CAPITOLO
IX:
NON
HAI PIU’ CATENE
“Strisce
d'acqua attraversano le finestre
sulle
scale
pioggia
gelata
come
un oceano
ovunque
Non
vuoi raggiungermi, vero?
Non
significo niente per te
le
piccole cose che dai via
e
ora non ci saranno più fraintendimenti
gli
argini stanno cedendo
tutto
quello che hai sempre voluto
era
qualcuno che ti rispettasse sinceramente
e
sei metri sott'acqua
lo
sto facendo
La
speranza si disimpegna
generazioni
scompaiono
Lavate
via
mentre
una nazione sta semplicemente a guardare
Non
vuoi raggiungermi, vero?
Non
significo niente per te
le
piccole cose che dai via
ma
ora non ci saranno più fraintendimenti
gli
argini stanno cedendo
tutto
quello che hai sempre voluto
era
qualcuno che ti rispettasse sinceramente
e
sei metri sott'acqua
lo
sto facendo
tutto
quello che hai sempre voluto
era
qualcuno che ti rispettasse sinceramente
e
sei metri sotto terra
ora
lo sto facendo
(le
piccole cose che dai via)
(tutto
quello che hai sempre voluto
era
qualcuno che ti rispettasse sinceramente) “
/The
little things give you away/
Di
giorno in giorno i vestiti di ricambio che Chester e Mike portarono
nell’appartamento secondario aumentarono sempre più fino a che le
rispettive consorti chiesero quanto pensassero di lavorare su quei
testi.
La
risposta era stata la stessa.
Quei
dannati testi gli davano un sacco di problemi, non era mai successo con
gli album precedenti, ma questa volta…
Alla
fine le avevano liquidate facilmente per poter tornare in quella che
ormai era casa loro, l’appartamento dove fortunatamente gli altri
venivano di rado nel periodo in cui sapevano i due scrittori
componevano, se non quando erano chiamati per qualche parere.
Per
il resto tenevano la porta chiusa a chiave in modo che dall’esterno
nemmeno uno che aveva una copia potesse entrare.
Necessità
di sopravvivenza.
Passati
un paio di settimane, i due non erano più andati sull’argomento in quel
modo e Mike con calma era effettivamente riuscito a sciogliersi meglio
dell’inizio. Questo aveva fatto capire a Chester quanto avesse fatto
bene, dopo tutto, ad aspettare.
Poi
si era detto che tanto lui aveva sempre ragione!
Alla
fine si trattava solo di conoscere il metodo migliore d’approccio per
le persone con cui si aveva a che fare.
Mike
era uno che aveva bisogno di tempo ed anche se Chester era tutto
l’opposto e di solito era l’impazienza per eccellenza, aveva aspettato
senza insistere.
Qualche
naturale contatto piuttosto dolce per i suoi canoni, qualche innocente
provocazione fermata in tempo -con molta fatica- ma mai oltre un certo
punto.
Mike
aveva notato tutti i suoi sforzi per non saltargli addosso così come
avrebbe voluto, per non dire che non parlava più di stati d’animo,
coscienze e segreti nascosti.
Non
gli chiedeva mai come stava e questo era di grande aiuto, non dover
rispondere gli impediva di pensarci. Se l’avesse fatto forse sarebbe di
nuovo andato in crisi.
Ma
con lui viveva i cosiddetti giorni da favola. Non quelli
dell’innamoramento, quelli erano passati mentre uno era tossico e
l’altro cercava di aiutarlo. I giorni da favola erano quelli in cui
vivevano praticamente insieme tranne che per qualche ora notturna ed a
volte nemmeno quella. La scusa era che dovevano sbrigarsi a finire i
testi che però gli davano tanti di quei problemi da farli vergognare…
Ovviamente
settimane più belle non potevano dire di averne passate e aiutò molto
Mike se non altro a rafforzare i propri sentimenti per Chester già
molto forti, a stabilizzare tutto quello che ormai c’era e a capire che
di volta in volta la cosa era sempre più forte ed irrefrenabile.
Arrivato
al punto che non sarebbe più potuto tornare indietro nemmeno volendo
con tutto sé stesso, semplicemente si arrese a giungere anche al resto
che ancora rimaneva e che l’altro con miracolosa pazienza aspettava di
potersi prendere.
Tutto,
non solo a livello fisico. Anche quelle rivelazioni e quei discorsi
rimasti non detti o sospesi o nel dubbio.
Mike,
risoluto, si decise ad andare finalmente fino in fondo.
Finalmente.
Chester
stava facendo tardi.
Mike
preoccupato guardò l’ora per l’ennesima volta corrugato fuori dalla
finestra vicino cui era seduto, pronto per andare ad aprire quando
l’avrebbe visto arrivare.
Stava
diluviando che Dio la mandava e di sicuro quello non aveva ombrelli o
cose simili.
Col
freddo che faceva si sarebbe preso la broncopolmonite. Per questo aveva
aperto al massimo il riscaldamento. Dentro si faceva la sauna.
Sospirando
tornò infine a guardare il blocco vuoto mangiucchiandosi la punta della
matita.
Non
gli piaceva che Chester facesse tardi con un tempo così brutto. I
temporali violenti lo inquietavano, i pochi incidenti che aveva avuto
erano sempre stati per colpa di piogge simili, di conseguenza quando
scoppiavano si chiudeva in casa e guardava le gocce grosse e veloci
come fossero nemici.
Di
scrivere non se ne parlava proprio, alla fine si era messo a disegnare
Chester bagnato come un pulcino che chiedeva del calore umano!
Disegni
poco casti…
Chester,
come da Mike previsto, stava camminando sotto la pioggia ma non perché
gli piaceva, bensì per calmarsi.
L’espressione
era cupa e minacciosa, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans
stretti e strafondi, la giacca che avrebbe dovuto coprirlo non faceva
un gran lavoro, la pioggia era talmente tanta che si infiltrava in ogni
spiraglio e comunque camminava da così tanto tempo che ormai non
riusciva più a trattenere praticamente niente.
La
cuffia in lana era come non averla e le gocce scivolavano sul suo viso
pallido e freddo arrivando fino al mento e poi staccandosi.
Camminava
senza fare davvero caso a ciò che lo circondava.
Era
pomeriggio ma sembrava sera inoltrata.
Alzò
lo sguardo sugli edifici per cercare di capire se era arrivato e si
perse sulle strisce d’acqua che attraversavano le finestre. Piccoli
fiumi sulle scale delle case provocate da quella pioggia gelata che
faceva sembrare le strade come un oceano.
Acqua
ovunque.
Era
così che si sentiva lui.
Gli
sembrava di stare annegando dentro quei laghi che vedeva al posto delle
strade. Sotto quella pioggia, negli oceani immaginari.
Di
essere sei metri sott’acqua…
E
ripensò alla discussione che aveva appena avuto con Samantah, la sua ex
moglie.
Definirla
discussione era poco… si erano quasi presi per i capelli.
Era
piombata da lui -e aveva ringraziato Dio che Talinda non ci fosse-
dicendo che dovevano riprovarci, che tutti sbagliavano e che i momenti
di crisi succedevano, ma che dovevano riprovarci e tornare insieme. Per
loro figlio, per l’amore che c’era stato, per quello che avevano
costruito insieme, perché era giusto così.
Aveva
fatto leva su ogni cosa possibile tanto che se fosse stata solo una
questione di lui, lei e Talinda avrebbe vacillato.
Peccato
che non era così.
Vedendo
che non si smuoveva aveva cominciato amara e velenosa, in quel modo che
lui odiava tanto.
‘Non
vuoi raggiungermi, vero?’
Era
quello che lui le aveva detto nel momento di crisi maggiore, quando poi
si erano lasciati. Quando lui aveva cominciato a drogarsi di nuovo
perché non si sentiva capito ed anzi era solo e freddo e vuoto e
bisognoso di un qualcosa che ancora non era riuscito a definire.
Quando
pur di sentirsi meglio aveva cercato di accontentarla in tutti i suoi
rimbrotti senza mai riuscire ad incontrarsi.
Quel
bisogno di qualcuno vicino, quel bisogno di calore e di amore… aveva
fatto di tutto per averlo e ci aveva provato con lei perché lei era sua
moglie, l’aveva amata davvero. Ma niente aveva funzionato, si era
allontanata sempre più fino a che non c’era più stata.
Ed
ora lei veniva a dirgli che non voleva raggiungerla?
Che
ipocrita.
Gli
aveva detto anche ‘non significo niente per te’.
Proprio
le cose che lui le diceva nel periodo appunto in cui si erano lasciati.
All’epoca
se ne era andata dicendo che le piccole cose che rivelava erano gravi
verità e che ora non ci sarebbero più stati fraintendimenti.
Gli
era bruciata la sua schiena e l’aveva maledetta insultandola gridandole
di non tornare.
Non
è che era stato lui a lasciarla, si erano in realtà lasciati insieme
perché tutti i vari gridi d’aiuto che lui le aveva chiesto e che lei
non aveva colto erano stati poi reciproci. Nemmeno lui aveva voluto
prendere le mani che gli tendeva, convinto che dopotutto non fosse lei
che poteva aiutarlo anche se non sapeva più a chi e cosa aggrapparsi.
Era
stato il momento peggiore della sua vita e non era stato facile
superarlo e capire che dopotutto lasciarsi era l’unica cosa giusta
rimasta.
Questo
non cancellava l’amore che avevano vissuto, ma chiudeva un capitolo per
poterne cominciare un altro.
Guardò
la strada vedendola come un enorme fiume dove l’acqua scorreva
impetuosa ed immaginò gli argini cedere sotto quella furia della
natura.
I
suoi stessi argini che più volte erano volati via.
‘Tutto
quello che hai sempre voluto era qualcuno che ti rispettasse
sinceramente ed io sono annegato nel tentativo di riuscirci!’
Ora
non c’era più speranza, l’aveva tutta bruciata molto tempo prima.
Perché
doveva fargli così male quell’ennesima litigata con lei?
Aveva
chiuso tutto con enorme fatica ed ora tornava a recriminare a ed
accusare, perché, per cosa? Per ottenere nuovi insulti e nuovi modi per
vittimizzarsi?
In
ogni caso non riuscivano più a capirsi, come poteva chiedergli di
riprovarci ora?
Ora
era facile, ora era pulito e stava bene, era equilibrato e non certo
grazie a lei che l’aveva lasciato solo nel momento peggiore.
Con
un pugno allo stomaco contrasse la mascella nella disperata ricerca di
qualcosa che gli restituisse il respiro.
“Ed
io sono qua a soffrire come un coglione per tutti i miei errori e le
cose della mia vita andate a puttane quando generazioni intere
scompaiono nel mondo, come lavate via da una tempesta di merda, mentre
una nazione sta semplicemente a guardare! E cos’è che preme a me? Le
piccole fottutissime cose che ho dato via e che non riavrò più
indietro! Quelle che con tanto sforzo ho tirato fuori da me, piccoli
dettagli, piccoli accorgimenti di me come il condividere i miei stati
d’animo sia pure scrivendo o parlandone con qualcuno, il far pace con
Dio, il chiedere aiuto quando non ce la faccio da solo, lo spaccare le
cose invece che le persone… sono piccole cose di me che do via e quando
le ho date a Sam lei non le ha volute, le ha buttate.
Ora
che le ho date a Mike lui se le è tenute e pian piano sta cercando di
ricambiare. Piano piano, con altre piccole cose di sé che mi darà a sua
volta. Ecco cosa conta davvero nella vita che vivi ogni
giorno, nei rapporti importanti che instauri, nelle esperienze che
vivi.
Le
piccole cose che dai via.
Solo
quelle.
E
solo Mike l’ha capito.”
Quando
giunse a casa, Mike gli aprì prima di poter mettere la chiave nella
toppa.
Era
strafondo come mai era stato ma ancor peggio era il suo umore. Non ai
livelli di quando si faceva, ma comunque terribile.
Mike
si spaventò per un momento ma non indietreggiò né esitò, lo prese
subito per il polso e lo tirò dentro chiudendo la porta.
Un’ondata
calda l’accolse schiaffeggiando la sua pelle gelata e bagnata.
Non
gli chiese cosa gli era successo, era ovvio che fosse successo qualcosa
così come era ovvio che finché non ne parlava lui per primo non
l’avrebbe forzato.
Mike
rispettò i suoi silenzi e cominciò a spogliarlo svelto ma delicato al
tempo stesso.
-
Ti verrà una broncopolmonite. Fa un freddo cane fuori. -
Disse
a mezza voce concentrato nello sfilargli cuffia e giacca gocciolanti.
Li abbandonò a terra all’ingresso a fare pozzanghere, quindi se lo
trascinò in bagno dove gli sfilò a fatica il maglione quasi del tutto
bagnato.
Con
esso venne via anche la maglietta che aveva sotto.
Chester
lo guardava senza notare i suoi gesti, fissava il suo volto serio e
delicato immergendosi nei suoi lineamenti dolci. Tutto ciò che voleva
in quel momento.
La
vera lotta avvenne coi jeans che naturalmente vennero via con maggior
fatica. Dovette inginocchiarsi davanti a lui e appoggiarlo un po’
bruscamente al lavandino, per riuscirci. Quando gli tirò via persino i
calzetti strafondi -le scarpe gliele aveva fatte togliere all’ingresso-
alzò lo sguardo notando che perfino i boxer erano bagnati.
Non
esitò e glieli tirò giù senza imbarazzarsi per la sua nudità a cui era
quasi abituato, ormai.
Quando
fece per aprire l’acqua calda e fargli fare un bagno, Chester lo fermò
mormorando a stento:
-
Non ne ho voglia adesso, fammi solo asciugare e scaldami tu… - Mike si
sciolse.
In
una situazione normale sarebbe arrossito e l’avrebbe ficcato da solo
sotto la doccia calda, ma lì di normale c’era ben poco.
Chester
aveva bisogno di lui e non importava che l’aveva aiutato già
abbastanza, da quando lo conosceva ad ora. L’avrebbe aiutato sempre
ogni volta che ne avrebbe avuto bisogno, anche a costo di mettere da
parte i propri passaggi importanti e tutto sé stesso.
Perché
quello era il suo modo di fare.
Darsi
totalmente al compagno fin quasi a farsi sotterrare da essi.
Prese
così un asciugamano grande e l’avvolse come fosse un bambino appena
uscito dalla doccia, dopo di che cingendolo e cominciando a
strofinargli la schiena e la testa, lo condusse lentamente nella camera
da letto.
Lo
fece sedere sul materasso dove si spostò più in su e quasi nel mezzo
tirò contro di sé le ginocchia che abbracciò da sotto l’asciugamano che
ora lo ricopriva quasi del tutto.
Mike
rimase preoccupato ad osservarlo chiedendosi come potesse bastare per
dargli sollievo.
Vedendolo
tremare scosse il capo e decise che se rimaneva solo quello, quello
avrebbe fatto.
Cominciando
a spogliarsi a sua volta con gesti meccanici e la mente rivolta
unicamente all‘altro, mormorando che avrebbe comunque dovuto fare la
doccia calda, Chester rimase per un momento inebetito a guardarlo,
dimentico di ciò che l’aveva schiacciato un momento prima.
L’osservò
togliersi per primo i pantaloni e rimanere in boxer, poi il maglione ed
infine la maglia intima.
Alla
fine anche i boxer vennero via e Chester non poté che puntare ogni sua
attenzione sul suo corpo nudo, sul davanti e sulla schiena che gli
diede per togliersi i calzetti.
Era
perfetto, non aveva nulla che non andasse.
Sbalordito
per questo fatto e convinto di poterci trovare chissà quale ignobile
segno, non si accorse di venir preso, alzato, separato dall’asciugamano
ormai inutile e spinto sotto le lenzuola ed il piumino con lui dietro
ben abbracciato ed attaccato alla schiena.
Fu
sentendo ogni parte combaciare alla perfezione, persino il bacino col
fondoschiena, ogni cosa dell’uno a diretto contatto con l’altro, che
tornò a respirare.
Lentamente
smise di tremare e lentamente quello stato d’animo che l’aveva seccato
e sconvolto stava scemando.
Come
se qualcosa di enorme e faticoso l’avesse lasciato finalmente per
sempre.
Si
beò delle braccia morbide di Mike intorno alla sua vita, delle sue mani
sulle proprie che si intrecciavano contro il petto, delle gambe
incastrate insieme e piegate al massimo per stare il più raccolti
possibile.
Dopo
un po’ che rimasero così, la testa di Mike fece capolino sulla sua
spalla, nell’incavo del collo, e appoggiando la guancia alla propria
rimase in silenzio a cogliere il suo respiro e a farlo in perfetta
sincronia.
Si
sentì finalmente bene, bene come nemmeno prima poteva dire di essere
stato, perché ora finalmente si era liberato delle ultime piccole cose
che l’avevano fatto soffrire, ogni resto e rimasuglio.
Tutto
portato via dalla pioggia e da quell’abbraccio caldo.
Ad
un tempo indefinito che non seppero quantificare, Chester si decise a
parlare piano e sommesso, con voce roca, cercando una chiarezza finale
più con sé stesso che con Mike stesso.
-
Ho avuto una brutta discussione di merda con Samantah. Voleva che ci
riprovassimo, ha detto che era un cazzo di sbaglio esserci lasciati e
che dovevamo tornare insieme. Mi ha fatto ridere perché ha usato le
stesse parole che gli ho urlato io dietro quando ci siamo lasciati. È
finita di merda che non ti dico. Rinfacci del cazzo assurdi. Ha sputato
su tutto quello che siamo stati, mi ha vomitato addosso ogni colpa del
nostro fottuto fallimento, ha detto cose che… ti giuro, se non l’ho
picchiata è solo perché ora sono davvero un altro. Prima non avrei
esitato. Sapessi quante volte ci siamo tirati contro oggetti! Così ho
camminato per venire fin qua, avevo bisogno di schiarirmi le idee, ero
infuriato e nero. -
Fece
una piccola pausa per raccogliere il risultato dei pensieri e lì Mike
si inserì delicato:
-
Non importa come sia finita e di chi sia la colpa. È finita. Però non è
giusto rinnegare quello che è stato. È contato molto per te, no? Parte
del tuo dolore è stato provocato anche da questa storia finita nel
peggiore dei modi. -
Chester
si sentì meglio nel sapere che Mike lo capiva ma non ne aveva dubbi,
sapeva che sarebbe stato così.
-
Lei ha preso tutto di me, il bene ed il male, ma alla fine quello che
mi ha bruciato di più sono state le piccole cose che le ho dato per
tutto questo tempo, quelle su cui lei ha sputato e su cui tu ora ti
aggrappi per andare avanti in questa relazione che non sarà per niente
facile. Sono le piccole cose che dai via che contano, per lei non erano
nulla… -
Per
lui concluse Mike dolcemente:
-
Per noi sono tutto. -
L’altro
sospirò e al piccolo bacio sul collo, proseguì tirando le somme finali.
-
Sono stato così male perché con questo ho chiuso definitivamente un
ciclo, una storia importante, una parte di me, qualcosa che sono stato.
Con questo muoio e rinasco. È come se… -
Nel
non trovare le parole adatte, ci riuscì ovviamente Mike con facilità e
scioltezza: - Ti fossi liberato dell’ultimo grande nodo che ti
rimaneva. Ora sei sciolto e puoi essere chiunque tu voglia. Non hai più
catene. -
Sentendolo
lo provò esattamente alla stessa maniera e senza più quelle famose
catene di cui stava parlando, sciolse ogni sigillo rimasto abbandonando
tutte le negatività, i propri errori, i fallimenti e ciò che l’aveva
fatto soffrire per poter abbandonarsi ad una persona nuova e positiva,
equilibrata, sana e soprattutto che sapeva amare nel modo giusto.
Finalmente
l’Inferno era davvero finito.
Con
quello davvero e del tutto.
Con
le lacrime che uscirono silenziose si girò fra le sue braccia
sciogliendosi dal nodo dei loro corpi, quindi abbracciandosi a Mike
nascose il viso contro il suo petto facendosi piccolo. Il compagno
l’accolse e l’accarezzò sulla nuca ancora umida. Ormai la sua pelle era
calda ed il corpo si scuoteva sommessamente solo per quel pianto
liberatore d’obbligo.
Sorrise
teneramente pensando che adesso era pronto anche lui per quella nuova
vita.
Si
limitò a tenerlo con sé e baciargli la testa piano fino a che i
sussulti del suo pianto contro la propria pelle divennero brividi
insostenibili e non facendocela più gli prese il viso fra le mani
tirandolo su alla propria altezza.
Le
sue guance rigate di lacrime che scendevano oblique per la posizione,
gli occhi piccoli e rossi, gonfi come non mai. Erano lacrime pure,
erano belle da vedere e volle berle. Fu così che unì le labbra ai suoi
occhi che chiuse stupito e rilassato godendosi quell’attimo di
beatitudine.
Le
schiuse e prese quelle piccole gocce salate che erano parte di lui,
dopo di che ridiscese sugli zigomi e seguì un’altra strada. Tramutati
in piccoli baci umidi, cominciò a ricoprirgli tutto il viso con estrema
lentezza.
I
brividi di piacere ora erano così caldi.
Le
mani di Chester cominciarono a muoversi sulla schiena di Mike a cui era
ancora aggrappato, nel mentre si ricordò di quello che in quelle
settimane aveva definito ‘il magico mondo di Mike’.
Al
tatto la sua pelle era liscia come sembrava alla vista.
Non
c’era niente che non andasse in lui.
Era
morbido ed elastico e caldo. Così caldo…
Trovate
le labbra si fusero in un intreccio di lingue e bocche che fecero
dimenticare tutto ad entrambi.
Mike
continuava a tenergli il viso con sicurezza dando vita ad un bacio
profondo e pieno che gli tolse il fiato, così solo quando le proprie
carezze giunsero sui suoi glutei, l’altro si fermò e smise di baciarlo.
Le
dita avevano cominciato a stimolarlo là sotto dove nessuno era ancora
giunto se non lui stesso quasi un anno prima, quando avevano fatto
l’amore in quell’eccezione che non sapeva come considerare.
Si
ricordò della sensazione di averlo dentro e di tutte le volte che
l’aveva desiderato e come sempre si eccitò accompagnato dal fatto che
ora Chester lo stava di nuovo toccando come l’aveva fatto impazzire
quella volta.
Nascose
il viso contro il suo collo mentre il compagno gli prese la nuca con
una mano e con l’altra continuava i movimenti dentro di lui.
Sentì
alzare e piegare una gamba in modo da dargli un miglior accesso e fu
una spinta in più per essere impetuoso e deciso, ma più andava avanti e
più aveva una voglia assoluta di proseguire e fare altro. Tutto. Senza
riserve. Senza fermarsi.
Perché
ora Mike si era spogliato e qualunque motivo avesse avuto per non farlo
prima, ora sembrava andato tutto a posto.
Lo
girò sulla schiena in modo da mettersi sopra, quindi veloce come l’aria
carezzevole, scese sul suo corpo già nudo. Nel percorrerlo l’assaggiò
lasciandogli brividi di piacere ad ogni contatto fino a che con le
labbra raggiunse la sua erezione. Lì si fermò stimolandola come molte
volte in quei giorni aveva fatto dovendo accontentarsi solo di quello.
Era
una sensazione quasi familiare, ormai, e confortevole.
Non
vi avrebbe mai rinunciato.
Mike
si rilassò alla sua bocca per poi tenersi e avvolgersi su di lui nel
chiedere di più e nel volere ancora.
Gemeva
sommesso e la sua voce era talmente sensuale in quei momenti che
Chester si eccitava solo ascoltandolo. Spesso lo faceva parlare di
proposito quando era così preso, perché adorava visceralmente la sua
voce in quei momenti.
Quando
lo sentì vicino all’orgasmo si separò convinto che non sarebbe successo
così in fretta.
Scese
dunque di nuovo sulla sua apertura stimolata per bene prima dalle sue
dita. Ad esse ora si aggiunse la sua bocca e la sua lingua che sembrava
saper perfettamente come farlo.
Di
nuovo la sensazione di deja vu anche se quella prima e unica volta era
stata nel pieno della tossicodipendenza e non ricordava lucidamente
tutto.
Quando
lo sentì abbastanza pronto, decise di provarci e vedere se l’avrebbe
rifiutato.
Era
una sorta di prova del fuoco.
Risalì
sulla sua bocca e tornò a baciarlo a modo suo, con impeto,
divorandoselo quasi, e dopo aver quasi perso tutto l’ossigeno a
disposizione, Mike lo sorprese scendendo. Non lo guardò negli occhi,
evase il suo sguardo con un moto di timidezza ed esitazione e capendo
cosa stava per fare, Chester disse tenendosi sulle mani per lasciargli
il dovuto spazio:
-
Mike, non devi se non vuoi davvero o non sei pronto! - Ma ormai l’altro
sembrava deciso, come qualcosa che dovesse assolutamente fare ed
esorcizzare.
Giunto
fra le sue gambe aperte che gli lasciavano tutto lo spazio necessario,
ebbe il primo contatto col suo sesso e lo fece con leggerezza. Non fu
strano come pensava, magari un po’, ma avere anche quella parte del suo
compagno lo stimolò a proseguire nello studio e non si trovò in
difficoltà nel seguitare quel gesto intimo e privato.
Quando
l’avvolse con la bocca e cominciò a muoversi nei limiti del possibile
da quella posizione strana, Chester si staccò totalmente dalla realtà e
dimenticandosi di avere Mike lì sotto e non chissà chi, cominciò a
muovere il bacino nella sua bocca con sempre più impeto.
Questo
facilitò certamente l’altro che tenendolo per i glutei l’accompagnava
rallentandolo il necessario per riuscire a respirare.
Doveva
dire che era piuttosto eccitante anche per lui che glielo faceva perché
lo sentiva perdere il controllo in quel modo e non era per niente un
pensiero da poco l’idea di mandare in orbita qualcuno, specie se per te
contava così tanto.
Alla
fine fu Chester stesso, quando si sentì vicino al limite, a separarsi.
Non poteva certo venirgli in bocca.
Lui
lo faceva senza problemi, ma lui era lui.
Si
definiva puttana per qualche motivo, no?
Si
scostò permettendogli di tirarsi su e dopo un ultimo scambio di baci,
Chester lo girò di schiena in modo da stare entrambi più comodi.
Mike
si tirò istintivamente su per dargli il miglior accesso e appoggiato
invece con la parte superiore del corpo al cuscino, lo sentì concludere
la preparazione ed appoggiarsi completamente a lui, in ginocchio con il
torace sulla schiena e le braccia cinte attorno alla sua vita. La bocca
sull’orecchio, lo succhiò per qualche secondo e poi mormorò roco ed
eccitato:
-
Sei pronto? - Mike avrebbe detto di sì anche se non lo fosse stato per
niente, ma ormai acceso a sua volta fino all’inverosimile non voleva
altro che quello. Era la seconda volta ma continuava ad avere un
ricordo nebuloso e strano della prima. Voleva capire le differenze nel
farlo con un Chester quasi fuori di sé e nel farlo con lui pulito e a
posto.
Ce
ne furono. Oh, e le trovò tutte immediatamente.
Lo
sentì entrare delicatamente e lasciargli tempo per abituarsi, quando lo
sentì mollare appena cominciò a muoversi piano piano. Più dolce di così
non sarebbe potuto essere e quando i movimenti divennero più veloci lui
stesso cominciò a sentire oltre al dolore lancinante, qualcosa in più
che lì per lì non seppe definire.
Cercò
di concentrarsi su quella tralasciando il dolore. Stringeva il cuscino
coi pugni e solo quando Chester li vide mollare un po‘ si decise ad
andare più in profondità e lasciarsi andare.
Le
spinte divennero più solide e vigorose fino a che con impeto ed
intensità non raggiunse il massimo e non fu tutto dentro.
La
voce di Mike gli diede un’ulteriore spinta a fare di più e ad
insistere, a crescere e aumentare; non aveva idea di che cosa provasse
e vagamente gli importava, ma quel che per il momento contava sopra
ogni cosa era poter essere così completamente in lui, consapevolmente.
Sentirlo e sentirlo bene, davvero, senza allucinazioni e paure di
essere sotto qualche droga. Questa volta era vero ed erano veramente
loro due.
Sentì
gemere e chiamarlo per nome ed ai suoi si unirono i propri in una delle
loro tante fusioni vocali, questa naturalmente ben diversa da quella a
cui normalmente erano abituati sul palco, ma comunque appagante ed
erotica. Molto.
Fino
a raggiungere l’orgasmo e quella cima famosa da cui dopo un attimo di
sospensione dove ogni cosa tremava e la terra mancava sotto di sé, si
ricadeva in una discesa scoscesa a rotta di collo.
E
ci si ritrovava insieme, stesi l’uno sull’altro, pulsanti, tremanti,
accaldati e pieni l’uno dell’altro e di quel piacere finale che in
qualche modo li aveva fatti impazzire.
Si
mossero lenti e sudati, senza fiato e stanchi, quindi con Chester
sistemato sotto, di schiena, Mike si adagiò sopra ascoltando con
l’orecchio sul petto il suo cuore ancora impazzito. Sorrise all’idea di
essere la causa di tale tachicardia e tirandosi su le coperte, si
accoccolò aspettando di riprendersi anche con le menti oltre che coi
corpi.