CAPITOLO III:
MY DECEMBER

"Questo è il mio Dicembre
Questa è la mia casa coperta di neve
Questo è il mio Dicembre
Questo sono io, da solo"

L’operazione fu eseguita direttamente nella Zona Nera, al Livello due.
Il piano era adibito ad infermeria e sala operatoria ed era provvisto di tutto quello che in un caso d’emergenza sarebbe dovuto servire.
Quando dopo delle ore interminabili Joe mise giù i suoi strumenti permettendo a Rob di ricucire le parti da lui aperte per impiantare i chip sottopelle e sugli organi in livello critico, aveva un’espressione molto seria e tesa, non era certo che avrebbe funzionato ma ormai a quel punto era ora di scoprirlo una volta per tutte.
Rimpiangeva di non aver avuto il tempo di sperimentarlo, progettarlo e prepararlo meglio, ma o così o avrebbe dovuto dire addio a Chester e di conseguenza anche a Mike.
Sospirò in concomitanza con Rob assistiti a loro volta da Dave per la parte inerente al cervello. I chip impiantati nella testa erano stati naturalmente i più numerosi.
- Bene, ora dobbiamo attivarli e dargli l’input per assemblarsi e convertire i tessuti in circuiti. - Disse Joe, i capelli corti erano neri ed il sudore colava sul suo viso imperlandogli la fronte.
- Avanti allora. - Fece Dave che ormai aveva esaurito la sua pazienza. Il ragazzo dai capelli rossi sapeva cosa sarebbe occorso, quindi prese subito le piastre di rianimazione e le consegnò a Joe, i tre si scambiarono uno sguardo significativo ed importante, quindi con un gesto del capo diede il via a Rob di caricare la macchina.
- Al massimo. -Disse. Quando sentì il fischio emesso dalla scatola elettronica, strofinò fra loro le due piastre, dopo di ché con un lugubre ‘libera’le piazzò sul torace scoperto e ricucito nel dettaglio di Chester.
Il suo corpo esile si scosse convulsamente una volta, quindi staccò le piastre e le posò aspettando il risultato.
Nel silenzio perfetto della stanza dalle pareti nere cominciò a sentirsi un sinistro ronzio proveniente proprio dal ragazzo addormentato. Guardarono levarsi del fumo dalla sua pelle come se una macchina stesse andando in corto circuito e i ronzii ne diedero conferma. Videro poi delle scintille partire sempre da lui e per un momento venne un flash intenso che li fece indietreggiare e proteggersi il viso con le braccia.
Quando si riscossero e tornarono a guardare, il silenzio era tornato perfetto e fra il fumo che avvolgeva Chester che cominciava lentamente a diradarsi, i primi movimenti si distinsero nettamente.
I tre ragazzi trattenevano il respiro sentendosi il dottor Frankestein, non staccarono gli occhi di dosso dal loro amico e avvicinandosi per vedere meglio notarono precisamente le cuciture di Rob svanire sulla sua pelle, come se la scarica elettrica avesse cancellato tutto. Ogni segno della sua fragilità umana venne cancellato e nel giro di poco rimase solo il suo corpo quasi del tutto nudo, magro, longilineo e coperto sul busto dai soliti molti tatuaggi.
Si concentrarono sul suo viso, non respirava ma in linea teorica le funzioni di un androide non erano quelle umane ed era normale non avere battito e respiro, così come non avere i soliti valori cerebrali sul monitor. Non aveva nulla, nemmeno la pressione, questo diede se non altro conferma di un fatto che lì per lì non seppero se gioirne o meno.
Chester era di certo morto.
Di nuovo lo videro muoversi impercettibilmente, quindi si appoggiarono al tavolo operatorio al limite della tensione e finalmente i lineamenti perfetti e rilassati del suo viso si mossero, le palpebre si aprirono in una breve ultima scintilla e quando furono visibili videro due occhi privi di pupilla, provvisti solo di iride riflettente l’esterno intorno. In quel momento la luce al neon che stava sopra di lui.
Ora i tre operatori avevano le bocche aperte e il primo a reagire fu Joe ricordandosi che gli androidi dopo essere stati creati dovevano venire programmati per cominciare la loro vita. Allora senza perdere tempo, veloce come una saetta attaccò i cavi che partivano da un enorme computer lì accanto alla sua fronte ed al suo petto, dopo di che si fiondò dietro al monitor e cominciò a smanettare senza dire mezza parola. Non voleva nemmeno pensare al fatto che ce l’avesse fatta al primo colpo senza averla studiata nemmeno un po’.
Creare dei chip d’androide era una cosa, metterli insieme in un corpo umano affinché creassero dei circuiti trasformando l’ospitante in una macchina, era tutt’altra.
Si mordeva convulsamente le labbra e schiacciava velocissimo sui tasti, gli occhi sottili orientali correvano freneticamente sullo schermo da una parte all’altre e dopo un tempo quasi infinito premette l’invio e rimase immobile un istante a pensare se gli fosse sfuggito qualcosa. Non se lo sarebbe mai perdonato. Certamente poteva tornare per riprogrammarlo quando voleva, ma l’ideale era farlo la prima volta una per tutte.
- Ok. - Disse parlando a sé stesso. Si alzò e tornò accanto a Chester ancora immobile che non aveva nemmeno battuto le palpebre. Qualcosa che non avrebbe mai fatto. - E’ pronto. - Fece con una tensione altissima nella voce staccandogli i cavi. Era combattuto dal desiderio che tutto funzionasse perfettamente perché lui era un suo amico e tale dovrebbe essere tornato nel giro di cinque anni e dal sapere se l’esperimento senza precedenti a cui aveva appena dato vita avesse esito positivi.
Certamente considerare uno dei suoi amici il suo esperimento più importante era la cosa più orrenda possibile e lo poteva capire, ma lì per lì il suo lato di scienziato della robotica e cibernetica tentava di avere il sopravvento sull’amico che era.
Scrocchiò le proprie dita e come se si stesse preparando ad un incontro di boxe cruciale, si decise a dare il via ufficiale al tutto.
- Chester, attivati! Alzati in piedi. - Rob e Dave indietreggiarono fiancheggiando Joe, erano ancora tutti sbalorditi e curiosi di vedere come sarebbe andata.
Al primo ordine ricevuto, Chester si trovò ad eseguire automaticamente e senza la minima esitazione, con movimenti controllati ed essenziali ma prettamente umani a prima vista, si tirò su a sedere e senza la minima fatica si mise in piedi davanti a loro.
L’asciugamano che ricopriva le sue parti intime cadde lasciandolo nudo ma i tre erano troppo occupati a capire se avrebbe davvero funzionato per notare il particolare della sua completa nudità.
Chester rimase fermo immobile ad attendere i prossimi ordini, così Joe alzò il polso e schiacciando un pulsante su un bracciale elettronico, disse teso:
- Mike, chiamalo. - Joe ci aveva messo un attimo ad impiantare il chip di comunicazione con gli androidi a Mike, era un aggeggio minuscolo che gli era stato possibile immettergli in pochissimi minuti senza nemmeno bisogno di un’operazione vera e propria poiché situava sul suo occhio sinistro. Naturalmente quella era la prima volta che Mike lo usava poiché fra loro umani comunicavano con altri ingegni elettronici quali quei braccialetti che però avevano un raggio limitato di funzione.
Ovvero da dentro a fuori la Zona Nera erano del tutto inutilizzabili. O i comunicanti erano tutti dentro o erano tutti fuori, se uno era lì e l’altro no erano totalmente inservibili.
I chip di comunicazione androide invece erano diversi. Anche da dentro a fuori la Zona Nera funzionavano perfettamente, pure a distanze estreme, ma solo fra il possessore del chip e l’androide -o gli androidi- con cui si voleva parlare.
Loro non sentirono la voce di Mike ma nel giro di pochi istanti videro Chester muoversi in una camminata naturale e normale, nemmeno nei movimenti più semplici sembrava un robot. Era impressionante il lavoro della famiglia di Joe su quelle macchine da loro create ed ora lo era ciò che Joe stesso aveva appena creato.
I tre lo seguirono fuori dalla sala notando solo in quel momento la sua nudità, non fecero in tempo a prendere l’asciugamano che il giovane tatuato sparì immediatamente muovendosi poi alla velocità della luce.
- E’ pazzesco, è davvero un androide! - Esclamò Brad che aveva assistito all‘operazione dalla stanza adiacente. Mike non aveva avuto il coraggio di guardare il suo compagno venire aperto ed infilzato da dei chip sicuramente odiati dal vero Chester, così li aveva aspettato nel Livello Zero, la sua stanza privata.
- Dai muoviamoci! - Esclamò Joe cominciando a correre prima di loro verso l’ultimo piano.

Quando Mike sentì la voce di Joe dal bracciale elettronico dirgli di chiamare Chester, lo fece senza credere che ci fossero riusciti. Aveva fede in loro, gli aveva chiesto qualcosa di incredibile sapendo che solo loro ci sarebbero potuti riuscire, ma ammettere che era tutto vero era un’altra cosa.
Nel giro di un istante, l’acqua del pavimento del suo piano cominciò a ribollire ed il serpente di Chester che si era portato con sé scivolò svelto fra i suoi piedi come spaventato da quella strana forza nuova.
Poco dopo dalla superficie sbucò il suo compagno.
Chester rimase un istante fermo dov’era, completamente nudo, immobile, poi mosse dei passi con calma, giunse alla piattaforma del trono dov’era Mike e davanti a lui ancora seduto immobile col fiato sospeso, si inginocchiò chinando il capo in segno di reverenza.
Il re non reagì per un lungo momento ed esterrefatto lo fissò assimilando ogni suo dettaglio.
Ricordava bene il suo corpo, ogni singolo tatuaggio, tutto come l‘aveva lasciato, solo le cicatrici non c’erano più. E il respiro. La sua schiena, le sue spalle, il suo petto… tutto di lui era immobile e non perché lo stava trattenendo, lui non respirava proprio.
Fu questo che gli fece capire che l’operazione era riuscita.
Si mise in punta sull’enorme trono fatto in avorio e coperto da una pelliccia nera, quindi stringendo convulsamente i braccioli, sussurrò fermo e teso:
- Alzati. -
Allora Chester si tirò su senza mostrare vergogna e come niente fosse ricambiò il suo sguardo con uno fisso e vuoto.
Questa fu la prima stilettata che ferì Mike.
Per quanto l’avesse immaginato, trovarcisi davanti era davvero tutt’altra cosa.
Sapeva che sarebbe stata dura ma ora cominciava la parte peggiore.
Tuttavia nonostante i suoi occhi neri e vuoti, la sua inespressività ed il suo totale nulla anche a livello corporeo, Mike non poté trattenersi dall’alzarsi a sua volta e stringerlo con impeto irresistibile.
L’avvolse con le braccia chiudendo gli occhi con tormento e quando lo sentì gelido sotto di sé, duro ed ancora totalmente immobile, sentì la seconda stilettata. Una punta di lancia avvelenata che gli trapassava il corpo.
L’atrocità pura.
Solo un robot con le sembianze del suo Chester.
Eppure l’aveva saputo.
L’aveva saputo, ma ripeterselo non lo faceva sentire meglio.
Lo lasciò andare e si aggrappò al fatto che comunque era lui, che stava bene e che ora il tempo l’aveva.
Per curarlo e riprenderselo.
In quello arrivarono i suoi amici sempre emergendo dall’acqua ma senza farla ribollire e tremare.
Come lui si ritrovarono asciutti e camminarono fino alla piattaforma, una volta raggiunti i due Rob avvolse la vita di Chester senza smettere di considerarlo il loro amico nonostante tutto.
Dopo di quello Joe prese la parola e spiegò:
- Tutti gli androidi vengono creati per rispettare, seguire ed obbedire al re. In base a questo si comportano come egli vuole. Se il re è un tiranno loro saranno tiranni a loro volta, se invece è pacifista lo saranno anche loro. Quando il re di volta in volta viene cambiato, tramite la cerimonia ufficiale di incoronazione ogni androide registra il viso del nuovo re ed automaticamente si sintonizzano sulla sua volontà. Tutto il resto viene programmato col computer dopo che sono stati creati. Ho programmato Chester non solo per rispettarti, seguirti ed obbedirti, ma anche per proteggerti. Tu per lui sarai la priorità massima su tutto, anche sui tuoi stessi ordini. L’ho programmato anche per rispettare al millimetro i tuoi ordini e per portarli a termine ad ogni costo. Ascolterà solo ed esclusivamente te, non prenderà mai iniziative di alcun genere. Tutti gli altri androidi inoltre vengono programmati per vivere come gli umani fra di loro, naturalmente avendo bisogni diversi compiono altre cose, ma sostanzialmente anche se non hanno una personalità ed una coscienza, dipende da come vengono programmati e di solito cercano di farli simili agli umani quanto più si può. Alcuni sono anche di stessa proprietà degli uomini che li comprano e quindi a seconda di ciò che vogliono, essi diventano. Ho reso Chester al minimale, ma è un androide da combattimento perché lui… - qua esitò con nostalgia: - perché lui è un combattente. Puoi chiedergli di compiere qualunque missione, lui l’eseguirà. - Seguirono altre indicazioni che Mike ascoltò attentamente chiedendosi se avrebbe poi potuto resistere cinque anni in quello stato, poi per rispondersi tornò a guardare Chester e sebbene continuasse a non fare assolutamente nulla, si disse che proprio perché quello non era il suo vero compagno, doveva fare ancora di tutto per poterlo riavere. E quel ‘di tutto’ era solo all’inizio.
- Però in tutta onestà stiamo camminando sulle uova, non so quanto può andare avanti, che conseguenze può avere, cosa può succedere da qui in poi, se ci saranno reazioni inaspettate… devo studiarmi questo esperimento e lo farò dalla Zona Blu. Starò per un po’ là e vorrei l’aiuto di Dave per capire come e se sarà possibile poi farlo tornare, se potrebbero esserci conseguenze ed in quel caso se Dave potrà intervenire. Insomma, dovremo studiare il caso bene. - Dave annuì consapevole che quella era l’unica cosa, a quel punto.
La Zona Blu era il Centro Androide, lì venivano creati gli androidi, aggiustati, perfezionati e studiati. Era di proprietà della famiglia di Joe ma lui non ci era mai andato preferendo il proprio studio, a casa sua, per sentirsi più a suo agio nei suoi esperimenti. Per lui stare là equivaleva a dimostrare quanto teneva a Chester e Mike.
- Saremo anche noi al Livello Zero. - Il livello di massimo impiego degli studi ed esperimenti robotici, solitamente riservato ai massimi esponenti del settore e di massima segretezza e sicurezza.
Mike annuì comprendendo le loro parole e capendo che per molto tempo sarebbe stato da solo con Chester poiché non aveva voluto coinvolgere nella sua follia nessun altro, li guardò uno ad uno per poi alla fine sorridere un’ultima volta con un certo sforzo evidente. Infine con stanchezza e tristezza disse:
- Vi ringrazio ancora una volta. Per qualunque cosa sapete dove trovarmi, non potremo sentirci tramite alcun aggeggio perché da qui non funziona niente, ma voi potete raggiungermi quando volete. E state attenti. - Un’intuizione dell’ultimo minuto senza ancora sapere cosa da lì in poi sarebbe successo.
I ragazzi ricambiarono il suo sorriso tirato comprendendo perfettamente che non vedeva l’ora di piangere e sprofondare nel proprio buio pessimistico, cosa che ancora si era sforzato con tutto sé stesso di non fare perché c’era sempre stato qualcos’altro da fare. Ora che non rimaneva più niente se non l’attesa più tremenda di tutte, i nervi gli stavano cedendo e quello che provava era proprio un bisogno primario.
Sfogarsi una volta per tutte e liberare ogni angoscia, dubbio, incertezza e paura.
Quando si salutarono congedandosi e tornando indietro, rimase un istante da solo con Chester ancora fermo in piedi a fissarlo in attesa di ordini. Allora una nuova presa gli contorse lo stomaco risalendo fino al cuore.
Quella macchina era tutto ciò che rimaneva del suo Chester e sebbene gli androidi gli erano sempre piaciuti, ora riusciva a capire perfettamente l’astio che invece aveva nutrito il suo compagno per loro.
Lo capiva perché per quanto interessanti ed anche divertenti sotto un certo aspetto potessero essere perché diversi, per non dire estremamente utili, non erano comunque vivi e questo ora schiacciò Mike inesorabilmente facendolo accasciare sul trono dove si prese il viso fra le mani e, con quello che rimaneva del suo amore davanti ancora immobile, finalmente pianse per quello che ora come ora era un lutto a tutti gli effetti.
Ed un lutto della peggiore specie.
Chester registrò il suo comportamento ed i dati immessi nei suoi circuiti cerebrali gli rimandarono l’informazione che quell’atteggiamento equivaleva al dolore. Comprendendolo, il programma gli rimandò automaticamente la reazione a ciò che doveva evitare perché egli era il suo re ed il suo re non poteva stare male.
Mosse appena un passo e senza chinarsi ma continuando a guardarlo inespressivo dall’in piedi, disse incolore eppure con la voce del suo ragazzo:
- Posso fare qualcosa per togliere la sofferenza del mio re? - Questa domanda sorprese Mike che smise di piangere e sebbene il tono era qualcosa di raggelante, alzò lo sguardo su di lui. Si incrociarono e specchiandosi nel vuoto delle sue iridi si vide carico di un’espressività che era tutta l’opposto di quella dell’androide e si piegò di nuovo capendo quanto sarebbe stato tremendo anche solo stargli davanti e vedere l’enorme diversità dalla persona che amava.
Si girò infatti dall’altra parte senza la forza di continuare a guardarlo e con un gesto regale della mano che gli venne naturale, disse con un filo di voce rotto dal pianto:
- No, grazie. Va al Livello Uno e aspetta, per favore. - Con questo Chester eseguì senza esitazione e nel girarsi l’asciugamano scivolò via lasciandolo di nuovo nudo prima di vederlo rituffarsi nella superficie d’acqua che prese a ribollire al suo passaggio.
Mike si girò incantandosi sul telo bianco che in tutto quel nero azzurrino spiccava, le lacrime scendevano da sole, avendole finalmente liberate era come se non volessero saperne di tornare indietro, poi in quel vuoto che lo circondava inglobandolo, un pensiero gli attraversò fulmineo la testa.
“Però in ogni caso dipende interamente da me. O meglio lui può anche stare per cinque anni fermo seduto ad aspettare, non ha veri e propri bisogni se non un po’ di manutenzione ogni tanto. Ma il fatto è che lui è Chester ed è così perché l’ho voluto io, perché non riuscivo a seppellirlo. Non posso lasciarlo così per cinque anni perché non ho la forza di vederlo in quello stato. In ogni caso lui rimane Chester. Il mio Chester.”
Così dicendo si alzò sospirando, colse l’asciugamano e scendendo nella superficie dell’acqua si lasciò calare.
Avrebbe di certo avuto tempo per disperarsi, prima doveva cercare di tirare fuori qualcosa da quella tremenda situazione. Qualcosa che sarebbe almeno un po’ valso la pena vivere. Un senso. Una motivazione. Uno scopo.
Qualcosa.