage ci sono solo tecnici o altri artisti.
Questa volta è diverso, sente
vergogna. È la prima volta.
Così in risposta si chiude a riccio e
lo manda a quel paese con un gesto poco gentile del braccio.
- Cos'è, non hai mai visto qualcuno
tirare? Come se non lo facessi anche tu, cazzo! Lasciami in pace! -
Così Kay se ne va sconvolto, lo lascia davvero in pace non sapendo
cosa dire e cosa fare.
Solo dopo qualche minuto di lunghe
ponderazioni torna alla carica, di nuovo senza bussare, e lo trova
mezzo nudo che si cambia. Prima di notarlo gli risponde acceso come
un fiammifero.
- No comunque, non mi faccio! - Marcel
rimane spiazzato del suo ritorno e lo fissa a torso nudo, con le mani
ai pantaloni in procinto di abbassarli.
- Sul serio? - Chiede. Ora sta bene
perchè ha tirato, quindi può anche capire cosa gli dice.
- Sul serio! Non ti giudico però non è
che se tu lo fai allora lo fanno tutti! -
Marcel alza le spalle e si abbassa i
pantaloni lo stesso ignorando la sua presenza ed i suoi occhi fissi a
cogliere ogni movimento del suo corpo ben tenuto.
Non ci fa nemmeno caso, però è
fortemente imbarazzato.
Marcel è un gran bel ragazzo.
- Sembrava lo stessi facendo! - Taglia
corto spazientito, il tono è pieno di sé ma è una difesa, vuole
scaricarlo e stare da solo. Il mostro può uscire in un qualunque
momento.
- Non lo facevo, non era mia intenzione
se ti ho dato quell'idea. Scusa. Sono finito qua per caso, pensavo
fosse il mio camerino ed invece no. - Marcel alza un sopracciglio
scettico sistemandosi i boxer neri attillati.
- Sicuro che non eri fatto? - Kay fa il
broncio più delizioso mai visto e Marcel si mette anche a ridere. -
Sembri un criceto! Posso chiamarti Mikey? - Kay capisce subito da
cosa derivi, Mikey Mouse. Non è molto carino e vorrebbe dirglielo,
ma ha paura di essere scortese così preferisce rispondergli a tono
umoristicamente.
- Solo se io posso chiamarti Queen! -
Il riferimento al fatto che fa la diva è altrettanto chiaro e piace
a Marcel, specie per la prontezza di risposta. Così ridendo per la
sorprendente seconda volta, e per di più con piacere, risponde che
per lui va benissimo.
- Bene. Ma se non ci scambiamo i numeri
a cosa servono dei soprannomi? - Dice poi Kay prima ancora di
pensarci. O forse avendolo pensato molto bene.
Marcel pensa che è il rimorchio più
carino e simpatico mai ricevuto, di solito non si prodigano tanto. Di
solito non capisce nemmeno se lo corteggiano, finisce a letto con
qualcuno e basta, tutto lì.
- Vuoi il mio numero di telefono per
scrivermi come Queen? - Chiede ironico. Kay è serio anche se
ridacchia, il tono completamente diverso da prima che era difensivo.
Adesso si sta davvero divertendo. Com'è possibile che si diverta con
lui? Nessuno si diverte con lui, hanno tutti paura. Scappano
sistematicamente. O se lo scopano. Ma poi scappano comunque.
- Certo! Se per te va bene. - Poi si
rende conto che sta facendo troppo lo sfacciato e rimedia con
un'altra battuta spontanea. - E se ti va bene che ti chiamo Queen!
Preferisci un altro soprannome? -
Marcel ride e scuote la testa, quindi
prende la matita nera con cui si trucca gli occhi, si avvicina a lui
sinuoso, gli alza la maglia e gli scrive il numero sulla pancia
scatenando una risata di riflesso per il solletico.
- Il telefono non ce l'hai? - Marcel
alza le spalle.
- Non saprei dov'è. Fammi uno squillo,
poi... - Dice semplicemente.
- E la mano? Si scrive nella mano, se
non c'è un foglietto od il telefono... - Marcel alza gli occhi al
cielo e si piega fra i propri vestiti ammassati alla ricerca di
qualcosa da indossare per quella sera.
Kay si morde le labbra fissandogli il
fondo schiena piuttosto piacevole da guardare.
- Sei sempre così polemico o sono io?
- Chiede sfacciato mentre alza dei pantaloni neri attillati con dei
lacci nella parte inferiore delle gambe.
- Quando sono nervoso... - Si perde il
resto perchè Marcel si infila i pantaloni davvero, ma davvero
stretti e Kay ha gli occhi sempre fissi nei suoi glutei che vengono
evidenziati da quegli affari indecenti. Se li allaccia e poi si gira.
- Allora sono io! - Dice ammiccante e
malizioso. Ci sta davvero provando con lui... Kay cerca di
trattenersi e lui ci prova sul serio.
Ma bene.
Beh, ma quanto serio può essere uno
che ha appena tirato una striscia?
Kay non risponde, rimane imbarazzato a
fissarlo mentre si infila una maglia altrettanto stretta e in stile
dark.
Si guarda allo specchio, si sistema qua
e là vanitoso e poi si gira verso Kay allargando le braccia.
- Come ti sembro? Vado bene per
stasera? - Kay, che si è trattenuto fino a quel momento, non ce la
fa ancora e gli sfugge un del tutto spontaneo commento:
- Anche troppo! - Marcel si aspettava
qualcosa del genere e sorride soddisfatto per poi avvicinarsi e, con
la scusa di ringraziarlo del complimento, lo bacia.
Lo bacia subito senza prepararlo, senza
che se l'aspettasse. Lo bacia senza dargli segnali di alcun tipo,
sembra normale, forse lui comunica così, ma Kay rimane spiazzato e
risponde di riflesso al bacio che gli toglie il fiato.
Le loro lingue si intrecciano, è un
sapore un po' particolare, però lascia del tutto stordito Kay che si
irrigidisce.
Succede peggio quando Marcel scende con
le mani alla cintura dei suoi pantaloni e li apre. Quando capisce
cosa sta per fare, è già infilato nei boxer e lo sta toccando
nell'inguine.
Kay reagisce quasi subito con uno
scatto del tutto spontaneo, infatti gli prende i polsi e glieli alza
entrambi fermando la conquista del suo mondo sottostante, poi
indietreggia mentre al contempo lo spinge. Batte le palpebre
spaventato, ansimante, eccitato ed imbarazzato al tempo stesso. Un
turbine di emozioni e shock si abbatte su di lui.
- Che fai? - Chiede con una vocina
sottile.
Marcel non vuole usare forza, per cui
si ritira subito come spaventato da qualcosa. Da cosa potrebbe
succedere se si mettesse ad insistere. Non può insistere. Guai.
Potrebbe uscire quel mostro.
- Pensavo ti andasse bene. Mi stavi
mangiando con gli occhi... - Kay non capisce più niente, si chiude
tutto e risponde spontaneo preso in contro piede.
- Sì certo, sei bellissimo ed
apprezzavo però non è che ci si salta subito addosso così! -
Marcel non crede a quello che vede e che sente. Fra l'altro è
autenticamente imbarazzato e sconvolto.
- Ma dai, non dirmi che non fai così
di solito! Uno ti apprezza, tu hai voglia e lo fai. Scambio reciproco
di pensieri, no? - Per lui è sempre così che ha funzionato, ma non
per Kay che è sempre più scandalizzato.
- No! - Marcel comunque non ci crede e
ride di lui.
- Andiamo, ti stava piacendo. - a quel
punto che senso ha negare?
- Certo, però non voglio che succeda
così! Mi piacerebbe rivederti come si deve, conoscerti... e poi
vedere come va... - Per Marcel è impossibile che sia vero.
- Tu mi prendi per il culo. - Dice
infatti. In quell'ambiente non ne ha conosciuti altri così. Kay non
capisce dove sia il problema.
- Senti... io funziono così. So che in
questo ambiente si fa più come te che come me, ma io ci tengo a
rimanere padrone della mia vita e soprattutto di me stesso, ci tengo
a fare le cose a modo mio. Non sono una persona seria, morta e
bigotta, mi piacciono i ragazzi, le cose bizzarre e fuori dalle
righe. Ma non qualunque cosa leda la mia persona, che mi rovini, che
mi manchi di rispetto. - Marcel non ci arriva subito, però non
capisce come si possa riuscire ad amarsi tanto.
Rimane ebete a fissarlo fino a che,
alla sua domanda: - Possiamo rivederci? - gli risponde senza
rifletterci.
- Chiamami. -
Quando rimane solo la mente gli rimanda
un pensiero coerente e sensato, forse il primo.
“Vale la pena sporcarlo? È pulito,
forse è l'unico in questo ambiente del cazzo... non ne ho ancora
incontrati così. Vale la pena sporcarlo come ha fatto Ramon con me?”
La risposta è così ovvia che ha solo
voglia di prendere le famose forbici e conficcarsele ancora nella
trachea.
- Quanto sono stupido. - Si dice da
solo prima di vedere nel telefono il suo squillo e poi il suo sms.
'Sono Mikey!' Con uno smile sorridente.
“Quello è il sole ed io la luna.
Anzi. Un'eclissi! È proprio meglio non rovinarlo. Non voglio essere
come Ramon. Non gli darò il mio mostro!”
Fu così che non gli rispose convinto
di poterlo chiudere facilmente fuori dalla sua vita.\\