CAPITOLO II:
VALENTINE’S DAY

“Tutte le mie viscere si sono trasformate in cenere
Così lentamente
E sono volate via mentre collassavo
Così freddo
Un vento nero li portò via
Dalla vista
E trattenne l'oscurità durante il giorno
Quella notte”

Il suo castello e le sue stanze divennero presto anche quelle di Chester che pian piano cominciò a frequentarle sempre più.
Non importava che girassero voci, non importava cosa gli altri pensassero di quel rapporto stretto, non si era nemmeno mai affannato a nascondere la cosa ai suoi amici, Mike.
L’aveva vissuta da subito a pieno, con tutte le sue forze, senza riserve, senza ripensamenti o rimpianti, dando ogni parte di sé, anche la più piccola ed insignificante.
Giorno dopo giorno divennero presto un tutt’uno, come fossero anch’essi androidi programmati per quello con la sola differenza che loro amavano e provavano sentimenti ed erano umani.
Si sentirono presto parte l’uno dell’altro e questo fatto si intensificò quando cominciarono a completare il loro rapporto anche in maniera fisica, totalmente e senza freni.
Non che Chester ne avesse, non era certo abituato a contenersi in quel senso. In nessuno in realtà.
Mike cercava di ricordarsi di tanto in tanto cosa fosse più conveniente fare, ma alla fine cedeva sempre a lui, ai suoi baci, alle sue carezze e al suo corpo caldo e pulsante che lo prendeva senza remore.
Chester aveva una grande personalità e veniva fuori in ogni istante, in ogni dettaglio, anche nel fare l’amore e Mike ne era completamente assuefatto di questo suo essere. Era calore, era colori forti, era l’esagerazione, era un continuo movimento inesauribile.
Mike lo amava giorno dopo giorno, gesto dopo gesto e sebbene spesso litigassero, non poteva poi non lasciarsi di nuovo sopraffare dalle sue labbra che marchiavano la sua pelle lasciando scie umide scottanti. Come non poteva non gemere quando lo assaggiava succhiando quelle parti così sensibili, quando lo eccitava fino all’inverosimile portandolo alla pazzia, quando lo portava al delirio più puro tanto da spingerlo a chiedergli di prenderselo in fretta.
Capitava spesso che anche Mike prendesse il sopravvento, lui e la sua mania di comandare erano leggendari e dopo diversi anni sul trono era qualcosa che si trasmetteva facilmente in ogni istante della propria vita. Chester era attratto da questo suo lato perché non era semplicemente un re-burattino, uno di quelli che si faceva controllare facilmente o che stava là a scaldare un posto. Tanto meno era un partner che lasciava al proprio compagno il compito di gestire il loro rapporto.
Spesso si impuntava e non come un bambino capriccioso. Era testardaggine pura per ottenere ciò che voleva, quello che lo caratterizzava, così lo lasciava fare sorridendo ed incitandolo a prendersi ciò che voleva come lo desiderava. A dire il vero lo eccitava da morire farsi comandare da lui, però era altrettanto appagante poi prenderlo a sua volta senza la paura di mancargli di rispetto o di esagerare perché lui era il re.
Per Chester non lo era mai stato, alla fine.
Era sempre stato una persona speciale che gli era entrata dentro con prepotenza e dolcezza al tempo stesso.
Era la stessa persona che organizzava ogni settimana visite in giro per il Regno o addirittura per il mondo per farsi vedere in giro dai suoi sudditi e far sapere che era sempre con loro e si interessava ai problemi di tutti.
Mike per Chester era semplicemente diventato tutto in un istante e altrettanto era viceversa Chester per Mike. Non solo il suo generale e colui che lo proteggeva ma anche colui che conosceva ogni angolo di sé e che aveva scavato rendendosi essenziale in quanto persona e non in quanto soldato.
L’unico che non lo faceva sentire un re.
Per questo quando Chester annunciò la sua partenza per una missione particolarmente strana, Mike si drizzò immediatamente sul posto storcendo la bocca e guardandolo con attenzione.
- Cosa c’è? -Gli aveva chiesto Chester captando la sua contrarietà insolita.
- Non so, c’è qualcosa che… - Ma non aveva saputo finire la frase, così si era stretto nelle spalle sospirando per scacciare quella sgradevole sensazione. - Solo sta attento. -
Chester poi aveva sorriso accattivante e aveva risposto sicuro:
- Come sempre!- Si era avvicinato lasciandogli un fugace bacio sulle labbra prima che gli altri arrivassero a congedarsi dal re.
Mike rimase comunque pensieroso a guardarlo non potendo ignorare quel nodo allo stomaco che solo dopo avrebbe capito e rimpianto.

In realtà appena dopo il suo ritorno da quella strana missione che apparentemente non era risultata niente di speciale, non era successo nulla, anzi, Chester si era rivelato alquanto deluso da ciò mentre Mike contento anche se stranito poiché quella sensazione provata era stata davvero fortissima.
Solo qualche giorno dopo, mentre erano stesi nel letto di Mike dopo aver appena fatto l’amore, Chester cominciò ad impallidire e a lamentarsi di strani dolori allo stomaco. Dolori sempre più intensi.
Mike non fece tempo a chiedergli se avesse mangiato qualcosa di avariato che Chester si rivoltò all’esterno del materasso e vomitò seduta stante stringendosi lo sterno come fosse preda di un infarto.
Mike si sporse subito carezzandogli la schiena con una certa apprensione e quando vide il pavimento sporco di sangue impallidì a sua volta.
Si alzò subito in ginocchio e tenendolo per le spalle lo chiamò preoccupato.
- Chez, Chez cosa ti senti? Stai vomitando sangue… - Ma non riuscì a finire la frase che il ragazzo subito svenne mentre ancora le mani erano chiuse sul petto e sullo stomaco ed il colorito del suo viso magro cominciava ad essere quasi spettrale.
Se Chester fosse stato cosciente non avrebbe certo potuto dimenticare le urla isteriche di Mike mentre chiamava aiuto come un matto.
La prima volta che aveva perso il controllo come uno di quei re viziati ed insopportabili. Materiale per prenderlo in giro.
Eppure Chester non avrebbe mai potuto farlo.

Se il cammino di una persona ripetuto all’infinito avrebbe potuto scavare una fossa per terra, Mike avrebbe lasciato un abisso sotto i suoi piedi.
Chiedendosi se di attesa ed ansia si poteva morire, non faceva che ripensare al sangue vomitato da Chester ed al fatto che non si era più svegliato.
Quando Rob -un giovane dall’aria gentile, i capelli scuri corti e spettinati e gli occhiali- finalmente uscì dalla sala dopo aver a lungo esaminato il loro amico, attirò a sé anche gli altri amici che insieme a Mike stavano aspettando un verdetto.
E verdetto non sarebbe mai potuto essere più amaro, probabilmente.
Come se dovesse sputare un macigno, il ragazzo dai lineamenti delicati lo disse nel modo più diplomatico che conosceva. Eppure c’era un modo per dare una notizia simile?
- Mi dispiace ma ora come ora non c’è verso di capire di cosa si tratti. Ha contratto un virus totalmente sconosciuto per le nostre conoscenze attuali e mi sono consultato con quanti specialisti conosco. Hanno tutti guardato le analisi come fossero arabo. - Lasciò un po’ di tempo per assimilare la notizia e quando vide il vuoto negli occhi neri di Mike, riprese facendosi coraggio: - è qualcosa di assolutamente anomalo perché sostanzialmente le sue cellule si stanno distruggendo a vista d’occhio.-
In quello finalmente Mike parlò probabilmente senza nemmeno rendersene conto, come se fosse qualcun altro a prendere il sopravvento. La sua parte razionale di re, magari:
- Ma… ma come…il suo corpo esterno è praticamente intatto… - Lo poteva ancora vedere dal vetro della porta. Intubato e attaccato alle macchine che lo facevano respirare e probabilmente ancora per poco.
- Dentro è un colabrodo… gli organi si stanno come… non so, sciogliendo… è qualcosa che non ho mai visto prima ed è terribile perché non c’è nemmeno modo di curare i sintomi per prendere tempo e pensare a qualcosa. Mi ci vorrebbe tempo, tanto tempo, per studiare quel virus e capire cosa fare. E tutto questo tempo non l’abbiamo, ora… sappiamo solo che non è contagioso. -
- Quanto tempo ti servirebbe? - Chiese Mike rafforzando la sua determinazione improvvisa, quasi durezza in realtà. Gli altri lo guardarono e Rob spaesato si strinse nelle spalle non avendone poi la più pallida idea.
- Non so, anni…-
- Devi dirmi quanti, Rob. - Ed ora parlava anche a loro come fosse un re che dava ordini. Cogliendo la sua ferma determinazione, il dottore rispose cercando di essere quanto più realista possibile.
- Non so, non posso essere sicuro al cento per cento di riuscirci comunque… -
- QUANTO TEMPO, ROB? - E non gli stava chiedendo quanto tempo rimaneva a Chester ma quanto tempo gli ci voleva per salvarlo, come non contemplasse minimamente l’idea di perderlo e rassegnarsi e mettersi a piangere.
Solo quando alzò la voce tutti capirono che aveva in mente qualcosa e che probabilmente era qualcosa mai fatto prima. Una di quelle idee che sapevano venire solo a lui, come quando proponeva strategie incredibili per stanare dei ribelli.
- Cinque. Cinque anni, non di meno di sicuro. Devo studiare da cima a fondo il virus, condurre esperimenti e vedere il decorso della malattia fino alla fine. E creare dal nulla una cura. Cinque anni. E mi servirà come minimo l’aiuto di Brad e non solo. Mi servirà totale accesso esclusivo al Livello Zero della Zona Rossa. -
La Zona Rossa era la Torre di Medicina Umana, era l’avanguardia per quanto riguardava l’essere umano ed in special modo le cure e le ricerche mediche. Ottenere accesso esclusivo al Livello Zero era qualcosa che nessuno aveva mai avuto e non con facilità. Era come pretendere totale via libera ad ogni ricerca potendo utilizzare risorse infinite.
Chiedere una cosa simile era praticamente chiedere la Luna.
- Va bene. -Disse subito Mike con fredda determinazione. Si capiva che la sua mente stava lavorando a qualcosa, un’idea assurda, mai partorita prima da mente umana e non. Qualcosa a cui sicuramente nessuno sarebbe mai stato d’accordo.
Gli altri lo guardarono come fosse impazzito e lui imperterrito proseguì.
- Tu e Brad andrete là, avrete totale accesso esclusivo al Livello Zero della Zona Rossa. Cinque anni. Per cinque anni non metterete il naso fuori da là se non per rare eccezioni. Fra cinque anni verrò a prendervi e non ammetterò una proroga di tempo. - Poi si rivolse a Joe, un ragazzo basso dai lineamenti orientali. - Tu ora gli darai questi cinque anni.- Come lo disse il tempo parve raggelarsi ed invece erano solo loro.
- Cosa? E come?- Non ci sarebbe mai arrivato da solo, nessuno di loro ma Joe tanto meno. Non avrebbe nemmeno mai osato concepire un’idea del genere.
- Trasformerai Chester in un androide, voglio che sia una cosa temporanea perché quando Rob e Brad torneranno con la cura lui tornerà umano. Lo farai e non mi importa di come, ma questo è quello che succederà. Farai sì che il suo corpo smetta di distruggersi grazie ai circuiti che gli impianterai e dopo di che glieli toglierai quando potrà tornare sé stesso. -
Sembrava la convinzione fatta persona ed anzi un ordine diretto, Joe non ci avrebbe mai pensato a disobbedirgli in quel momento ma la verità era che non aveva mai osato concepire un’idea simile ed anche se era convinto fosse impossibile, solo perché Mike glielo stava ordinando in quel modo, con una tale forza che celava una tremenda disperazione, ora stava progettando mentalmente il modo per riuscirci.
- E’ una cosa folle, mai pensata, mai fatta e soprattutto avventata. Un rischio. Potrebbe andare tutto in malora, potrei peggiorare le cose, potrei distruggerlo solo più in fretta. -
- Non importa, lo farai. - E ripeterglielo in quel modo continuava a renderlo sempre più reale solo perché Mike lo voleva.
- E anche se ci riesco sappi che per cinque anni non avrai Chester ma un androide col suo corpo, una creatura priva di sentimenti, senza personalità e ricordi, programmato per obbedirti in tutto e per tutto. L’essere di Chester rimarrà sopito, non sarà lui. Pensi di poter reggere cinque anni così? -
Mike sembrava non avere il minimo dubbio, in quel momento non gli importava comunque nulla, voleva solo il suo Chester e se per averlo doveva rischiare e aspettare cinque anni e sopportare l’insopportabile, l’avrebbe fatto.
- Mike, sarà come averlo morto comunque. Lo capisci? - Fece allora Brad con praticità spaventato all’idea che nell’arco di quei cinque anni Mike venisse preso dalla follia perché quell’androide non era Chester ma solo uno col suo corpo.
Il ragazzo allora lo guardò e con una serietà lugubre che fece rabbrividire tutti i presenti, disse:
- Non fare niente lo porterà comunque alla morte. E se lui se ne va io non intendo andare avanti. -
- Sarà un’attesa allucinante. - Rincarò con coraggio il giovane cappelluto dal cesto di ricci incolti quasi impressionante.
- E così sia. Ma io oggi non lo seppellisco. - Era davvero consapevolmente disposto a tutto e capendolo fino in fondo, anche gli altri furono finalmente dalla sua al cento per cento.
- Joe, pensi di riuscirci? - Chiese Brad acconsentendo all’idea.
Il tecnico che non aveva smesso di pensarci un secondo, rispose con già il progetto in testa come se non aspettasse altro di poterlo concepire finalmente.
- Sì. Penso di riuscirci. C’è quest’idea che mi era venuta da un po’, impiantare dei chip nella mente umana. Questi chip permettono di ottenere capacità particolari simili a quelle degli androidi, ma solo una o due per chip. Ad esempio uno di questi permette di guardare ovunque sul mondo per tenerlo sotto controllo con immagini provenienti dai satelliti e se l’esperimento riusciva pensavo di proportelo, Mike, per facilitarti il compito di vegliare sul mondo. Questo stesso chip permette anche di comunicare con altri androidi a distanza. Ebbene ne ho fatti già molti di questi aggeggi impiantabili, ognuno con varie caratteristiche da androide. Io penso che impiantandoli tutti in Chester questo lo renda uno di loro a tutti gli effetti. Ci sono tutti quelli che vengono usati per gli androidi veri e propri. Questo fermerebbe il processo di decomposizione e trasformerebbe il suo corpo interiore in circuiti, ma gli cancellerebbe anche la personalità perché invaderebbe completamente la sua mente. Avrebbe inoltre tutte le capacità degli androidi. Non posso immettergli solo alcuni chip perché presi singolarmente procurano solo alcune capacità mentre combinati tutti insieme fra loro permettono, sempre in linea teorica, l’assemblamento alternativo di un androide. -
La lunga spiegazione dettagliata ebbe luogo più per sé stesso che per Mike che comunque capì solo la metà dei suoi discorsi, ma qualunque cosa gli avrebbe detto gli sarebbe andata bene.
Alla fine di tutto sospirò e sempre con quel piglio deciso e sicuro, disse:
- Ottimo. Fallo. Poi io e Chester ci ritireremo nella Zona Nera, sarò al Livello Zero mentre Chester al Livello Uno con libero accesso al mio. Anche voi potrete venire e stare lì, ma nessun altro voglio che sappia questa cosa. Nessuno deve sapere di Chester, è una cosa che rimarrà segreta a tutti i costi. Ed io… - Qua esitò e per un istante tornò quel ragazzo semplice la cui spensieratezza era stata spezzata in un istante. Il dolore nei suoi occhi neri lucidi, un angoscia senza pari nel guardare di nuovo Chester in quelle condizioni tremende. - io non avrò voglia di niente e nessuno, vorrò sparire. Questo lo so. - E lo sapeva perché stava domando a stento la voglia di uccidersi, non lo stava facendo solo per quella labile, vaga e pericolosa speranza che si era costruito da solo.
La Zona Nera era la Torre di Massima Sicurezza adibita ad esclusivo uso del Re e dei pochi eletti da lui scelti. Era un posto impossibile da localizzare ad eccezione di chi già sapeva dove trovarlo. Era anche impossibile da vedere da fuori poiché le mura erano di un materiale particolare.
Ci fu allora un momento, un momento preciso durante il quale i suoi amici lo guardarono e non videro il re ma il loro amico ferito. In quel momento nel suo profilo regolare solcato dal dolore, si resero conto della genialità acuta che aveva tirato fuori in un momento di pressione e di follia. Una genialità senza pari. E se tutto quello avrebbe davvero funzionato c’era da chiedersi se poi, perfezionando il tutto, non sarebbe potuto essere riutilizzato anche per altri casi.
Ma all’epoca era ancora tutto solo una teoria ibrida e avventata.
Tutto lì.
Mike allora sospirò e si ricordò per un momento di essere ancora lì, così li guardò spaesato in tutta la sua fragilità, quindi trattenendo a stento le lacrime, disse:
- Vi ringrazio di esserci e di assecondare le mie follie, è tutto quello che mi rimane prima della mia stessa fine. Io senza di lui mollo perché questo è il mio modo di amare. Sarà un modo sbagliato ma ora come ora, in questo preciso istante, so che non ce la farei. E non voglio nemmeno immaginare che un domani invece io possa superare tutto questo e farcela da solo. Non voglio. Facciamo che ci ritroveremo fra cinque anni a mettere a posto le cose. -
Dopo di questo i loro sorrisi comprensivi e dispiaciuti gli risposero lasciandolo andare nella stanza per salutare un’ultima volta il suo Chester.
Il Chester umano che forse non sarebbe più stato.

Mike non avrebbe mai dimenticato quel giorno, oh, mai.
Non sarebbe stato possibile in nessun modo.
Quando entrò nella camera gli parve che il cielo nero li inghiottisse, nonostante non fossero all’aperto.
Gli parve di sentire le proprie viscere contorcersi e ridursi in cenere. La sensazione che probabilmente stava provando Chester, solo amplificata.
Si chinò sul letto dove lui era steso, osservò i lineamenti tesi anche nel sonno, quella sofferenza che non gli sarebbe mai andata via, probabilmente.
Era così pallido.
Si morse il labbro mentre lo stomaco si chiudeva in una morsa di ferro. Avrebbe sopportato un dolore simile per cinque anni?
La verità era che non sapeva davvero in cosa si stava imbarcando e di questo ne era consapevole, ma lì in quel momento ogni altra attesa infernale sarebbe stata preferibile al lasciarlo morire.
Lì per lì non riusciva ad interessarsi a niente, niente che non fosse Chester ed il salvarlo.
C’era solo lui e sapeva -oh, lo sapeva perfettamente- che da quando Joe avrebbe finito con la sua operazione e lui avrebbe aperto gli occhi senza riconoscerlo come il suo amore ma solo come il suo re, sarebbe partito un altro inferno per sé e avrebbe sofferto come un dannato considerando tutto quello come un lutto vero e proprio. Sapeva che sarebbe stato male fino a voler morire comunque, ma sperava che ugualmente il vedere il corpo di Chester intero gli ridesse quella speranza che aveva cercato di accendersi.
Anche se avrebbe sentito ogni giorno di più la mancanza del suo compagno.
Come seppellirlo sei metri sotto terra.
Il freddo che cominciò a provare già da quel momento fu indescrivibile e si sentì portare via da un vento gelido fortissimo.
Quel dolore non sarebbe mai cessato, ne era sicuro, ma c’era quella probabilità che i suoi amici in cinque anni potessero compiere il miracolo ed con quello lui avrebbe tirato avanti, in un modo o nell’altro.
Ad ogni costo.
Baciò infine la fronte di Chester, la pelle fredda e pallida.
Per lui ne valeva la pena.
Per lui sarebbe valsa ogni pena.
- Ci vediamo fra cinque anni. Ti aspetto qua. - L’illusione che averlo accanto a sé come androide avrebbe reso tutto più sopportabile fu proprio quello che gli permise di compiere quel gesto estremo, ma forse se ne sarebbe anche pentito.