NOTE:
non l’avevo in programma, anche perché è ambientata nel 2014, al
mondiale del Brasile, dove l’Argentina è arrivata in finale contro la
Germania, ma ha perso. Nella cerimonia conclusiva Leo non è andato a
ritirare il premio come miglior giocatore del torneo. Ho visto stanotte
dei video kunessi e c’erano in particolare delle scene tratte dal
mondiale, dove Kun piangeva dolorosamente, le sue lacrime mi hanno
straziato. Ho sempre notato durante quell’anno un’aria strana fra lui e
Leo e vedendo il bel rapporto che nasceva fra Leo e Neymar, ho pensato
che le cose fossero legate. E poi stanotte mi è nata spontanea sta fic.
In realtà durante il mondiale i due hanno amoreggiato molto
dolcissimamente, però prima del mondiale, durante l’anno, avevo notato
un po’ di maretta fra i due, magari non l’hanno risolta solo in finale,
magari un po’ prima, però la fic mi è nata così e così rimane. Se la
riscrivessi farei un po' diversamente la cronologia e la locazione
degli eventi, perchè nel 2014 ho notato problemi in paradiso che al
mondiale non c'erano, ma che sono riapparsi un po' a singhiozzi durante
il 2015 e che poi sono spariti di nuovo durante la coppa America... per
cui se dovessi riscriverla con la mia consueta precisione tempistica,
la farei diversamente, ma questa rimane così, sono piuttosto convinta
che questo che ho scritto sia successo, forse non quando ho scritto
qua, però è successo, non ho dubbi. Comunque… buon principio a tutti,
perché a volte le cose non sono davvero finite come sembrano!
Buona lettura.
Baci Akane
PS: se volete qua c'è un album dedicato a loro...
COSA C’ERA DI SOPPORTABILE IN QUELLO
Leo sospirò guardando il suo volto rivolto verso il basso, stava giocando con le proprie mani strette in grembo:
- Non sto con lui, perché non mi credi? - Chiese con una punta di disperazione nella voce.
Kun scosse il capo continuando a fissarsele, poi con una piega amara della bocca disse piatto:
- Perché no. Sei diverso da quando
c’è lui. - Leo sentiva le lacrime pronte ad uscire, ma fece un enorme
sforzo per non farle uscire. Era una conversazione che ultimamente
avevano spesso, sfociante in litigi e lunghi silenzi.
- In che modo? -
- Ma dai, si vede… a partire dai
tatuaggi! Non sono una cosa da te! Non mi piacciono, non ti stanno
bene! Ti ha convinto lui a farteli, vero? - Leo non rispose e cercò
qualcosa da ribattere.
- Non ti piaccio più? E’ questo? E
cerchi scuse con cui scaricarmi per farlo sembrare colpa mia? - Non
voleva che fosse così, sperava non fosse così e l’idea di non piacergli
più l’attanagliava da sempre.
Aveva sempre creduto di non essere
piacevole come persona, non certo bello e nemmeno ammaliante e dal
carattere brillante. Anzi, molto insicuro, estremamente insicuro. Da
morire.
Kun era così, non lui.
L’altro si alzò in piedi con un gesto secco e lo fissò torvo, offeso per quel che insinuava.
- Non è così e lo sai! Mi piaci e
mi sei sempre piaciuto e mi piacerai! Dico solo che ti ha cambiato! E
che certe cose non mi piacciono! Ma non sono queste il problema vero! -
Leo non aveva la forza di alzarsi, le sue gambe non l’avrebbero retto.
Le sentiva molli. Lo fissò da seduto con aria implorante e contrariata:
- E cos’è allora? - Kun sospirò
ancora e scosse nuovamente il capo per la millesima volta, poi lasciò
le braccia lungo i fianchi, come se si arrendesse:
- Semplicemente a te piace più lui di me! -
Con questo fece per andarsene, ma
Leo tentò un ultimo disperato tentativo, proteso sul divanetto in cui
erano rimasti a parlare prima di andare a dormire:
- Non sto con lui! - Kun si fermò e scrollò le spalle, poi si girò a metà e lo guardò serio.
- Non importa. Tu lo vorresti. -
Dopo di che se ne andò in camera, lasciando Leo solo nella penombra
della sala relax del centro sportivo, che ospitava la nazionale
argentina ad ogni sessione.
Rimase piantato lì perché le gambe
ancora non l’avrebbero retto e si diede dell’imbecille per non avere la
forza di corrergli dietro e fargli capire con rabbia che si sbagliava,
che non era vero! Che cambiare non significava amare qualcun altro e
che quel che provava per lui non poteva essere spento in nessun modo,
da nessuno.
Ma non ce la faceva, non ce la
faceva proprio ed era quello che aveva sempre odiato di sé. La mancanza
di carattere, lui si vedeva così. L’incapacità di reagire con
cattiveria e decisione alle cose, il lasciar fare, lasciar andare… non
era nel suo carattere puntare i piedi e fare casino, non ci riusciva.
Al contrario di Kun che decideva tutto da solo e non cambiava idea
nemmeno morto, che faceva peste e corna per ottenere quel che voleva. E
che poi era capace di mollare per delle convinzioni completamente
sbagliate.
Leo si piegò in avanti, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e sospirando insofferente si coprì il viso con le mani piangendo.
E non voleva farlo davanti a lui
per non sembrare schifosamente debole, come sicuramente a Kun non
piaceva che fosse. Perché sapeva che le sue lacrime erano il suo punto
debole, che lui le odiava, lo facevano sempre sentire in colpa, erano
un ricatto, diceva. Un ricatto morale per farlo cedere.
Non voleva che si sentisse sotto ricatto. Voleva che capisse che si sbagliava, ma non perché piangeva.
Ma non sapeva proprio come fare, non ne aveva idea.
- Senti, a volte semplicemente
succede… - Disse esasperato Kun cercando di apparire forte e sicuro,
come uno che aveva affrontato e superato la cosa e che stava bene. Leo
lo fissò serio, penetrante.
- Succede? - Chiese amareggiato.
- Sì… ci si ama per anni e poi le
cose evolvono in un certo modo, l’amore si spegne, si ama altri, si va
avanti… è così e basta… - Kun lo diceva sforzandosi di essere
convincente, ma Leo lo conosceva sin da quando erano piccoli, sapeva
quando era vero e quando non lo era.
Si morse il labbro.
- Non credi nemmeno tu a quel che stai dicendo. - Fece Leo allora stizzito, avanzando verso l’uscita del campo.
- Invece sì! E smettila di giocare
male perché pensi a noi e a come ricucire! Semplicemente è andata così!
Smettila di pensare a noi! Gioca libero da questa cosa! Piantala! -
Brontolò stizzito aumentando l’andatura verso gli spogliatoi, la gente
intorno parlava della partita appena giocata, un via vai caotico da
sottofondo.
Leo rimase a guardarlo con aria turbata, come poteva dire così?
- Non sono un interruttore che si
spegne! E tu dovresti solo credermi, una buona volta! - Leo sbottò
forse per la prima volta e Kun lo fissò stupito rallentando e
guardandolo, ma non si fermarono, continuarono a procedere con la loro
andatura, persi nel loro mondo dove qualcosa chiaramente non andava.
- E tu dovresti essere onesto con
te stesso per primo e me dopo1 Ti conosco meglio di come,
evidentemente, ti conosci tu! E’ finita ma non hai il coraggio di
ammetterlo! E questo ti fa giocare di merda quando siamo in nazionale!
Perché pensi a me e a come convincermi di una cosa che non è come dici
tu! - Leo sospirò sfinito dell’ennesima conversazione finita in quel
modo.
Non cambiava idea, sembrava non
avere il potere di fargliela cambiare, forse non era ancora nato quello
capace di farlo desistere. Quando si metteva in testa una cosa, non si
smuoveva.
Ricordava una conversazione avuta sul solito argomento.
‘Vieni nella mia squadra’
‘No vieni tu nella mia’
‘No non lascerò mai l’Inghilterra!’
‘Perchè?’
‘Lo sai perchè. Vieni tu da me!’
‘Sai perché non posso.’
‘Puoi fare quello che vuoi.’
Leo non replicò, una volta svoltato
l’angolo furono nello spogliatoio in mezzo ad altri compagni e non fu
più il luogo di parlarne.
“Lui non vuole giocare con me
perché non vuole stare alla mia ombra. Vuole avere una sua identità,
essere lui uno degli attaccanti migliori di una squadra sua. Se gioca
con me sarebbe solo il mio compagno. Perché è così che funziona…”
Ne avevano parlato spesso, per cui
lo sapeva. Mentre Leo non poteva andare via da Barcellona perché
l’avevano curato, non se ne sarebbe mai andato.
“E quando dice di venire io da lui, non lo dice sul serio. Non vorrebbe che gli rubassi la squadra. Finirebbe così.”
A Kun piaceva giocare con Leo, lo
sapeva, ma non sempre. In nazionale era sufficiente. Da un lato gli
mancava, lo voleva poter vedere ogni giorno, dall’altro non poteva. Non
voleva. Doveva avere la sua strada distinta come calciatore e lo
capiva, aveva ragione, anche se egoisticamente avrebbe dato qualunque
cosa per averlo con sé a Barcellona. Qualunque.
“Se fosse venuto non avremmo mai
avuto questi problemi! Se al posto di Neymar fosse venuto lui ora
staremmo insieme e saremmo felicissimi!”
Eppure le cose a volte andavano nella direzione opposta e contraria, ostinatamente.
Forse le lacrime prima o poi finivano. Forse il dolore prima o poi si affievoliva.
Ma era così difficile, così difficile crederlo sul serio…
Perdere così ad un passo, un solo passo dal sogno di una vita, il sogno più grande rimasto, quello più importante.
E perdere.
Cosa rimaneva, poi?
Come si affrontava un dolore simile?
Forse stupido rispetto alle cose
che davvero contavano nella vita, però ora era lì e lo stava vivendo e
si sentiva inconsolabile, pieno, al colmo di ogni esasperazione.
Tanto che aveva rifiutato il premio
come miglior giocatore del torneo, perché non era vero che era stato
lui il migliore, il migliore era stato Neuer e lo sapevano tutti.
Darlo a lui era stata una presa in giro e se di norma era in grado di sopportare queste stupidaggini, ora no. Ora non poteva.
Non lo meritava e oltretutto aveva perso il suo grande sogno.
E stava così male da non poterne più.
Aveva vissuto quel torneo con fatica, cercando di farsi forza.
Perché sapeva che se si arenava come le altre volte al rapporto con Kun, non ne sarebbe uscito vivo.
Allora aveva cercato di farsene una
ragione e accettare che davvero non voleva più stare con lui. Avevano
cercato entrambi di creare un nuovo rapporto, sopportabile, che potesse
funzionare.
Parlavano, ma non era come prima. Si allenavano insieme, ma non era la stessa cosa di sempre.
E si guardavano come chi ne aveva passate troppe, insieme, per far finta di nulla.
Ma si erano impegnati a farla
funzionare per ottenere quel grande sogno, il grande sogno di entrambi,
uguale allo stesso modo per tutti e due.
Ora era tutto finito, tutto andato.
Ma cosa c’era di sopportabile in tutto quello, ora?
Aveva sperato che vincere il
mondiale, ottenere il loro grande sogno, avesse in qualche modo rimesso
tutto a posto fra loro, che la sopportazione sarebbe valsa la pena,
alla fine.
Ma non era andata così, perché
avevano perso la finale del mondiale, avevano perso il grande sogno e
non ce la faceva a stargli vicino e vederlo piangere in quel modo.
Le sue lacrime lo ferivano e forse in modo più profondo e grave di quella coppa alzata dalla Germania.
Cosa c’era di sopportabile in tutto quello?
Le sue lacrime stavano scendendo
copiose per colpa sua, perché non era riuscito a fare quello che faceva
sempre, quello che il mondo si era aspettato, vincere la partita,
segnare un goal. Un solo goal.
E non l’aveva fatto.
Ed ora Kun piangeva e lui non
poteva sopportarlo. Perché le sue lacrime erano la cosa peggiore che
avesse mai visto, peggio di qualunque altra cosa che gli fosse mai
capitata a livello calcistico e forse anche personale.
Non aveva nome il modo in cui lo facevano sentire. Perché era strano, diverso, non sapeva dire…
Kun non aveva mai pianto in vita
sua, aveva sempre e solo sorriso o inveito o fatto il pazzo. Era sempre
stato una persona forte, decisa, positiva e ottimista. Non aveva mai
pianto, mai.
Ed ora la sua luce era offuscata per colpa sua.
Le sue lacrime non le poteva superare.
Quello fu per Leo il culmine della sua sopportazione.
Quando Kun vide che Leo non andava
a prendere il premio del torneo come miglior giocatore del mondiale,
rimase sconvolto. Sapeva che pensava di non meritarlo, ma non si
sarebbe mai rifiutato di andare a ritirarlo. Mai.
Da quello capì che stava male e che
il suo famoso limite era superato di gran lunga. Non l’aveva mai visto
in atteggiamenti non convenzionali, mai, nonostante sapesse che non era
spesso d’accordo con certe scelte. Però sottostava perché era così,
lui. Non faceva casino, non si faceva notare.
Quel giorno non aveva nemmeno
pianto, mai. Alla sconfitta finale, alla premiazione, nulla. Mai una
lacrima, cosa che si sarebbe aspettato perché emotivo.
Invece non era andato a prendere il suo premio.
“Spero solo che non si butti sotto una macchina, ora!”
Pensò turbato cercando di sdrammatizzare da solo.
Poi ci rimase a rifletterci per
tutto il tempo dell’insopportabile cerimonia conclusiva e scuotendo il
capo, sgusciò via andando a cercarlo.
Sapeva che non era una buona idea,
ma mentre gli altri erano fuori ad aspettare le consuete cerimonie
insopportabili, era il momento di andare a vedere che fosse vivo.
Forse esagerava come sempre, ma la frenesia di vedere come stava era più forte di qualunque altra cosa.
Solo perché si lasciavano, non significava che non gli importasse più.
Kun amava ancora Leo e l’avrebbe sempre amato.
Vide che negli spogliatoi non c’era
e chiese ad un responsabile della nazionale dove fosse, questi gli
disse che si era fatto portare in albergo senza farlo notare a nessuno.
Così imprecando si preparò in
fretta e furia anche lui e chiese se poteva essere accompagnato anche
lui, ma il responsabile disse che ormai era questione di poco tempo e
anche la squadra li avrebbe raggiunti. Così non ebbe scelta che
aspettare. Cercò di chiamarlo, ma il suo telefono era prevedibilmente
spento.
Per tutto il tempo si sentì caricare di un’assurda paura.
“Certo che non si uccide, che
cazzo! Però sta male, sta così male da pestare le regole, non è da lui!
Sta troppo male, non può viverlo da solo! Si starà addossando tutte le
colpe!”
Finalmente raggiunse l’albergo con
gli altri dove avrebbero radunato le proprie cose e aspettato l’orario
del volo di ritorno in patria, da cui poi ognuno sarebbe partito per le
meritate vacanze.
Kun appena messo piede giù, corse
veloce alle camere e senza pensarci un attimo, bussò prepotentemente
alla porta di Leo, dimenticandosi di ogni precedente e scelta recente.
Bussò facendo il casino che aveva sempre fatto quando doveva andare da lui.
Leo poco dopo aprì con aria infastidita, poi lo vide incredulo e si fermò senza il coraggio di dire nulla.
Appena i loro occhi si
incontrarono, nell’esatto istante in cui furono uno davanti all’altro,
quelli di Leo si riempirono di lacrime, quelle lacrime che non era
stato capace di versare fino a quel momento e che invece avevano
oscurato la luce di Kun.
Questi trattenne il fiato sotto shock, così espressivo come sempre.
Le lacrime scesero dagli occhi di
Leo, sulle sue guance, e mentre scuoteva la testa nel panico dicendo un
’no’ non identificato, gli diede le spalle iniziando a camminare per la
stanza, nella speranza che se ne andasse e che smettesse di piangere.
Ma non smise di piangere E Kun non se ne andò.
La porta si chiuse, silenzio.
Infine due braccia l’avvolsero da dietro fermando la sua camminata
nervosa. Per un momento il pianto. Per un momento il tempo.
Ancora silenzio.
- Non devi, non sei tenuto. -
- Lo so. - Mormorò sul suo orecchio, tenendolo stretto a sé in quel modo. Leo strinse gli occhi.
- Non stiamo più insieme, sei stato
chiaro, l’ho accettato. Non devi farlo. - La sua voce tremava perché le
lacrime tornarono a scendere, incapaci di smettere.
- Lo so. - Replicò Kun, calmo e fermo, senza allentare un momento.
- Allora perché lo fai? - Chiese fra i singhiozzi, girando la testa a metà verso di lui, senza poterlo vedere in viso.
- Perché non sopporto che tu stia così male da solo. - Sussurrò delicato.
- Ma è colpa mia, lo sanno tutti. - Kun scosse il capo.
- Non è colpa di nessuno. E’ andata così! -
Leo si girò di scatto fra le sue braccia, in un moto di rabbia.
- Sì che è colpa mia invece! Ti ho
fatto piangere io! Non avevi mai pianto! - Kun capì quanto dovesse
amarlo per arrivare a dire cose del genere e stare tanto male per
quello.
Allentò la presa e una volta a tu
per tu, uno davanti all’altro, gli mise le mani sulle braccia e lo
tenne fermo. Poi risalì e gli prese il viso fra le mani. Fermo. Serio.
- Leo, ascoltami. - Disse deciso.
Leo, il viso stravolto, sofferente, pieno di un pianto impossibile da
fermare, un pianto che liberava mesi e mesi di dolori repressi per la
loro situazione che non era stato capace di risolvere. - Non è colpa
tua. Siamo stati 11 giocatori incapaci di vincere una partita contro la
squadra più forte del mondo. E’ andata così. Basta. Non devi addossarti
le mie lacrime! Io vivo tutto al massimo, ho pianto per questo. - Leo
scosse il capo inconsolabile.
- Ma per colpa mia. Io sono quello
che vince i palloni d’oro, mi chiamano il giocatore più forte della
storia del calcio e non sono stato capace di fare un goal per far
vincere la mia squadra! Vinco Champions League e campionati spagnoli e
non sono capace di vincere una coppa del mondo. Io volevo regalartela e
dirti ‘ora mi credi se ti dico che ti amo?’ Ma non posso. Era il nostro
grande sogno, il sogno di bambini che ci ha accompagnato sempre. Non
sono stato capace. - Kun scuotendo il capo lo strinse a sé e
l’abbracciò con dolcezza e forza, mettendogli una mano sulla nuca e
nascondendogli il viso contro il collo. Leo si abbandonò e l’abbracciò
aggrappandosi come se stesse affogando, nemmeno respirava, Kun aumentò
la presa come se volesse inglobarlo. Strinse gli occhi e appoggiò la
guancia sulla sua testa, cullandolo.
- Scusami. Scusami… - Fece capendo
che era la somma di mesi atroci di sofferenze emotive dovute a lui. Leo
aveva puntato tutto su quello, per risolvere fra loro. E poi era il
loro grande sogno, un insieme di eventi concomitanti così perfetti…
invece no, invece nulla.
- Non sto con Neymar, non amo lui,
non voglio nulla da lui. Amo te, voglio solo te. Vorrò sempre e solo
te. - Mormorò implorante fra in singhiozzi. - Devi credermi, non ho più
nulla con cui convincerti ed io impazzisco senza di te! Tu sei la mia
forza, io sono a pezzi… - Kun strinse ancora gli occhi e lui e
sospirando, gli riprese il viso fra le mani, sorrise pulendogli le
lacrime con la manica lunga e dopo l’accarezzò sulla guancia,
dolcemente, dispiaciuto, in colpa, pieno di quell’amore che non aveva
mai cessato di provare.
- Ti credo. - Disse finalmente e
questa volta era vero. - Ti credo davvero. Scusami per questo. Per non
averti creduto, per essermi convinto delle mie paturnie, di aver
rovinato quello che c’era fra noi…. scusami per averti fatto affrontare
tutto da solo… scusami… ti credo… - Leo sgranò gli occhi carico di
speranza.
- Mi credi davvero? - Kun sorrise dolcemente, in una delle sfumature che illuminavano sempre il suo viso gioioso.
- Ti credo. E mi sbagliavo. - Leo
inarcò le sopracciglia. - Quando dicevo che le cose a volte cambiano e
finiscono. Forse si cambia un po’, ma non finiscono. Se sono vere,
autentiche. Non finiscono. - Leo capì che si riferiva al loro amore e
sorridendo di nuovo fra le lacrime che brillavano, disse:
- Scusami se piango, non volevo
convincerti piangendo, ma non ce la facevo più… - Kun scosse il capo
luminoso e lo baciò catturando le labbra a cui aveva dovuto rinunciare
per troppo tempo, per troppi mesi. Labbra a cui non avrebbe più
rinunciato.
Si insultò per aver fatto di testa sua, aver vacillato, aver avuto tanta paura.
Le proprie fragilità alla fine erano venute a galla, al contrario di Leo che aveva avuto a modo suo una forza incredibile.
Si baciarono fino a scivolare stesi
sul letto, poi i vestiti li liberarono dal loro ingombro ed il mondo
svanì lento intorno a loro, mentre si riappropriavano di ciò che
apparteneva uno all’altro e che mai sarebbe potuto appartenere ad
altri.
- Ti amo dal primo istante in cui
ti ho visto, eravamo piccoli e non conoscevamo l’amore, ma quando ti ho
visto quel giorno ho subito capito di essere gay. E quando mi hai
parlato e mi hai fatto ridere ho pregato per la prima volta che un
giorno tu diventassi il mio ragazzo. Sei stato il primo che io abbia
mai voluto. E sei sempre stato l’unico! - Disse Leo, senza più lacrime
di mezzo, mentre si univano nudi sul letto in quell’amplesso perfetto e
tanto desiderato e sognato.
Mani, carezze, baci e fusioni così complete e totali da essere un coronamento perfetto per un momento tanto sofferto.
Tutto venne spazzato via e spinta
dopo spinta, il dolore lasciava spazio al piacere e alla pura verità
che ora si illuminava lì davanti a loro.
Che l’amore vero ed autentico non finiva mai, aveva dure prove da superare, ma non finiva sul serio. Non davvero.
- Ti amo ancora prima di averti
conosciuto! - Fece Kun dentro di lui, facendo sorridere Leo. Rallentò e
si fece guardare febbrile. - Tutti parlavano di te ed io fremevo per
conoscerti. Sapevo che sarebbe stato speciale. E lo è stato. Non
dubiterò mai più, mai! Non sarò più così fragile! Scusami! Sarò forte.
Sempre. - E spinta dopo spinta, di nuovo, i due si mescolarono, si
confusero, si trovarono e si ebbero inevitabilmente.
Amore e perfezione spesso erano sinonimi.
FINE