NOTE: Sicché qua ( http://www.linkinpark.it/minutes-to-midnight-2007/hands-held-high
- Kenji è il secondo nome di Mike) ho letto una frase interessante,
ovvero che Mike ha scritto per esperienza personale questo testo
meraviglioso che parla della guerra, io ho cercato come una matta
specifiche sulla sua infanzia ma in nessun posto se ne parla, sembra
che sia nato e cresciuto a Los Angeles ma non si sa niente di preciso
ed io mi sono rotta di cercare ed ho deciso che in base a questa
piccola dritta volante nella sua infanzia c’entra la guerra in qualche
modo. Punto e basta. Ho anche considerato il fatto che questa è rap,
tutta fatta solo da Mike, ed il rap solitamente ha testi di vita
vissuta, esperienze personali, racconta episodi visti coi propri occhi
e questi sono davvero specifici per non esserlo.
Questa canzone
io la amo (per ascoltarla cliccate sul nome, sotto il testo) da sempre
ed ogni volta che l’ascolto mi muove dentro non so quante cose,
ascoltandola ho scritto alcune delle scene migliori. Così mi sono detta
che dovesse avere una storia speciale dietro perché è davvero
ispiratissima. Senza avere di preciso informazioni sull’infanzia di
Mike, ecco qua un’altra fic della serie Minutes to midnight. Dopo che
si sono già messi insieme.
Non posso dire
che farò una fic per canzone, ma per ora, oltre a questa, ne ho già in
mente un’altra. E non escludo nulla.
Comunque grazie
mille a tutti quelli che leggono e commentano, sono commossa ai
complimenti che ricevo!
Buona lettura.
Baci Akane
PS: cliccate
sul titolo della canzone, sotto il testo, e ascoltate.
Col
senno di poi posso rivelare che ho scoperto che questa canzone racconta
l'esperienza del padre di Mike, ma quell'articolo che avevo letto mi
aveva tratto in inganno... ormai la fic rimane! Prendetela per una What
if!
HANDS HELD HIGH
MANI STRETTE IN ALTO
Alza di più il microfono
devo dire qualcosa
pesi piuma lo
calpestano da parte quando arriviamo,
sentilo nel torace, le
sillabe iniziano a pompare
alla gente in strada
prende il panico ed inizia a fuggire
arrivano intere parole
su un block notes stropicciato,
faccio un salto nella
mia mente e invoco la rima che sto cercando
guarendo la cecità,
promettendo di far splendere il sole
stanco di queste
malvagità, marciamo a ritmo di tamburo
saltando quando ci
dicono che vogliono vederci saltare
'fanculo...voglio veder
partire pugni
rischia qualcosa,
riprenditi ciò che è tuo
dì qualcosa per la
quale potrebbero attaccarti
perchè sono stanco di
esser trattato come prima
Come se fosse stupido
restare per il motivo per cui restiamo,
Come se questa guerra
fosse veramente un diverso tipo di guerra
Come se non appoggiasse
i ricchi ed abbandonasse i poveri
Come se ti capissero,
nel retro del loro jet
Quando non puoi mettere
benzina nel tuo serbatoio,
questi bastardi se la
ridono mentre vanno in banca ad incassare il loro assegno
chiedendoti di avere
compassione ed un pò di rispetto
per un leader così
ovviamente nervoso
balbettando e
borbottando le notizie notturne da ripetere
e il resto del mondo
che guarda alla fine della giornata,
ridendo nel salotto
come per dire "cosa ha detto ??"
(coro)
Amen
Amen
Amen
Amen
Amen
nel mio soggiorno sto
guardando e non sto ridendo
perchè quando la
situazione diventa tesa, so cosa può succedere
il mondo è freddo,
l'uomo coraggioso entra in azione
deve reagire per
esplodere in frazioni.
A 10 anni, qualcosa da
vedere
un'altro bambino della
mia età drogato sotto una jeep
preso e legato e
trovato più tardi sotto un albero
mi chiedo se avesse
pensato a 'il prossimo potrei essere io'.
Li vedi i soldati che
ci sono fuori oggi ?
spazzolano via la
polvere dai loro giubbotti antiproiettile
ironico, in casi come
questi pregheresti
ma una bomba ieri ha
fatto saltare la Moschea.
Ci sono bombe sugli
autobus, biciclette, strade
nel il tuo
supermercato, nei tuoi negozi, nei tuoi vestiti.
Mio padre, ha molta
paura, lo so
ma ha abbastanza
orgoglio da non farla vedere.
Mio fratello aveva un
libro che avrebbe tenuto con orgoglio,
una copertina rossa con
una spina rotta sul retro
in cui ha scritto a
mano una frase
"quando i ricchi
iniziano una guerra, sono i poveri che muoiono"
nel frattempo, il
leader non fà che parlare,
balbettando e
borbottando la notizie della sera da ripetere
il resto del mondo sta
guardando alla fine del giorno
sia impauriti che
arrabbiati, come per dire "cosa ha detto ??"
(coro)
Amen
Amen
Amen
Amen
Amen
con le mani tenute in
alto in un cielo cosi blu
come se l'oceano si
aprisse per ingoiarti
con le mani tenute in
alto in un cielo cosi blu
come se l'oceano si
aprisse per ingoiarti
con le mani tenute in
alto in un cielo cosi blu
/ Hands held high -
Linkin Park /
Ci sono volte
in cui si gira e sembra che in lui ci sia il vuoto più assoluto, tanto
che ti chiedi se si sia fumato qualcosa di pesante, altre invece ci
trovi così tanto che hai solo l’imbarazzo della scelta.
Però ci sono
altre volte ancora in cui capisci che sta pensando a qualcosa di
specifico e non riesci proprio a decifrarlo.
Sai che ne ha
una che ti lascerà senza parole e cerchi di prevederlo per prepararti
ma proprio non ti viene, infatti ti spiazza e rimani di merda.
Questa è una di
quelle.
Oggi il mio
umore era splendidamente buono, alle stelle proprio.
Non so perché
ma a volte capita.
Forse perché
prima il periodo in cui si componevano i testi li vivevo come una
tortura visto che eravamo solo io e Chez e vivevamo come da reclusi
dannandoci per trovare le canzoni giuste.
Ora il fatto
che ci danniamo reclusi nel mio appartamento secondario non è cambiato,
però non è affatto una tortura, anzi. Mi piace. È come una seconda vita.
Un po’ sporco
mi ci sento ma ci sono certe cose che esulano da tutto.
Lui è una di
queste.
Fuori da ogni
schema, regola e senso del giusto.
Chez non va né
bene né male.
Chez, una volta
che arriva nella tua vita e tu lo accogli completamente e
profondamente, lo puoi solo vivere.
Ed io lo sto
facendo, mi sta bene, mi piace.
Prima era
sfiancante dovergli resistere e vivere praticamente con lui.
Ora è bello e
basta.
Spero di non
finire mai, questo album, per poter stare qua con lui da solo il più
possibile.
Non riesco a
pensare a nient’altro.
Forse la stiamo
tirando un po’ troppo per le lunghe di proposito, in effetti, menandola
a tutti che questa volta è davvero dura trovare i testi giusti visto
l’idea di avvicinarci di più ad un concept album.
Potremmo anche
darci un taglio in effetti ma non so che dire… così è davvero bello.
Mi avvicino
alla cucina da cui proviene un odore fantastico.
Chez mi sta
preparando il pranzo e quando lui cucina è un orgasmo alimentare.
Glielo dico
sempre, se fallisce come cantante -cosa difficile- ha un futuro come
cuoco.
Fra tutti
quelli che conosco, lui è quello che cucina meglio ed ogni volta lo
tormento affinché mi faccia qualcosa. Normalmente si va di take away ma
se lui è in casa allora è un delitto.
Sorrido con
gran godimento all’odore buonissimo.
Come fa lui la
carne non la fa nessuno!
Lo vedo
affaccendato con una certa serietà davanti ai fornelli e mi avvicino
circondandogli la vita da dietro, appoggio il mento alla sua spalla e
spuntando col viso accanto al suo apro la bocca con fare infantile.
Lui a questo
punto di solito sbraita dicendo che mentre cucina non gli devo rompere
‘i coglioni’ -con la sua solita finezza linguistica- e che non posso
assaggiare nulla.
Io puntualmente
lo tormento perché adoro sentirlo urlare -certo, o non sarebbe il mio
cantante!-
Con mia grande
sorpresa mi ficca in bocca un pezzo incandescente di bistecca che mi
ustiona il palato, ma più di questo il suo gesto automatico e
silenzioso mi lascia di stucco tanto che capisco subito che cova
qualcosa.
Mi separo
mentre cerco di ingoiare senza morire -cavolo se è buona sta roba!- e
guardo con gran stupore la sua nuca dai capelli rasati.
- Che hai? -
Chiedo subito senza girarci intorno. Lui preferisce così, quando faccio
il furbo e gioco portandolo con abilità laddove voglio che finisca, si
arrabbia.
Quindi lo
faccio le volte in cui mi annoio e mi va di sentirlo sclerare, quando
serve che parli davvero evito.
Alza le spalle
e non si gira continuando a cucinare.
Mi sta
nascondendo qualcosa ed il fatto è che lui non ne è capace, quindi a
breve me lo spiattellerà comunque in faccia, solo che mi sconvolgerà di
sicuro.
Cosa può essere?
Mi siedo al
tavolo apparecchiato per noi due e bevo un sorso di birra continuando a
fissarlo come fosse un estraneo.
Detesto quando
non capisco cos’ha, il che avviene raramente.
Sospiro.
Tanto me lo
dirà subito.
È solo che
mentre cucina non parla. Non riesce a fare due cose insieme, a parte
che non siano cantare e saltare, ma in quel caso si tratta sempre di
una perché per lui le due vanno di pari passo. Non può proprio fare una
senza l’altra. Quando una canzone richiede che stia fermo va in
difficoltà e si deve concentrare molto.
Aspetto
paziente che finisca, io al suo contrario gli lascio i suoi tempi ed i
suoi spazi le rare volte che li vuole, così quando chiude i fornelli e
sistema nei piatti il cibo da lui preparato, finalmente si gira verso
di me ma non mi guarda. Non serve comunque.
Ha una di
quelle espressioni.
Quelle in cui
sai che si sta tormentando con qualcosa in particolare che ti shockerà
ma che non hai proprio idea di che cosa possa essere.
Ad ogni modo il
piatto che mi presenta sotto il naso mi distrae dalle possibili
preoccupazioni e sorridendo più felice che mai gli stampo un bacio
sulle labbra come di consueto per ringraziarlo per aver cucinato per me
-un gesto che mi viene naturale e che ormai lui accetta di buon grado-
e mi avvento sul pranzo prima di ogni altra discussione probabile.
Mangiamo in
silenzio poiché evidentemente non riesce a smettere di pensare e se
un’idea gli assilla a questo molto il cervello non lascia spazio per
altro.
Non voglio
nemmeno che finga che vada tutto bene, visto che non è così.
Accetto
l’attesa ed il voler finire, anche se mangiare in questo modo mi sembra
strano.
Non siamo mai
stati così zitti.
Non tento
nemmeno dei dialoghi di circostanza, tanto sarebbe inutile.
Una volta che
finisco prendo un profondo respiro e mi stiracchio più rilassato e
compiaciuto che mai.
- Sono in
paradiso! Ora sono pronto a tutto! Che c’è? -
Sicuramente
sapeva che glielo avrei chiesto una volta finito.
Ora non ha
nient’altro da fare.
Conclude a sua
volta, poi beve della birra e mi guarda di nuovo in quel modo serio e
con un’idea assillante fissa in mente.
Si appoggia al
mento e quasi neutrale -non arrabbiato, tanto meno seccato o
accusatore- mi dice:
- Non mi hai
mai parlato del tuo passato. Abbiamo sempre parlato del mio, quelle
poche volte che l’abbiamo fatto. Tu non hai mai detto niente di te. -
Silenzio. Ci fissiamo ed io non so nemmeno di trattenere il fiato ed
alzare il sopracciglio incredulo: - Cosa ti è successo? -
E dà per
scontato che qualcosa sia successo, questo però me lo deve spiegare
perché. Pare capire la domanda, infatti tranquillo come non l’ho mai
visto, spiega:
- Scrivi
canzoni in un modo che è impossibile che qualcosa non ti sia accaduto.
Ma deve essere stato abbastanza grave e brutto da spingerti a non
averne mai fatto parola con anima viva. Non hai mai nemmeno fatto una
canzone autobiografica, sulla tua infanzia. -
È
un’affermazione.
Sono tutte cose
che sa già perché mi conosce, non vuole conferme su quelle, non gli
servono.
Vuole che gli
dica di me.
Di me.
Come diavolo
gli è saltato in mente così di punto in bianco?
Credo che il
secondo sopracciglio che alzo gli faccia capire anche questa mia muta
domanda e lui infatti risponde subito.
Come dicevo… a
volte è pericoloso capirsi così senza bisogno di parlarsi.
- Non so come
mi è venuto in mente. Ripensavo alle canzoni che parlano di me o delle
mie esperienze di prima che ti conoscessi. Alle volte che poi mi sono
aperto con te e che mi hai fatto bene. Ma tu niente. Non mi hai mai
detto niente di te. Ora puoi non averne bisogno, cioè hai affrontato
tutti i tuoi fantasmi e sei andato oltre. Sono contento, è bello. Però
io voglio saperlo e non perché tu sai i miei, solo perché voglio tutto
di te. Anche le ombre passate, non solo il tuo corpo e la tua luce
attuale. -
E solo ora, ora
che ha parlato parecchio e più serio e naturale che mai, mi rendo conto
di quanto ci tenga e quanto faccia sul serio.
Non ha detto
nemmeno una parolaccia.
In questo
stesso preciso momento mollo tutto, forchetta con cui giocherellavo e
birra, mi alzo e me ne vado dalla cucina.
So solo che me
ne sono andato, non so più dove mi sono rifugiato, non ne ho la minima
idea. Come non ce l’ho di ogni altra mia azione, sensazione, pensiero.
Sono andato in
blackout.
Nero.
Tilt.
Quando ho
capito che lui voleva sapere della mia infanzia e che faceva sul serio,
come forse non era nemmeno quando si è messo con me, non ho capito più
altro.
È lì che sono
finito.
Finito dove non
so, ma sono finito.
La prima
sensazione che sento è proprio quella delle sue braccia che mi
circondano facendo rifugiare la mia testa contro il suo petto.
Allora realizzo
di essere nel divano rosso nel mio studio e che sono tutto
raggomitolato su me stesso.
Contro di lui.
Sta in silenzio.
Come diavolo fa
a capire che non c’è niente da dire e che l’unica cosa possibile e
accettabile è questa?
Mi sconvolge ed
è proprio per questo che qualche funzione cerebrale si riattiva.
Per un momento
ero tornato ai miei tremendi dici anni.
E c’è stato
come un rumore di marcia dell’esercito che risuonava nella mia testa.
Quella con dei
boati frastornanti e tanti suoni brevi e secchi.
Spari.
Esplosioni.
Soldati.
Le sue labbra
sulla mia fronte.
Non fa niente,
non so nemmeno che espressione abbia e cosa stia pensando.
Lo starò
preoccupando, credo di essere abbastanza shockato da contagiarlo.
Immagino abbia
ragione. Sarebbe ora di parlargliene, almeno a lui.
Credo che
dopotutto non mi farebbe male, ci sono molte motivazioni a favore.
Anche i temi che affrontiamo nelle nostre nuove canzoni si prestano a
questo discorso.
Eppure
nonostante io non faccia che ripetermi che dovrei, non ci riesco.
Non mi viene.
Sono bloccato,
le corde vocali atrofizzate e forse è una specie di attacco di panico,
ma respiro.
Respiro
abbastanza bene e solo grazie a Chester che mi sta abbracciando in
questo modo che giuro non gli ho visto mai con nessuno.
Non sembra
nemmeno lui.
Mi aggrappo
alle sue braccia e sto così, in silenzio, ad aspettare che l’uso della
parola mi torni.
Non saprei
quanto ci metto.
Non ne ho
proprio idea.
Dopo un po’
riesco a dire la prima parola.
- Non riesco
adesso. - Che non è un no, perché a lui non so dirli e poi non sarebbe
giusto. Con quello che mi ha detto di sé non è giusto negarglielo.
Però so anche
che a questo punto lui sa accettare questa mia risposta.
- Va bene. -
Anche se con una piccola parte di me ero pronto a litigarci perché
pensavo si intestardisse e mi gridasse contro.
- Ci ho pensato
tante volte a scriverci su una canzone. - Comincio capendo che non devo
parlarne ora, quindi sono più rilassato. Sussurro con poca voce, come
se venissi da lontano. - ma non ci sono mai riuscito. - La sua mano mi
carezza la schiena incredibilmente dolce. Così riesco a parlare ancora:
- E non so se è perché prima devo parlarne con qualcuno e buttarlo
fuori a voce, ascoltarlo da me stesso, oppure perché è destinato a
morire con me. - Mi bacia di nuovo, ma questa volta la tempia. È di una
tale delicatezza che mi sconvolge. - Di solito scrivere mi viene
meglio, riesco a dire cose che poi a voce non combino sempre. Si
districano i pensieri contorti. Mi fluidifico. - La voce mi trema. - Ma
ora all’idea di buttarlo giù su un foglio sto peggio. Non saprei
nemmeno da dove cominciare. -
- Da qualcosa.
Inizia da qualcosa. Non importa cosa. Qualunque andrà bene. - Risponde
con calma citando l’inizio di In the end, una delle nostre prime
canzoni scritte insieme ed una fra quelle di più successo.
Sorrido appena,
sommessamente. Mi sento stanco, come se avessi attraversato una nazione
intera a piedi.
Ha ragione,
immagino. E mi piace che non sia brutale, stronzo, impaziente e che non
mi forzi come sarebbe da lui.
Mi piace che
per me e questo unico caso eccezionale, sia così delicato. Che per una
volta sappia esserlo.
Se nella sua
esistenza c’era un momento per esserlo, questo è quello giusto.
Gliene sono
sentitamente grato.
- Non ora.
Giuro che lo faccio. Ma non adesso. Non ci arrivo. - E forse è
incredibile come io sia riuscito ad affrontare i tremendi fantasmi di
tutti quelli che ho incontrato e che sono entrati nella mia vita ma mai
i miei. Nemmeno da solo. Nemmeno in un tentativo di scrivere una
canzone per stare meglio.
Rafforza la
presa e come se avesse previsto tutto questo -non è possibile perché
nessuno, e dico nessuno, sa tranne che i miei genitori e mio fratello-
mi lascia cullandomi in questo silenzio perfetto.
Un silenzio che
non può non riportarmi nel passato.
Un passato che
ho lottato con tutto me stesso per seppellire e dimenticare e
cancellare.
E ci sono
riuscito così bene da convincermi di non averne uno, semplicemente.
La mia vita per
tutti è cominciata qua in America, non c’è un prima.
Non esiste.
Però se ora sta
bussando dopo che per anni non ha mai chiesto niente, per qualunque
motivo sia, mi rendo conto che devo lasciargli il suo spazio.
La prima ed
ultima volta.
Poi lo
riseppellirò.
Perché so che è
giusto così.
Ma non ora.
Non ce la
faccio ancora.
Mi dispiace.
Nemmeno qua fra
le sue braccia.
Alcune cose non
le dimentichi, rimangono indelebili, crudelmente impresse a fuoco. Però
o le vivi in eterno, sempre e sempre, fino a distruggerti, o le
cancelli facendo finta che non siano mai esistite, convincendotene come
uno psicopatico. Ma in questo caso sai che comunque la resa dei conti
prima o poi arriva e appena succede non scappi, sei lì, che tu sia
pronto o meno, e capisci che è l’ora senza che nessuno insista troppo o
che ti tormentino. Perché in fondo non aspettavi che una scusa per
liberartene davvero. Perché te ne liberi solo se l’affidi a qualcuno. È
che trovare la persona giusta non è facile. Per niente.
Ci ho pensato
tutto il giorno, come un fantasma mi sono aggirato per casa, poi ho
smesso e mi sono piazzato di nuovo sul divano del mio studio, quello
preferito da Chez, e non mi sono più mosso.
Ho avuto questo
sguardo fisso e spiritato per il resto delle ore, ho tenuto un block
notes ed una penna con me che poi ho finito praticamente per
stropicciare e lasciare bianco. Chester ad un certo punto mi ha chiesto
se volevo mangiare e nonostante normalmente la cosa più potente per
tirarmi su sia proprio la sua cucina, gli ho detto di no.
Lo stomaco era
tremendamente chiuso.
Così ha
allacciato l’indice al suo e mi ha tirato su conducendomi in camera.
Io mi sono
lasciato fare inerme come un automa, mi ha spogliato senza allusione o
seduzioni. Mi pare sia stato solo e semplicemente delicato come un
fratello maggiore.
Mi ha lasciato
in boxer e dopo essersi spogliato a sua volta ci siamo infilati nel
letto.
L’idea di
dormire mi terrorizza.
So che
sognerei, lo so bene.
Non voglio
sognarlo, voglio solo che vada tutto via.
Ma Chester ha
deciso di non forzarmi e chiude la luce, mi dà un bacio leggero sulle
labbra e poi si gira comodamente su un fianco addormentandosi quasi
subito.
Solitamente se
dice una cosa è quella e non mi ha deluso, solo che io volevo parlarne
per buttarla via una volta per tutte, però la voce è bloccata dentro di
me da qualche parte.
Vorrei che me
la tirasse fuori, ma come può riuscirci?
Mi giro verso
di lui e mi concentro sul suo viso rilassato mentre dorme, ha il
respiro regolare, pare stia bene.
Decido così di
aggrapparmi al suo benessere e tenendomi alla sua immagine addormentata
a pochi centimetri da me, mi lascio cullare dalle ore notturne che
passano.
Ed un sonno
pieno di incubi mi prende, alimentando i ricordi che già mi erano
tornati in ogni caso.
Da sveglio però
li puoi filtrare, mentre dormi no. Arriva quello che arriva, non lo
gestisci, lo vivi a pieno, di nuovo.
E’ sull’apice
di quella marcia di soldati, quegli spari e quelle esplosioni, alle
ennesime scene che avevo giurato di non rimembrare più, che apro gli
occhi di scatto da solo.
Non penso
nemmeno di essermi agitato troppo, Chez dorme ancora e sta a pancia in
giù.
Io ho il
fiatone e sono tutto sudato fradicio. Il cuore va a mille e penso di
avere ogni funzione vitale sballata.
Sono nella
confusione totale. È solo per lui che mi rendo conto di essere tornato.
Sono grande,
non più un bambino di dieci anni.
Me lo ripeto ma
l’idea di dormire ancora, seppure le palpitazioni mi danno tregua, mi
rimanda nel caos.
Non voglio
chiudere gli occhi e rivivere ogni cosa.
Non voglio.
Sospiro, mi
mordo il labbro, contraggo i muscoli facciali in una smorfia e poi
sconfitto mi decido.
Prendo coraggio
e con una mano tocco la spalla di Chez scuotendolo, quindi lo chiamo
con voce incerta.
Si sveglia
subito e puntando uno sguardo smarrito e stralunato su di me, parla con
voce impastata, evidentemente preoccupato:
- Che cazzo
c’è? - Ora è tornato normale… ecco il suo linguaggio solito!
Lo preferisco,
mi rilassa in un certo modo.
Appena mi
avvicino meglio a lui nella sua stessa posizione, a pancia in giù,
capisce subito cosa voglio.
Devo avere
un’aria turbata, mi concentro sulla prima scena che mi viene in mente,
senza preoccuparmi di fare ordine e introdurre il discorso.
Come viene
viene, inizio da qualcosa, non importa cosa, lui capirà.
Perché comunque
tacere tutto questo è essere cechi e non è giusto non far splendere il
sole proprio dove serve.
- Tutti se lo
aspettavano da un momento all’altro, quindi poi la gente era
velocissima a riversarsi nelle strade e a fuggire in preda al panico.
Era quasi come marciare a ritmo di tamburi, solo che quei suoni non
erano delle batterie che componevano una canzone. Era l’avviso della
morte.
Arrivava quella
gente importante più forte di noi per fare la guerra, loro ordinavano e
qualunque cosa dicessero tutti dovevano eseguirla oppure era la fine.
Tutti obbedienti come dei soldatini, terrorizzati, non si ribellavano
mai. Eravamo tantissimi e tutti ad eseguire degli ordini assurdi per
paura di venir uccisi, di essere i prossimi. Nessuno voleva rischiare,
eppure se si fossero messi insieme avrebbero potuto sopraffarli, io ne
ero convinto ma dopotutto che ne potevo capire, ero un bambino di dieci
anni.
Erano tante le
cose che non capivo. Come ad esempio perché erano tutti stanchi di
essere trattati a quel modo ma nessuno poi facesse niente, chinavano il
capo.
Mi chiedevo
perché restavamo lì e non tentavamo la fuga come alcuni avevano
provato. Forse gli era andata male, ecco perché noi non lo facevamo e
rimanevamo, resistevamo là, in mezzo alla guerra, sperando che le
motivazioni per cui la facevano finissero.
Come se ce ne
potessero essere di buone.
Non sapevo
perché, non me lo spiegavano, sapevo solo che i ricchi che la
ordinavano erano al sicuro mentre noi poveracci ci andavamo di mezzo, e
non centravamo nulla.
Ma non ero
l’unico a non capire. Tutti quelli che come noi stavano là, non
capivano.
Loro occupavano
la nostra città e ci tenevano in pugno maltrattandoci in tutti i modi e
se la ridevano, nei loro mezzi da ricchi, pieni di soldi. Come se fosse
una partita a scacchi per un capo che nessuno conosce ma che
probabilmente è un bastardo nervoso pieno di sé.
Di ora in ora
arrivavano notizie sempre fresche nella speranza che qualcosa
cambiasse, ma tutto rimaneva sempre uguale. Però ogni volta che il
corriere se ne andava, ci chiedevamo cosa avesse detto. Che notizia?
Qualcuno stava
arrivando a sistemare le cose?
Qualcuno da
qualche parte del mondo stava venendo a salvarci?
Io lo aspettavo
e mi chiedevo quando si sarebbero fatti vivi, perché a quel punto il
resto del mondo era la nostra unica speranza.
Ma non veniva
mai nessuno.
Però sapevamo
che dai loro salotti guardavano i notiziari e si informavano sulla
nostra maledetta guerra.
E nemmeno noi
reagivamo.
Nessuno faceva
niente.
Nessuno alzava
le braccia in alto stringendo i pugni per ribellarsi.
Nessuno che ci
salvava, nessuno che tentava di salvarsi. -
A questo punto
serro le labbra e contraggo la fronte, così lui, che sorprendentemente
è ben sveglio, appoggia la fronte alla mia annullando quel po’ di
distanza che rimaneva. Con il braccio mi circonda la testa come per
coprirmi protettivo ed io mi accoccolo contro di lui continuando.
- A dieci anni
è qualcosa da vedere. Bambini della mia età soli, abbandonati che si
drogavano sotto le macchine e che una volta beccati li prendevano, li
legavano all’albero e li lasciavano là a morire. O magari li fucilavano
per far prima. Non capivo perché poi finissero così. Immagino che
drogarsi fosse un modo per scappare da quello schifo e da quel terrore,
però poi li uccidevano e non potevo che chiedermi se il prossimo sarei
potuto essere io.
Perché erano
bambini come me. -
Esito di nuovo
alle immagini dei bambini drogati che poi morivano in quel modo
assurdo, lo sguardo si oscura ulteriormente, una morsa mi attanaglia lo
stomaco. Come si fa a raccontare cose simili? Come si fa ad averle
vissute? Come ne sono uscito, io, vivo? Ma lui mi accarezza la testa ed
io riprendo.
- La mattina ci
svegliavamo e ci chiedevamo se i soldati erano ancora fuori e li
vedevamo sempre là a spazzolarsi la polvere dai loro giubbotti
antiproiettile dopo aver fatto probabilmente qualche altra strage.
Che poi c’era
dell’ironia in tutto quello… in casi simili si pregava ma come potevamo
se facevano saltare le Moschee?
C’erano bombe
ovunque, sugli autobus, sulle biciclette, per le strade, nei
supermercati, nei negozi…
Erano tutti
terrorizzati, mio padre prima di tutti, lo sapevo, ma non l’ho mai
visto lamentarsi o mostrarla. Ma era ovvio che l’avesse. Da piccolo non
capivo come facesse a resistere, ora penso fosse il suo orgoglio. Non
voleva mostrare la sua paura. - Ricordandolo mi torna in mente un altro
membro della famiglia e c’è un pezzo specifico che lo riguarda. Ora
Chez è sceso con la mano sulla mia schiena e mi carezza leggero su e
giù, con la punta delle dita. Mi rilassa, per quanto io possa esserlo
parlando di questo.
- Mio fratello
aveva un libro, non se ne separava mai. Aveva una copertina rossa e sul
retro aveva scritto a mano una frase che allora non capivo, ma
crescendo mi è sempre rimasta in mente: ‘quando i ricchi iniziano una
guerra, sono i poveri che muoiono’. Non penso ci possa essere una frase
che possa rispecchiare al meglio una guerra. Sono tutte uguali, poi. -
Ma alla fine
riesco ad avere quasi un’aria serena, mentre concludo i ricordi della
mia infanzia. Ricordi che non avrebbero fine così presto se non mi
sentissi finalmente meglio.
Non me lo so
spiegare, però è così e con malinconia e rassegnazione termino:
- Sai, ero
piccolo e non facevo che pregare di continuo senza capire cosa
succedesse e perché nessuno facesse niente, perché tutti si limitavano
a guardare e non fare nulla e noi a non ribellarci. Non capivo perché
ero convinto che se tutti noi, poveracci, tanti che eravamo, avessimo
marciato verso di loro, ricchi, e l’avessimo fatto con le mani tenute
strette a pugno in alto verso il cielo, qualcosa sarebbe potuto
cambiare. Ma noi non abbiamo mai combattuto. Nessuno si è mai ribellato
e le mani sono rimaste abbassate come le teste.
Però stavo ore
a pregare con gli occhi rivolti al cielo, era così blu, a volte, che
sembrava di avere l’oceano sopra la testa che ti ingoiava.
E sognavo che
succedesse davvero, perché ovunque era meglio di lì. -
Non riesco ad
andare più nello specifico e a spiegare con ordine e precisione, né
l’inizio né la fine, né i luoghi o delle specifiche tecniche.
Niente.
Però finisco e
nonostante il caos che gli ho raccontato mi pare vada bene così perché
questo era ciò che avevo bisogno di dire.
Credo lui lo
sappia, infatti con aria ancora un po’ assonnata e prevalentemente
dispiaciuta per ciò che ha ascoltato, comincia a coprirmi il viso con
tanti piccoli baci delicati, parte dalla fronte e scende sul naso, gli
occhi, le guance, il mento e poi finisce sulla bocca.
Io mi godo
questa piccola cura, so che non ha parole adatte da dire, perché la
guerra è questo che porta.
Silenzio.
E mi piace la
sua reazione, perché sulla distruzione non c’è niente da dire, solo da
fare.
Da costruire.
Da curare.
Tutto qua.
Dove
c’è stata la morte non si semini odio ma amore affinché ciò che è
andato distrutto possa ricrescere più forte e sano.
E
trovi la felicità.
Io ce l’ho
fatta e voglio pensare che nonostante tutte le morti che ci sono state
e che nelle guerre ci sono di continuo, ci siano tanti come me che poi
sopravvivono, resistono e riescono a tornare a vivere.
Spero che sia
così.
Perché poi la
mia preghiera sono convinto sia quella di tutti gli altri come me che
in guerra si trovano nel fuoco incrociato.
‘Dio,
salvaci tutti
Bruceremo
nei fuochi di mille soli?
Per
I peccati della nostra mano,
Per
I peccati della nostra lingua,
Per
I peccati dei nostri padri,
Per
I peccati dei nostri figli
Dio,
salvaci tutti’ *
Chester
intreccia le gambe alle mie e mi circonda di nuovo col braccio
stringendomi a sé, mi nasconde il viso contro il suo collo e mi tiene
così senza dire nulla o fare qualcosa di più.
Lo cingo a mia
volta finendo per aggrapparmi a lui e rimango così a lungo a ripensare
a quella preghiera che facevo con angoscia e a quei cieli che
sembravano oceani.
Alle volte in
cui sognavo che le mani di tutti noi si alzassero in alto e marciassimo
contro di loro per liberarci.
Ci ripenso e
dopo un po’, con un profondo sospiro, lo lascio andare posando un
leggero bacio sulla porzione di pelle a contatto con le mie labbra.
È finita e l’ho
superata.
Ora sono qua
con lui che mi capisce e stiamo bene.
- Grazie per
non aver detto niente. -
E so che ha
capito perché glielo sto dicendo.
Mi bacia la
fronte e lascio che tutto scemi sfumato in una melodia nuova che
alberga la mia mente ed ora anche il mio animo.
Una melodia
dove la gente marcia con le mani strette in alto sotto dei cieli che
paiono oceani e lo fa pregando per mettere fine a quelle maledette
guerre.
Un giorno
succederà, anche se ora ci siamo lontani.
- Ed io che
pensavo di averla avuta dura io, l’infanzia! - E’ questo tutto il suo
commento, dopo circa una mezz’oretta di silenzio perfetto.
A questo non
posso che ridere e abbarbicarmi a lui ancora di più stampandogli un
bacio sulla bocca.
Fortuna che c’è!
FINE
* tratto da The
requiem, canzone dall’ultimo album, A thousand suns