TEORIA IBRIDA
PROLOGO:
FALLOUT
“Sto
nuotando nel fumo,
dei
ponti che ho bruciato
Quindi
non scusarti
Sto
perdendo quello che non merito
La
colpa è soltanto mia
I
ponti che ho bruciato
Quindi
non scusarti
Sto
perdendo quello che non merito
Quello
che non merito”
C’era
un gran silenzio lì dov’era lui.
Era
un posto alto, molto più alto rispetto a tutti gli altri livelli.
Era
lo Zero, il suo posto.
Ampio,
spazioso e apparentemente vuoto.
Il
pavimento era una distesa d’acqua nera dove non si vedeva il fondo e le
pareti erano del medesimo colore, non si capiva la consistenza,
sembrava un immensità buia, eppure era una stanza spaziosa circolare
coperta da una cupola dello stesso materiale invisibile ma
impenetrabile.
Sospesi
per aria c’erano sparse intorno come delle lucciole azzurrine, queste
volteggiavano illuminando tenuamente costantemente quel luogo
completamente silenzioso.
Sull’acqua,
al centro, v’era una piattaforma circolare mediamente grande e su di
essa stava un trono. Un’enorme sedia fatta d’avorio e ricoperta di una
pelliccia in tonalità col colore scuro che regnava lì dentro.
Non
c’era altro.
Sopra
di esso, seduto con espressione assorta e quasi drammatica, era un
giovane uomo la cui età sembrava girare intorno ai trent’anni.
Questi
aveva i capelli neri lunghi che sfioravano appena il collo, erano lisci
e tenuti all’indietro con qualche ciocca che ricadeva ai lati del viso,
aveva anche un po’ di barba. Gli occhi erano chiusi e vestiva con abiti
in cuoio neri, stivali alti pieni di fibbie, un lungo mantello
slacciato che trascinava sulla piattaforma in metallo e dei bracciali
sullo stesso stile degli stivali. Un anello grande spiccava al medio
sinistro, per il resto non portava gioielli se non un serpente intorno
al collo che carezzava come fosse un piccolo gattino affettuoso
accoccolato sul suo braccio.
Lo
faceva senza essere veramente presente e dal solco che attraversava il
suo viso stanco si capiva che qualcosa non andava e che non era di
certo una cosa facile da affrontare.
Infine,
dopo un lungo momento passato nel silenzio più completo ed in
solitudine totale, sospirò e aprendo gli occhi quasi con aria sconfitta
si decise.
Senza
muoversi o alzare la voce, semplicemente chiamò con un tono solenne ma
controllato:
-
Chester. Vieni, per favore. -
Seguì
qualche minuto di silenzio dove il nulla rispose e poco dopo la
superficie dell’acqua cominciò a ribollire con un sinistro boato di
sottofondo, fino a che a qualche metro dalla piattaforma non emerse un
uomo la cui età era assolutamente indefinita.
Nonostante
fosse bagnato, l’acqua evaporò subito da lui e si ritrovò asciutto.
Questi
era magro e longilineo, indossava solo dei pantaloni in pelle nera
stretti e degli stivali alti fatti a modo di anfibi. Il torso era nudo
e quasi del tutto ricoperto di tatuaggi, mentre i capelli erano rasati
cortissimi ai lati e appena più lunghi centralmente a fare una specie
di piccola cresta castano scura.
Aveva
due orecchini ai lobi che allargavano i buchi per un centimetro, per il
resto aveva le unghie nere, dei guanti in cuoio senza le dita e un
anello a ditale gotico in acciaio sul medio destro.
I
lineamenti apparvero quasi androgini per un istante, ma nel momento in
cui aprì gli occhi si vide tutta l’aggressività sul suo viso regolare.
Aggressività non per l’espressione che invece era completamente
indifferente e apatica, ma proprio per le fattezze.
Occhi
privi di pupilla che rispecchiavano il colore predominante che avevano
intorno, ed in quel caso il nero, la bocca piccola verso il basso.
Dopo
essere emerso camminò sulla superficie come niente fosse fino a
giungere sulla piattaforma, davanti all’uomo ancora seduto.
Si
inginocchiò davanti e gli prese la mano posando le sue labbra fredde ed
indifferenti sull’anello che rappresentava il suo rango, poi con voce
atona ed incolore disse:
-
Il mio re mi ha chiamato? - L’uomo l’osservò intensamente ed una punta
di dolore attraversò il suo volto espressivo dai lineamenti
inconfondibilmente dolci. Dolcezza che non era più in grado di
esprimere da tempo, ormai, così come la simpatia e l’allegria che di
certo una volta aveva saputo trasmettere facilmente.
Strinse
a sua volta la mano del ragazzo trattenendola fra le sue per un
istante, quindi piegando le labbra in segno di disappunto, disse:
-
Mike, per favore. Per te Mike. - Il ragazzo annuì senza alzare lo
sguardo:
-
Come desidera, mio re. - Rispose ancora senza inclinazione alcuna.
Quando gli mollò la mano egli si alzò e posò finalmente gli occhi vuoti
in quelli colmi di rimpianto e nostalgia dell’altro che ancora rimaneva
seduto sul suo trono, col serpente addormentato sulle sue spalle. - Mi
ha chiamato? -
-
Dannazione, Chester, dammi del tu, ti prego! - Ordinò esasperato
muovendosi insofferente sulla propria postazione.
-
Non sono programmato per mancare di rispetto al mio re. -
Mike
si passò nervoso le mani sul viso notando che non c’era niente da fare,
di nuovo.
Ogni
volta vederlo e parlargli era una sofferenza per lui, era una vera e
propria tortura, ecco perché ci pensava mille volte prima di chiamarlo
e affidargli gli incarichi. Bè, non solo per quello in effetti.
Dare
delle missioni a lui equivaleva non solo ad un gesto di estrema
disperazione ma anche di rischio totale. Era il più forte ma anche il
più pericoloso, nel compiere la sua missione era capace di travolgere
chiunque gli capitasse sotto tiro, buoni o cattivi che fossero.
Era
capace di far del male senza riserve a chiunque fino a che non otteneva
ciò che il suo re e solo lui gli chiedeva. Non rispondeva ad altri
ordini e di fatti l’unico che non era proprio capace di ferire era
proprio lui.
Però
Mike di nuovo quella volta non aveva scelta e lo sapeva.
Rinunciò
all’idea di farsi chiamare per nome e farsi dare del tu, come sempre, e
passò al motivo per cui era lì.
-
Chester, devo affidarti un incarico molto delicato. - Chiedere qualcosa
a lui equivaleva a volerlo a tutti i costi.
Il
ragazzo senza età guardava fisso davanti a sé ma non vedeva nessuno,
ascoltava e non faceva una piega, quindi l’altro proseguì:
-
Devi andare nella Zona Rossa, al livello Zero e prendermi la persona
che troverai lì. Se non c’è nessuno devi rimanere fino a che non viene.
In quel posto può starci solo lui, non sbaglierai. Quando l’avrai preso
portamelo vivo a qualunque costo. - Chester annuì registrando i dati,
Mike capì che lo stava facendo perché le iridi prive di pupille
cominciarono a colorarsi di riflessi rossi.
-
Ascoltami, è la Zona più pericolosa di tutte e lo sai, ma io ho un
disperato bisogno di quella persona perché è l’unica al mondo che può
fare ciò che mi serve e non c’è niente che mi serva più di questo. - Le
iridi di Chester continuarono a colorarsi sempre più di rosso e Mike le
guardava con preoccupazione crescente, si chiedeva se fargli sapere
tutte quelle informazioni gli sarebbe servito a qualcosa, dopotutto.
Decise di non dirgli il nome di chi aspettava poiché se per puro caso
fosse stato preso e gli avessero chiesto chi doveva prelevare, far
sapere il suo nome l’avrebbe messo in pericolo.
-
Chester, te lo chiedo perché io devo avere qua quella persona e tu sei
l’unico che può farlo, ma la mia priorità maggiore, nonostante tutto,
sei tu. Non deve succederti nulla, lo capisci? Se la tua vita è in
pericolo molla la missione e torna a casa. -
Chester
annuì ancora, sembrava capisse eppure non gli importava davvero ciò che
stava dicendo, Mike comunque proseguì imperterrito tendendosi verso di
lui e prendendogli la mano per creare quel contatto prezioso.
Un
contatto che pareva sentire solo lui e non l’altro.
-
Sire, io sono un androide, la mia esistenza non può contare più della
vostra o della mia missione. - Partiva dal presupposto che se era una
missione affidatagli dal suo re, allora era la cosa più importante
dell’Universo, dopo il suo re naturalmente.
-
Decido io cosa ha importanza, lo capisci? Tu per me vieni sopra tutti.
Ho bisogno di questa persona e ne ho bisogno per te, ma posso chiederlo
solo a te anche se è nel posto più pericoloso di tutti. So che puoi
riuscirci. Io devo averlo qua. -
Quello
che doveva fargli fare era comunque troppo importante, valeva anche
tutto quel rischio perché sapeva che Chester ce l’avrebbe fatta.
Eppure
aveva sempre paura che ugualmente non tornasse intero.
Sospirò.
Non
poteva nemmeno continuare in quel modo, qualcosa doveva fare per
sistemare le cose e quello era tutto ciò che rimaneva.
-
Va bene mio sire. Se per lei la mia vita è la cosa prioritaria allora
lo diventerà anche per me. - Mike allora sospirò sollevato dal sapere
che era riuscito ad inculcargli quella regola, finalmente. Fino a quel
momento non c’era stato verso.
-
Va bene, puoi andare. Devi comunicarmi ogni mezz’ora gli aggiornamenti.
- Detto questo lo lasciò andare, rimase dritto sul suo grande trono a
guardarlo inginocchiarsi di nuovo per poi alzarsi, girarsi, camminare
qualche metro sull’acqua e rituffarsi dentro sparendo in un solo
secondo.
Di
nuovo il silenzio lo accolse nel buio quasi intero.
Mike
si accasciò sullo schienale e si coprì il viso con libera e aperta
preoccupazione. Non era per niente convinto di quello che gli stava
facendo fare, ma aveva bisogno di Rob, gli aveva promesso che in cinque
anni di studi di medicina in quella Zona gli avrebbero permesso di
trovare la cura che gli serviva. Con quella cura avrebbe potuto salvare
Chester.
Pensandolo,
i ricordi lo investirono come un caccia e per un momento riuscì a
dimenticare l’Inferno che c’era là fuori per tuffarsi in un altro
ancora peggiore.