CAPITOLO
VIII:
ERA
LA SALVEZZA
Jacoby
stava guardando probabilmente il programma più idiota sulla faccia
della terra, uno di quei reality show per imbecilli cronici. E c’era
ancora chi si chiedeva come mai ogni tanto uscisse di testa!
Da
che sentì la porta spalancarsi a che si ritrovò una furia addosso fu un
secondo. L’altro fu il pugno che si infranse sul suo occhio. Un pugno
anche piuttosto forte.
Se
non fosse che era già sul divano, sarebbe anche caduto, magari.
Rimase
lì dov’era stordito a tenersi metà viso e a guardare Chester che veniva
tirato via di peso da Mike che cercava di fermarlo dal tornargli contro.
-
Gli hai raccontato tutto? -
- E
LO CHIEDI ANCHE BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA?! -
Gridò
Chester ancora trattenuto da un disperato Mike che non sapeva più come
fare per impedire che lo uccidesse davvero come aveva promesso avrebbe
fatto se avesse osato toccarlo. Bè l’aveva toccato.
-
Piantala, non gli ho fatto niente di male, l’ho solo aiutato a
ricordare una cosa! -
Disse
seccato decidendo che comunque non gli avrebbe ricambiato il gesto,
consapevole che in quel caso l’avrebbe demolito vista la differenza di
forza.
-
L’HAI SOLO AIUTATO?! MA TESTA DI CAZZO! L’HAI QUASI VIOLENTATO,
STRONZO! -
Jacoby
si alzò e Mike cominciò a pregare.
-
NON L’HO QUASI VIOLENTATO, HO SOLO RICOSTRUITO LA SCENA CHE L’AVEVA
SCOSSO PRIMA, QUANDO TU COGLIONE HAI RISO! NON GLI HO FATTO MALE, NON
SAREI MAI ANDATO OLTRE QUANTO HO FATTO, PER CHI CAZZO MI PRENDI!? - Una
domanda simile a Chester in quelle condizioni non avrebbe dovuto farla,
no di certo.
-
UNO DAL CERVELLO FOTTUTO, ECCO PER CHI TI PRENDO! MA VAFFANCULO TU E I
TUOI DELIRI! -
Jacoby
lo disprezzò profondamente mentre sentiva le sue parole e senza
aggiungere altro se ne andò chiudendosi in bagno.
Rimasti
soli Mike ringraziò Dio che per lo meno in quel momento aveva fatto
venire un po’ di sale in zucca a Jacoby. Mollò Chester che finalmente
smise di tirare per andare contro all’altro, quindi si girò verso di
lui e ancora furibondo come da tempo non ricordava di essere stato,
continuò col piede di guerra:
-
NON PUO’ ARRABBIARSI LUI! CAPISCI CAZZO CHE NON PUO’ ARRABBIARSI LUI?
PER UNA SUA INTUIZIONE, UNO FUORI DI TESTA, HA FINTO DI VIOLENTARTI! E
POI SI ARRABBIA SE GLI DO DELLO SVITATO?! NON PUO’ ARRABBIARSI, PORCA
PUTTANA! IO LO CACCIO, NON DORME PIU’ QUA! A FANCULO LA COLLABORAZIONE,
ERA UNA PESSIMA IDEA! -
Mike
lo lasciò sfogare dispiaciuto che dall’altra parte Jacoby sentisse
tutto, quando si decise a smettere di gridare se lo prese e se lo
trascinò in camera sospirando alla disperata ricerca di qualcosa per
farlo ragionare. Mica facile…
Si
sedette nel letto invitandolo a fare altrettanto ma ovviamente non ci
fu verso, rimase in piedi a camminare avanti ed indietro nervosissimo,
sembrava dovesse solcare il pavimento.
-
Chester, è normale che tu la prenda così ma è vero, non mi ha fatto
male, mi ha solo preso di sorpresa. Ma obiettivamente non mi fatto
niente di male. Oltretutto era lucido ed in sé, non l’ho mai visto
tanto serio e concentrato, sapeva cosa faceva, ti giuro che l’ho visto
nel suo sguardo. Era consapevole, non sarebbe mai andato oltre, si è
fermato da solo quando ha capito che avevo ricordato. -
Chester
non si sarebbe convinto tanto facilmente e Mike lo sapeva, ma
ugualmente non poteva permettere che finisse la sua opera di
distruzione. Fra l’altro aveva davvero ferito Jacoby e non solo
interiormente, anche fisicamente.
Ricordandoselo
si alzò e pregandolo di rimanere lì e calmarsi, uscì andando al bagno.
Bussò
un paio di volte e sentendo silenzio dall’altra parte cominciò a
preoccuparsi.
-
Coby ti prego apri, sono io Mike… fammi entrare… - Chiese appoggiando
la fronte alla porta. In un modo un po’ alternativo ed anomalo l’aveva
aiutato, dopo tutto, e lui sapeva che non era stato un momento di
follia ma di seria coscienza.
Alla
fine si aprì e poté entrare. Si infilò dentro e richiuse la porta
dietro di sé, poi si fermò paralizzato.
Jacoby
era accucciato sotto la doccia aperta, completamente vestito, che si
faceva bagnare dal getto. Si abbracciava le ginocchia premute contro il
petto e si cullava avanti ed indietro come in una crisi infantile
d’autismo o qualcosa del genere. Non che ne sapesse molto, ma si
preoccupò.
Gli
occhi erano bassi e lo sguardo angosciato.
Acqua
o non acqua, Mike vide subito che piangeva e chiudendo il rubinetto si
chinò nella vasca e l’accarezzò dolcemente per qualche secondo fino a
che non riuscì ad alzargli la testa per guardarlo negli occhi.
Erano
smarriti, assenti.
-
Coby? - Lo chiamò dolcemente. Gli sembrava di essere con suo figlio.
Finalmente
sembrò tornare e cercare il suo sguardo, lo vedeva e quando fu lì a
fissarlo terrorizzato, mormorò lamentoso:
-
Non sono pazzo. - Capì il senso, capì il modo, capì perché.
Mike
improvvisamente capì tutto ed intenerendosi prese l’asciugamano
avvolgendolo, lo tirò su quasi di peso e lo fece uscire dalla vasca,
quindi lo sedette sul bordo e cominciò a strofinarlo sulle spalle e
sulla schiena, poi passò ai capelli. Era completamente strafondo. Nel
mentre parlava con una tenerezza infinita.
-
Non sei pazzo. Sei solo sull’orlo. Sei lì su quel precipizio, guardi in
basso e ti chiedi se cadrai. E se cadrai dove sarà. Nella parte buia o
nella parte luminosa? Nel bene o nel male? Nel giusto o nello
sbagliato? Ma tu sai tutto quello che fai, sei solo confuso, a volte
non capisci bene il modo corretto di agire e così lo fai come ti viene.
E poi ci sono i momenti in cui stai bene, riesci a pensare con lucidità
e a fare esattamente ciò che vuoi, perché capisci cosa va e cosa non
va. Non sei confuso. E sentirti accusare di follia anche in quei
momenti è inaudito, vero? Perché non sei pazzo ma tutti ti credono tale
pensando che tu non lo sappia e non te ne accorga. Ma sei cosciente e
consapevole e senti e capisci e sai. Sai quanto è brutto essere
veramente pazzi come intendono loro, ne hai avuto un assaggio e non
vuoi tornare ad essere così, per questo ti arrabbi quando dicono che lo
sei ed invece non è così. Oltretutto non ti capiscono e pensano di
avere ragione e sapere tutto, ma non è così e la cosa ti manda in
bestia. Perché poi ad un certo punto ti viene da chiedertelo. E se sono
gli altri ad avere ragione quando dicono che sono pazzo? E se io sono
l’unico a credere di non esserlo ancora? Ma sai una cosa? Finchè te lo
chiedi ed hai paura di esserlo, significa che non lo sei. È quando non
ne avrai più dubbi e nemmeno te lo chiederai che lo sarai. Perché tu
l’hai assaggiata e sai cosa significa, gli altri no. Giusto? -
Jacoby
rimase incantato da lui, risucchiato dalle sue parole, dal suo sguardo
dolce e pieno di sentimenti buoni che non gli fecero dubitare fossero
tali. A volte non capiva cosa fosse bene e cosa fosse male, ma lì in
quel momento non ebbe dubbi. Mike era buono e stava dicendo cose giuste
e lo faceva stare bene. Quindi poteva fidarsi, no?
Capì
istantaneamente che era così e gli si aggrappò abbracciandolo come
fosse la sua ancora di salvezza.
Nascose
il viso nell’incavo del suo collo e smise di piangere, ma strinse forte
gli occhi e la presa cercando di trattenere quel momento, quella
sensazione, quella verità. Cercò di imprimerselo e si lasciò condurre
fuori dal bagno per andare in quella che ora era la sua camera.
Lo
sedette nel letto e gli tolse l’asciugamano ed i vestiti come se fosse
davvero suo figlio, non ci fu imbarazzo e lo fece con un tale riguardo
che a Jacoby parve di essere la cosa più preziosa della terra.
Non
ricordava di essere stato trattato con tanto riguardo.
Con
Jerry era diverso, Jerry stesso lo confondeva, però era vero… aveva
bisogno di parlare con lui e sentire la sua voce calma, sentirlo ridere
a qualcuna delle sue cazzate consapevole che rideva praticamente solo
alle sue. Sentire il suo parere in merito a qualche sua idea insana.
Sentirlo stupirsi per qualche sua uscita strana.
Voleva
sentire la sua voce.
Quando
smise di pensarci si ritrovò vestito col suo pigiama rosso a pois fuxia
e si rese conto di essere sparito di nuovo, ma non spariva davvero,
erano solo momenti in cui si perdeva nei propri pensieri con una tale
intensità da estraniarsi completamente da tutto ciò che lo circondava.
Non erano cose da pazzi, succedeva a molte altre persone, lo sapeva
bene. Sapeva anche il nome tecnico per quel genere di cose e non aveva
niente a che fare con la vera follia.
Mike
si accorse di averlo perso e ritrovato ma decise di lasciarlo in pace,
l’aveva appena calmato e mettersi a parlare di Chester per cercare di
fargli capire perché aveva reagito a quel modo, non gli parve il
momento adatto.
Uscì
in silenzio senza aggiungere nulla e chiudendo la porta lo vide
prendere il telefono.
Quando
udì la sua voce chiamare Jerry, sorrise rilassato.
Chissà
perché ora era convinto che Jacoby si sarebbe calmato definitivamente.
-
Jerry? -
-
Coby? Ma sai che ora è? -
-
No, perché? -
-
Sono le due di notte! - Jacoby guardò l’ora e poi fuori dalla finestra,
era buio e si rese conto che forse a quell’ora il suo amico dormiva.
-
E’ che mi hai detto di chiamarti se mi venivano quelle idee e… -
Non
lo fece finire, lo sentì immediatamente sveglio e reattivo.
-
Che pensieri ti vengono ora? -
Jacoby
si sedette sul balcone con le gambe penzoloni per fuori, se Jerry
l’avesse saputo gli sarebbero venuti i capelli bianchi.
Al
momento di cominciare, andò brevemente in panico e decise di cominciare
direttamente da quello principale e più brutto. Lo sparò come un
proiettile, con ansia e flebile voce tremante.
-
Non sono pazzo, vero? - Jerry rimase spiazzato dall’altro capo del
telefono e dopo un primo momento chiese:
-
Chi l’ha detto? - consapevole che gli venivano queste fisse così
dirette e sparate solo se qualcuno lo accusava seriamente di esserlo.
-
Non importa. Ma io so che non lo sono perché so cosa significa esserlo.
Lo so perché l’ho studiato, mi sono laureato per saperlo e poi l’ho
provato, ho passato un periodo in cui lo ero ma erano crolli nervosi,
ora li ho superati, ho tutto sotto controllo, a volte sono solo un po’
confuso e avventato, faccio cose che molti non fanno ma non significa
che sia pazzo. So cosa vuol dire essere pazzo ed io non lo sono, non
adesso. -
Lo
disse con frenesia crescente, quasi tutto d’un fiato e Jerry non ebbe
modo di inserirsi, gli parve di avere di nuovo a che fare con un
bambino e se lo immaginò a cullarsi da solo mentre si toccava
l’orecchio e si tormentava i capelli.
-
No che non lo sei. Se hai il dubbio vuol dire che non lo sei. Chi lo è
davvero non se lo chiede. Lo è e basta. - La stessa cosa che gli aveva
detto Mike.
Aveva
saputo subito ad istinto di potersi fidare di lui, per questo aveva
voluto aiutarlo e per riuscirci aveva dato fondo ad ogni residuo di
lucidità e coscienza. Si rilassò nuovamente a sentirselo dire per la
seconda volta e sebbene di Mike si fosse fidato, ora ci credette perché
glielo aveva detto Jerry.
E
si calmò istantaneamente mettendosi improvvisamente a sorridere.
Il
resto della conversazione prese picchi assurdi e surreali, talmente lo
erano che Jerry non poté che piangere dal ridere alle cazzate
effettivamente divertenti ed originali che sparava Jacoby. E fu lì che
questi si sentì addirittura bene oltre che meglio.
Perché
sapeva che stava ridendo per lui, per qualcosa che aveva detto lui,
così come sapeva che era l’unico a riuscire a farlo sbaccanare in quel
modo.
Quando
Mike rispuntò in camera, Chester era finalmente seduto sul letto ma
aveva ancora un broncio enorme.
I
due si guardarono significativamente, non ebbero bisogno di parole per
capirsi, uno lo stava rimproverando per aver esagerato mentre l’altro
continuava capricciosamente ad esser convinto di ciò che aveva fatto.
Alla
fine schiacciato da quel suo sguardo serio e maturo, disse seccato:
-
Ma il pugno se lo meritava, non puoi negarlo! -
E
non lo negò, infatti come se si ricordasse di quello solo ora, si batté
le mani sulla faccia ed esclamò:
-
Cazzo il pugno! Ecco perché un occhio si stava chiudendo ed era così
gonfio! È che fra la doccia vestito e lo stato di semi autismo e il
pianto non sapevo più da cosa cominciare, il pugno è andato
completamente fuori di testa! E quello non è che si sia lamentato,
però! -
Facendo
per uscire Chester lo chiamò:
-
Doccia vestito, semi autismo e pianto? - Scettico. Davvero l’aveva
ridotto così male?
Mike
allora fermo sull’uscio si mise le mani ai fianchi e fissandolo torvo e
autoritario rispose:
-
Sì Chester. Pensa come l’hai ridotto con la tua sparata sul fatto che
lo credi seriamente pazzo! Ad uno sull’orlo della follia vera e che in
passato ha avuto un crollo non puoi gridargli a quel modo che è fuori
di testa. Capisci che gli fai male davvero? -
Sì
che capiva, lo capiva perché era stato anche lui su quel famoso orlo,
per motivi diversi, in modi diversi, provocato da cose diverse, ma ci
era stato anche lui. E come poteva non capire se glielo spiattellava
con tanta crudezza?
Chester
sospirò sconfitto e Mike non ebbe bisogno di dirgli nient’altro. Sapeva
che al resto ci era già arrivato da solo.
Era
questo che amava tanto di lui fra molte altre cose.
Sbagliava,
perché lui sbagliava sempre. Di cazzate ne faceva a bizzeffe e sempre
esagerando. Ma sapeva anche sempre capirlo e rimediarle. Aveva quel
dono di trovare i propri errori e di rimediare. Un gran bel dono.
Magari faceva sempre tutto a modo suo, ma lo faceva.
Sorrise
mettendosi da parte e quando lo vide passargli davanti per uscire dalla
camera al suo posto, gli prese la mano, lo trattenne e gli posò un
bacio leggero sulle labbra. Chester ricambiò una seconda volta
ammorbidito, poi uscì.
Mike
si strinse nelle spalle e si buttò stanco nel letto lasciandosi
finalmente cogliere da quello che aveva interrotto prima.
Uno
strano senso di liberazione.
Finalmente
anche quell’unico neo della sua infanzia se n’era andato. Ora poteva
andare tutto nel dimenticatoio, non importava più.
Chester
preso il famoso rimedio vecchio come il mondo, una bella bistecca
cruda, attese fuori dalla porta di Jacoby che smettesse di parlare.
Intuì che fosse al telefono con Jerry e che dopo aver dato di matto
doveva essersi calmato, ora addirittura sparava cazzate tanto che anche
lui rideva da solo come un idiota.
Era
una persona talmente ampia che non aveva definizioni semplici. Era
complicato, tutto lì.
Non
ci mise altro, non aveva voglia di pensarci, di provare a capirlo, di
dare un aspetto a quel mosaico assurdo e surreale che era quell’uomo.
Non volle nemmeno mettersi.
Quando
lo sentì smettere di parlare, bussò ed attese il permesso che arrivò
convinto che fosse Mike.
Quando
entrò lo vide seduto sul balcone della finestra con le gambe per fuori
a penzoloni.
Sgranò
gli occhi preoccupato e presosi un colpo si precipitò prendendolo di
forza prima che si rendesse conto che non era Mike.
Lo
tirò dentro e cadde con lui nel letto dietro di loro.
Se
lo tenne sopra poiché lo schiacciava col suo dolce peso e a quell’ora
di forze per toglierselo di dosso non ne aveva più, dopo un po’ fermi
così Chester si ricordò della bistecca che aveva ancora in mano e
rotolando lo costrinse steso di schiena sotto di lui, accomodatosi
sopra a cavalcioni gli mise la carne cruda sull’occhio che era
effettivamente bello gonfio e lì rimase comodo e zitto per un po’ ad
osservarlo. Pensava cosa dire ma non gli venivano grandi cose, non
aveva voglia di complicarsi l’esistenza più di quanto l’avesse già,
oltretutto quello bravo con le parole era Mike, quello che amava
pensare e riflettere.
Sospirò
dopo un po’ notando che era stato asciugato e rivestito, non riuscì a
provare più gelosia come prima e nemmeno qualunque altra cosa fosse
stata.
Ormai
lo vedeva per quello che era, un ragazzo bisognoso d’aiuto che
confondeva tutto quello che gli capitava a tiro. Se faceva qualcosa che
non andava non era per seria intenzione ma solo perché non riusciva a
pensarci su seriamente. Sostanzialmente non erano molto diversi.
Si
ricordò di quando era stato fuori anche lui a causa della droga, sia
prima di conoscere i ragazzi che subito dopo Meteora e prima di Minutes
to Midnight.
Fu
un lampo che rimase costante in lui.
Era
arrivato a sentire voci e ferirsi per farle smettere, quando aveva
capito che non c’era verso di zittirle se non ascoltandole, le aveva
accontentate proprio per farle smettere, per paura di impazzire
seriamente. Paradosso. Solo ora se ne rendeva conto.
Si
ricordò anche di come aveva trattato Mike quando gli era capitato di
vederlo sotto pieno effetto di droga o magari in astinenza.
Era
talmente andato che una volta ed anche più di una forse l’aveva quasi
violentato.
Cose
inconcepibili.
Era
un po’ diverso e lo capiva ma di cose discutibili e obiettivamente
brutte e biasimabili ne aveva fatte anche lui.
Cose
per cui era stato additato anche come pazzo.
Non
gli piaceva ripensarci ma si rese perfettamente conto di quanto stronzo
fosse stato a gridargli che era pazzo, così non sapendo bene come fare
per rimediare ma volendolo, si stese meglio sopra di lui, era anche
piuttosto comodo e morbido in effetti. Appoggiò il gomito al suo petto
e il mento al palmo, quindi fissandolo da quella vicinanza nell’unico
occhio rimasto, cominciò a parlare a ruota libera così come gli venne,
senza pensarci troppo.
-
Mi sono drogato in passato e poi ci sono ricaduto durante il pieno
successo del gruppo. Un classico. Sono arrivato ad un livello tale che
sentivo le voci nella mia testa e per farle smettere la sbattevo contro
il muro. Quando ho capito che l’unico modo per farle tacere era fare
quello che dicevano, mi sono perso del tutto. Ho fatto una marea di
cazzate, ma era la droga alla fine. Mi ha fatto impazzire. - Decise di
sorvolare sul motivo principale, ovvero Mike, e andò alle parti
tecniche che gli sarebbero potute interessare: - Sono arrivato ad un
fondo tale che sono convinto in pochi hanno toccato. Lo so, sono
egocentrico. Di certo in tanti hanno provato le stesse cose, invece.
Chi se ne fotte. Comunque ho fatto di quelle puttanate, credimi, che
quelle che fai tu ora non sono nulla. E la gente mi guardava con pietà,
alcuni mi accusavano di essere pazzo, altri sapevano che mi drogavo.
Sono arrivato al punto di tentare il suicidio. Quando ne sono
finalmente uscito ho capito la differenza. Non ero davvero pazzo ma era
la droga che mi faceva diventare così e fare quelle stronzate… quelle
cattiverie… ma sai cosa mi è capitato a lungo? Quando qualcuno mi
vedeva sclerare per qualche motivo, perché sai io sono sempre stato uno
dagli scatti d’ira e cose simili, mi guardavano come se fossi di nuovo
fatto o pazzo. Quando me lo chiedevano, di cosa ti sei fatto? Faticavo
a distinguere chi scherzava e diceva tanto per dire da chi invece era
convinto seriamente. Quando capivo che uno lo pensava davvero che io mi
facessi o che fossi davvero pazzo, andavo in bestia, ero fuori di me.
Diventavo anche violento. Reagivo così, io. E alla fine sembravo
davvero pazzo o fatto, ma io la sapevo la differenza e sapevo che non
era così. Però mi faceva male quando qualcuno, magari vicino a me, lo
pensava davvero e mi accusava di nuovo. Ora posso dire che è comunque
colpa mia, perché è solo il passato che torna, in fin dei conti, perché
non te ne liberi mai finchè non lo accetti davvero. Ti serve un cazzo
di equilibrio ed un cazzo di compromesso per accettare le volte in cui
bussa ancora ma rassegnati, busserà sempre. Ci sarà sempre uno stronzo
che ti dirà se sei fatto o se sei pazzo. Questo non cambierà
assolutamente mai. Puoi cambiare solo tu nella capacità di accettare te
stesso, chi cazzo sei stato e chi cazzo sei ora. La tua capacità di
sopportazione, quella di stare con gli altri. Ma gli altri non
cambieranno mai. Soprattutto il tuo fottuto passato. -
Non
seppe come gli venne in mente di dirgli tutte quelle cose né se poi gli
potessero servire a qualcosa, ma quando lo vide coprirsi con la
bistecca anche l’altro occhio per non vedere -o farsi vedere- capì che
era il momento e non si mosse.
Come
previsto Jacoby cominciò finalmente a parlare e lo fece in un sussurro
irriconoscibile.
Anzi.
Un
lamento.
-
Sentivo voci. Mi dicevano cose atroci e per farle stare zitte mi ferivo
la testa, la sbattevo e quando non bastava cercavo di ferirmi per bene.
Mi sono fatto male con una cucitrice, un giorno, proprio prima di un
concerto. Avevo i capelli corti all’epoca, li ho fatti crescere quel
tanto per coprire le cicatrici. Ti ricordano che il passato rimane.
Posso solo nasconderlo, ma ci sarà sempre. Come ho detto a Mike mi sono
laureato in psicologia, so cos’è la pazzia e quando l’ho provata,
quando ho avuto quei crolli psicotici, non sono riuscito a capire cosa
mi succedeva, volevo solo che smettessero di parlarmi in testa. Poi i
miei amici mi hanno spedito a curarmi finchè non ne sono uscito, ora
tengo tutto sotto controllo anche se a volte ho ancora atteggiamenti
fuori dal comune. Per un cazzuto ignorante possono sembrare cose da
pazzi ma io so che non lo sono, sono cose un po’ sopra le righe ma non
da pazzi. Perché la pazzia è altro. Ci sono sull’orlo, una volta c’ero
caduto dentro, ora sono risalito ed adesso aspetto di vedere da che
parte finirò convinto che prima o poi tornerò a cadere perché dalla
pazzia non guarisci, la tieni sotto controllo, sparisce per un periodo
ma ti illudi, sta solo buona perché magari le condizioni per scatenarsi
non ci sono, ma aspetta che si ripresentino e vedi… ed io so che finirò
a morire per qualcuna delle mie cazzate, perché sono un fottuto figlio
di puttana avventato che non sa quando è ora di fermarsi. E ogni tanto
prego Dio che mi salvi, perché sento nettamente il controllo scemare e
la consapevolezza che sto per sparire. Succede che ti vedi agire e
pensi che non vuoi fare quella cosa ma la fai lo stesso, ti sforzi per
comandare il tuo corpo che non ti ascolta, allora ci provi in tutti i
modi a fermarti, anche con la forza bruta. A volta funziona, altre no.
E poi ti angosci e vai nel panico. Quando vai nel panico è finita, non
ti fermi più, non c’è verso. Non sono veramente pazzo, ho solo avuto
dei crolli nervosi ma sono cose che possono ripresentarsi con un
nonnulla, vivo su un filo d’acrobata ed invece di stare il più fermo
possibile per non cadere di nuovo, corro e salto come un coglione. E
non riesco a smettere. -
Era
davvero sull’orlo. Entrambi si chiesero perché avessero detto quelle
cose l’uno all’altro, ma si erano sentiti di farlo e l’avevano fatto.
Non potevano dire di sentirsi meglio o peggio, semplicemente diversi e
strani.
Jacoby
in quel modo non ne aveva parlato a nessuno ma aveva trovato delle
assurde similitudini con quel caprone che aveva addosso ed
istintivamente aveva voluto fargliele conoscere.
Non
gli venne minimamente in mente che se gli aveva raccontato di sé e del
suo passato era solo perché aveva pensato le stesse cose anche lui.
Però
mescolati insieme in quel modo si rilassarono vicendevolmente. Non
trovarono conclusioni vere e proprie, niente da rispondere, niente da
dire di rimando.
Però
qualcosa era cambiato in loro, senza ombra di dubbio.
Ora
erano vicini a qualcuno che li poteva capire perché aveva passato
qualcosa di simile sulla propria pelle.
A
quello il pensiero volò però per uno a Mike e per l’altro a Jerry.
Non
avevano passato le loro stesse cose però erano riusciti a capirli.
Anzi, non a capirli. No, non li avevano mai capiti, ma li avevano
aiutati.
Mike
più di Jerry poiché il secondo era ancora sulla via che invece Mike
aveva percorso da prima.
Era
una questione di tempo e ci sarebbe arrivato anche lui, alla fine.
Jacoby
però non poteva saperlo, pensava a lui perché gli bastava sentirlo per
sentirsi meglio e calmarsi, perché lui era calmo, si diceva nella sua
ingenuità.
Tutto
lì.
Diversa
l’aveva vissuta Chester che invece era sprofondato proprio per Mike e
grazie a lui poi era risalito. Però ora rimaneva sempre l’unico che lo
capiva e quando capitava che non ci riuscisse lo aiutava lo stesso.
Pensando
a lui gli venne solo un’enorme voglia di tornare di là, la stessa che a
Jacoby venne di risentire Jerry ma preferì addormentarsi a quel
pensiero perché non poteva proprio capire come fosse possibile, ma si
sentiva meglio se pensava che gli bastava parlare con lui per
ritrovarsi.
Così
si addormentò sereno senza nemmeno accorgersene.
Chester
gli tolse la bistecca e la buttò fuori dalla finestra -e poi il pazzo
era Jacoby!-, si alzò e rimase ad osservarlo mentre si girava di lato
in una posa fetale.
Si
intenerì addirittura finendo per sentirsi quasi un verme per non
avergli poi chiesto scusa per l’accusa atroce che lui sapeva essere
tale più di chiunque altro.
Bè,
ma magari quella apertura era meglio di una banale scusa.
Presunzioni
a parte alzò le spalle. In ogni caso sembrava tutto a posto e forse
anche meglio di prima.
Lo
diceva sempre, lui, che era un grande!
Ghignando
soddisfatto uscì dalla camera per infilarsi in quella di Mike, lo trovò
profondamente addormentato e imbronciato realizzò che ormai le porcate
erano andate nel cesso.
Sbuffò
ma decise di non svegliarlo, non era stata una giornata facile nemmeno
per lui. Anzi, con quello che poi aveva ricordato si meritava solo un
sonno sereno.
Chiudendo
la luce si stese accanto e lui e cingendolo da dietro portandogli un
braccio intorno alla vita, aderì il corpo al suo e se lo cullò
silenzioso per un po’ godendosi la sensazione del suo corpo morbido e
caldo.
Era
la pace, oltre che l’amore.
E
non solo.
Era
la salvezza.
Ogni
volta che si addormentava abbracciato a lui ringraziava Dio perché
senza, lo sapeva, sarebbe proprio morto.
Letteralmente.
Alla
perfezione di quel momento in aggiunta di molti altri vissuti prima, si
addormentò a sua volta per niente turbato dai ricordi che aveva appena
ridestato.
Andava
tutto bene.
Stava
dormendo con Mike.