NOTE:
come potevo esimermi? Dopo aver visto la scena di Chelsea City in cui
Frankie segna e non esulta, guarda il cielo e chiede perchè come se
dovesse scoppiare a piangere... e dopo aver visto l'abbraccio più
difficile mai esistito fra lui e John... non potevo non scrivere!
Questi due sono una coppia da oltre dieci anni, stanno insieme da
praticamente una vita, si amano profondamente e quest'estate Frank ha
dato l'addio alla sua squadra per chiudere la carriera in america, la
cosa grave è stata vederlo in prestito al Manchester City
nell'attesa dell'inizio del campionato americano. Poi stasera c'è
stata la fatidica partita... insomma, materiale per fic. Ed eccola
qua. Spero gradiate, non è certo allegra e spensierata, ma sono
stata ispirata anche da questa bellissima canzone. Video per
ascoltarla e due righe per ascoltarla. Buona lettura. Baci Akane
L'UNIVERSO
E' SALVO
James
Arthur – Get down
http://www.youtube.com/watch?v=sEiOKyoMTfA
Fuori
c'è un uccello e sta cantando E fuori dalla mia finestra,
c'è una vita Mi sento come se qualcuno stesse parlando con
il mio spirito Mi stanno dicendo che c'è una ragione per
sopravvivere Potrei farti un disegno Potrei
scrivere sul mio viso Potrei leggerti una raccolta di
racconti E lo so, non importa quanto freddo O
quanto mi porto sulle spalle Finchè sto in piedi, sarò più
vicino Perchè non è finita, finchè non è finita Ma
noi non dobbiamo abbatterci No, noi non dobbiamo
arrenderciPossiamo trasformare questo round E forse E'
oggi aahh yeaah Perchè tutte queste scene di dolore mi
fatto girare la testa E stiamo ballando sull'orlo di un
coltello E io potrei essere il vostro eroe o il
cattivo Uuh, credo dipenda solo dai vostri occhi Potrei
farti un disegno Potrei scrivere sul mio viso Potrei
leggerti una raccolta di racconti E lo so, non importa
quanto freddo O quanto mi porto sulle spalle Finchè
sto in piedi, sarò più vicino Perchè non è finita,
finchè non è finita Ma noi non dobbiamo abbatterci No,
noi non dobbiamo arrenderciPossiamo trasformare questo round E
forse E' oggi aahh yeaah E io non mi
abbatto Perchè tu mi sollevi [x7] No io non mi
abbatto Perchè tu mi sollevi E lo so, non importa
quanto freddo O quanto mi porto sulle spalle Finchè
sto in piedi, sarò più vicino Perchè non è finita,
finchè non è finita Ma noi non dobbiamo abbatterci No,
noi non dobbiamo abbentterci Possiamo trasformare questo
round E forse E' oggi aahh yeaah
Le
lacrime scendevano copiose lungo le sue guance, il volto solitamente
sorridente, ora era oscurato in una smorfia di dolore che forse non
si sarebbe più rischiarato.
Seduto
negli spogliatoi del City, dopo la partita col Chelsea, Frank non
riusciva a rialzarsi.
Coperto
con un asciugamano sulla testa, ricurvo su sé stesso, i gomiti sulle
ginocchia. Nessuno poteva vederlo, nessuno poteva avvicinarlo.
Qualcuno
tentò, diversi compagni provarono a tirarlo su, ma non sembrava
possibile.
Lui
era lì a piangere, era normale considerato che aveva giocato e
segnato il goal del pareggio contro la squadra con cui aveva giocato
per anni e anni.
Un
addio simile non l'avrebbe mai voluto nessuno, tutti erano molto
delicati con lui per questo.
Ma lì
c'era molto di più.
Lì
nelle sue lacrime amare e disperate, c'era John e la sua freddezza,
le sue parole, le sue spalle, i suoi silenzi.
Lì
in quella sua reazione esplosa dopo settimane di costrizioni
disperate, c'era John che, saputo dei suoi mesi in prestito al City
intanto che aspettava di giocare con la squadra di fine carriera in
America, se l'era presa così tanto che non aveva voluto saperne
nulla delle sue motivazioni.
Frank
aveva provato mille volte a spiegargli, a parlargli, ad avere un
confronto ed un dialogo, ma pareva impossibile arrivare a lui.
John
si faceva negare, non gli rispondeva e non c'era stato verso di
ottenere qualcosa.
Frank
aveva tenuto duro, lo conosceva, di solito dopo un po' gli passava.
Aspettare
che succedesse, attendere giorno dopo giorno senza poterlo vedere,
era la cosa più straziante.
Essere
nella stessa città e non poterlo avvicinare perchè non voleva.
Si
era chiesto, giorno dopo giorno, se avesse potuto resistere. Quanto.
E poi
la partita e la risposta.
Entrare
nel secondo tempo in svantaggio di un goal, segnare quello del
pareggio proprio mentre John lo marcava.
Era
stato una sorta di destino sadico, non sapeva come dirlo.
Non
voleva giocare, non voleva segnare, eppure era successo.
Aveva
fatto quella scelta per motivi precisi, inizialmente non era stata
programmata così, ma stare fermo mesi in attesa dell'inizio del
proprio nuovo campionato, sarebbe stato negativo per lui. Così
ritrovatosi all'ultimo una sola offerta di prestito da parte del
City, anche se era una squadra avversaria al Chelsea, l'aveva spinto
ad accettare.
Non
solo per calcio, comunque.
Pensando
di non potersi alzare per andare via, rimase così com'era senza
trovare le forze di tirare su la testa.
Gli
occhi gli bruciavano, ma era un pianto molto silenzioso, il suo.
Via
via che gli altri se ne andavano, il silenzio calava, da fuori lo
spogliatoio si sentiva il solito caos di voci, grida e via vai, ma lì
dentro ormai più nessuno.
“Verrà
il mister in persona, se non mi muovo. Ed ora non ho la forza di
parlarci. Perchè poteva evitare di mettere me, proprio me. Ha una
panchina lunghissima di grandi giocatori. Perchè ha messo proprio me
oggi contro il mio Chelsea, in casa sua? Perchè? Non poteva
evitarlo? Sì, ma l'ha fatto apposta perchè conosco la difesa,
conosco ogni singolo giocatore della difesa e so come affrontarli. E
poi loro, nel trovarsi me davanti, era ovvio che fossero presi da una
sorta di tragico panico. Facendo leva su questo, ha scelto me. E così
è stato. Mossa vincente. Ma solo per lui. A me sembra d'aver perso.”
Ma,
ancora, non era solo calcio.
Proprio
mentre cercava le forze di tirarsi su, la porta si aprì e si
richiuse. Un breve istante di caos entrò da fuori per poi tornare il
silenzio.
Dei
passi lenti.
Sospiro.
“Sapevo
che veniva...”
Dalla
camminata era una persona calma e paziente, probabilmente il mister
era venuto ad aiutarlo.
Frank
si rassegnò, si asciugò il viso col l'asciugamano e se lo fece
scendere dalla testa, intorno al collo. Alzò lo sguardo e appena si
raddrizzò sulla panca, rimase immobile, rigido, senza parole.
Il
cuore smise di battere con un dolore sordo che gli contorse tutto il
petto e lo stomaco.
Provò
un'immediata ondata di gelo seguita da un'altra di calore, le forze
gli morirono definitivamente, gli occhi continuarono a riempirsi di
lacrime come avevano fatto fino ad un secondo prima ed apparve
piccolo come non era.
Apparve
come un bambino che aveva perso la persona più importante della sua
vita.
John
era lì davanti a lui e lo guardava. Si era già cambiato con la
divisa del Chelsea, quella per uscire, e lo guardava in piedi, mani
nelle tasche, schiena dritta, aria seria. Molto seria.
Frank
non riusciva a dire nulla, il cervello completamente spento. Quanto
aveva desiderato vederlo? Quante notti passate a sperare ardentemente
che arrivasse?
Ora
era lì', dopo sofferenze e pianti, era lì e lui era incapace di
reagire.
-
Vincent mi ha pregato di venire a parlarti, era seriamente
preoccupato e non aveva idea di come fare per farti alzare... -
Spiegò calmo John, inizialmente un po' freddo e contenuto.
Frank
si asciugò le lacrime che però rimasero lì dietro le palpebre
pronte per scendere ancora.
Lo
sforzo che fece per rispondere senza piangere, fu inumano. Balbettò
nelle prima parole.
-
S-scusa, non v-volevo... - Ma non sapeva bene cosa dovesse o volesse
dire. Quindi non concluse, John sapeva comunque. Scosse il capo e si
sedette accanto a lui, finalmente, in un gesto di effettiva apertura.
In
campo si erano incontrati ed abbracciati ma senza guardarsi e dirsi
nulla, non il coraggio di farlo, Frank ci aveva sperato, ma gli occhi
di John erano evasi altrove.
Per
Frank era stato un gran dolore. Perchè accettare il saluto? Perchè
quell'abbraccio se ancora non gli parlava e non voleva saperne?
Per
lui era stato anche più doloroso. Il pubblico si aspettava lo
facessero e per evitare polemiche l'aveva fatto, ma non c'era stata
una vera volontà.
Il
silenzio calò ancora, seduti vicini non si guardarono più, era come
se per lui fosse più facile. Per entrambi, in realtà.
Poi,
dopo qualche secondo, John iniziò calmo.
- So
che l'hai fatto perchè non potevi restare fermo così tanti mesi e
che il City è stato l'unico ad offrirsi di tenerti e farti giocare.
Però perchè non potevi aspettare la prossima finestra di mercato
per andartene? Perchè hai dato l'addio in estate e sei passato in un
campionato che inizia a Marzo? Sapevi che avresti avuto bisogno di
giocare nel frattempo, potevi restare... invece sei andato via così
presto ed ora sei passato alla concorrenza... lo capisci che per me è
un tradimento? Perchè non sei rimasto là con me ancora qualche
mese? Potevi farlo... - Frank sospirò nel sentirlo finalmente
parlare. Fino ad ora gli aveva solo negato la parole e la voce.
Adesso parlava ed era bello sentirlo.
-
L'addio alla squadra con cui giochi da 13 anni la dai in estate, non
in inverno, John. Non avevo calcolato di finire al City, pensavo
avrei trovato un'altra squadra, in un altro campionato europeo. Non
avrei mai e poi mai immaginato che si proponesse solo il City ed io
dovevo giocare... - John sospirò scontento scuotendo la testa. Un
po' lo sapeva, razionalmente se l'era detto, ma emotivamente non
riusciva ad accettarlo tanto facilmente.
- Il
City, Frankie... il City! Perchè non una squadra con cui c'è meno
competizione? I due Manchester, l'Arsenal ed il Liverpool sono le
nemiche giurate del Chelsea... -
A
quel punto Frank esplose dopo aver trattenuto ancora molto. Le
lacrime non erano bastate.
-
Andiamo, Jo, lo sai bene che non è una questione di calcio! Tu ce
l'hai con me perchè non volevi che mollassi già! Volevi che
rimanessi con te per tutto il tempo che ti fossi sentito tu di
giocare! È tutto qua! Però per me era ora, per te no. Ho fatto di
testa mia ed io potevo fare qualunque scelta, qualunque, non ti
sarebbe andata bene! E la cosa che mi ha mandato in bestia è stato
che non mi hai ascoltato, mi hai chiuso fuori e basta! Ed io, una
volta in America, mi sono sentito senza un polmone e metà cuore...
quando ho sentito che il City mi voleva per questo periodo io... sono
rinato... il City... Inghilterra... così vicino a te che mi mancavi
già... tu come puoi non capire? Tu mi mancavi così tanto ed io non
pensavo di poterne soffrire tanto... e non mi parlavi nemmeno per
telefono ed io dovevo, dovevo tentare qualcosa. Almeno venendo qua,
anche se in questa squadra, avrei potuto vederti. Mi sarei presentato
da te, ti avrei obbligato ad ascoltarmi e a far pace con me. Sarebbe
andato tutto bene, tutto bene! Invece no! Per settimane mi hai negato
la parola! Come hai potuto, Jo? Solo perchè non ero d'accordo con
te? Anche io volevo giocare con te per sempre e smettere insieme e
ritirarci insieme ovunque volessimo! Ma le cose sono andate così, io
non me la sentivo di continuare lì, volevo solo cominciare a
chiudere col calcio... e sì, sono qua ora, ma solo per... - Strinse
le labbra, trattenne il fiato e si rese conto che stava piangendo
dalla rabbia e dal dolore e John lo stava guardando ad occhi sgranati
e bocca spalancata. - IO L'HO FATTO SOLO PER TE, DANNAZIONE! SONO
TORNATO LO STESSO, ANCHE SE NON ME LA SENTIVO PIU' DI GIOCARE A
CALCIO A QUESTO LIVELLO, SOLO PER TE, PERCHE' TU NON MI PARLAVI E MI
MANCAVI COME L'ARIA! - Con questo si era alzato di scatto e l'aveva
fronteggiato per avere la forza ed il coraggio di dire tutto.
E
tutto disse, poi si girò di spalle, strinse i pugni lungo i fianchi
e continuò a piangere a dirotto, rendendosi conto che era stato
peggio e che non sarebbe mai riuscito a stare meglio.
Passarono
degli istanti interminabili, impossibile capire quanti.
Però
poi a dargli sollievo furono le sue braccia che da dietro lo
circondarono con dolcezza.
Le
sue braccia forti, dolci, calde e sicure. Le sue braccia che lo
conoscevano così bene da sapere quanto stringerlo e come. Gli tolse
il respiro e questo esaurì le sue lacrime, gli rimase il viso
bagnato, ma le sue mani salirono alla cieca. Non serviva che lo
guardasse, John sapeva dov'era il suo viso. Glielo terse con le dita,
poi se lo girò con sicurezza e calma.
Gli
prese il viso fra le mani e lo carezzò ancora piano, anche se non
piangeva più.
Si
guardarono, gli occhi piccoli e gonfi di Frank. Ora appariva così
piccolo. John si sentì in colpa, non aveva voluto sentire ragioni,
chiuso nel suo dolore, nella mancanza della sua linfa vitale.
Incapace di accettare una separazione naturale che non implicava un
lasciarsi sul serio.
Quanti
ce la facevano anche a grandi distanze? Si trattava di poco tempo,
una volta conclusa la carriera, avrebbero potuto fare quello che
volevano.
Però
anni e anni di convivenza completa, giorno e notte, in ogni aspetto
delle loro vite.
13
anni. Tantissimo tempo.
Un'eternità.
Come
accettarlo facilmente?
Come
non farsi prendere dal terrore di non resistere?
La
paura di perdersi l'aveva invaso ed era successo tutto.
- E'
stata la scelta più dura della mia vita, Jo, ma l'ho presa perchè
sapevo che tu mi avresti sostenuto. Quando non ci sei stato... ho
creduto di morire... dovevo provare qualcosa e la sola che mi è
venuta in mente è stata tornare in Inghilterra, anche solo per pochi
mesi, anche in una squadra rivale alla mia. Io dovevo. E tu non hai
capito, non mi hai sostenuto... - Frank tornò a piangere ancora,
ricordando e parlandone, sussurri dolorosi uscivano dalle sue labbra.
Con
le mani si aggrappò alla sua giacca e John, in risposta, iniziò a
mormorare tanti flebili 'perdonami' mentre le labbra aperte
asciugavano e bevevano le sue lacrime salate.
Risalì
dal mento, percorse le guance e gli occhi chiusi per poi tornare giù
e sulla sua bocca che l'aspettava schiusa, mormorò anche lui con la
voce rotta da un pianto che a breve sarebbe arrivato anche per lui.
- Ero
terrorizzato di non farcela senza di te... ero così terrorizzato...
perdonami, Frankie... perdonami... - Frank aprì ulteriormente le
labbra e l'accolse, prese le sue fra le proprie e mentre ancora
ripeteva sommessi 'perdonami', lo succhiò fino a baciarlo, fino ad
aderire le bocche aperte, fino ad infilare la lingua e a trovare la
sua, intrecciarsi, bere da lui, il suo sapore, infiammarsi col suo
calore, tornare alla vita, ritrovare l'anima, il cuore, la gioia di
vivere.
Si
strinsero e si baciarono perdendo totalmente la cognizione di loro,
tutto così, andò tutto così, fuori dal loro controllo. Percorsi da
violente scosse, quando da fuori Vincent e Didier bussarono
chiamandoli, dicendo che era tardi e che tutti li aspettavano, i due
si staccarono e guardarono verso le porte.
-
Arriviamo... - Disse John roco.
Tornò
poi a guardarlo, scossi ma sereni, pieni di un desiderio così grande
da diventare matti.
John
gli strinse ancora il viso fra le mani e con intensità, disse:
- Ci
vediamo nel solito posto? - Avevano un piccolo appartamento le cui
chiavi e l'esistenza erano conosciuti solo da loro due, entrambi
avevano famiglia e non volevano 'portarsi' a casa, ovviamente di
serate tutti insieme ne avevano passate moltissime, erano come
un'unica famiglia.
Ma
per 'le cose loro', quelle vere, i due avevano trovato quel
compromesso.
Un
appartamento rimasto vuoto per mesi.
- Ti
aspetto da noi. - Rispose Frank sollevato dal poterlo dire.
John
sorrise e tornò a baciarlo.
All'ennesima
porta sfondata a suon di pugni, i due dall'altra parte erano
probabilmente le persone meno delicate di questo mondo, si ripresero
e Frank si vestì in fretta e furia.
- Ma
Didier? - Chiese senza capire che ci facesse lì con Vincent, il
capitano del City.
-
Vincent è venuto da me a pregarmi di parlarti, io non ne volevo
sapere e Didier era lì e mi ha preso a calci. Letteralmente. Per
obbligarmi a venire. Mi ha anche detto di tutto, che non possiamo
farla finire così per delle stupide paure. Quando ha detto così ho
visto tutto per quello che era. Avevo solo paura di non reggere la
lontananza ed il cambiamento. Così sono venuto. -
Frank
sorrise immaginando la scena di Didier che lo prendeva a calci, cosa
di cui era capace.
-
Anche per paura di non riuscire a sederti per mesi... - Rispose
ridacchiando, John scoppiò a ridere a sua volta ed in queste
condizioni i due andarono dalle bandiere di Chelsea e City che per
l'occasione si erano alleati.
Quando
Vincent e Didier li videro ridere ed uscire insieme tutti sereni e
rallegrati, li guardarono dapprima meravigliati, poi in perfetta
sincronia allargarono le braccia e guardarono il cielo esclamando
plateali:
- Oh
sia Lodato il Signore! - John e Frank, sempre ridendo, cinsero con un
braccio a testa i due elementi e dopo averli ringraziati, li
invitarono a cena.
Il
Big Beng era stato scongiurato, l'universo era salvo, John e Frank
stavano ancora insieme!
FINE