CAPITOLO
2:
SEMPRE
PIU’ GIU’
La
musica ripartì per l’ennesima volta e per l’ennesima volta, dopo
qualche giro di strumenti, dovette interrompersi con un secco ‘merda’
di uno dei due cantanti che corse via dal set del video di Numb per
rifugiarsi in quello che ultimamente era diventato la sua seconda casa…
il bagno!
Il
regista stufo gridò lo stop e fermò le riprese, la musica cessò e con
lo sguardo esasperato cercò Mike che capì ed andò sulla scia di
Chester. Non servì dire nulla ma era ovvio cosa pensasse. A Mike
dispiaceva che il regista volesse fare a meno di Chester e rimpiazzarlo
con un play back ma se anche lui non era d’accordo e voleva cantare
nonostante fosse solo un video, non l’avrebbe mai autorizzato. Anche
perché far fare qualcosa a Chester contro la sua volontà non era
possibile.
Raggiuntolo
al bagno aperto, lo vide riverso nella tazza del water a vomitare e
gridare insieme per il dolore acuto che aveva.
Quell’ernia
iatale era decisamente un gran fastidio.
Mike
increspò la fronte preoccupato, quanto sarebbe andato avanti così?
Se
mangiava buttava fuori tutto nel giro di subito, se non mangiava
vomitava comunque la bile, dimagriva a vista d’occhio e a parte il
discorso delle nausee continue soffriva tantissimo e lui era uno che
solitamente sopportava tutto.
Sospirò
e si avvicinò chinandosi sul compagno, gli toccò la schiena e leggero
cominciò a carezzarla in una sorta di massaggio circolare che doveva
rilassarlo.
Chester
era tutto teso come una corda di violino, gridava ad ogni sforzo e
stringeva la tazza su cui aveva immerso la faccia come se fosse il
nemico. Non era niente di lui.
Quando
parve finire si alzò ma rimase in ginocchio per terra, Mike si accucciò
e con un asciugamano bagnato gli passò il viso ripulendoglielo, glielo
lasciò premuto sulla fronte e sugli occhi per dargli un po’ di
sollievo. Vomitava di continuo e le riprese del video, cominciate
appena tre settimane dopo il suo ricovero in ospedale, non andavano
avanti di una virgola.
Avevano
già girato le altre ma lui e Mike erano nella maggior parte di esse e
appena cantava gli veniva da vomitare.
Era
proprio doloroso per lui tutto quello ma si intestardiva a non
rimandare nemmeno mezza data sulla tabella di marcia, si imbottiva di
antidolorifici e sperava che la cura che gli stavano dando facesse
effetto ma la schiena lo faceva sempre impazzire e lo stomaco non
teneva niente.
Il
cantare era come un agonia però non si sarebbe mai fatto vincere, mai.
Chester senza forze si lasciò curare dal compagno e prendendogli
debolmente l’estremità della felpa larga che indossava, tirò per
appoggiare pesantemente la testa sulla sua spalla. Ansimava e cercava
di trattenere un altro conato di vomito.
-
Non ce la faccio… - mormorò piano, a Mike si strinse il cuore in una
morsa, non voleva che si arrendesse ma ancor di più che stesse così
male.
-
Allora rimandiamo e basta… - Disse infatti senza poter trattenersi. A
quello Chester trovò una presa più consistente della sua maglia e gli
afferrò il fianco stringendo. Era morbido, adorava il suo fianco. Non
usò molta forza ma Mike sussultò lo stesso.
-
No cazzo, non mi arrenderò mai! Dobbiamo fare sto cazzo di video e lo
faremo! È solo una fottuta ernia iatale! - Replicò a denti stretti
sforzandosi anche per quell’istante. Mike preoccupato scosse il capo
carezzandogli le braccia e la schiena, l’asciugamano bagnato era fra la
propria spalla ed il suo viso che vi premeva sopra; sembrava incapace
di smettere di carezzarlo dolcemente.
-
Ma stai male… - E forse era l’unico veramente preoccupato per lui,
forse gli altri lo odiavano per tutti i problemi che stava creando, per
i rallentamenti, per quelli che sembravano solo capricci a volte… forse
lo odiavano in generale punto e basta… però Mike ci teneva veramente e
per lui non voleva mollare.
E
per sé stesso.
Era
solo la sua stupida salute, lui era più forte, aveva superato un sacco
di cose terribili nella sua vita, nessuno l’avrebbe messo in ginocchio,
mai!
-
Riprendiamo! - Disse alla fine tirandosi su comunque con uno sforzo non
indifferente.
L’asciugamano
cadde e si scoprì il suo viso pallido, le occhiaie profonde, gli occhi
piccoli e rossi tutti lacrimosi per gli sforzi che faceva vomitando e
cantando a quel modo e poi vomitando di nuovo.
Mike
sospirò, non era convinto ma sapeva quanto testardo fosse ed alla fine
con una carezza sul viso che servì ad asciugarglielo, si alzò e l’aiutò
cingendogli la vita stretta. Era paurosamente magro.
Come
poteva andare avanti così?
Avere
le forze per cantare in quel modo e fare ogni altra cosa?
Le
sue energie le vomitava tutte…
Spaventato
e per la prima volta sin nel profondo per la consapevolezza di quel
pensiero, Mike l’accompagnò fuori.
La
risposta l’avrebbe trovata durante il tour e non gli sarebbe piaciuta.
Tirò
con molta insistenza e testardaggine la corda fino a che, con mille
interruzioni per le sue incursioni al bagno, riuscirono a finire le
riprese del video.
Dopo
di questo partirono per il tour di Meteora ma non fu proprio una mossa
vincente. A livello produttivo e lavorativo fu un autentico successo
che in pochi al loro secondo album poterono vantarsi d’avere, ma su un
piano personale fu un disastro.
Se
Mike l’avesse saputo o solo vagamente immaginato avrebbe annullato il
tour intero pur di non farlo finire in quel modo, ma ormai che tutto
era cominciato di cose da fare non rimasero molte se non osservare e
stare pronti alla degenerazione finale.
La
salute di Chester non migliorò nonostante le cure e le sofferenze
dovute alla sua salute continuarono a tormentarlo fino a che per
sopportare i dolori atroci alla schiena e le continue nausee non
cominciò ad esagerare con gli antidolorifici.
Del
resto lui aveva un modo di cantare molto scalmanato, non si risparmiava
di certo ed era una tortura anche una sola canzone… fra l’altro doveva
cantare quasi ogni sera per oltre un’ora e praticamente di continuo,
come poteva pretendere di stare meglio?
Quanto
tempo quella vita? Minimo due anni per un tour completo?
La
cura sull’ernia iatale magari avrebbe fatto effetto prima ma cosa
sarebbe rimasto di lui nel frattempo?
Dopo
l’ennesima corsa di Chester giù dal palco per filare a vomitare, Mike
sospirò e si strofinò il viso non sapendo dove sbattere la testa.
Lui
continuava ad andare avanti così ma era un vero ‘andare avanti’? Come
poteva?
Il
suo stomaco non teneva niente dentro, dove le trovava le forze per
saltare sul palco come faceva? E la schiena? Non aveva dolori atroci?
Sapeva che li aveva, aveva smorfie continue sul volto appena si girava,
appena usciva, appena erano soli… però saltava sempre. E cantava.
Ma
non mangiava o meglio lo faceva il meno possibile col risultato di
essere comunque sempre nel bagno a vomitare.
“Ma
interessa solo a me la sua salute? Perché cazzo gli altri mi chiedono
solo se riusciremo a finire il tour? Chi se ne frega del tour, cazzo!”
Quella
sera, dopo l’ennesimo concerto prosciugante di Chester, Mike aveva
insistito per fermarsi a dormire in albergo e ripartire il mattino
presto verso la prossima tappa. Aveva visto il compagno particolarmente
malmesso e sapendo che non avrebbe retto se non avesse dormito bene
almeno una notte, prese la situazione in mano e cominciò a dare ordini
a destra e a manca a chiunque fosse coinvolto in quel tour.
Occuparono
mezzo albergo, in pratica, di cui tre camere per loro per lasciare
quelle a più posti agli altri membri dello staff.
Rob
con Brad, Joe con Dave e lui con Chester.
Aveva
fatto di proposito a stare con lui per poterlo controllare e vedere ciò
di cui avrebbe avuto bisogno, convinto infatti che gli altri non lo
sopportassero più per tutti quei suoi crolli, voleva assicurarsi che
nessuno lo trattasse male.
Chester
non riusciva a vedere quanto ci tenesse a lui, quanto si sforzava di
non fargli mancare niente nei limiti del possibile, quanto gli stesse
dietro pur senza farsi notare per non essere asfissiante.
Non
riusciva proprio a vedere molte delle cose che aveva e che Mike faceva
per lui, così come non percepiva la sua enorme preoccupazione, non
vedeva le sue espressioni turbate quando correva a vomitare dopo aver
mangiato, non sentiva quando lo difendeva con gli altri che proponevano
una soluzione alternativa a Chester… non sapeva, non sapeva molte cose
ed andò avanti in quel suo personale inferno convinto di essere sempre
più solo, che anche Mike fosse come gli altri che ormai non lo
sopportavano più. Convinto di dover trattare tutti di merda, lui
compreso, per poter difendersi.
Fu
così che si conquistò la nomea di odioso ragazzino da impiccare!
Qualcuno
cominciò a chiamarlo così. Altri lo definirono come un egocentrico
viziato narcisista pieno di sé.
Mike
continuò sempre a difenderlo ma mai davanti a lui per non umiliarlo in
qualche modo, per essere equo con tutti, per non creare ulteriori
spaccature all’interno di un gruppo che ormai stentava sempre più a
stare insieme.
Quando
uscì dal bagno, dopo la doccia, trovò Chester, che aveva già fatto la
sua per primo, nel letto tutto piegato su sé stesso a tenersi lo
stomaco e a fare smorfie stringendo i denti.
Tremava
dal dolore e soffriva come in poche volte poteva dire d’averlo visto.
A
Mike gli si contorse lo stomaco allo stesso modo in cui probabilmente
l’aveva il compagno che non lo vedeva.
Cercava
di dormire concentrandosi su sé stesso, sul proprio corpo e sul dolore.
Annullando ogni cosa che lo circondava per sopravvivere.
Mike
esitò chiedendosi a quel punto cosa potesse fare per lui.
Vide
la scatola degli antidolorifici nel comodino del letto matrimoniale in
cui erano stati messi e sospirò. Se non gli faceva effetto cosa avrebbe
dovuto fare?
Lo
vide tendersi come una corda di violino, vide ogni muscolo allo spasmo,
lo vide sudare e tremare e diventare sempre più pallido mentre si
mordeva una mano per resistere.
Era
un’anima in pena e presto lo diventò anche lui guardandolo. Non voleva
che fosse così, non voleva che stesse male, non voleva… si sentì come
non si era mai sentito e sospirando si passò una mano fra i capelli
corti e bagnati, scrollò la testa per togliersi goccioline rimanenti e
decidendo che non l’avrebbe lasciato così mai e poi mai, ormai pronto
per dormire, salì sul letto ma invece di mettersi nel proprio posto
accanto a lui si mise sui cuscini, di traverso, alzò la testa di
Chester e se la mise sul proprio petto in modo da fare lui da cuscino.
Poi lo circondò con le braccia come fosse una cosa preziosa e
l’accarezzò dolcemente.
Era
la posizione più assurda che avesse mai assunto, non aveva senso
mettersi così, a T sopra Chester, però voleva proteggerlo dai mali che
l’affliggevano, essere un sostegno più completo, guardarlo in viso
mentre gli faceva da cupola… voleva… voleva averlo tutto per sé.
Gli
parve più piccolo di quel che non era in realtà e quando le carezze
cominciarono a farsi più intime, sotto la maglia con cui dormiva che
ora era tutta alzata, lentamente Chester si calmò. Smise di tremare e
tendersi. Lentamente tutto si placò.
Mike
non seppe mai se Chester l’avesse sentito o se fosse immerso
nell’effetto degli antidolorifici e nel sonno che faticava a prendere,
ma non indagò. Se lo godette così arrendevole e dolce a suo modo, lo
tenne a sé e non si mosse per tutta la notte continuando solo
unicamente ad accarezzarlo sulla schiena, sul fianco, sulla spalle, sul
braccio, sulle mani unite a pugno sotto il mento e sul viso. E a
guardarlo. Rimase sveglio per la gran parte della notte fino a che,
dopo avergli baciato la testa lì dove arrivava, si addormentò anche lui.
Non
avrebbe mai avuto la minima idea che Chester l’aveva sentito eccome.
Appena era uscito dal bagno aveva subito percepito la sua presenza e
quando si era steso sopra in quel modo avvolgendolo dolcemente aveva
creduto di essere in un sogno. Il dolore che continuò a provare gli
fece capire di essere desto e si godette meglio il suo torace su cui
stava il proprio capo e poi le braccia che lo cingevano protettive, le
mani che l’accarezzavano fin sotto la maglia alzata. Assaporò il suo
respiro sul viso che da lì riceveva e percepì ogni singolo dettaglio di
Mike e di quel momento fino ad imprimerselo per non dimenticarlo mai.
Fino
a rendersi lucidamente conto che se ora stava meglio lo doveva sì agli
antidolorifici che avevano fatto effetto ma anche a quel cuscino umano
che non l’avrebbe mollato per tutta la notte, l’unico che ora sapeva si
preoccupava veramente per lui.
L’unico
che l’avrebbe reso dipendente a vita.
Chester
si rese conto che il calore che provava dentro non aveva niente a che
fare con le medicine, le lenzuola scese alla vita o la notte stessa. Si
rese conto dell’origine di quel calore e lì per lì, per il male in cui
stava, l’accettò come l’unica cosa bella che gli stava capitando.
Perché Mike era lì con lui, gli importava di come stava e voleva solo
che stesse bene.
E
dormiva facendogli da cuscino accarezzandolo con una dolcezza
insospettabile.
Lì
per lì non gli importò assolutamente di niente, accettò tutto, gli andò
bene tutto.
Solo
il giorno dopo si rese conto che innamorarsi del proprio compagno di
gruppo non poteva certo essere la soluzione ai suoi problemi e di
problemi non ne aveva pochi fra il matrimonio disastroso con sua moglie
Samantah, il rapporto sempre più pessimo con gli altri della band e la
salute a puttane.
Cosa
poteva esserci di peggio?
Prima
aveva pensato che almeno il lavoro andava bene, la musica lo stava
riscattando, ma ora che vedeva non riusciva a fare più nemmeno quella
senza la sensazione di morire ad ogni nota urlata, si chiedeva per
quanto sarebbe riuscito ad andare avanti. E soprattutto quanto prima
che gli altri stufi lo mandassero via.
Quanto
sarebbe andato avanti?
Poco,
pochissimo, ne era assolutamente certo.
Con
questa certezza decise che non sarebbe valsa la pena lasciarsi
avvolgere di nuovo dalle dolci braccia di Mike per stare meglio nel
mare di merda in cui stava affondando.
Decise
che non poteva lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento,
che era sbagliato e che probabilmente era solo pietà quella di Mike…
che doveva trovare un altro modo per stare meglio.
Cosa
poteva esserci di peggio ancora?
Quando
si rese conto che l’unica alternativa a Mike per stare meglio era la
droga da cui era faticosamente uscito anni prima, si rispose.
Ricadere
nella tossicodipendenza. Questo era peggio.
Ma
con la voglia latente di un ex tossico ancora pieno di problemi e con
la convinzione d’averne il doppio di quelli che in realtà aveva, fu
facile. Fu dannatamente facile unirsi a chi del tour già ne faceva uso
dal momento che non erano solo loro a girare per gli stadi a fare
concerti.
Affondare
fu facile come la notte che vinceva sul giorno ogni fottutissima volta.
Del
resto era abituato, sapeva come si faceva.
Era
vivere, vivere bene ed essere felici, che non sapeva come si faceva.