CAPITOLO
III:
NE’
BENE NE’ MALE
Stesosi
adagio nel letto si tirò su le lenzuola nonostante non facesse per
niente freddo, Mike era steso su un lato e sull’orlo del mondo dei
sogni. Chester gli si attaccò da dietro aderendo il corpo al suo,
infilò un braccio intorno alla sua vita e con la mano intrufolata sotto
la maglietta, giocherellò con un suo capezzolo senza farci caso.
Appoggiò la testa sull’altro braccio piegato sul cuscino e sospirando
posò un bacio sulla parte posteriore del collo.
Mike
non aprì gli occhi ma come se avesse percepito qualcosa in quel suo
gesto un po’ insolito, chiese sommesso:
-
E’ inquietante, vero? -
Era
ovvio che si riferisse a Jacoby e che sapeva che doveva aver provocato
qualcosa in Chester.
Questi
infatti poco sorpreso del fatto che Mike l’avesse intuito, rispose
parlando con le labbra sulla sua pelle, sempre lì dove l’aveva baciato
leggero facendolo rabrividire.
-
Cazzo, è completamente diviso, è questo che lo sconnette con sé stesso
e col mondo, spesso. Ha questa fottuta ossessione per il doppio che
provoca in lui questi stati bestiali. Non sono proprio sdoppiamenti
patologici, è al limite della vera follia. Poi onestamente non so se ci
sia dell’altro e se in realtà sia davvero pazzo, come non so come cazzo
era in passato. Mi hai parlato di crisi psicotiche o cose simili,
quindi magari sono i residui di un crollo nervoso vero e proprio. Però
quello che lui è attualmente è questo. Fatica ancora a trovare un cazzo
di equilibrio fra le parti. Non riesce a capire se sia buono o cattivo,
quindi si convince di essere entrambi. Per questo a volte sembra una
persona mite e tranquilla ed altre l’appenderesti al soffitto per i
coglioni. -
Mike
si girò fra le sue braccia per cercare il suo sguardo, voleva guardarlo
mentre diceva cose così particolari e profonde. Incatenati i suoi occhi
malinconici e turbati, gli carezzò il fianco nudo risalendo leggero sul
collo, poi ridiscese sul petto e da lì gli riservò un trattamento
simile a quello appena ricevuto.
Chester
si rilassò subito sia per i gesti che per lo sguardo, quello di Mike
aveva un potere calmante istantaneo, la pace fatta persona.
Riuscì
a proseguire pensando istintivamente allo sguardo che di nuovo si era
scambiato con Jacoby, uno sguardo che l’aveva di nuovo messo a disagio.
-
La bellezza è relativa. Non è nemmeno proprio il fascino che magari ha,
sai per certi modi di fare, perché in alcuni momenti è attraente a modo
suo, per alcune espressioni, forse, non so. Non posso dire sia brutto
ma nemmeno bello. È solo un tipo, tutto lì. Ma non è una questione
d’aspetto. È… che cattura in un modo da brivido. Un modo fottutamente
oscuro, direi. È solo che… non so… lo guardi negli occhi da vicino e ti
perdi con lui. E non è bello riuscire a capirlo nel profondo, vedergli
dentro. Perché è un labirinto e prima di riuscire ad allontanarti sei
già nella merda. -
Mike
capiva il suo turbamento, capiva che quello non era fascino esercitato
da Jacoby su Chester e nemmeno materiale di gelosia. Capì subito di
cosa si trattava e dimostrandosi un gradino più in alto perché a quello
ci era già arrivato prima, gli sfiorò le labbra per poi dire con
delicatezza ed un fondo malinconico:
-
E’ quello che succedeva a me quando stavi male e ti facevi di tutta la
merda possibile fin quasi a morirne. Quando ti guardavo in quel periodo
provavo le stesse cose, con una differenza precisa. Io non mi perdevo
quando ti guardavo. Io morivo. Per questo poi ho fatto di tutto per
tirartene fuori. Perché ti volevo presente ed in te al mio fianco. -
Per
questo non avrebbe mai potuto dubitare di lui e dei suoi sentimenti e
le sue gelosie erano comunque sempre superficiali, capace di fare
piazzate assurde, certo, ma non di dubitare davvero dei sentimenti del
suo compagno.
Perché
per lui aveva fatto di tutto e soprattutto insieme avevano superato ciò
che in molti non sognavano nemmeno.
Perché
quello che avevano combattuto e conquistato con fatica e dolore non lo
si poteva dimenticare facilmente in nessun caso, con niente.
Questa
certezza assoluta permise a Chester di rilassarsi e scacciare la nube
dal proprio sguardo, quindi annullando la distanza fra le loro bocche
lo baciò come si doveva. Quando si separò rimase un attimo a
contemplarlo, infine concluse piano:
-
Se non ti fossi intestardito tanto per rimettermi in piedi e farmi
tornare a cantare con te, sarei morto, lo sai? Ti devo tutto. - Poi si
rese conto di quanto avesse rischiato in quel periodo e quanto la
proposta di Mike di rimettersi a posto e tornare a fare musica con lui
l’avesse salvato. Si sistemarono meglio ed uno sulla schiena mentre
l’altro adagiato sul suo braccio che lo cingeva protettivo, proseguì
assorto: - Ero davvero sull’orlo della follia. Ricordo precisamente che
sentivo voci in quel periodo che mi buttavano totalmente fuori strada.
Ero in pieno delirio. Non credo di essere stato peggio di quel momento.
-
Mike
giunse dunque al punto, dove era giunto molto prima di lui, ancora
prima che Chester avesse quel confronto con Jacoby.
-
Per questo puoi capirlo così bene. Il motivo è diverso, il problema è
diverso, voi siete diversi, la follia sulla quale vi affacciate è
diversa, ma l’orlo è lo stesso. Lo sguardo lo era. Ma se tu ora sei
così anche lui può sicuramente arrivarci. Ognuno ha le sue ancore di
salvezza. Avrà qualcuno che sta già lavorando su di lui. -
Lo
disse con sicurezza, come se sapesse già anche quello e Chester ci
credette consapevole che in quei settori Mike si sbagliava raramente.
Sapeva
tirare fuori delle intuizioni ed un tale aspetto profondo e sensibile
che aveva dell’incredibile.
Completamente
rasserenato e rassicurato, gli baciò il petto dove sistemò il capo,
dopo di che beandosi dell’abbraccio del compagno, si addormentò.
Per
le ore di sonno residue, Chester sognò un momento preciso del passato
appena ricordato.
Il
momento in cui Mike era venuto da lui a dirgli di tornare a fare
qualcosa insieme a lui col gruppo. Nel sogno come nella realtà tornò a
sentire la stessa identica emozione, la sensazione di essere in uno dei
suoi famosi deliri, di essersi fatto di una dose massiccia o qualcosa
del genere. Poi gli aveva detto con decisione e risolutezza che per
tornare a fare musica insieme avrebbe dovuto ripulirsi una volta per
tutte e rimettersi in sesto ma che l’avrebbe aspettato. Per quella
promessa Chester si era deciso a curarsi e piantarla con tutti quei
tentativi di suicidi continui e quando si era ricongiunto finalmente a
lui, la follia era sparita.
Mike,
invece, sognò lo sguardo di Chester di quello stesso periodo. Quello
che nel guardarlo ogni volta lo uccideva portandolo a fondo con lui.
Provando le stesse identiche cose d’allora, si svegliò col bisogno
impellente di guardarlo ora per vedere la luce al posto di quelle
tenebre risucchianti.
Quando
un rumore sospetto lo svegliò, la prima cosa che pensò fu:
“I
ladri!”
Ma
poi si ricordò che avevano raccolto un gatto randagio per strada quella
notte salvandolo quel paio di volte, quindi rilassandosi si girò verso
Chester ancora profondamente addormentato e baciandogli le labbra
sigillate ripetutamente fino a fargli aprire gli occhi di proposito, si
impresse quelle due piccole fessure assonnate e confuse. Non riusciva a
capire in che parte dell’esistenza si trovasse e lo fece sorridere
intenerito e divertito al contempo.
L’accarezzò
delicato per poi mormorargli soddisfatto di quello sguardo comunque
presente, sano e luminoso:
-
Dormi ancora, penso io a quell’altro. Prima che arrivino gli altri non
serve tu ti attivi. -
Anche
perché avevano dormito davvero poco e se non si faceva le sue ore poi
era totalmente inservibile. Per tutto.
Chester
non capì nemmeno la metà di quello che gli disse, come non registrò che
era stato svegliato, infatti girandosi dall’altra parte riprese a
dormire della grossa come non fosse successo niente.
Mike
sorrise divertito e rimanendo col pigiama estivo che si era messo per
far contento il bello addormentato, uscì dalla camera chiudendosi la
porta alle spalle.
Una
volta di là, si rese conto che i rumori che aveva sentito erano suoni.
Strofinandosi
il viso assonnato e cercando di riprendersi dalle poche ore che aveva
dormito, si trascinò tipo zombie seguendo la musica. Giunse così nella
famosa stanza insonorizzata dove tenevano alcuni strumenti e solo
quando lo vide capì che quello che sentiva era il pianoforte.
Si
chiuse la porta dietro di sé per evitare che la melodia arrivasse a
Chester svegliandolo, cosa difficile visto il sonno pesante del
compagno, poi si sistemò sulla sedia imbottita con le rotelle che stava
lì accanto e rimase ad ascoltare assorto e catturato.
Jacoby
era seduto allo strumento, era arruffato e con i suoi vestiti che gli
aveva dato solo poche ore prima. Era estremamente serio e concentrato,
lo sguardo lontano, non vedeva i tasti su cui stava suonando, le dita
andavano e basta come perso in sé stesso.
Riconobbe
la canzone sebbene fosse davvero molto diversa in quel modo, senza i
soliti strumenti e la modalità rock con cui l’aveva ascoltata.
Reckless
in una malinconia ancor più marcata dell’originale.
Con
memoria indelebile tirò fuori le parole e rabbrividì rendendosi conto
che era quella che parlava del suo stato d’animo e di come si sentiva
avventato e pazzo.
Si
dispiacque perché capiva che se suonava quella canzone si rendeva conto
delle cose a volte anche pericolose che faceva ma soprattutto perché
lui stesso si chiamava folle.
Si
chiese, nella mente che lentamente si destava, come si vedesse e
nonostante le canzoni parlassero molto bene per lui, provò ad
immaginarsi un discorso al di fuori di un testo scritto. Sapeva bene
come funzionavano quelle cose. Ci si metteva a nudo più facilmente se
era per fare una canzone, se non ne dovevi parlare veramente ma solo
cantarlo.
Sapeva
perfettamente quanto diverso fosse.
Gli
si strinse il cuore ricordandosi dei versi che gli erano rimasti
impressi della canzone che stava suonando in quel modo quasi straziante…
‘Dio
salvami da questa follia. Io sto camminando sui cocci di vetro rotti
del mio passato naufragato, sono bloccato in una gabbia poichè sono
prigioniero dei miei modi così tagliami gettami fuori poichè sono
avventato sono un dannato avventato figlio di puttana’.
Dopo
un paio di giri di strofe e ritornelli, Mike si alzò per sedersi con
lui al pianoforte nello sgabello lungo.
Jacoby
lo percepì ma spostò appena gli occhi verso destra, non lo guardò
davvero.
Rimasero
in silenzio con le sue dita che continuavano a suonare e quando Mike
mise le proprie accanto alle sue, la mente gli rimandò solo una
canzone. Quella che più di tutte significava qualcosa di profondo e
personale per lui e solo lui.
Hands
held high prese forma in sovrapposizione a Reckless e mano a mano che
procedevano sembravano assestarsi automaticamente in un incrocio
naturale di uno che sfumava per lasciare più spazio all’altro e
viceversa nel ricambio successivo.
Come
suonare due canzoni insieme, alternandole ed intrecciandole, fondendole
talvolta.
Più
o meno ciò che avevano fatto in passato con Jay-Z ed alcune sue
canzoni, solo però col pianoforte.
Pensò
a come sarebbe dovuto essere applicare la stessa cosa col canto ma
sapendo che non sarebbe potuta essere una cosa da portare in pubblico
poiché già fatta e proprio da loro -seppure con un altro cantante-, non
seppe resistere e al ritornello intonò i suoi amen, quella preghiera
che nei concerti diventava estremamente suggestiva poiché fatti dai
cori di bambini o da Chester stesso.
Dopo
i primi Jacoby cominciò con la sua voce particolarmente roca. Così
calmo, oltretutto, non lo si poteva ascoltare di frequente, non certo
mentre cantava.
Mike
si adattò ai suoi amen e trovandosi quasi al volo, venne attraversato
dai brividi realizzando quanto fantastico sarebbe stato cantare con
lui.
Quando
lasciarono che la musica scemasse, sospesero insieme le mani ed
entrambe le canzoni cessarono insieme alle loro voci ed a quegli amen
che tanto bene si adattavano anche a Reckless.
Dopo
qualche secondo dove non osarono muoversi e guardarsi, finalmente
alzarono i loro sguardi e si incrociarono.
Erano
lì, seduti vicini, spalla contro spalla, con gli occhi lucidi ed
un’evidente emozione.
Tutto
sospeso ancora in un altro mondo. Ogni altra cosa lontana, fuori da
quella stanza insonorizzata.
Un
momento raro semplicemente perfetto.
Vide
gli occhi grigi di Jacoby come illuminarsi, diventare vivi e presenti.
Fu come quando Chester aveva sentito la sua domanda di tornare a fare
musica insieme dopo quel periodo di pausa in seguito a Meteora e alla
sua tossicodipendenza.
Gli
ricordarono i suoi occhi in quel momento, come la luce era tornata a
brillare alla sua proposta di tornare insieme e alla mente gli venne
immancabilmente la stessa emozione, la consapevolezza di essere
riuscito a dargli una motivazione per curarsi ed uscirne.
Si
chiese a che punto fosse il cammino di Jacoby e capendo che lì, ora, in
quell’istante avrebbe potuto chiedergli qualunque cosa che avrebbe
risposto lucidamente e senza scatti di alcun genere, parlò con la sua
classica calma e pacatezza, senza l’ombra della paura.
Lo
sguardo sereno e gentile.
Quella
pace che lui sapeva trasmettere.
-
Come stai? - Ma fu davvero una domanda diversa dalle altre. Molto
diversa. Non un ‘come stai’ solito, di circostanza, come ce ne sono
tanti.
Un
‘come stai’ davvero profondo.
Jacoby
lo colse e stringendosi nelle spalle fece un’espressione estremamente
infantile e quasi persa.
-
Così… - anche quella non era una risposta a caso fatta tanto per dire.
Era davvero lo stato in cui si sentiva. Così… né bene né male.
Strano,
diverso, indefinibile.
Mike
lo capì e si addolcì ulteriormente in un sorriso morbido, poi seguendo
un indomabile impulso spostò il braccio dietro di lui e gli carezzò la
schiena con fare fraterno.
Lo
sentì rilassarsi e lo vide ancora piccolo come prima. Piccolo e sperso,
quasi.
E
dire che solitamente quando appariva in pubblico l’impressione che dava
era decisamente diversa. Assolutamente imparagonabile. Una persona
forte, aggressiva, dura, carismatica e trascinatrice. Magari una parte
di lui lo era davvero ma non solo. C’era anche quella lì, insicura e
quasi spaventata dalle doppie facce delle persone, angosciata da sé
stesso perché non capiva quale parte fosse lui.
Buona
o cattiva? Giusta o sbagliata?
Quale
delle tante opposte fra loro era lui?
Un
dilemma a cui non aveva ancora risposto.
-
Sai… ci sono volte in cui penso… ‘perché cazzo non faccio questo?’ e lo
faccio. Anche se è una cosa magari strana o che non ha senso fare. È
solo che a volte non capisco perché non farla. Poi mentre la faccio mi
rendo conto perché diavolo non andava, specie poi quando vedo le
reazioni degli altri, ma ormai la sto facendo. Sono impulsi del
momento. A volte non capisco cosa va bene e cosa non va bene. Quando
finisco lo so, ma ormai è tardi. È come se per capire cosa è bene e
cosa è male, cosa va o cosa non va, io debba farlo e sperimentare.
Perché solo facendo e provando posso capire, solo quando ho la
sensazione sulla pelle lo capisco. Non prima. Pensandoci e basta non ci
arrivo. Non riesco a capire i confini. -
Mike
non ci aveva minimamente pensato a chiedergli qualcosa su quei suoi
comportamenti al limite dell’assurdo, cosa che forse Chester sarebbe
finito per fare, ma capì che quello che si erano detti prima di dormire
era vero.
Jacoby
era in realtà costantemente cosciente di sé e di tutto ciò che faceva,
sia quando era lucido che quando non lo era e capiva quando gli altri
si facevano delle mute domande su di lui, però che rispondeva solo
quando aveva voglia di farlo.
Poi
si corresse mentalmente.
Lui
era sempre lucido, solo che a volte, come aveva già detto a Chester, si
confondeva fra le varie opposizioni che esistevano, qualunque esse
fossero, dal bene/male, giusto/sbagliato a cose più pratiche, ma era
sempre lucido e presente.
Siccome
si confondeva, doveva agire per trovare le sue risposte.
Risposte
a domande come ‘quello va bene o non va bene?’ oppure ‘A che punto
siamo?’.
Per
lui l’agire concreto gli toglieva la confusione.
Capendo
qualcosa di più di lui, Mike si sentì più vicino a quel famoso mosaico
complesso e surreale.
Si
chiese quale sarebbe stata l’immagine finale.
Alla
conclusione di ciò che comunque non era tale ma solo uno dei tanti
passaggi della sua vita, Jacoby sospirò quasi come fosse stanco, quindi
si accasciò contro la spalla confortevole del nuovo fratello adottivo.
Mike capì subito il senso con cui lo fece, come a cercare di risalire
in superficie. Lo strinse a sé tramite il braccio che gli cingeva
ancora la spalla, quindi poggiò la guancia sulla sommità del suo capo
dove i capelli stavano spettinati in quel taglio strano. Qualche ciuffo
in alto, qualche altro intorno al viso morbido.
Non
lo conosceva quasi per niente eppure quella fortissima sensazione di
volerlo soccorrere in qualche modo era così forte. Si chiese come
potesse essere possibile e capì cosa doveva aver provato Chester la
sera prima quando era rimasto solo con lui in bagno per qualche minuto.
-
Verrà qualcuno a dipingerli per te, quei confini. - Disse infine
sottovoce con ferma convinzione.
Jacoby
si aggrappò a questo come se fosse la verità assoluta, quindi si alzò
di scatto alzando lo sguardo verso di lui per chiedergli se lo pensava
veramente, non servì porgli la domanda a voce. Mike incrociò gli occhi
sereni e limpidi coi suoi tormentati e confusi, carichi di speranza, e
sorrise sicuro.
Non
aveva dubbi e l’altro lesse ciò rilassandosi in un sorriso radioso che
probabilmente in pochi gli avevano visto.
Mike
ne rimase un attimo incantato, poi si disse che semplicemente ancora
una volta ci aveva visto giusto, così si riscosse rendendosi conto del
risucchio che il suo sguardo gli stava facendo subire e scostandosi
guardò l’ora.
Orario
accettabile per svegliare il ghiro, si disse cambiando modi
improvvisamente.
-
Allora, hai fame? Ti va di preparare una colazione? -
Jacoby
si riscosse e decidendo definitivamente che quel tipo gli piaceva
enormemente, gli si aggrappò figurativamente. Con lui i confini
riusciva a definirli alla perfezione, quasi quanto ci riusciva con
Jerry. Quasi. Con lui era meglio però.
-
Ma certo, cazzo, sto morendo di fame! -
Mike
accentuò il sorriso e sentendosi come uno che aveva a che fare con un
bambino, si alzò stiracchiandosi e sbadigliando. Il non aver bevuto
subito il caffè ora lo sentiva eccome.
-
Abbiamo qualche ora prima che arrivino i tuoi, dopo colazione chiamerò
Brad e gli altri annunciando l’anticipo dell’appuntamento. Fino ad
allora possiamo fare quello che vogliamo. Penso che prima di pranzo non
saranno qua. - uscendo dalla stanza seguito a ruota da un Jacoby che
sembrava pendere dalle sue labbra, continuò a sproloquiare a ruota
libera, naturale come se fossero amici di vecchia data. - Che ne dici
se pensiamo a qualcosa noi da mangiare? Di tempo ne abbiamo e a me
piace sperimentare in cucina… tanto abbiamo Chez! - Concluse alzando le
spalle facilone.
-
Chez? - Chiese Jacoby non sapendo a chi si riferisse, non è che le
presentazioni le avessero fatte.
-
Sì, Chester… il rottweiler che abbaia ma non morde… ricordi? - Fece
girandosi a guardarlo per capire se si ricordasse. Lo vide corrugare la
fronte e poi illuminarsi:
-
Ah, quel coso spaventoso fissato coi miei tatuaggi e ipergeloso! - Mike
sorrise. Se lo ricordava.
-
Ah, quello che hai visto tu non è niente, un tempo era molto più geloso
di così, sai! -
Alla
risata divertita ebbe conferma d’averlo ‘agganciato’ e capì che con lui
non avrebbe più avuto problemi… magari fino al risveglio di Chester!
Ghignò
fra sé e sé all’idea del loro secondo incontro ed incuriosito, decise
che dopo la colazione avrebbe svegliato anche il rottweiler.
-
Allora, cosa ti va di mangiare? - Chiese allegro battendo le mani. Lui
adorava cucinare, peccato che fosse una frana. No, ma soprattutto
peccato che Jacoby lo fosse altrettanto e che non sospettasse
minimamente quale fosse il suo scarso livello.
-
Frittelle! - Esclamò gridando ai quattro venti la cibaria che
solitamente lo nutriva per quell’ora della giornata.
- E
frittelle siano! - Fece Mike non avendo la più pallida idea di come si
facessero!
Ci
impiegarono su per giù un’ora fra il trovare la ricetta per internet,
provare a farla insieme ed il realizzare che era sbagliata -o che
magari loro avevano sbagliato qualcosa-. Di chiunque fosse il problema,
Chester fu traumaticamente svegliato da un orrendo odore di bruciato e
saltando in piedi dal letto come avesse i peperoncini nel sedere, corse
immediatamente fuori dalla camera consapevole già in anticipo di cosa
si trattava.
Prima
di mettere a fuoco l’interno della cucina, gridò immediato così
com’era, ovvero ancora in boxer e tutto addormentato ma già infuriato:
-
MIKE CHE CAZZO STAI BRUCIANDO? - I due colti i flagrante si girarono in
un ferma immagine da film comico.
Mike
teneva la padella nera e fumante fuori dalla finestra aperta nella
speranza che il fumo uscisse e non li intossicasse, Jacoby che buttava
acqua a tutto andare sui fornelli.
Chester
rimase paralizzato prima ancora di unirsi al coro di tossite dei due
pericoli pubblici, quindi registrò lo stato pietoso di quella che un
tempo era la cucina, ovvero il suo regno.
Sporco,
annerito, affumicato e indecente.
Come
se ci fosse stata un’esplosione atomica di cibo e schifezze varie.
Le
forze per un momento gli mancarono anche per gridare e lì Mike ne
approfittò tentando una furbizia in extremis:
-
Avevo voglia di frittelle per colazione ma siccome non sapevamo farle
abbiamo cercato su internet… non so cos’è andato storto ma… -
-
Voi siete andati storti! Anzi… ci siete fottutamente nati, storti! -
Esclamò Chester pensando che forse le forze per riprendersi poteva
trovarle, ma quando Jacoby candido disse la sua, tutto questo crollò.
-
Ma no Mike, ero io che avevo voglia di frittelle, che cazzo dici! -
Infatti
Mike vide nettamente lo sguardo già stralunato di Chester farsi
ulteriormente indiavolato e come se fosse posseduto dal demonio avanzò
fulmineo verso Jacoby. Mike fu più veloce e mollando la padella
bruciata fuori dalla finestra -facendola cadere dal terzo piano in cui
erano- si fiondò fra i due ragazzi. Jacoby realizzò in un secondo
momento l’intenzione di Chester di mettergli le mani al collo e quando
lo capì si mise in posizione di pugile in difesa pronto ad attaccare.
Fortunatamente la presenza fra loro di Mike impedì qualunque
spargimento di sangue ma non di urla furiose:
-
CHE CAZZO VI METTETE A FARE VOI CALAMITA’ NATURALI?! UN PAZZO ED UN
DISASTRO VIVENTE CHE CUCINANO COSA MAI POSSONO COMBINARE SE NON
PUTTANATE?! MI CHIAMAVATE SE VOLEVATE MANGIARE! MA I CAZZO DI CERELAI
NON VI BASTAVANO, PORCA TROIA DANNATA?! - Jacoby si accucciò dietro
Mike in uno di quei famosi istinti strani che non sarebbero mai stati
associati ad un tipo così apparentemente aggressivo, mentre l’altro
abituato a scenate simili piantò le mani ai fianchi e alzando un
sopracciglio in segno di sfida, disse fermo e strafottente:
-
Avanti, picchiami per aver provato a nutrirmi senza disturbare il tuo
santissimo sonno! -
Chester
sapeva bene quanto lui che se comunque l’avessero svegliato
chiedendogli di fare loro le frittelle gli avrebbe sputato contro, ma
ugualmente non giustificava, dal suo punto di vista, un tale scempio.
-
Cazzo Mike, avete dato quasi fuoco alla cucina! - Capì che l’acqua sui
fornelli doveva essere per quello e solo allora il compagno si rese
conto che dalle sue mani mancava qualcosa che fino ad un momento prima
aveva stretto in mezzo all’affumicata del secolo.
-
Oh porco cazzo, la padella! - Si guardò le mani e poi si girò verso la
finestra aperta, Chester sgranò gli occhi intuendo cosa aveva combinato
ed in perfetta sincronia senza bisogno di chiarimenti corsero al
balcone affacciandosi giù.
Ebbene
sì, a terra, sul marciapiede dell’edificio, stava la loro padella nera
come il carbone e ancora rigorosamente fumante con una massa informe
che una volta forse si sarebbe potuta trasformare in frittella.
Guardarono
giù e poi loro stessi e poi di nuovo giù, infine Mike mettendosi una
mano sulla bocca esclamò profondamente colpevole sapendo di averla
fatta grossa:
-
Ops… -
Chester
provò inizialmente l’impulso di buttare giù anche il suo moroso che per
fortuna non aveva ucciso nessuno, poi però prima di fare qualunque
gesto sentì qualcuno arrampicarsi dietro di sé.
Jacoby
sgattaiolato dietro di loro si era tirato su aggrappandosi alle loro
gambe e poi alle schiene, quindi infilandosi fra i due per guardare
giù, aveva visto la padella spiaccicata sul marciapiede ed infine come
fosse la cosa più grave del mondo, disse:
- E
adesso come cazzo cuociamo le frittelle? -
-
Eh già, questo sì che è il vero fottuto problema! Dove cuociamo queste
frittelle di merda! - Esclamò Chester guardandolo in cagnesco da quella
vicinanza, a portata di morso.
Jacoby
questa volta non si spaventò e ricambiando lo sguardo con uno ovvio e
impavido, disse indignato:
-
Con la merda le mangerai tu, io intendo farle con la nutella! E poi se
non mangio sono ancora meno lucido del solito! -
A
quello Chester esclamò spontaneo:
-
Cazzo, di padelle ne abbiamo a bizzeffe, se aspetti un secondo te ne
faccio una montagna, così puoi strafogarti di cibo e stare buono per
tutta la fottuta giornata! -
Mike
scoppiò a ridere coprendosi il viso quindi Jacoby si scostò dal balcone
a cui erano appoggiati e girandosi vi si sedette pericolosamente sopra
provocando l’istintivo abbraccio dell’altro spaventato dall’idea che
cadesse giù.
-
Allora fammele, cazzo! - Esclamò infine.
Chester
si alzò e lo fissò non male, ma molto peggio, poi contrariamente a
quello che avrebbe potuto sembrare, puntando il dito contro i due -con
Mike avvinghiato alla vita di Jacoby seduto alla finestra del terzo
piano- ringhiò:
-
Tienilo che se cade e non si ammazza poi ci vado io sopra con la
macchina finchè non diventa una fottuta poltiglia! -
Per
la serie ‘che si azzardi a buttarsi giù che poi se non muore lo uccido
io!’.
Mike
sentendolo si rilassò continuando comunque a ridere contro il morbido
ventre del nuovo amico che nell’attesa si mise a battere allegramente
sulla sua schiena a suon di una qualche canzone.
Chester
lo fulminò ma ritenne più importante mettergli qualcosa di commestibile
nello stomaco.
Decisamente
più importante. Se il cibo gli impediva di fare il matto l’avrebbe
ingozzato!
Così
pensando si tuffò nel cesso che una volta era la cucina per tentare di
fare qualcosa di buono.
Sempre
rigorosamente in boxer.
Durante
la preparazione, al ritmo delle sue mani sulla schiena di Mike,
aggiunse l’accenno ad una sua canzone, quella che gli venne in mente in
quel momento.
Last
resort, naturalmente in versione più pacifica dell’originale,
totalmente irriconoscibile, quasi.
-
Hai fatto la mia vita a pezzi
Questa
è la mia ultima possibilità, soffoco, non respiro
Non
fare un cazzo se mi taglio le braccia e sanguino
Farò
bene? Farò male?
Se
mi tolgo la vita stasera, potrei anche farlo...
La
mutilazione è fuori discussione e sto pensando al suicidio
Perchè
sto perdendo la vista, sto perdendo la ragione
Spero
che qualcuno possa dirmi che è tutto a posto
Niente
è ok, niente è a posto
Sto
correndo e piangendo
Non
ho mai pensato di essere così a pezzi
Fino
a che non era troppo tardi e mi sono ritrovato vuoto dentro
Sono
affamato, mi nutro di confusione e sto vivendo nel peccato,
Una
spirale in discesa, da dove comincio?
Tutto
ha avuto inizio con la morte di mia madre
Niente
più amore per me e per chiunque altro
Ho
provato a cercare l'amore ai piani più alti
Non
ho trovato altro che domande e demoni
Perchè
sto perdendo la vista, sto perdendo la ragione
Spero
che qualcuno possa dirmi che è tutto a posto
Niente
è ok, niente è a posto
Sto
correndo e piangendo
Non
posso continuare a vivere così. -
La
risposta di Chester, e questo sorprese enormemente Mike oltre ogni
aspettativa, fu The Messenger che cantò allo stesso modo, calmo e vago,
quasi senza farci molto caso e distrattamente.
Perché
lui il momento descritto da Jacoby l’aveva superato.
-
Quando senti di essere solo
Tagliato
fuori da questo mondo crudele
I
tuoi istinti che ti dicono di correre
Ascolta
il tuo cuore
Quelle
voci angeliche
Canteranno
per te
Saranno
la tua guida
di
nuovo verso casa
Quando
la vita ci lascia ciechi
L'amore
Ci
mantiene gentili
Ci
tiene gentili
Quando
hai sofferto abbastanza
Ed
il tuo animo si sta abbattendo
Stai
diventando disperato dalla lotta
Ricorda
che sei amato
E
che lo sarai sempre
Questa
melodia ti porterà dritto
di
nuovo a casa
Quando
la vita ci lascia ciechi
L'amore
Ci
mantiene gentili
Quando
la vita ci lascia ciechi
L'amore
Ci
mantiene gentili. -
Mike
capì perfettamente il senso di tutto quello così, era una cosa che
aveva immaginato potesse succedere. Non che comunicassero cantando ma
che comunque si capissero e che Chester gli desse quelle risposte che
lui aveva trovato col tempo.
The
messenger fra l’altro l’aveva fatta proprio lui, di conseguenza era
ancor di più una risposta personale perfetta. Quando conclusero non si
guardarono.
Jacoby,
sempre tenuto da Mike, si era girato per metà in modo da poter guardare
fuori.
Quando
finì la canzone, finì le frittelle ed i caffè latte per tutti.
Sistemò
la colazione sul tavolo e con un fischio li chiamò sapendo che non ne
avrebbero parlato a voce.
Prima
di spezzare l’incantesimo, i due guardarono l’ospite in perfetta
sincronia e notando quello sguardo perso e lontano che Chester aveva
visto in lui quella notte affacciato alla finestra del bagno, rimasero
un istante a chiedersi cosa avesse dentro in quei momenti.
Mike
capì la riflessione che poi gli aveva fatto sulla bellezza di quel
ragazzo. Non era fisica od oggettiva, però c’era del fascino in lui a
volte, dipendeva dai momenti ma soprattutto dagli sguardi. Poi si
corresse.
Dipendeva
da ciò che pensava.
Con
delicatezza gli scosse il braccio e lo chiamò dicendo che la colazione
era pronta e vedendolo scuotere il capo e girarsi verso di lui,
incrociò lo sguardo per un primo momento smarrito, poi al suo sorriso
fermo e sereno lo vide nettamente tornare e ricordarsi di dove fosse e
cosa stesse facendo.
Infatti
con un sorriso acceso saltò giù dalla sua pericolosa postazione
fiondandosi a tavola.
Mangiò
come un animale facendo inorridire persino Chester, tutto da dire, ma
questo paradossalmente rilassò i due ragazzi che ancora non erano
abituati a quel genere di cose.
Lo
sarebbero stati presto.