PER
RICOSTRUIRLO
CAPITOLO
1:
L’INIZIO
DI UN ABISSO
-
Ma che diavolo chiami me? Hai mal di schiena e non riesci a muoverti,
mi spieghi cosa pensi che possa fare io? Mica ho la bacchetta magica,
cazzo! Chiama tua moglie! -
La
voce di Mike arrivò isterica all’orecchio di Chester e capì subito di
aver fatto una cazzata a chiamare lui, suo malgrado non potendolo
ammettere sbraitò al telefono un po’ per superare il proprio dolore ed
un po’ per imporsi sull’altro.
-
HO LITIGATO CON SAM! NON E’ QUA E NON ME NE FOTTE DI DOVE SIA MA TU
VIENI SUBITO E AIUTAMI ALTRIMENTI MUOIO, CAZZO! -
Mike
capendo che avrebbe anche potuto continuare ad urlare pur di farsi
accontentare, decise di risparmiare le sue corde vocali per il tour di
prossimo inizio e sbuffando mise giù il telefono alzandosi dal computer.
Ancora
non capiva cosa diavolo pensava potesse fare lui se aveva mal di
schiena!
Mica
era un fisiatra!
Nonostante
questo non poté che sentirsi anche vagamente orgoglioso di essere stato
il primo a cui Chester aveva pensato.
Corse
da lui a rotta di collo e nel giro di pochi minuti fu a casa sua,
salutò i cuccioli che gli aveva portato lui stesso in casa diventandone
la mamma ed entrò da dietro nel sistema che lui e pochi intimi
sapevano.
Quando
fu dentro lo chiamò non avendo idea di dove fosse, poi la sua voce
melodiosa gracchiò da sopra e dedusse che fosse in camera; salì le
scale saltando i gradini due a due, all’ultimo si inciampò finendo per
fare gli ultimi in ginocchio e si rese conto che forse aveva un tantino
troppa frenesia e schiaffeggiandosi si calmò.
Era
assurda tanta fretta, aveva solo mal di schiena, che diavolo poteva mai
essere di così grave?
-
QUANTO CAZZO TI CI VUOLE PER VENIRE? - Chester sembrava stesse morendo
e quando sbucò in camera lo vide steso nel letto immobile a pancia in
su, dritto e rigido come un morto. Anche il pallore e le occhiaie non
erano male ed essendo in boxer si vedeva tutta la sua eccessiva
magrezza.
Mike
si fermò e non trattenne un’aria impressionata.
-
Chez, sembri morto! - Nemmeno l’esclamazione la trattenne, se era per
quello.
-
Grazie, eh? Lo so da me che sto male da morire, porca puttana! E sono
solo come un cane, troia merda! - Il solito linguaggio scurrile a cui
Mike era abituato.
Si
avvicinò ridacchiando, se ne diceva tante significava che non stava poi
tanto male, no?
-
Cosa posso fare? - Chiese non sapendo effettivamente come essergli
utile.
-
Aiutami ad alzarmi che devo pisciare, non riesco a muovermi senza
cainare come una merda. Poi mi prendo degli antidolorifici. -
-
Scusa ma mi hai chiamato solo per aiutarti ad alzarti? - Chiese
incredulo.
-
Certo cazzo, come pensi che faccia, mi piscio a letto? - Il rapper
sorvolò e sospirando paziente si avvicinò immaginando di avere a che
fare con suo figlio. Si chinò e facendosi passare un braccio intorno al
collo lo cinse a sua volta e cercando di essere delicato l’alzò. La
valanga di insulti lo investì come una locomotiva e piegando il capo
dall’altra parte si chiese se potesse avere la grazia di non sentirne
altri almeno per un po’. Non ne ebbe.
Quando
dopo molta fatica riuscì a metterlo in piedi girò la testa per
guardarlo, si era fatto stranamente silenzioso e capendo quanto stesse
male cominciò a preoccuparsi seriamente.
-
Chez, ma stai veramente male… - Come se fino a quel momento avesse
fatto finta!
-
Che cazzo pensi ti abbia chiamato a fare, per capriccio? - Chiese
scorbutico.
-
No ma non pensavo a questi livelli… sei giallognolo! - non riusciva
nemmeno a smettere di guardarlo, lo trovava davvero spaventoso e nel
tenergli un braccio intorno alla schiena sentiva anche le ossa. Era
troppo magro… - Ma stai mangiando? - Chiese infatti sempre più
preoccupato palpeggiandolo.
-
No ma mi piscio addosso se non ti sbrighi! - Grugnì stufo mentre si
teneva le parti basse per farsi da tappo.
Mike
arrossì e riscuotendosi si sbrigò a portarlo al bagno. Sembrava non
riuscisse nemmeno a camminare da solo e la cosa era davvero allarmante.
-
Ce la fai? - Chiese premuroso giunto davanti al water.
-
Vuoi tenermi il cazzo tu? - Chiese sgarbato e con una vaga punta di
malizia che fece arrossire ulteriormente il povero assistente. Senza
dire nulla si affrettò a mollarlo e a girarsi. Non c’erano veri
problemi nel vedersi nudi o a fare i propri bisogni insieme, per lo
meno in teoria non sarebbero dovuti esserci… Mike a quanto pareva ne
aveva… e l’aveva scoperto solo ora!
Quando
sentì l’acqua dello sciacquone tornò a guardarlo e come si aspettava lo
trovò con il braccio teso verso di lui e l’altro a tenersi la schiena,
doveva fargli molto male. Gemette quella decina di volte nel tragitto
fino al lavandino e all’armadietto dei medicinali e preoccupandosi
sempre più, cominciò a chiedere ansioso:
-
Ascolta, ma non è meglio andare in ospedale? Ti vedo troppo male…
secondo me non è solo il solito mal di schiena… -
-
Fammi prendere sta roba, se non mi passa andiamo. - Dando per scontato
che Mike sarebbe rimasto con lui tutto il tempo.
Lo
vide prendere gli antidolorifici e senza per quello preoccuparsi di
meno lo riaccompagnò fuori.
-
Con questa roba devi mangiare qualcosa o ti rovini lo stomaco… -
Ma
non fece in tempo a convincerlo che lo vide sudare copiosamente quasi
subito.
Ormai
era chiaro che la cosa stava degenerando e nel vederlo faticare tanto
per qualunque tipo di movimento, si fermò in camera, lo sedette nel
letto dove rimase rigido tenendosi nel lenzuolo, tirava e il colore non
era affatto migliorato.
-
Chez, chiamo il medico, stai troppo male, sudi freddo, sei spaventoso
e… - silenzio. - E non insulti! - La cosa davvero grave era che non
parlava e lui stava diventando sempre più isterico e più questo
succedeva, più l’altro si innervosiva.
Voleva
insultarlo come meritava e gridare ma la sola idea di fare qualunque
cosa, anche solo parlare, lo faceva vomitare e quando vide Mike
scuotere la testa sempre più isterico, nella confusione del suo
malessere generale che prendeva la punta della testa da quella dei
piedi, e prendere il telefono fu lieto che capisse cosa cercava di
dirgli.
Non
riusciva nemmeno a muovere i muscoli della mascella dal tanto che era
contratto per il dolore.
Tutti
quelli del corpo erano tirati al limite dell’impossibile e volendo solo
gridare si ritrovò a girare gli occhi a macchina per guardare prima
Mike terrorizzato e preoccupato e poi i vestiti. Solo le pupille
riusciva a girare.
Alla
fine Mike capì e prima di fare la chiamata a non sapeva nemmeno lui
chi, l’aiutò a vestirsi.
-
Giusto, hai ragione, ora ti vesto, non puoi andare da nessuna parte
così. Poi ti porto io in ospedale che facciamo prima così non devo
spiegare niente, quando sono così divento un‘incapace! - Chester
provando ad immaginarselo si calmò un po’ ma non fu abbastanza perché
si ritrovò di nuovo a stringere i denti nel momento in cui Mike gli
mise le mani addosso.
Eppure
doveva essere bello…
Fu
un pensiero al volo completamente incontrollato e irrazionale a cui non
diede peso per lo stato in cui era.
Mike
gli infilò i jeans e glieli lasciò abbassati in modo da alzarglieli
dopo, quindi gli infilò la maglia e obbligandolo a movimenti un po’ più
ampi dell’immobilità di prima, cominciò ad ansimare per la fatica ed il
dolore. Gli occhi lucidi e Mike un’anima in pena che ansimava a sua
volta in simbiosi con lui, era come se stessero male insieme, fu
davvero una cosa anomala ma nessuno avrebbe dimenticato il momento
successivo.
Quando
dovette alzarlo per mettergli su i jeans, Chester gli si aggrappò
convulso come se non sapesse più stare in piedi e stringendogli le
braccia al collo lo fece faticare non poco nel completare il lavoro.
Dopo
tanto sforzo da parte di entrambi Mike lo tenne a sé abbracciandolo
senza rifletterci. Era in uno stato pietoso, continuava a sudare ed era
sempre più rigido. Gli toglieva il fiato da tanto che lo stringeva ma
non era per quello che non si scioglieva da lui e che se lo teneva
aggrappato in quel modo, era perché gli appariva tanto fragile e
sottile che nel lasciarlo andare aveva paura di non riuscire più a
riprenderlo.
La
paura che cominciò a provare in quel momento fu l’inizio di un abisso
che sarebbe durato molto tempo.
-
Devi lasciarmi perché così non riesco a chiamare… - Fu lì che si
accorse di aver freneticamente cambiato idea dieci volte nel giro di un
minuto e solo allora capì di essere nel panico per le condizioni di
Chester.
Condizioni
sempre peggiori.
Quando
il ragazzo si lasciò cadere nel letto Mike pensò che l’avesse fatto
apposta per permettergli di chiamare il 911 ma quando realizzò che
invece stava tremando in maniera troppo vistosa per essere una cosa
pseudo normale, per un momento non vennero anche a lui le convulsioni.
Cominciò
a chiamarlo con voce da ultrasuoni e inginocchiandosi su di lui sul
letto si coprì la bocca senza sapere cosa diavolo fare.
Nemmeno
provava a riflettere, la mente completamente spenta e solo il viso
pallido di Chester che soffriva in quel modo atroce davanti a lui, gli
occhi all’indietro.
“Ha
le convulsioni! Chester ha le convulsioni! O porca puttana, Chester ha
le convulsioni! Che cazzo faccio? Cosa diavolo si fa in questi casi?
Non ricordo un fottuto nulla!”
Ma
senza saperlo si trovò a fare né più né meno ciò che andava fatto. Fece
attenzione che non cadesse e non si ferisse da solo e solo quando finì
e rimase svenuto si ricordò della regola basilare.
Chiamare
i soccorsi.
Spentosi
per dei proverbiali minuti atroci, gli stessi delle convulsioni di
Chester, compose il numero e chiamò l’ambulanza ma fu talmente isterico
al telefono che capirono a malapena di dover venire a quell’indirizzo a
prendere qualcuno che forse stava per morire.
Asciugandogli
senza nemmeno accorgersene il sudore dal viso sciupato e segnato, finì
per carezzarlo preoccupato, l’ansia lo stava divorando e pensando che
fosse così avere un cancro gli prese la mano e se la strinse sulle
labbra. Non aveva la minima idea di che cosa stava facendo, tanto meno
che non era normale. Sapeva solo che era terribile vederlo così e che
voleva si svegliasse e lo insultasse come al solito. Voleva litigarci
per divertirsi, voleva sentirlo gridare e vederlo saltare, ma rimase a
guardarlo mentre il cervello continuava ad annegare in una preghiera
senza fine. Una preghiera che aiutasse Chester.
Riprendersi
non fu traumatico, il peggio fu la degenza.
-
Ma cosa cazzo ho? -
-
Non possiamo esserne certi senza tutti i risultati in mano e non
azzardiamo ipotesi inutili. -
-
E’ grave, ecco cosa c’è! -
-
Ma no, signor Bennington… è solo che non vogliamo allarmarla per
niente… -
-
Sti cazzi! Se non fosse grave me lo direste subito, evitate di dirmi
cosa ho solo perché è grave e non sapete come dirlo! Fanculo, voglio
saperlo! -
-
Non è assolutamente così, mi creda! -
-
Allora dimettetemi! -
-
Non se ne parla, dobbiamo essere sicuri. -
-
Sto per morire! Ho un cancro allo stadio terminale ed aspettate che
vengano i miei per farmelo dire da loro! Allora sappiate che sprecate
il vostro tempo, mio padre non sa dare le notizie e mia madre è
ipocondriaca e vi muore lì se glielo dite! Per non parlare di Mike!
Ditelo a Rob, lui sa dare le notizie! -
-
No, davvero, mi creda, non è niente del genere. Vogliamo solo avere i
risultati in mano prima di parlarne. Non si preoccupi prima del tempo!
-
-
Prima del tempo? Vuol dire che però dovrò preoccuparmi? Lo vedi! Dimmi
di cosa sto per morire! -
Il
dottore non sapendo più come fare benedì l’entrata di Mike e dal suo
sguardo il ragazzo capì subito quanto insopportabile dovesse essere
stato Chester fino a quel momento, non poté che sorridere divertito.
-
Non lo convincerà mai finchè non gli mostrate le prove! - Disse
scherzando provando a sdrammatizzare. In realtà era il più teso di
tutti ma cercava di non tornare a fare l’isterico come era successo al
telefono.
-
Vi lascio soli, appena so qualcosa lo saprete subito. Intanto il signor
Bennington dovrà rimanere a dormire qua. Ci vorrà almeno un giorno per
sapere tutto. -
Chester
fece una smorfia da ‘ti uccido’ e vedendo che aveva preso in mano la
sua flebo per tirargliela, Mike corse per fermarlo permettendo così al
povero dottore di andarsene.
Quando
furono soli, Chester sospirò insofferente.
-
Mike, sto per morire! Perché non mi dicono niente? - Il tono lamentoso
di chi era veramente al limite massimo. A Mike si strinse il cuore e il
momento delle risate svanì quando capì quanto stava male interiormente.
Era
meglio di ore prima ma era ancora sciupato e pallido, oltre che pieno
di mal di schiena.
Sedendosi
sul bordo del letto scivolò con la mano dal polso che aveva dovuto
fermare fino alla mano e tenendogliela fra le sue lo strinse senza
preoccuparsi di apparire melenso o effemminato. Non gli importava e
nemmeno a Chester. Gli era solo lieto che stesse lì con lui e lo
tenesse ancorato sul mondo.
Il
compagno sospirò cercando di placare entrambi gli animi in subbuglio e
scambiandosi degli sguardi molto significativi e comunicativi, quello
di Mike sfociò presto nel dolce e comprensivo.
Era
scosso, non sapeva cosa farci e oltretutto era anche pieno di paura e
quello lo sapeva gestire ancora meno.
-
Hai chiamato Sam? - Chiese per cambiare discorso. Chester si riprese in
fretta e nonostante rimanesse steso e pressoché immobile, dimostrò un
disprezzo quasi immediato in reazione al nome.
-
No e non intendo farlo! Non gliene fotte un cazzo di me! Quando avevo
bisogno di lei c’eri tu! Allora che stia dove diavolo è, fanculo! -
Sbottò infatti acceso. Ad un forte giramento di testa trattenne il
respiro e chiuse gli occhi premendo la mano libera sulla fronte.
Anche
quel semplice gesto era faticoso e pesante. Alzarsi dal letto era
praticamente impensabile.
Mike
più preoccupato per quello che per la litigata con sua moglie, rispose
piano stringendo la presa:
-
Come stai ora? -
Il
tono si placò immediatamente e come se fossero di nuovo altre persone,
rispose flebile distogliendo lo sguardo dal suo. Aveva quasi timore dei
suoi occhi in qualche modo. Pensieri gli giravano in testa portati da
paranoie e da un’infanzia traditrice.
-
Ancora di merda… all’idea di alzarmi mi gira la testa e a quella di
mangiare mi vien da vomitare ancor prima. Non ho proprio forze e se
provo a girarmi da questa posizione la schiena mi uccide. Cazzo, Mike,
cos’ho? - E dire che Mike era anche più agitato di lui… come poteva
tranquillizzarlo?
Mordendosi
il labbro cercò un sorriso tirato che non lo convinse per nulla.
-
Dai, cosa vuoi che sia? Sei il solito esagerato! Quelle cose non le
devi nemmeno pensare! - Peccato che nonostante volesse scherzare e
sdrammatizzare non gli venisse niente.
Chester
capì che anche lui era preoccupato e si arrabbiò con sé stesso per
essere la causa di quella sua ansia. Normalmente gli piaceva essere al
centro dell’attenzione, ma in quel caso non era per niente bello.
-
Hai paura anche tu. - Mormorò come se caricasse una pistola.
-
Perché ce l’hai tu. Ammetti che vederti spaventato non è comune! -
questa gli uscì quasi bene e Chester accennò ad un vago sorriso piccolo
piccolo ammettendo che aveva ragione.
-
Ma glissano quando gli chiedo cos’ho… quando ti fanno la visita
preliminare e vedono i sintomi si fanno sempre un’idea, perché non
vogliono dirmi niente? Mi dicono solo che non è il caso di preoccuparsi
prima di sapere qualcosa di sicuro, questo per me vuol dire che
comunque è qualcosa di preoccupante altrimenti stanerebbero subito ogni
cazzo di dubbio, no? Io voglio solo essere tranquillizzato… Mike, vacci
a parlare tu, magari ti dicono qualcosa… - Mike sorrise complice.
-
Ho mandato Brad e Rob perché quando ci ho provato io per poco non me lo
mangiavo! Certo niente confronto a te! - Chester provando ad
immaginarlo rise con stanchezza e più rilassato di prima riuscì a
mettere da parte momentaneamente i brutti pensieri.
Solo
rimandati alla notte.
Mike
cercò un altro spunto per distrarlo ancora un po’ e con un sorriso
quasi triste che non gli si addiceva per niente, gli toccò con l’altra
mano i capelli biondi.
-
Ehi, che colore ci facciamo la prossima volta? -
-
Pensavo al rosso! - Mike non riuscendo ad immaginarsi nessuno dei due
di quel colore pensò che l’avrebbe accontentato lo stesso una volta
usciti da lì, nella speranza che fosse presto.
-
Fatta! Appena esci ci andiamo subito insieme! - Rispose sforzandosi di
essere allegro. In realtà ad ogni minuto che passava così era sempre
più ansioso, a momenti non sarebbe più riuscito a tenersi a freno.
Capendo che prima di tornare ad uscire di testa dalla preoccupazione
era meglio uscire e lasciarlo solo, si fece di nuovo serio.
-
Dai, vedrai che starai bene! - Anche se la flebo al braccio che avrebbe
dovuto aiutarlo non sembrava funzionare molto bene. Solo la schiena gli
dava tregua.
L’immagine
delle sue convulsioni erano troppo vivide.
-
Non voglio dormire qua, Mike… - Mormorò in una pallida imitazione dei
suoi capricci. - odio gli ospedali! - Sempre qualche brutto ricordo
legato a quel posto. - Mi sentirò solo come una merda. -
Mike
cercò di nuovo di sorridere ma ancora non lo lasciava né veniva
lasciato.
-
Macchè solo! Con tutte le infermiere che ci sono! -
-
Cos’è, mi stai suggerendo di tradire quella stronza di mia moglie? -
Cercò di stare al gioco ma anche a lui gli veniva male, era quasi una
parodia riuscita male.
-
Quanto sei scemo… chiamala così non sarai solo, stanotte! -
Anche
se per un momento aveva sperato chiedesse a lui di rimanere. Un momento
in cui Chester stesso l’avrebbe voluto.
-
Solo quando sarò disperato. -
-
Non puoi non dirle che sei in ospedale! Hai avuto le c… - ma nel
provare a dirlo si fermò, la voce proprio non gli usciva come se ci
fosse un blocco psicologico e capendo che era proprio così impallidì a
sua volta in un muto ‘mi dispiace’ che non seppe dire. Fu il turno di
Chester di stringere la mano nella propria per fargli capire che andava
bene.
-
Non devo essere stato un bello spettacolo. -
-
Andrà tutto bene, non è nulla, ne sono sicuro. - Quando lo disse fu
chiaro il suo voler cambiare argomento come anche il cercare di
scappare per preoccuparsi liberamente ancora un po’, Chester lo capì ma
con egoismo cercò di tenerselo ancora con sé, non voleva separarsi da
lui, tutto lì.
-
Non lo so, non mi dicono niente… ed ho visto troppo bene come la vita
sa rivoltarsi contro di me… è solo una puttana che allarga le gambe al
miglior offerente. Io non ho mai avuto niente di buono da offrirle… -
Come filosofia di vita era strana e fantasiosa a modo suo, Mike accennò
solo ad un vago sorriso ma non trovò nulla da dire, non sapeva molto
della sua vita prima, solo che sicuramente ne aveva passate di brutte e
che aveva un passato da tossico o qualcosa del genere. Non sapeva di
preciso niente ma ad un’affermazione simile c’era da credere che
dovesse essere stata bella dura.
Eppure
rifiutava categoricamente di credere che fosse come diceva lui.
-
Non questa volta. - Ma non riusciva ad essere convincente al cento
percento e se ne rendeva conto lui stesso. Fu per questo che decise di
andarsene, per evitare di infossarlo ulteriormente nelle sue paranoie
già molto ben sviluppate di loro.
Riuscì
ad andarsene con fatica e Chester riuscì a chiamare Samantah, a
rivederla, farci pace e a litigarci di nuovo.
Passare
la notte da solo in ospedale con ogni persona del servizio sanitario
che lavorava lì dentro che glissava sulle sue domande, non fu la cosa
migliore per lui che cercava sempre di evitare i propri pensieri.
Lì
trovandocisi completamente solo e non riuscendo proprio ad ignorarli,
col buio tutt’intorno e l’incapacità di convincersi che non era niente
e che era solo esagerato, non riuscì a trattenersi dal chiamare Mike.
Gli
rispose quasi subito e la sua voce non era roca, significava che
probabilmente stava passando la notte sveglio anche lui.
-
Chez? Stai male? - La prima cosa che gli chiese con ansia palpabile fu
questo e Chester si sentì una schifezza nell’avergli provocato quello
stato allucinato, però non poteva proprio farci nulla, assolutamente.
-
No no… volevo solo parlare con qualcuno… ho di nuovo litigato con Sam,
così sono qua solo come una merda e… niente… pensavo… non riesco a
dormire… - Si sentì talmente idiota a giustificarsi che sperò Mike lo
fermasse, quando lo fece gliene fu grato.
-
Immagino. A… a cosa pensi? - era notte e forse fu quello a fare da
complice per quell’atmosfera intima e malinconica da parte di entrambi,
o forse no. Forse era nell’aria ugualmente. Però premendosi il dorso
della mano sulla fronte e chiudendo gli occhi, provò ad immaginarsi
Mike lì con lui e fu tutto più facile.
Non
si era mai aperto, non era mai arrivato a riflettere su certe cose…
- A
quello che conta veramente… facevo un po’ le somme della mia vita… -
Mike avrebbe voluto dirgli che era presto e che era un’idiota ma capiva
che aveva bisogno di dirlo a qualcuno, per questo lo faceva parlare e
non lo fermava.
-
Che somme ha la tua? - Lieto di essere assecondato, Chester proseguì
con un peso che si stava togliendo solo perché poteva dirlo a qualcuno.
-
Basse. Prima di incontrarti era una vera merda ed onestamente anche ora
l’unico aspetto bello della mia vita è il gruppo. Fortunatamente le
cose con la musica sembrano andare bene e penso sia l’unica cosa che mi
tiene qua. Altrimenti l’avrei già fatta finita, credimi. - Mike che non
sapeva niente di preciso della sua vita di prima, disse istintivamente
quello che gli venne. Piano e delicato.
-
L’hai avuta dura fin qua, si? - Si sentiva capito anche se sapeva che
Mike non sapeva niente. A Chester bastava questo.
-
Non immagini. Una merda. Però sono ancora qua, anche se non so per
quanto ancora e… boh… spero di rivederti e continuare a cantare con te…
- Fu quello che gli era premuto tanto dire, per cui non aveva potuto
aspettare il giorno dopo perché poi col giorno era tutto diverso,
tutto. I coraggi svanivano troppo velocemente e le parole giuste erano
un terno al lotto.
La
voce di Mike era incrinata e con la voglia di entrambi di vedersi e
tranquillizzarsi a vicenda, riuscì a malapena a dire:
-
Certo che mi rivedi, idiota. Domani torno per sapere a che punto sono
questi benedetti esami. Cosa credi, che possa fare a meno del mio
cantante? Ora che ti ho trovato non ti mollo più! - non era certo che
fosse una cosa normale da dirsi fra compagni di gruppo, ma la disse
comunque e non se ne preoccupò perché era notte e andava bene così.
Sempre
i pensieri contorti alla Chez.
-
Non azzardarti mai, a qualunque costo, sai! - Questa suonò come una
minaccia ma fu talmente spontanea e liberatoria che sollevò Mike che
sorrise dall’altra parte del telefono.
Era
bello anche sentirsi così indispensabili l’uno per l’altro in un modo
che ancora non riuscivano a mettere a fuoco.
-
Se ti può dar sollievo stavo pregando per te. Parlavo con Dio e gli
stavo chiedendo di lasciarti libero da tutti i pesi continui che ti
arrivano sistematicamente in un modo o nell’altro. Spero che mi
ascolti. - Sapeva che Chester aveva seri problemi con Dio ma lui invece
ci credeva e trovava sollievo nella sua fede. Non rispose, non lo
criticò, non disse niente a proposito se non un flebile e stranissimo
‘grazie’ che lasciò di sasso Mike.
Parlarono
di tutto e di niente per tutta la notte, senza essere particolarmente
profondi ma nemmeno superficiali.
Niente
di personale, niente sui loro passati, però filosofie di vita, fede,
credenze e soprattutto sensazioni. Fra brutte e belle, la notte passò e
Chester all’alba non aveva più il peso che aveva avuto prima ed anzi
una cosa preziosa da quella pessima situazione l’aveva imparata.
Il
Gioco poteva chiamare fuori quando voleva, bisognava essere pronti e
non avere rimpianti ma soprattutto darsi da fare per individuare le
cose veramente importanti e non mollarle mai per nessuna ragione al
mondo. Chester giurò a sé stesso che non si sarebbe mai e poi mai fatto
sfuggire Mike.
Mai.
Per
nessuna ragione al mondo.
Quando
il giorno dopo lo rivide non seppe dire se fu più il sollievo per lui e
il riaverlo lì davanti ai suoi occhi oppure per la notizia che aveva un
ernia iatale e che non stava per morire. Certo era una brutta bestia ma
si poteva curare e non sarebbe morto.
Gran
bella notizia.
Eppure,
stranamente, ancora più bello fu il sorriso di Mike e poi il suo
piombargli addosso per festeggiarlo con esuberanza.
Quello
fu decisamente migliore di qualsiasi altra cosa, anche se questo gli
provocò una morte anticipata. Pensò che fosse comunque una bella morte.
E
capire che si stava facendo coinvolgere troppo da Mike non servì ad
evitarlo e a correre ai ripari, perché contro certe cose non si poteva
combattere, solo assecondarle.
Chester
assecondò ma forse assecondò un po’ troppo e soprattutto un po’ tutto.
Anche le cose sbagliate.