Note: Questa shot è ambientata nella puntata 4x18 'La strada di casa', mi sono sempre chiesta cosa fosse accaduto se Danny avesse accettato subito di aiutare Martin e fosse andato a casa sua al posto di Samantha. Soprattutto non riuscivo a capire pienamente perché Danny si rifiutasse così categoricamente di aiutare Martin, che è il suo migliore amico. Solitamente gli amici si aiutano, soprattutto se sono così stretti. C’era una ragione particolare, difficile da spiegare, che lo spingeva ad agire in un modo così incomprensibile? Ho rimuginato a lungo sulla cosa ed, alla fine, fomentata dall’espressione compiaciuta e sorniona che fa Danny quando Martin lo ringrazia per tutto quello che sta facendo per lui (sembra quasi che Danny se lo voglia mangiare con lo sguardo), è venuta fuori questa fic, non legata a ‘That’s amore’. Mi sono un po’ lasciata andare con la lemon, quindi spero di non aver esagerato ^//^
Ringraziamenti: Ringrazio di cuore Isult: sono contenta che il capitolo conclusivo ti sia piaciuto e, soprattutto, Martin, così confuso e fragile. Danny alla fine si è dovuto dare una mossa se non voleva far soffrire ancora Martin, anche se come al solito c’è voluto un miracolo! Ti prego *^* scrivi anche tu qualcosa su loro due, ripopoliamo il mondo delle slash con questa fantastica coppia! TipregoTipregoTipregoTiprego!!! E ringrazio anche Cory90: Figurati! Non hai idea di quante fic che leggo e che non recensisco per pura pigrizia, anche se meritano davvero ^^’’’ Quindi ti capisco benissimo, anzi! -_^ Ti ringrazio di aver letto ‘That’s amore’ e di averla aggiunta ai tuoi preferiti, e sono anche contenta che ti sia piaciuta. Spero che ti soddisfi anche questa ^O^ Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto l’altra fic (inchino).
Adesso vi lascio alla lettura della shot, baciottoni alla prossima gente \^o^/


Rehab


- Pensaci perché tu sei l’unico che può aiutarlo!- .
Samantha lo scrutò per un lungo istante negli occhi, cercando di trasmettergli tutta la sua preoccupazione e l’urgenza che provava. Danny sostenne il suo sguardo senza rispondere. Sconfitta, la collega storse le labbra in una smorfia stizzita prima di dargli le spalle ed allontanarsi.
Danny osservò la sua schiena fino a che non uscì dall’ufficio, un fastidioso senso di colpa gli solleticava il petto. Sapeva benissimo che bisognava aiutare Martin prima che fosse troppo tardi, prima che per causa di quella schifezza da cui dipendeva commettesse l’irreparabile. Lo sapeva meglio di tutti quanti li dentro. Ma non capiva perché tra tutti proprio lui doveva sobbarcarsi l’incarico di soccorrerlo.
Solo perché c’era già passato anche lui?
Era vero, sapeva cosa volesse dire dipendere da qualcosa, ma era un argomento che non gli piaceva rivangare. Era stata la fase meno lusinghiera della sua vita, da cui cercava di riscattarsi continuamente. Ricordi che cercava di seppellire nel fondo della sua mente e dimenticare.
Ricordava quel sottile senso di agitazione, quel bisogno costante di bere qualsiasi cosa che provava. La sua vita allora girava attorno ad una bottiglia costantemente vuota. Non vedeva altro. Bere era il primo pensiero che formulava quando si svegliava e l’ultimo quando andava a dormire. Era una necessità che si dibatteva costantemente dentro di lui, che non riusciva mai saziare, che comandava ogni suo gesto, pensiero e desiderio. Tutto passava in secondo piano, non sentiva il bisogno di nient’altro che di bere alcool. Persino mangiare e lavarsi diventava un fattore secondario al confronto.
Chiuse gli occhi e riportò alla mente i ricordi di quella maledetta mattina.
Stava ancora studiando per diventare avvocato, sempre trasandato nel modo di vestire e presentarsi, sempre in ritardo con gli esami, dividendosi tra lo studio ed un lavoro infernale con uno stipendio da fame che gli permetteva appena a malapena di sopravvivere, e solo perché viveva in uno dei quartieri più malfamati della città. Per quanto facesse, per quanto s’impegnasse c’era sempre qualcosa che si frapponesse fra lui e la sua meta; c’era sempre qualcun altro ben vestito e meno preparato di lui che lo sopravanzava. L’alcool gli dava il coraggio di andare avanti, di affrontare gli sguardi nauseati dei professori e degli altri studenti. L’alcool placava la rabbia di sapere che sarebbe rimasto per sempre rinchiuso in quella fogna, di poter soltanto guardare i propri sogni senza che gli venisse data la possibilità di afferrarli e farli propri. L’alcool rendeva per un momento reale e fattibile tutto quanto.
Quella mattina doveva sostenere un esame importante, aveva studiato fino allo stremo, eppure non si sentiva sicuro di sé, una sottile agitazione gli sciabordava sottopelle facendo vibrare ogni fibra del suo essere. Uscendo di corsa da casa aveva saluta la sua compagna ed era salito nella sua auto, vecchia e logora come tutto quello che aveva in quel periodo. Presto avrebbe avuto bei vestiti firmati, una casa confortevole in un quartiere che non fosse malfamato come quello. Presto avrebbe realizzato tutto quello che voleva.
Per convincersi dei suoi stessi pensieri aveva preso una bottiglia di tequila che portava sempre con sé e l’aveva portata alle labbra. Solo un sorso per cancellare ogni dubbio e farsi coraggio, per vedere i propri desideri un po’ più vicini e concreti.
L’alcool aveva riempito il suo stomaco vuoto raggiungendo immediatamente il suo cervello, stordendolo, appannando le sue capacità percettive, esattamente come voleva. Vedere il mondo da un’altra prospettiva, capovolto, che sembrava quasi migliore.
Su di giri, privo di barriere e freni, aveva acceso l’auto ed aveva accelerato, uscendo dal parcheggio senza guardare la strada. Aveva avvertito solo il contraccolpo dell’urto ed il dolore successivo. Confuso e con la mente annebbiata aveva guardato paramedici e poliziotti muoversi concitatamente attorno a lui.
Senza sapere perché si era ritrovato con i polsi chiusi da solide manette. Aveva urlato e protestato, ma quando l’avvocato d’ufficio che gli avevano assegnato gli aveva spiegato la sua situazione, si era sentito sgretolare la terra da sotto i piedi. Aveva causato un incidente sotto evidente stato d’ebbrezza. Non c’erano stati morti, ma feriti si, e sarebbe stato processato per questo. Per la prima volta aveva compreso tutta la gravità delle proprie azioni.
Il giudice era stato magnanimo: essendo incensurato avrebbe solo dovuto affrontare un cospicuo numero di ore di servizio sociale ed una terapia di disintossicazione.
E quello era stato il primo passo di un sentiero erto e complicato, estremamente delicato, che lo aveva condotto ad essere quello che ora era.
Per questo sapeva cosa volesse dire non essere pienamente responsabile delle proprie azioni, avere reazioni spropositate e pericolose perché manca quel qualcosa.
Ma perché non voleva aiutare Martin?
Lui era stato aiutato, da solo non sarebbe mai riuscito ad uscirne fuori, lo sapeva, allora perché non voleva aiutare un amico?
Perché odiava dover ripercorrere quei giorni di sofferenza fisica e morale?
Perché odiava dover vedere il fantasma di quei giorni negli occhi di altre persone che ancora combattevano?
Perché temeva di doversi confrontare con Martin, di doversi scoprire con lui fino a mostrargli le proprie debolezze, che non era così perfetto come appariva?
Perché era Martin quello che doveva aiutare?
Sospirò e gettò la testa indietro sullo schienale della sedia, chiudendo gli occhi. Si, la sua paura maggiore era quella di confrontarsi con lui. Aveva paura di avvicinarsi a Martin.
Strinse le mani una con l’altra mentre cercava di ricacciare indietro l’ondata che lo stava sommergendo, stringendogli la gola, minacciando di soffocarlo. Emozioni che cercava di allontanare da sé, di dimenticare, ma che, contro la sua volontà, erano sempre li a tormentarlo. Non sapeva quando era accaduto né perché, se covava dentro di lui dal primo sguardo o se era un qualcosa nato da quella loro amicizia, tutto quello che sapeva era che era accaduto.
All’inizio si era spaventato ed era scappato. Aveva cercato di convincersi che non era niente, che era solo frutto della stanchezza, che presto sarebbe passata. Era andato avanti cercando di non notare il fastidio che provava quando lo vedeva in compagnia di una donna, di non accorgersi che annegava in tutte le donne che si concedeva ricercando lui, la sua pelle, il suo odore, quella particolare sfumatura d’azzurro che avevano i suoi occhi.
La piena consapevolezza era giunta fulminea ed inaspettata, come un proiettile sparato a bruciapelo alla tempia che gli aveva trapanato il cervello.
Era innamorato di Martin.
Lo aveva accettato a fatica e con estrema riluttanza, dopo lunghe ore di interrogazione unilaterale con la propria coscienza e di analisi psicologica, ma, almeno, ora riusciva a guardarsi allo specchio senza sentirsi un codardo.
Era stato difficile ammettere che lo faceva impazzire con quel fisico longilineo ma compatto, evidenziato da quei completi classici che cadevano su di lui perfettamente, con quel suo volto dai lineamenti levigati e puliti, sormontato da un paio di stupefacenti iridi azzurre che avevano la stessa limpidezza del vetro, che osservavano il mondo discretamente. Che gli piaceva quel carattere forte e fragile allo stesso tempo, testardo ed orgoglioso, ma che nascondeva una grande sensibilità e dolcezza. Che semplicemente adorava la sua voce dalla grana così fine e vellutata, bassa e seducente, che si sposava perfettamente con il suo modo di muoversi calmo e lento, che ipnotizzava. Gli era servito del tempo per accettare quel brivido che gli elettrizzava la schiena ed ogni centro nervoso ogni volta che gli sorrideva e gli si avvicinava pericolosamente, quel bruciore che gli ustionava la pelle quando lo toccava, sfiorandolo appena.
Lo amava e lo desiderava in un modo che a volte gli faceva paura, allora perché si rifiutava così ostinatamente di aiutarlo? Forse desiderava che Martin venisse divorato dalla sua dipendenza e che con esso sparissero anche quei sentimenti che lo collocavano automaticamente dalla parte sbagliata della barricata?
Quel pensiero ebbe la stessa forza di una frustata. Scattò a sedere con la schiena dritta, guardando davanti a sé quasi sconvolto. Come, come aveva potuto anche solo pensare ad una cosa simile?
No! Lui non voleva questo! Assolutamente! Quello che voleva… che desiderava da Martin era tutt’altro! Non esistevano parole per descrivere quel bisogno che aveva di lui, il dolore che provava nel saperlo così lontano da sé, la necessità di trasformare la loro amicizia in altro che gli contorceva le viscere…
… come avrebbe potuto desiderare la scomparsa dell’uomo che semplicemente amava?
Ma era proprio quello che stava facendo, abbandonandolo a se stesso, a combattere la sua battaglia solitaria con i propri fantasmi e la propria dipendenza, ben sapendo che da solo sarebbe stato perduto!
Da quando tempo non lo sentiva ridere spensierato? Da quando tempo non vedeva le sue iridi brillare di un azzurro carico e limpido? Da quanto tempo non sentiva il suo nome scivolare morbido tra le sue labbra, venire pronunciato in quel modo intimo e confidenziale che gli scagliava una scarica di brividi lungo la schiena? Da quanto tempo doveva accontentarsi di sguardi cupi e borbottii gutturali?
Mai come in quel momento si rese conto di quanta nostalgia avesse del Martin di cui si era innamorato, di quella loro amicizia, dei piccoli gesti che si scambiavano!
Si fissò le mani ancora indeciso. Avrebbe messo in gioco tutto, avrebbe rischiato di perdere tutto quello che aveva costruito fino a quel momento. La sua mente richiamò l’immagine di Martin mollemente appoggiata al monitor del computer che lo fissava con quei suoi occhi azzurri lucidi di divertimento mentre un sorriso dolce gli schiudeva le labbra.
Strinse le mani a pugno, forte, fino a sentire le unghie contro i palmi. Lo avrebbe fatto, ma non perché glielo aveva chiesto Samantha. Avrebbe aiutato Martin, ma lo avrebbe fatto per se stesso, per darsi quella possibilità di cambiare la propria vita che tante volte aveva cercato sul fondo di una bottiglia.

La porta dell’appartamento di Martin torreggiava davanti a lui, scatenandogli dentro un profondo senso di ansia. Arrivare fin la era stato facile, ma ora non si sentiva più così sicuro di se stesso. Cosa avrebbe potuto dirgli una volta che avrebbe aperto l’uscio? Come avrebbe potuto convincerlo senza farlo scappare?
Fino a quel momento aveva dato per scontato che Martin condivideva i suoi stessi sentimenti, ma se così non fosse stato? Infondo era stato per un breve periodo insieme a Samantha…
Scosse la testa cacciando quei pensieri molesti: tra loro c’era un legame particolare, troppo profondo per essere semplice amicizia, non poteva essersi sbagliato.
Buttò fuori l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento: avrebbe lasciato che le cose seguissero il proprio corso, accettando tutto quello che ne sarebbe venuto.
Sollevò la mano e bussò tre volta sulla superficie lignea della porta. Dall’interno proveniva il leggero rumore di un televisore acceso. I secondi che Martin impiegò per aprire scivolarono come lame affilate su Danny.
Una serie di emozioni diverse e contrastanti si alternarono sul volto di Martin quando lo vide in piedi davanti la porta schiusa. Dapprima fu sorpreso, poi il sospetto e la preoccupazione presero possesso dei suoi tratti. Cos’era venuto a fare li? L’ultima volta si erano lasciati in modo non propriamente amichevole. Avevano avuto un alterco acceso in cui Danny lo aveva messo davanti a ciò che negava così furiosamente anche con se stesso, svelandogli tutte le sue debolezze e non gli era piaciuto: punto nel vivo aveva reagito violentemente, cercando di ritorcere contro di lui le proprie accuse.
- Ciao!- lo salutò senza alcuna convinzione.
- Non mi fai entrare?- chiese di rimando Danny sbirciando oltre le sue spalle.
Titubante Martin si scostò di lato facendogli spazio. Danny entrò guardandosi intorno, per poi puntare lo sguardo sul basso tavolino tra il divano ed il televisore, completamente ricoperto di resti di cibo. Il suo amico era sempre stato molto ordinato, la sua era una precisione quasi maniacale: tutto quel disordine stonava parecchio con la persona che conosceva.
- I Sox stanno vincendo?- chiese indicando con un cenno della testa lo schermo sul quale il lanciatore aveva appena effettuato il proprio tiro.
Era meglio prenderla alla larga, farlo rilassare. Solo allora avrebbe potuto svelare il vero motivo per cui era li ed affrontarlo. Vide Martin chiudere la porta di casa e rimanere in piedi, mentre lo scrutava cauto.
- Macché! – rispose scuotendo la testa – Ho perso il conto degli inning che hanno perso! E dire che ho pure scommesso su di loro!- .
Danny sorrise divertito da quella piccola protesta. Poi riacquistò un’espressione seria con una velocità così inaspettata da lasciare sorpreso l’amico.
- Come stai Martin?- gli chiese con un’intensità tale che la sua voce vibrò a lungo nel silenzio della stanza.
- In che senso?- ribatté l’interpellato ritraendosi all'istante sulla difensiva, rifiutandosi di affrontare in qualsiasi modo l’argomento.
- Come ‘in che senso’? Rispondi!- gli ordinò in tono perentorio.
- Sto bene!- rispose evasivo, distogliendo lo sguardo da quello nero dell’amico.
Danny corrugò lo sguardo ed avanzò di un passo verso il divano.
- Ma davvero?! – prima che Martin potesse fermarlo prese un tubetto trasparente di plastica arancione pieno di pillole dal tavolinetto – E questo cos’è?- chiese ancora mostrandoglielo.
- Non sono affari tuoi!- liquidò la questione tornando per un attimo a guardarlo negli occhi.
Danny avvertì una morsa gelida stringergli lo stomaco quando incrociò quelle iridi di un grigio cupo, malato. Dov’erano finiti quegli occhi di quell’incredibile azzurro? Dov’era andato a perdersi quell’azzurro pulito e liquido, simile ad acqua marina? Deglutì cercando di riprendere il controllo di sé: avrebbe potuto mandare tutto a monte se non fosse riuscito a controllarsi.
- Si che sono affari miei! Soprattutto se rischio di prendermi una pallottola a causa tua!- non appena terminò la frase comprese di aver detto la cosa sbagliata.
Martin arretrò sia fisicamente che psicologicamente, chiudendosi a riccio su se stesso. Non sarebbe più stato disposto ad ascoltarlo dopo essere stato messo davanti ai suoi sbagli in maniera così brusca e diretta.
- Vattene!- gli ringhiò, infatti, contro indicando la porta.
Danny scosse la testa, fermamente deciso a non lasciar perdere.
- Hai bisogno d’aiuto Martin, davi curarti! Posso indicarti dei gruppi che…- .
- Non ho bisogno d’aiuto! Sto bene! Fuori di qui!- urlò fuori di sé.
- Non me ne vado! Non finché non guarderai in faccia la realtà! – urlò ancora più forte Danny fronteggiandolo – Ma ti sei visto? Sei sempre più trascurato, irascibile ed instabile. Quella roba ti sta distruggendo e tu non stai facendo nulla per impedirlo, anzi!- .
- Sto bene!- ripeté Martin con un tono appena meno convinto di prima, indietreggiando inconsciamente come se avesse paura di Danny e di quello che stava dicendo.
- Non è vero e lo sai benissimo! Non puoi uscirne da solo, hai bisogno d’aiuto! Ascoltami!- e gli tese una mano.
Martin indietreggiò ancora, ma la sua convinzione stava lentamente sgretolandosi. In piedi davanti a lui, deciso come solo lui sapeva essere, arrabbiato e bellissimo, c’era la causa principale di tutti i suoi problemi. E gli stava porgendo il proprio aiuto per venire fuori da quel baratro in cui era caduto per dimenticarlo.
Già! Per dimenticare quegli occhi neri dalle sfumature dolci ed irriverenti che tormentavano le sue notti. Per dimenticare che non era suo e mai lo sarebbe stato.
Per dimenticare quel sentimento improvviso, troppo vasto e complicato per non fare paura, troppo importante per poter essere dimenticato.
Quando Martin aveva compreso cosa provasse veramente per il suo amico aveva fatto la scelta sbagliata, troppo spaventato era scappato, rannicchiandosi su se stesso, facendo di tutto per negare l’evidenza, infrangendosi in mille schegge incandescenti quando lo aveva perduto.
Lui non era mai stato una persona decisa, la forte personalità del padre aveva avuto come unico risultato la sua grande fragilità. Era stato fin troppo facile allora rifugiarsi nel mondo illusorio delle droghe, dopo la paura della morte, di dover rischiare ancora la vita… dopo l’agonia di saperlo tra le braccia di Elena. Un sollievo momentaneo era sempre meglio di quell’immenso dolore che lo rosicchiava lentamente, giorno dopo giorno.
Ed adesso Danny era li, davanti a lui, solo per lui. Sarebbe stato in grado di afferrare quella mano tesagli senza bruciarsi?
- Hai bisogno di un motivo per andare avanti, che ti spinga a vivere anche senza droga.- insistette Danny avanzando ancora di qualche passo.
Era come convincere un gatto randagio bagnato di pioggia ed infreddolito, appena raccolto per strada ad accettare il cibo che gli veniva offerto, a fidarsi di lui.
- E quale sarebbe questo motivo?- chiese Martin sarcastico.
E Danny a quella domanda lasciò da parte la razionalità, dando campo libero al puro istinto.
Con uno scatto fulmineo si avvento sull’amico, afferrandolo per le braccia e spingendolo contro il muro con il proprio corpo. Martin preso alla sprovvista non ebbe tempo di reagire, comprese solo alla fine di quella manovra quanto era accaduto, avvertendo il calore del corpo dell’altro sciogliere i propri muscoli ed ossa.
- Sono io!- esclamò Danny.
Martin non ebbe tempo di schiudere le labbra che la bocca dell’amico era sulla propria. Danny in quel leggero contatto avvertì tutta la sua sorpresa, ma presto Martin gli strinse il volto tra le mani tirandolo verso di sé e schiuse le proprie labbra. All’inizio fu un bacio nervoso, pieno di tutte quelle parole non dette tra loro e di tutto il dolore provato nello stare lontano dall’altro. Ma poi, lentamente, si trasformò in un contatto lento e calmo, in cui si assaggiarono a vicenda come se avessero tutto il tempo che volevano a disposizione.
Non sapeva perché lo stesse baciando, non riusciva a capire nemmeno se era reale oppure un frutto della sua mente frustrata ed eccitata dai farmaci…
… L’unica cosa che sapeva era che voleva afferrare quell’attimo prima che sparisse, gustare quel contatto fino in fondo prima di scoprire che non era reale, sentirlo per una volta proprio senza doverlo dividere con qualcun altro. Annegare e perdersi in esso prima di tornare alla realtà.
Danny poggiò la propria fronte contro quella di Martin rincorrendo il respiro spezzato e fissandolo con occhi lucidi sotto le palpebre socchiuse. Era una visione semplicemente devastante con quell’espressione persa sul volto arrossato. Portò una mano sulla sua guancia carezzando con il pollice lo zigomo, sentendo la pelle calda contro il polpastrello. Sfiorò ancora le sue labbra con un bacio leggero, prima di scendere a ridisegnargli il collo con baci brevi e leggeri, che fecero increspare la sua pelle di piccoli brividi.
Martin intrecciò le dita ai corti capelli di Danny sentendo la propria coscienza defluire ogni volta che quelle labbra lo sfioravano. Quasi non si accorse delle dita dell’altro che gli avevano sfilato la camicia dai pantaloni ed ora stavano togliendo rapidamente i bottoni dalle asole, mentre la sua bocca stava stuzzicando la fossetta dello sterno. Inspirò bruscamente quando sentì le mani fresche di Danny su di sé, scivolare in carezze leggere come piume sulla sua pelle, esplorandolo accuratamente ogni centimetro di lui, dalle spalle ai fianchi.
- D… Danny…- il suo nome era rotolato dalle labbra di Martin come un sospiro basso e lascivo che era scivolato su di lui come metallo arroventato.
Il corpo di Danny reagì immediatamente ed una vampata incandescente lo sommerse mozzandogli il fiato nei polmoni. Quando scese con la bocca sul torace di Martin, fece scivolare le braccia dietro la sua schiena, facendola leggermente inarcare verso di sé, aprendo bene i palmi delle mani per accarezzare quanta più pelle possibile. Muovendosi alla cieca le mani di Martin scesero fino ai bordi della sua camicia e gliela sfilarono in un gesto brusco ed impaziente, senza nemmeno slacciarla prima.
A Danny sembrava di suonare uno strumento perfettamente accordato che, a seconda della zona lambita e dall’intensità del tocco, emetteva suoni ora limpidi e cristallini, ora bassi e densi. Ognuno di quei toni si scioglieva bollente dentro di lui, incendiando ogni sua cellula. Come faceva? Come riusciva a distruggere la sua razionalità ed eccitarlo in quel modo senza fare nulla?
Risollevò il volto fino a portarsi all’altezza dell’altro, scivolando con le labbra lungo la mandibola fino a raggiungere il suo orecchio.
- La… camera da… letto… ?- chiese a fatica, sfiorandogli la pelle con le labbra.
Quel respiro caldo era scivolato fin dentro il suo cervello ed era stato come venire sottoposti ad un elettrochoc. Martin a fatica riuscì ad indicare la porta che conduceva alla stanza accanto con un cenno della testa. Danny sorrise soddisfatto vedendo lo stato in cui l’amico si trovava, prima di spingerlo verso la direzione indicatagli. Non voleva che la loro prima volta insieme fosse su uno scomodo divano o contro uno squallido muro, voleva concedersi tutto il tempo necessario e riempirsi la mente e l’anima di lui. Quel corpo forte e delicato allo stesso tempo contro il proprio lo stava facendo impazzire, sentiva la propria regione scivolare via sempre più velocemente. Martin non si rendeva nemmeno conto di quanto devastante fosse l’effetto che aveva su di lui quando cercava le sue labbra in quel modo disperato, come se fosse l’ultima volta, quando si aggrappava forte alle sue spalle facendo aderire completamente i loro corpi, come se fosse l’unico appiglio per non perdersi nel mare di quel piacere folle.
Quando toccò la sponda del letto con i polpacci, Martin si sedette trascinando con sé Danny, senza mai allontanarsi dalle sue labbra. L’amico si sedette a cavalcioni delle sue gambe stringendogli i fianchi con le ginocchia e le spalle con le braccia, gioendo dei brividi che sfrigolavano sulle loro epidermidi al contatto dei loro toraci nudi.
Danny sentiva le sue mani scivolare un po’ insicure sulla sua schiena, come se temesse di toccarlo. Sorrise nel bacio mentre si spingeva sempre più contro di lui, cercando il corpo dell’altro con il proprio in tante languide carezze tentatrici.
- Toccami Martin!- sussurrò seducente sulle sue labbra.
Un lampo sfrecciò nei suoi occhi blu cupo a quella provocazione, così intenso che Danny avvertì la propria pelle incendiarsi in risposta. Le mani di Martin gli circondarono il collo per tirarselo contro e baciarlo in un modo che non aveva nulla di dolce. Stringendo Danny per le spalle ed i fianchi, si volse di lato, distendendolo supino sul letto e stendendosi su di lui, riprendendo a baciarlo mentre le sue mani carezzavano quanta più pelle possibile. Quell’invito di Danny aveva distrutto tutte le deboli barriere cui cercava di aggrapparsi la propria razionalità, ormai non sarebbe mai più riuscito a tornare indietro.
Percorreva quel corpo tanto bramato disegnando arabeschi immaginari con le dita e le labbra, riempiendosi la bocca del sapore forte di quella pelle brunita. Nemmeno i suoi sogni più arditi potevano competere con quella realtà, con la vista di Danny completamente abbandonato tra le sue braccia. Le sensazioni che stava provando in quel momento erano così intense da stordirlo. Aveva desiderato tante volte arrivare a quel momento che ora che c’era faticava a crederci. Troppe erano state le notti in cui si era rigirato tra le coperte a desiderarlo, per poter credere che fosse davvero li con lui, nonostante il suo corpo ed i suoi sensi gli urlassero il contrario. Gli sembrava una splendida, impossibile illusione quella di avere Danny in quel modo, destinata a sciogliersi ed a svanire alle prime luci dell’alba, lasciandogli in bocca il sapore amaro di un sogno terminato ed irripetibile.
Le mani di Danny scesero lungo la sua schiena fino a stringergli le natiche tra le mani, facendolo gemere di sorpresa ed inarcarsi. Le dita scivolarono poi lungo la cintura dei pantaloni per poi slacciarli. Martin ancheggiò sentendo quelle dita infilarsi sotto la stoffa dei boxer e toccarlo direttamente sulla pelle. Danny allungò il volto per baciarlo ancora e si sollevò a sedere a mezzobusto, afferrandogli i fianchi e ribaltando le loro posizioni. Inginocchiato sul materasso al suo fianco, le sue mani gli abbassarono gli ultimi indumenti fino a sfilarli, accarezzando quanta più pelle possibile di quelle gambe lunghe ed allenate, lasciandolo completamente nudo davanti a sé. Respirando a fondo per calmarsi e rallentare un po’ il ritmo, si concesse di guardarlo.
Martin era anche meglio di quello che avesse immaginato: il suo corpo era allenato, con i muscoli ben definiti, ma restava ugualmente sottile, quasi delicato. Lo percorse a lungo con lo sguardo, appropriandosi di ogni centimetro di quel corpo perfetto. Sollevò la mano ed in punta di dita iniziò a percorrere la sua pelle, in tocchi che tormentavano ma non appagavano, facendolo sospirare ed inarcarsi in cerca di un contatto più pieno.
Una mano di Martin gli afferrò il fianco sinistro e lo tirò verso di sé, facendolo distendere su di sé, baciandolo. Sospirò appagato nel risentire il corpo del compagno su di sé. Danny soffocò un gemito sentendo le mani sottili e forti dell’altro percorrere la sua schiena nuda, mentre aveva ripreso ad accarezzare il suo corpo con il proprio; la sua lucidità stava velocemente sfumando, lasciando solo il desiderio feroce che provava per l’altro. Voleva Martin con una fame che non aveva mai sperimentato con nessun’altra, c’era qualcosa in lui che lo spingeva a cercarlo ancora ed ancora, mai sazio di lui. Era come se tutto il desiderio che aveva provato per lui in tutti quegli anni, si fosse svegliato iniziando a vorticare violentemente dentro di lui, senza lasciare spazio a nient’altro. Sapeva per istinto che da quel momento in poi non sarebbe mai più riuscito a fare a meno di lui.
Rabbrividì quando avvertì le mani di Martin infilarsi sotto la stoffa dei pantaloni dopo averli sbottonati, per poi abbassarli insieme ai boxer. Sentì qualcosa esplodere dentro di sé quando, finalmente nudo, si strinse a Martin: la sua pelle era morbida e liscia, nonostante i muscoli definiti, un vero piacere per il tatto. Percorse il suo corpo con le dita e con la bocca, lasciando numerosi segni rossi sulla sua epidermide candida, riempiendosi i polmoni del suo odore che sembrava diventare più intenso man mano che la pelle si arroventava. I movimenti che il corpo di Martin compiva in risposta alle sue carezze erano quanto di più stuzzicante avesse mai visto.
Danny si sollevò sulle ginocchia guardandolo dall’alto, beandosi del suo corpo completamente abbandonato sotto di lui. Seguì con lo sguardo la corsa di una goccia di sudore lungo il suo collo fino a fermarsi nella fossetta dello sterno, quindi si chinò per raccoglierla con le labbra facendolo mugolare.
Le mani di Martin risalirono dalle spalle lungo il collo e fino al volto, sollevandolo poi per portarlo all’altezza del proprio. Danny scrutò a fondo per qualche istante le iridi del compagno, trovandole di un azzurro intenso e brillante, che divorava la ragione e vorticava impetuoso sotto la spinta violenta di troppi sentimenti, ma così dannatamente decisi mentre incrociavano il nero senza fondo delle sue iridi.
Spinse la sua bocca su quella di Martin, cercando di distrarre se stesso e l’altro con un bacio, mentre entrava dentro di lui. Sentì il corpo dell’altro irrigidirsi contro il proprio mentre le labbra si tendevano sopra i denti digrignati. Danny allontanò appena il proprio viso da quello di Martin, osservando il dolore invaderlo, tendere i suoi tratti, soffocare quel piacere in cui era riuscito ad avvolgerlo fino a quel momento.
Lottando contro il piacere che lo stava sommergendo e ubriacando, rimase perfettamente immobile, dando all’altro il tempo di allontanare da sé il dolore. Con le mani accarezzò il suo corpo, scivolando verso il basso e risalendo fino al volto. Senza fare movimenti troppo bruschi si abbassò fino a raggiungere l’orecchio di Martin con la propria bocca.
- Ti amo Martin! L’ultima cosa che vorrei è farti del male… cerca di rilassarti, per favore!- gli sussurrò con un tono basso e roco.
Martin sussultò sorpreso nell’udire una simile confessione, mai avrebbe creduto di poter udire quelle labbra rosse pronunciare simili parole per lui. Fu come se qualcuno avesse acceso una fiamma in una stanza buia, come se a quella luce le ombre retrocedessero fino a scomparire. Come se in quel momento tutto assumesse un senso. Cercò di fare come gli veniva detto e, respirando profondamente, riportò lo sguardo nel suo in cerca di un appiglio. Cercò di spostare la propria attenzione su altre sensazioni che in quel momento stavano solleticando i suoi centri nervosi, non così intensa da superare il dolore. Si concentrò sull’odore stranamente caldo di Danny… la sensazione della sua pelle che sfregava sulla propria… le piccole onde di piacere che gli increspavano l’anima sentendo le sue dita percorrere il proprio corpo… la forte sensazione di sicurezza e fiducia che gli dava il suo corpo disteso sul proprio…
Si concentrò sulla sensazione incandescente del corpo di Danny nel proprio.
Una scintilla di piacere sfrigolò dentro di lui e Martin l’agguantò con ambo le mani, affidandosi completamente ad essa. Ancheggiò invitante e Danny iniziò a muoversi dentro di lui, scavando come se volesse raggiungere la sua anima, trascinandolo in una danza frenetica. Voleva imprigionarlo in una rete di piacere, fare in modo che non potesse nemmeno più pensare di poter vivere senza di lui. Voleva sostituirsi a quelle pillole che lo stavano portando irrimediabilmente via. Voleva condurlo ad una dipendenza meno dannosa, ma decisamente più intensa. Voleva essere quel bisogno elementare di cui Martin non avrebbe mai potuto fare a meno.
Distesi sul letto, l’uno fra le braccia dell’altro, cercavano di calmare il battito dei loro cuori e di rincorrere il respiro spezzato tra le labbra. Nessuno dei due riusciva ancora a credere che fosse accaduto realmente, che l’altro non era più un sogno, una chimera inafferrabile partorita dalle loro menti frustrate, ma che era davvero li. Non riuscivano a credere di aver finalmente raggiunto l’altro.
Danny sollevò una mano, percorrendo la schiena del suo compagno dalla nuca al bacino e viceversa con delicate carezze. Martin brontolò compiaciuto, per poi ricambiare con un bacio sul collo. Sollevò la testa quel tanto che gli permettesse di incrociare le iridi nere dell’altro, sorrise di rimando incrociando il suo sorriso mentre ridisegnava con la punta delle dita i tratti forti del suo volto.
- Ti amo!- sussurrò sulle sue labbra Martin.
Danny osservò attentamente l’imbarazzo che gli colorava il volto dandogli una deliziosa aria da cucciolo smarrito, sentendo il desiderio montare nuovamente dentro di lui, e gli pose una mano sul retro del collo tirandolo verso di sé, cercando subito le labbra dell’altro con le proprie.
Improvvisamente, dopo troppo tempo, si sentiva bene! Come se avesse finalmente raggiunto il fine ultimo della sua esistenza, come se Martin fosse l’ultimo pezzo mancante perché lui fosse davvero completo.
Come aveva fatto ad andare avanti fino a quel momento senza di lui?

Guardò l’ora per l’ennesima volta per poi spostare lo sguardo sulla porta chiusa alle sue spalle. L’incontro era iniziato già da molto eppure Martin non era ancora arrivato. Prima di uscire dall’ufficio gli aveva promesso che sarebbe venuto. Quello era il primo passo nella lotta alla sua dipendenza, era troppo importante perché potesse mancare. Una strana corrente elettrica gli riempiva il corpo rendendolo ansioso.
Anche se erano passati pochi minuti, controllò nuovamente l’ora, e questa volta sentì distintamente la porta aprirsi. Si voltò e vide Martin in piedi che si guardava intorno spaesato, come se si stesse ancora chiedendo cosa ci facesse lui li dentro. Indossava una tuta grigia con un berretto, come se volesse mantenere l’anonimato, come se non volesse far conoscere agli altri la propria identità. Presto sarebbe stato troppo occupato con la propria riabilitazione e simili, stupide preoccupazioni non l’avrebbero più sfiorato.
Un lampo illuminò gli occhi grigi di Martin quando scorse Danny e sollevò timidamente la mano per salutarlo. Il compagno rispose con un cenno della testa prima di scostare il giornale con cui aveva occupato la sedia accanto alla propria. Martin inspirò profondamente prima di raggiungerlo. Stranamente appena si sedette accanto a Danny ogni segno di ansia lo abbandonò. Guardò il profilo teso dell’altro e si sentì subito meglio. Con un piccolo sorriso spostò lo sguardo sulla donna che stava parlando ed una mano forte strinse la sua in una presa rassicurante. Sorrise e ricambiò la stretta intrecciando le proprie dita a quelle di Danny. Con quel gesto del tutto inaspettato era come se voleva trasmettergli tutto il proprio sostegno.
Danny era al suo fianco e non lo avrebbe abbandonato.