CAPITOLO
I:
TELEFONATA
SURREALE
Fu
strano.
Sulle
prime ci fu un accordo istantaneo, poco dopo un ripensamento e
successivamente il ripensamento del ripensamento.
Al
terzo Chester aveva preso la parola su Mike e seccato e sgarbato come
di consueto, aveva sbottato:
-
Che cazzo, basta che vi decidete porca di quella puttana! -
Dall’altro
lato del telefono si era sentita una specie di lotta per la supremazia
della cornetta al termine della quale aveva vinto una voce calma e
comprensiva, naturalmente maschile:
-
Scusate, avete ragione ma avete parlato con la persona sbagliata le due
volte precedenti. Non potevate saperlo ma per questo genere di
trattative me ne occupo o io o Tobin. -
Sembrava
una persona estremamente professionale e Chester si calmò:
- E
chi cazzo era prima? -
-
No ma la domanda è chi cazzo sei tu, brutto stronzo! - Esclamò
dall’altra parte una voce sgarbata ed isterica diversa da quella che
aveva appena ascoltato.
Non
l’avesse mai detto, Mike guardò subito il compagno e togliendogli
l’apparecchio telefonico col quale parlavano in viva voce, lo spinse
via ad urlare per i fatti suoi. Mentre la sedia con le rotelle su cui
era seduto faceva il giro dell’ampia stanza con le sue urla rabbiose,
Mike parlò diplomatico ma in difficoltà:
-
Qua non ci capiamo. Chiedo scusa per il mio collega, lui è Chester, il
cantante, e a volte dimentica la pazienza nel cesso. Per il linguaggio
non c’è niente da fare, invece. È nato sparando parolacce! - Tentò di
buttarla sul ridere e la cosa parve gradita visto che dall’altra parte
si sentirono sghignazzi, poi di nuovo la voce calma parlò:
-
Ed io chiedo scusa per l’altro buzzurro che ha appena parlato. Era
Jacoby, il nostro cantante. Quando il nostro manager ci ha rigirato la
chiamata dicendo che era una decisione che spettava a noi, non ho fatto
in tempo a prenderla io e Coby è… bè, precipitoso e volitivo. Cambia
spesso idea. Prima di decidere qualcosa dobbiamo parlarne un paio di
volte oppure farla subito e di getto. Per questo di norma parlo o io o
Tobin al telefono. Siamo i mediatori. -
Chester
tornò dal suo giro di sfogo e ripresa la supremazia dell’apparecchio
telefonico, disse cercando di stare calmo:
-
Ed ora con chi abbiamo il piacere di parlare? - Mike trattenne una
sonora risata, Chester stava facendo la scena della persona educata e
gentile, cosa che non era per niente.
Stupito,
il ragazzo rispose:
-
Io sono Jerry Horton. - Mike che naturalmente aveva fatto i compiti
sapeva chi era e lo disse per spiegarlo a Chester:
-
Il chitarrista. -
-
Tu invece sei il boss? - Chiese quello che ora sapevano identificare in
Jacoby, Coby per la cerchia ristretta.
-
No sono Mike, il… - Ma al momento di definirsi non seppe lui stesso
cosa dire poiché non aveva ancora capito la propria posizione
principale. Era il co-cantante, il co-chitarrista, il tastierista, il
mixatore e chi più ne aveva ne metteva…
Ci
pensò ben Chester a farlo per lui:
-
Il fottuto genio del gruppo! Cazzo, per una volta quello ha ragione,
sei il boss! -
Mike
lo guardò con tanto d’occhi ed in imbarazzo:
-
Ma che diavolo dici, non farmi fare figure di merda, Chez! - Dall’altra
parte fra le risa si sentì di nuovo il cantante, una voce calda e
graffiante al contempo, esclamare spontaneo:
-
Mike! Ma certo, chi non ti conosce? - Qua Chester fece un capolavoro di
espressione e come se volesse mangiarsi il telefono gracchiò offeso:
-
Vuoi dire che invece io non sono conosciuto? - Affronto più grande non
avrebbero potuto fargli!
-
Oh, ma che cazzo vuoi tu, porca troia? Certo che conosco anche te, sei
l’essere più rompicoglioni del mondo! Tu sei il cantante, lui il leder,
che cazzo vuoi? Dici Linkin Park e dici Chester e Mike! - lo disse in
quanto non era un vero fan accanito del gruppo, di conseguenza si
fermava al fatto che i due nomi più conosciuti fossero effettivamente i
loro, senza sapere minimamente che in realtà tutti erano membri
importanti poiché tutti avevano un loro ruolo preciso e venivano
coinvolti in tutto a parte che per i testi dove lavoravano solo i due
cantanti.
Per
i Papa Roach il nome che più facilmente si associava a loro era proprio
Jacoby Shaddix, il leder oltre che cantante e fondatore.
Jerry
riprese la parola prevedendo tempesta, si sentì un rumore in sottofondo
e poi il silenzio. Doveva essersi liberato di Jacoby che straparlava:
-
Allora, concludendo ci stiamo. Ci sembra un’ottima idea. Solo che Coby
scrive tutto ciò che canta, quindi proporrei un incontro preliminare
per metterci d’accordo e fare amicizia e poi… -
-
Ma certo, come no, era scontato! Anche noi mettiamo mano su tutto
quello che cantiamo, dall’inizio alla fine, di conseguenza pensavo che
a seconda dei rispettivi impegni ci si potesse incontrare e parlare di
cose pratiche di persona. E conoscerci meglio, certamente! - Cosa di
cui non avevano mai avuto il piacere.
Chester
che al momento fumava una sigaretta per calmarsi osservò ammirevole
Mike che improvvisava sul momento, era diplomatico e sveglio, non
sapeva proprio come faceva a trattare in quel modo con la gente ma gli
piaceva anche per quello.
Accordati
su come, quando e dove -sarebbero venuti i Papa Roach dai Linkin Park
su decisione di Jacoby- posero finalmente termine alla telefonata più
surreale di tutte.
La
telefonata. Figurarsi cosa sarebbe stato l’incontro.
Mike
sospirò turbato, non sapeva se ridere o preoccuparsi e cercando in
Chester la sua idea di questi personaggi particolari capì al volo che
cosa stava pensando.
-
Sono svitati? - Improvvisamente non sapeva se aveva fatto bene a
chiamarli, però Jerry sembrava così affidabile…
Chester
asserì immediato con aria da pazzo:
-
Gli altri non so ma il ‘dolce’ Coby di certo sì! - Cogliendo subito il
soprannome che riteneva un controsenso per lo schizzato quale era il
proprietario, cominciò a vedere quanto dannosi sarebbero stati quei
giorni insieme.
Un
paio per decidere cosa, come, quando e dove, poi un altro paio per
comporre ed altri ancora per produrre.
Non
sarebbe stato poco, specie considerando che per scrivere canzoni
bisognava avere un minimo di sintonia altrimenti era finita. Per non
parlare del cantarle!
Mike
sospirò pensandoci. Ora cominciava seriamente a preoccuparsi, non per
sé che sapeva adattarsi a tutto e tutti ma per Chester. Lui no che non
sapeva farlo. Ad uccidere qualcuno non ci metteva mica molto!
-
Ma come diavolo canta, questo? - Sbottò poi Chester. Si ricordava solo
vagamente di loro, più che altro la propria reazione a quando li aveva
sentiti per caso, però non aveva un’idea precisa né del loro aspetto né
di come cantassero e suonassero.
Mike
sorrise prevedendolo e mettendo il play al telecomando, l’impianto più
futuristico del pianeta partì con un loro CD, una raccolta.
-
Questa personalmente è la mia preferita… - disse mandando avanti le
tracce. - Si chiama Forever. -
Quando
la musica inizialmente bassa e ritmata con un che di lento e
strisciante partì, Chester non ci fece eccessivamente caso se non nel
costatare che il gruppo comunque suonava bene, ma quando partì la voce
altrettanto bassa e penetrante di Jacoby, i brividi l’attraversarono
istintivamente. Era a dir poco sensuale. Sulla parte più forte notò che
aveva un’ottima padronanza vocale e quando tornò basso sulle strofe
percepì di nuovo quel suo lato erotico che però era inconsapevole.
Mettendo
da parte le simpatie istintive capì che era davvero molto bravo.
Acuti
e bassi, ritmi ed interpretazione.
-
Davvero impressionante. - Disse chiedendosi come dov’esse essere dal
vivo.
-
Senti questa. - Fece partire Between angels and insects dove la sua
parte vocale era davvero notevole e coinvolgente. Passava dalle parti
calme e profonde a quelle forti e potenti in un modo incredibile. Da
quel tocco da brivido iniziale alla rabbia, passando per una serie di
sensazioni che sapeva trasmettere cantando. Gli piaceva chi che
comunicava in quel modo, si capiva che sentiva le proprie canzoni
profondamente. Per non dire dei testi.
Oltremodo
interessanti. Ne rimase sentitamente colpito facendo poi attenzione
anche alle parti tecniche.
Era
incredibilmente elastico.
-
Cazzo… - Commentò Chester. Al che Mike, con un mezzo sorriso, fece
partire Broken Home.
In
questa Jacoby sfodereva una notevole potenza canora unita ad un
inquietante calma sul filo del rasoio ed un ottimo senso del ritmo in
certi pezzi. L’urlo dilaniante piacque molto a Chester che cominciò a
dimenticarsi tutto del suo folle ed antipatico proprietario.
Mise
Blood brothers dove Jacoby faceva delle parti parlate misto cantate
molto ritmate e potenti in quello che era uno stile che si avvicinava
al loro iniziale.
Le
ascoltarono tutte e Chester fu colpito da quasi tutti i testi. Serio e
pensieroso, disse piano senza muoversi dalla sua postazione raggiunta
sul divano, coi piedi sul tavolino e tutto stravaccato:
-
Quando scrive e quando canta si denuda. - Fece. Mike si interessò molto
a ciò che pensava perché era a sua volta uno che faceva altrettanto con
le sue canzoni. Bastava vedere quelle che aveva fatto per i Dead By
Sunrise. - Si può capire tutto di lui solo dai suoi testi. - Ma non
disse che tipo gli pareva che fosse, così Mike curioso di saperlo
glielo chiese. Nel rispondergli storse la bocca e si concentrò, non
sapeva bene che parole tirare fuori.
Era
davvero complicato dirlo, ma alla fine lo fece:
-
E’ una persona divisa e molto fragile. Tormentata. - Gli faceva pensare
ai propri inizi anche se lui era all’epoca una persona molto più
rabbiosa. Ora non aveva più la bestia, ora aveva fatto pace con sé, col
mondo ma soprattutto con Dio e stava bene, non aveva più bisogno di
urlare.
Quel
ragazzo però no ed era diverso. Non riusciva ad essere più specifico ma
l’avrebbe capito quando l’avrebbe visto di persona, quasi subito in
effetti.
Mike,
al suo contrario, arrivò subito a quella diversità poiché aveva cercato
qualche informazione su di loro ed era venuto fuori un fatto che
l’aveva colpito molto.
-
Ha avuto crolli nervosi per non dire altro. Una volta prima di un
concerto ne ha avuta una e si è pinzato la testa con la cucitrice
facendosi delle brutte cicatrici, da questo fatto ha scritto Scars,
anche se poi la canzone parla di altro e non di quell’evento. In quei
momenti diventa autolesionista. Ho visto un filmato tratto proprio da
un concerto dove sbatteva in giro per il palco e non per fare scena, ma
proprio per una di queste crisi. Ora io non so ma se canta ancora
immagino si sia curato, non so dirti, però quello che hai percepito
dalle canzoni è la sua instabilità interiore. Anche io la prima volta
che ho ascoltato i suoi testi me ne sono accorto, per questo ho cercato
qualcosa. Mi ha fatto venire i brividi Reckless. -
Chester
ripensò ad una delle ultime ascoltate, aveva ragione e alla luce di
quello che ora sapeva poteva dire che era esattamente quello ciò che
aveva percepito di strano in lui attraverso le sue canzoni.
-
Una persona che lascia il segno. -
Mike
si sedette nel divano appoggiandosi al petto di Chester, il suo braccio
lo ricoprì mentre spegneva la seconda sigaretta e rimase ad
accarezzarlo distrattamente mentre volava con la testa a Jacoby che,
non poteva proprio capire come mai, lo turbava profondamente invece che
infastidirlo com’era stato inizialmente.
-
Ho idea che lo farà. - Poi dopo essere stato indeciso se farlo o meno,
disse anche il resto di ciò che aveva trovato: - Ha un passato simile
al tuo anche se forse meno estremo. Sai, non è che ciò che si trova su
internet sia tutto affidabile o preciso. Comunque dopo il divorzio dei
suoi intorno ai sei anni sembra sia crollato sempre più, l’ha segnato
molto. - Il resto non lo disse ma Chester lo capì. Erano soli,
avrebbero potuto parlarne ma non serviva. Lo strinse di più a sé per
dirgli in un muto silenzio che era tutto a posto, quindi la domanda
successiva che sorse fu:
-
Chissà chi l’ha aiutato. - Come se fosse scontato che fosse successo ma
che non fosse sua moglie come sosteneva una canzone. - Con me sei stato
tu! - Disse infine sorridendo accattivante per tirarlo su. Lo sentiva
amareggiato, come indeciso se avesse fatto bene o male a parlare di
quelle cose e chiamare il gruppo.
Chester
ora ne era più che convinto.
Aggrappato
a quell’espressione rilassata e serena, Mike infilò la mano sotto la
maglietta attillata del compagno e cominciò a disegnare leggero con i
polpastrelli sulla pelle sensibile facendogli trattenere il fiato.
Adorava quando lo faceva.
Alla
fine pensieroso disse quasi a sé stesso:
-
Tutti hanno qualcuno che li aiuta. -
L’altro
aumentò la stretta del proprio braccio per poi affermare sicuro:
-
Verrà fuori una gran bella fottuta canzone! -
Ora
ne erano convinti entrambi.