CAPITOLO
VI:
UNA
LINEA INDISTRUTTIBILE
In
due uscirono dal ristorante ruttando poco finemente ai quattro venti,
Chester e Jacoby naturalmente. Per il primo Jerry alzò mezzo
sopracciglio, per il secondo rise. Questa discriminazione Mike la notò
in pieno e da allora cominciò per tutto il resto del pomeriggio a fare
caso a quel particolare che si ripeté quasi sistematicamente.
Ad
ogni cazzata qualunque accadesse intorno a loro nella quale non
c’entrava direttamente Jacoby, Jerry rimaneva abbastanza serio e
piuttosto composto, mentre se il suo amico interveniva o ne faceva una,
magari anche grandemente discutibile -e di cose ce n’erano a bizzeffe-,
rideva! Certamente non ai livelli di Tony e Joe che parevano quasi
pendere da Jacoby e dalle sue follie, ma comunque si mostrava divertito
e non immune a ciò che combinava, come invece pareva essere Tobin.
Mike
si fece un’idea precisa dei quattro: Tobin era quello che conosceva
Jacoby da più tempo rispetto a loro e probabilmente aveva fatto il
callo. Oltretutto era il suo modo di fare di chi non si scomponeva per
niente e nessuno. Sicuramente tanti anni accanto ad uno come Jacoby
l’aveva temprato.
Tony
invece era il batterista e l’ultimo arrivato, da pochi anni. Non era
abituato alle sue follie ma non l’aveva conosciuto nei suoi momenti
peggiori, quando aveva avuto le crisi psicotiche vere e proprie, di
conseguenza non sapeva davvero che tipo fosse e per quel che vedeva di
lui lo divertiva.
Jerry
aveva una conoscenza molto buona, invece, aveva avuto ampiamente modo
di apprendere tutto di lui e sebbene tendenzialmente fosse uno che
considerava normale anche l’anormale e che si controllava a piacimento,
per quel che riguardava Jacoby non riusciva mai a stare indifferente.
Non si agitava, rimaneva sempre rigorosamente calmo, ma stare serio
mentre gli si appendeva al collo baciandogli la guancia in pieno
concerto ancora non ci arrivava.
Quando
faceva le cosiddette follie divertenti rideva e magari se coinvolto
assecondava almeno per quel minimo che concedeva di sé, quando invece
faceva le follie serie si preoccupava e forse era quello che finiva per
starci più dietro di tutti.
Anzi,
Mike tolse il forse. Era certamente così, dal discorso che avevano
fatto in macchina.
Era
altrettanto convinto che non stessero insieme, anche quello gli parve
lampante.
Così
come che Jerry si stesse perdendo in lui da un bel po’ senza rendersene
pienamente conto.
Su
Jacoby non sapeva dirlo, ma su Jerry ne era certo.
Il
pomeriggio lo passarono a discutere di lavoro.
Normalmente
i testi li curavano esclusivamente Mike e Chester per i Linkin Park,
mentre alle musiche pensavano tutti insieme, anche se principalmente
Brad e Mike. Le rifiniture ed i dettagli tutti insieme.
Per
i Papa Roach i testi li faceva quasi esclusivamente Jacoby ma spesso
dovevano essere sistemati e rifiniti e quello lo faceva il loro
co-produttore, James Michael. Le musiche invece le curavano unicamente
Jerry e Tobin.
Al
momento di spiegare come mai Jacoby non ci mettesse mano ed anzi a
volte si facesse addirittura toccare i suoi testi, non seppero dare una
risposta esauriente e glissarono come se fosse un argomento delicato.
Mike
e Brad capirono al volo che non era cosa da sapere e si accontentarono
dell’informazione che gli avevano voluto dare.
-
Per il testo ce ne occuperemo noi tre, allora. Quando saremo
soddisfatti chiederemo i vostri pareri e quando avremo deciso per la
canzone, ci rivedremo per lavorarci sulle musiche tutti insieme, va
bene? - Concluse Mike per tutti.
-
Quindi questo coso starà con noi? - Chiese Chester fintamente seccato.
Jacoby
gli si appese al collo con esuberanza, contento di rimanere per il
necessario della lavorazione.
-
La proposta della collaborazione l’avete fatta voi… - Fece notare Tony
ghignando immaginando che genere di giorni avrebbero passato.
-
Chez scherzava, saremo contenti di stare un po’ con lui! - Disse Mike
sorridendo sereno. Non capirono se lo pensava davvero o cosa ma non si
soffermarono sul particolare, Jerry prese il braccio di Jacoby e con
quella di portarselo a prendere la borsa coi suoi vestiti rimasta in
macchina, roba che gli mandava sua moglie dovutamente tranquillizzata
dal ragazzo prima di venire a Los Angeles a recuperarlo, sparirono
insieme fuori dall’appartamento.
Una
davanti alla macchina, Jerry si appoggiò al cofano dopo averlo chiuso e
tirato fuori il borsone coi suoi vestiti. Jacoby lo lasciò a terra poco
intenzionato a tirarlo su e salire di nuovo, sapeva che ora gli avrebbe
fatto le raccomandazioni, lo sapeva bene, ma non erano quelle quanto
che gliele avrebbe come sempre fatte.
Jerry
era una persona seria e coscienziosa, per questo quando lo faceva
ridere e riusciva a farlo partecipare a qualcuna delle sue scemate ne
era profondamente orgoglioso. Anzi, saliva proprio al settimo cielo.
Si
fece momentaneamente serio anch’egli senza nemmeno rendersene conto,
quindi Jerry ne approfittò e parlò con la sua perenne calma composta:
-
Miraccomando Coby, non fare le tue solite cazzate. Cerca di
trattenerti, non dar loro noie. Non ti conoscono bene anche se sembra
ti abbiano inquadrato. Potrebbero lo stesso reagire male. Non
esagerare. Se ti viene una di quelle tue domande amletiche chiamami e
falla a me, evita di sperimentare, per favore. Non sono i tuoi baby
sitter. Dovete solo fare una canzone insieme. Per favore, Coby. Mi hai
ascoltato? - chiese dubitando. Aveva notato i suoi occhi grigi farsi
attenti ma non alle sue parole bensì alla sua stessa persona. Sapeva
cosa significava quello sguardo e come previsto Jacoby si strinse nelle
spalle quasi smarrito. Sembrava di nuovo un bambino piccolo. In quei
momenti aveva un che di infantile che gli scatenava dentro
l’impossibile.
-
Devo chiamarti se mi vengono di quelle idee strane? - Tutto ciò che
aveva registrato. Jerry sospirò paziente.
-
Come l’idea di fare il bagno di notte. Per favore, questo è un mare
pericoloso, non farlo più, ti prego! - Lo vide svanire di nuovo, la
mente volata alla notte precedente, a quando aveva fatto il bagno nudo
di notte in pieno mare californiano. Cercava di ricordare perché
l’avesse fatto e se sapesse che era un mare pericoloso.
Ogni
volta che si assentava con la mente, si spaventava. Provò un nodo alla
bocca dello stomaco che gli fece andare quasi di traverso il pasto e
prendendogli il mignolo glielo strinse per farlo tornare presente. Di
nuovo i suoi occhi tornarono a vederlo e sorrise come se nulla fosse
successo. Forse non se ne era nemmeno reso conto…
-
Sta con me… - Mormorò turbato. Jacoby di rimando allargò ulteriormente
il suo sorriso facendosi spavaldo, come se fosse tutto uno scherzo.
Sempre
tutto uno scherzo, ma solo lui sapeva che non lo era, cercava solo di
tranquillizzarlo e l’unica cosa che ci riusciva veramente era che poi
cercasse appunto di farlo.
Strinse
le labbra perplesso, poi si sforzò di andare oltre. Doveva, era
necessario.
-
Non ci metteremo tanto. - Fece allora Jacoby in uno dei suoi rari
momenti di lucida maturità. Era fermo, sereno e consapevole. Jerry si
rilassò lasciandogli il mignolo ma appena lo mollò il suo sguardo tornò
a vacillare ed una domanda gli affiorò alla mente.
Era
lui o aveva le visioni?
Perché
se cominciava ad illudersi di avere il potere di tenerlo presente e
cosciente allora era proprio messo male.
Non
disse nulla, così fece per salire di nuovo visto che gli altri non
scendevano.
Fu
fermato dal dito di Jacoby che infilato nella cinghia dei jeans l’aveva
trattenuto da dietro, si voltò sorpreso e di nuovo ebbe la visione di
un bambino dispiaciuto per qualcosa. Quando gli chiese con gentilezza
di cosa si trattasse, lui disse con una voce sottile che nessuno poteva
dire di avergli mai sentito poiché in pubblico preferiva la sua parte
allegra e avventata che faceva ridere tutti e non li preoccupava.
-
Non mi piace stare qua senza di te. -
Jerry
si rischiarò e sorrise quasi contento di quella flebile ammissione,
infatti prendendogli il polso se lo tirò dentro l’edificio del palazzo
nel quale stavano per salire, poi alla privacy conquistata
momentaneamente lo lasciò appoggiare ad un angolo dell’interno fresco e
pulito e gli carezzò il viso delicatamente. Lì sembrò tanto più grande
di lui e la differenza d’altezza certo non aiutò ma gli piacque
sentirsi così… importante? Solido? Essenziale? Voluto? Come?
Non
seppe dirlo ma l’accarezzò oltre che con la mano anche con lo sguardo,
fu delicato e catturò ogni inclinazione minima del suo volto dai
lineamenti morbidi ed interessanti, le labbra quasi da gatto e gli
occhi smarriti che faticavano a stare presenti. Quando si incrociarono
coi suoi di nuovo tornò, lo guardò e si rilassò come se non avesse
problema al mondo. Jerry lì ne ebbe la conferma.
In
qualche modo riusciva ad aiutarlo la sua presenza ma non solo, anche il
toccarlo fisicamente.
Sentendosi
lievitare come un idiota provò uno di quegli impulsi indomabili ed
illogici e rendendosi conto che l’avrebbe voluto baciare si staccò
bruscamente non capendo come quello fosse possibile.
Non
era la questione di bello o brutto o attrazione o non attrazione. Era
una questione di risucchio.
Jacoby
lo risucchiava dentro di sé. Quello che lo turbava era una domanda che
si faceva ogni volta che si sentiva di volercisi perdere
intenzionalmente.
Una
volta dentro sarebbe finito su quell’orlo di follia anche lui o avrebbe
mantenuto il controllo di sé come sempre?
Non
sapendosi mai rispondere e non amando il rischio, si opponeva sempre ad
ogni istinto.
Non
andava bene.
Non
andava bene e basta.
La
liquidava sempre così.
Jacoby
mollato all’improvviso si incupì vistosamente e con le tenebre negli
occhi che volevano divorarlo quasi con rabbia, furono interrotti dagli
altri che avevano deciso di venirgli incontro.
Furono
trasportati fuori ed i saluti cominciarono con allegria da parte di
tutti tranne che da Jacoby. Jerry nascose il suo turbamento ma al
momento di salutarlo con una solida stretta virile, Jacoby sgusciò via
evitandolo. Tutti si sorpresero di quel gesto capendo che doveva essere
successo qualcosa in quel lasso di tempo, ma come Jacoby l’aveva
evitato, Jerry poi l’aveva costretto con fermezza ed eleganza
all’abbraccio rigorosamente non ricambiato.
Quando
ebbe le labbra al suo orecchio, mormorò:
-
Ti troverai bene con Mike e Chester. Cerca di rilassarti e chiamami se
ti vengono quelle solite domande per la testa. - Forse fu il modo
suadente con cui lo disse ma scatenò in Jacoby di nuovo una di quelle
reazioni contrastanti e se da un lato volle sbatterlo contro la
macchina e baciarlo, dall’altro sentì il bisogno di scappare.
Spaventato
dall’enormità di ciò che provava, di nuovo dilaniato come sempre, si
allontanò bruscamente con un solco che attraversava la fronte.
Un
solco che tutti notarono ma nessuno osò commentare.
Dopo
di questo ognuno andò per la propria strada, anche se solo
momentaneamente e con quella di rivedersi il prima possibile.
Quel
prima possibile sarebbe stato dettato unicamente dalla capacità dei tre
scrittori di fare il loro lavoro, ma dovendo cominciare da zero e senza
avere anche solo una vaga idea di che cosa scrivere, non sarebbe stato
certamente facile.
“Ma
tanto noi abbiamo Mike!”
Pensò
strafottente Chester salendo in appartamento. Sembrava quasi lo
ritenesse la fatina magica, certe volte. Come quello che tutto poteva e
tutto riusciva a fare. O quasi. Tutto ad eccezione del cucinare,
magari.
Forse
più semplicemente Mike era quello che a tutti arrivava. E a tutto,
perché no.
Del
resto era arrivato a lui nei suoi momenti peggiori. Se l’aveva tirato
fuori dalla merda in cui era, non c’erano dubbi che sarebbe riuscito a
gestire uno scatenato fuori controllo come quello svitato là dietro.
Non
poteva nemmeno lontanamente immaginare che Mike, invece, stesse
mentalmente puntando tutto su di lui proprio per il fatto che avesse
superato l’abisso e che sapesse come ci si sentiva sull’orlo mentre si
guardava giù chiedendosi se si sarebbe caduti o rimasti in piedi. Come
sapeva come ci si sentiva a cadere e poi risalire.
Proprio
perché sapeva tutto perfettamente, Mike era convinto che l’unico a
poter fare qualcosa per Jacoby fosse Chester.
Che
quei due avessero le stesse convinzioni l’uno verso l’altro era solo un
ulteriore dimostrazione di quanto in perfetta linea l’uno con l’altro
fossero.
Una
linea indistruttibile.
L’umore
di Jacoby rimase pessimo per un considerevole tempo, dopo che i suoi
compagni se ne furono andati.
Jacoby
di malumore non era come Mike che diventava isterico o Chester che
spaccava il mondo.
Jacoby
di malumore era l’impossibile.
Cominciò
con lo sbattere la porta e l’investire volutamente tutti gli oggetti
sul suo cammino, quando fece cadere un vaso che si ruppe, Chester tentò
seriamente di tirargli i cocci dietro, fu grazie a Mike che non ci
riuscì.
Ovviamente
nel fermarlo fu proprio lui a tagliarsi il dito e Chester a curarlo a
modo suo, succhiandogli la piccola ferita. Peccato che con la modalità
seccata che aveva finì per fare l’effetto vampiro e quando Mike si rese
conto che più dei giovamenti aveva danni ulteriori, si prese il dito e
se lo incerottò da solo obbligando Chester a pulire da solo il disastro.
Nel
mentre che loro erano alle prese con queste cose, Jacoby si mise a
guardare la televisione. Dopo aver girato a macchinetta come un matto
tutti i canali, chiuse ed accese lo stereo. Trovò su un proprio CD, lo
tolse e lo fece volare dall’altra parte della stanza con rabbia. Il
disco sfiorò di poco la testa di Mike il quale ringraziò il cielo che
Chester non se ne fosse accorto.
Cercato
fra gli altri CD, tirandoli fuori tutti e lasciandoli in disordine sul
mobile, ne prese uno e lo mise su.
Uno
proprio dei Linkin Park. Dio solo poteva sapere perché, si disse Mike
senza osare dirgli niente, troppo preoccupato di tener buono Chester,
ma quando la voce urlante e potente di Chester cominciò con Given Up,
Jacoby alzò il volume oltre i massimi consentiti e sembrò finalmente
rilassarsi.
Rimase
accucciato davanti allo stereo a guardare le tracce avanzare e ad
ascoltare le parole. Mandò avanti alcune che per qualche arcano motivo
non gli garbavano mentre rimetteva a ripetizione altre che invece
sembravano andargli a genio.
Quando
però tornò a mettere per la quinta di fila No more sorrow, Chester
sfuggì dalla sorveglianza di Mike e preso il telecomando dello stereo
chiuse esasperato.
Adorava
la loro musica ma ascoltarla con tanta ossessione non era proprio per
lui.
Jacoby
si girò di scatto verso di lui e con occhi allucinati sembrò posseduto
da una specie di raptus omicida. Mike temette seriamente per le loro
vite poiché se Jacoby avesse davvero alzato le mani, Chester avrebbe
probabilmente usato uno dei cocci che aveva appena raccolto per
conficcarglielo nella carotide.
Conosceva
bene i limiti del suo compagno e sebbene non fosse irascibile ai
livelli di un tempo, non era un tipo molto rilassato nel complesso.
-
C-Chester, ti prego… - Lo richiamò prima di ogni cosa capendo
perfettamente cosa significasse quel suo respiro basso e marcato. A
momenti si metteva a latrare!
Chester
sembrò capace di trattenersi ancora e non scattò al collo di Jacoby,
questo permise a lui di tentare un altro modo per sfogare il proprio
stato d’animo devastante.
Questa
volta si infilò nella stanza degli strumenti e attaccando proprio la
chitarra elettrica all’amplificatore col volume eccessivamente forte,
si mise a suonare note completamente a caso, tutte forti, gravi e con
foga e rabbia crescente.
Chester
allora puntò il dito verso la stanza e guardando esterrefatto Mike,
disse sul limite di una potente esplosione:
-
Porco cazzo, lo senti che sa suonare? Perché diavolo non fa le musiche
anche lui con loro? - Questo spiazzò totalmente Mike che tutto si
sarebbe aspettato all’infuori di quella domanda, ovviamente rispose
spontaneo e stringendosi nelle spalle disorientato:
-
Avrà i suoi motivi… mi spieghi che cazzo c’entra ora coi suoi scatti
folli? -
Chester
allargò le braccia seccato:
-
Niente, porca puttana, ma non ho capito perché tutto questo cazzo di
mistero intorno alla composizione delle canzoni! -
-
Ti è rimasto in mente quello di tutto quanto? - Chiese infine Mike
addirittura divertito pensando che dopotutto potesse lasciarlo suonare
per conto suo.
-
Certo! - Rispose subito ovvio. - A te no? - Chiese dopo incredulo.
L’altro
accentuò il sorriso e piegò la testa di lato con fare pensieroso.
-
Sì ma non solo, ci sono un sacco di altre cose che… - Ma quando sentì
la chitarra fermarsi si bloccò a sua volta tendendosi come una corda di
violino.
Improvvisamente
spaventato guardò Chester che parve capire al volo l’origine di tale
espressione, dopo di che verso la stanza.
-
Perché diavolo ha smesso? - Che avesse smesso in sé non sarebbe stato
grave se il soggetto incriminato non fosse Jacoby Shaddix e non fosse
di malumore. Sentire quel silenzio era più che sospetto. Era allarmante.
Quando
sentì le note del pianoforte Mike scattò correndo verso la stanza.
Suonare
incazzato una chitarra elettrica era una cosa, farlo con il pianoforte
era tutt’altro discorso! Era capace di spaccarglielo!
Chester
gli andò dietro un po’ incuriosito di vedere Mike isterico -lo
divertiva sempre- ed un po’ pronto a dargli manforte per ucciderlo.
Si
fermò alla porta quando lo vide a sua volta fermo subito dietro Jacoby.
Seduto
per l’appunto al pianoforte si era messo a suonare qualcosa di
particolarmente malinconico che via via proseguiva, sfociava nello
struggente.
L’atmosfera
cambiò immediatamente e fu come se il tempo si fermasse.
Non
era di nuovo una melodia conosciuta, stava inventando sul momento ed
entrambi si resero conto che la musica l’aiutava molto, ma da lì a
capire quanto e come ne avrebbero passata di strada.
Non
potevano certamente capire su due piedi quanto fosse una salvezza per
Jacoby, così come ancora non potevano capire perché non creasse lui
stesso le musiche delle sue canzoni.
Entrambi
si guardarono esterrefatti nel medesimo modo, non si mossero e non
fecero nulla. Rimasero ad ascoltare e a chiedersi come mai fosse così
bravo a suonare.
Componeva
dal profondo del suo animo, a seconda di come si sentiva lui esprimeva
con la musica.
Mike
si rese conto che dalla rabbia assoluta era passato alla malinconia più
devastante e camminando lentamente, aggirò lo strumento per mettersi
davanti, vi si appoggiò al bordo e concentrato l’osservò in viso.
Come
aveva immaginato, Jacoby stava piangendo.
Ma
non stava semplicemente piangendo, si stava straziando in silenzio
mordendosi a sangue il labbro con fare estremamente infantile.
Guardandolo
in quell’istante ebbe la chiara immagine di un bambino alle prese con
le prime palpitazioni adolescenziali con forti e potenti incontrollati
sbalzi d’umore.
Si
ricordò che Chester era arrivato a qualcosa di simile ma non uguale nel
suo famoso periodo nero, quindi sospirò calmandosi e con la più totale
pacatezza si mosse al rallentatore come non volesse spaventarlo.
Sedutosi al suo fianco lentamente cominciò a suonare a sua volta,
proprio come quella mattina. Inizialmente dei giri di note a caso, poi
via via sempre più presero forma fino a che Chester non le riconobbe.
Jacoby
come d’incanto smise piano piano di suonare, si fermò e fece cadere le
mani in grembo.
Continuava
a tenere gli occhi stretti e a piangere silenzioso quasi disperato. Ora
si scuoteva.
Quando
Chester capì cosa Mike stava facendo, si avvicinò e chinandosi dietro
al compagno lo cinse da dietro fregandosene totalmente del fatto di
poter essere colto da Jacoby. Dubitava fortemente che si sarebbe
accorto di qualcosa.
E
finalmente Iridescent ebbe inizio con la voce delicata e dolcissima di
Mike…
Jacoby
avrebbe giurato che nessuno potesse cantare le sue sensazioni, il suo
passato, il suo stato d’animo. Nessuno potesse esprimerlo con musica e
parole e toni ed intensità ed armonie e ritmi.
Nessuno.
Mai.
Ma
in quel momento si rese conto che qualcuno ci era riuscito.
Non
realizzò che era una canzone anche piuttosto famosa e che l’avevano
fatta molto prima di conoscerlo, non si disse che non era per lui e che
invece parlava probabilmente di loro, non pensò a nulla se non che loro
stavano cantando di lui ed invece di angosciarsi e scappare si lasciò
andare.
Quando
cominciò il ritornello, Chester che ancora cingeva teneramente Mike da
dietro e teneva il mento appoggiato sulla sua spalla, cantò con
altrettanta delicatezza e serenità.
Arrivati
al punto in cui con maggiore intensità lo invitava a lasciar tutto
andare per procedere e risollevarsi dal suo abisso e dai suoi errori
passati, Jacoby si prese il viso fra le mani e completamente dilaniato
continuò a piangere più rumorosamente, ancora come un bambino nel corpo
di un adulto che ne aveva passate troppe.
Proprio
così.
Entrambi
lo notarono ma non smisero, capendo che dopotutto il pianto era la
reazione migliore a qualunque cosa avesse dentro che lo faceva passare
da un estremo all’altro in modo impressionante.
Quando
finirono, Mike scese con le mani dalla tastiera e senza esitazione
prese quella di Jacoby tutta bagnata di lacrime. Fu allora che Chester
si alzò con un espressione triste e dispiaciuta per lasciare spazio
sulla spalla di Mike al suo viso.
Gli
si aggrappò quasi come se stesse per cadere da un precipizio altissimo
e circondandogli il collo premette il viso stravolto di lacrime contro
il suo collo caldo.
Continuò
a piangere per molti minuti senza dire nulla, assolutamente nulla e
nessuno parlò al posto suo, nessuno fece niente.
Rimasero
così. Chester ad osservarli dietro di loro e Mike a cingerlo.
Tutto
lì.
Mentre
questo accadeva il primo era preda dei propri ricordi, quando l’aveva
fatto lui proprio in quel modo, fra le braccia di Mike, il secondo
riviveva lo stesso identico istante con la consapevolezza che quando
Chester all’epoca aveva pianto così, era stato perché aveva messo fine
a tutto il suo buio cammino. Jacoby, e lì ne ebbe la più totale
certezza, era solo a tre quarti, la fine non era lontanissima ma
nemmeno dietro l’angolo e questo perché quello che poteva mettere fine
a tutta quella confusione atroce non era lui e tanto meno Chester.
Avrebbero potuto certamente fargli muovere dei passi e rischiararlo un
po’, ma l’aiuto finale e decisivo sarebbe venuto da qualcun altro.
Quando
finì di piangere era perché esausto e l’unica voglia che gli rimaneva
oltre a piangere era quella di dormire. Bisogno più che altro.
Staccandosi
dall’abbraccio confortevole e sicuro di Mike, lo guardò da vicino
ancora smarrito e stravolto dal pianto, quindi con una voce sottile
quasi irriconoscibile, disse:
-
Posso riposare un po’? - Mike sorrise fraterno e dolce, quindi
alzandosi lo condusse in quella che poi avevano impostato come la
stanza degli ospiti, lo studio di Mike col famoso divano a letto rosso.
Tolta la scrivania col computer e le varie altre attrezzature, gli
avevano preparato il letto con la sua borsa.
Jacoby
vi si buttò sfinito ed appena mise la testa sul cuscino si addormentò
all’istante così com’era.
Rimasti
soli, Chester e Mike si guardarono scossi e turbati.
-
Non ho mai visto niente del genere. -
Fece
il primo. Mike non rispose perché a questo aveva già detto la sua la
notte precedente.
Lui
sì, aveva visto Chester ed anche se c’erano differenze sostanziali,
alla fine per lui il suo compagno sarebbe sempre stato peggio perché
l’aveva vissuta dalla parte della persona innamorata che assisteva
all’auto distruzione dell’altro.
Di
peggio per lui non ci sarebbe mai stato.
Mai.
Non
piacendogli oltretutto quell’aria turbata, gli posò un leggero bacio
sulle labbra per distrarlo da quei pensieri pesanti, quindi scivolando
con la mano dietro al suo collo lo tenne a quella vicinanza per qualche
secondo, guardandolo intensamente fino a farsi assorbire da lui,
trasmettendogli la sua serenità.
Chester
sembrò coglierla e sciogliendosi gli prese la vita fra le mani e
l’attirò ulteriormente a sé facendo suoi quegli occhi neri che amava
come niente altro nella sua vita.
Sorrise
rimanendo a quella vicinanza per poter cogliere quanto mai fosse
possibile di lui, quindi più tranquillo parlò:
-
Per te niente sarà peggio di me, vero? - Mike gli baciò di nuovo le
labbra in risposta e Chester accentuando il sorriso, un sorriso davvero
morbido, proseguì: - E se io ce l’ho fatta ce la possono fare tutti,
no? - il secondo bacio gli diede conferma e non trovando nient’altro da
aggiungere perché aveva semplicemente ragione, spostò le mani dalla
vita al suo viso e trattenendolo contro il proprio, gli aprì le labbra
per poterlo raggiungere con la lingua.
Si
fusero con calma ritrovando completamente loro stessi e la loro
serenità.
Per
quanto quel tipo minasse seriamente la sanità mentale, quello che poi
contava era il modo in cui riuscivano a tornare loro stessi e quelli
non li avrebbero mai esauriti.
Fu
in quel momento, mentre si baciavano esprimendo liberamente tutti i
sentimenti l’uno per l’altro in quel gesto intimo e profondo, che
entrambi augurarono a Jacoby di trovare qualcuno che potesse dargli le
stesse cose e farlo stare altrettanto bene, farlo tornare quando si
perdeva, ristabilirgli gli sbalzi d’umore. Aiutarlo nel profondo.
Glielo
augurarono sinceramente.