CAPITOLO
IV:
ROBOT
BOY
“E
Tu
sei sicuro
Di
esser ferito in un modo
Che
nessuno saprà mai
Ma
Qualche
giorno
Il
peso della responsabilità
Ti
darà la forza di andare
Tieni
duro”
Mosso
qualche passo sulla superficie di quella che appariva acqua nera, si
fermò su un punto preciso e si lasciò lentamente calare nel passaggio
sottostante che cominciò a scendere. In breve fu ricoperto tutto di
quello che non era ciò che sembrava, ovvero non acqua ma un liquido di
riconoscimento nel quale era possibile respirare, non lasciava bagnati
e al tempo stesso fungeva da identificatore grazie a delle micro
particelle che facevano una scansione del soggetto trasmettendo
direttamente al computer centrale della Torre. Se il soggetto possedeva
il permesso di accesso al Livello Zero veniva fatto passare, altrimenti
la pedana di spostamento non si muoveva e lasciava la persona bloccata
in quel livello intermedio fra lo Zero e l’Uno, immerso nel liquido che
nel riconoscere l’intruso scaricava elettricità fino ad uccidere. La
scansione naturalmente veniva fatta solo se dal piano inferiore si
doveva salire a quello superiore e quando si entrava nella Torre la
prima volta bisognava inserire nel computer i nomi coi codici
identificativi per il riconoscimento.
Sceso
così dal Livello Zero all’Uno secondo il metodo progettato dagli
ingegneri di quelle Torri speciali, metodo che potevano conoscere solo
quelli che avevano accesso alla Zona stessa e che variava di Torre in
Torre, Mike percorse il piano composto da un’enorme ed ampia stanza
principale con diverse apparecchiature adatte agli androidi ed alcune
altre camere adiacenti.
Mike
aveva fatto allestire il piano apposta in modo che Chester vi trovasse
tutto quello che gli sarebbe potuto servire.
Ad
eccezione dello Zero che era illuminato secondo un sistema che emulava
delle lucciole azzurrine galleggianti rilevatori di pericoli che in
caso di intrusi scaricavano anch‘elle scariche elettriche verso coloro
che in qualche modo passavano tutti gli altri piani protettivi, gli
altri Livelli utilizzavano l’elettricità normalmente. Tutte le pareti
erano fatte di un materiale particolare di colore nero che dall’esterno
risultavano invisibili, erano inoltre indistruttibili ed impossibili da
individuare se non per chi già sapeva precisamente dove trovarle.
Mike
teneva in mano l’asciugamano bianco e ancora profondamente scosso e
titubante, si guardò intorno cercando l’androide.
Lo
trovò steso nella capsula rigenerante che ogni androide possedeva per
cui era programmato ad usare. Era praticamente il suo letto.
Una
specie di bara a cilindro in vetro costantemente illuminata da una luce
azzurra che dava loro energia.
Si
avvicinò e lo chiamò:
-
Chester. -
L’androide
aprì gli occhi ed uscì dalla capsula alzandosi in piedi e venendogli
incontro.
Era
ancora rigorosamente nudo ed i suoi movimenti seppure apparissero
prettamente umani, erano amorfi e apatici, senza la minima
inclinazione.
Arrivato
davanti a Mike si inginocchiò come di rito e col capo chino disse
incolore:
-
Il mio re ha chiamato? -
-
Mapporca… - Cominciò imprecando Mike guardando in alto esasperato. -
Joe l’ha programmato troppo nel dettaglio! - Ma capendo che ormai era
fatta e che non poteva certo richiamare l’amico per un capriccio
simile, sospirò cercando un po’ di pazienza e si rivolse a Chester con
un tono che gli venne naturale: - Alzati. - Poi si pentì del comando ed
aggiunse gentile: - Per favore. - Come se combattesse con l’istinto di
trattarlo per quello che momentaneamente era, ovvero un androide, ed il
senso di colpa perché comunque era pur sempre il suo amante.
Sarebbe
stato davvero difficile e lo capì perfettamente solo in quel momento.
Chester
si alzò e Mike lasciò andare l’asciugamano osservando il suo corpo
perfetto e liscio, si soffermò sui tatuaggi che aveva a lungo toccato
nel passare le notti insieme e memore di quei momenti scese nelle sue
parti intime con occhi lascivi. Era tutto perfetto come lo ricordava.
Guardandolo così da vicino e bene un nodo gli salì alla gola ed
inghiottì cercando di domarsi, ma l’istinto di toccarlo era così forte…
non era il suo Chester, non davvero, però ad osservarlo così quanto lo
sembrava… chissà se anche al tatto poteva confonderlo in quel modo?
Non
resistendo più alla tentazione allungò la mano sul suo volto,
l’accarezzò con dolcezza, sfiorandolo appena. Era sempre la sua pelle,
solo più fredda.
Chester
rimase immobile lasciandosi fare.
Mike
alzò anche l’altra mano ed insieme scese sul collo dove non c’erano
pulsazioni. Gli parve strano ma inghiottì e resistette.
Cos’altro
c’era di diverso? Voleva conoscere ogni singola e minima differenza.
Improvvisamente
gli importava, improvvisamente voleva viverle tutte sebbene solo un
istante prima ne fosse risultato terrorizzato.
Giunse
al petto e lì cominciò a toccarlo con maggior consistenza.
Aveva
dei muscoli d’acciaio ma non insopportabilmente duri. Era solo la sua
temperatura in realtà che faceva tanto impressione.
Ed
il suo cuore che non batteva. Il petto non si alzava né abbassava. Non
respirava. Non batteva le palpebre.
Allora
finì sui fianchi e poi più giù, sull’inguine. Si inumidì le
labbra non sapendo bene se andare avanti o smettere, ma proseguì
sfiorandogli dapprima timidamente e spaventato la propria intimità, poi
con più confidenza.
Anche
quella parte era fredda ma non dura ed impressionante. Semplicemente
non reagiva al suo tocco. Semplicemente pur carezzandolo come aveva
fatto solo qualche giorno prima, non si sarebbe eccitato e lo capì
perché non c’era il minimo segno in quel senso.
Sentendo
dolore nel mordersi le labbra a sangue e bisogno di respirare, Mike
ritirò le mani dal suo corpo e dal suo viso e con un passo indietro
prese un profondo respiro accorgendosi di essersi teso fino allo spasmo
e di avere gli occhi lucidi.
Quello
era Chester eppure non lo era e confusione peggiore non poteva
provarla, ma non avrebbe mai completato l’esplorazione baciandolo. Non
in quel momento.
Non
ci sarebbe ancora riuscito.
Si
passò l’avambraccio sul viso e cercò di tornare in sé, si spettinò i
capelli corti e scosse il capo cercando di riconnettersi.
Quando
i pensieri furono di nuovo razionali e coerenti, trovò la cosa più
sensata da dire e fare.
-
Chester, non puoi girare così. -
-
Non capisco. - Chiese atono come ormai sarebbe sempre stato per i
successivi cinque anni.
-
Nudo! - Esclamò con voce strozzata facendo ora molta fatica a guardarlo
e trattenersi dal non toccarlo più. - Devo vestirti.- Disse più fra sé
e sé chiedendosi cosa mai ci potesse essere in quella base segreta
d’emergenza attrezzata in linea teorica per tutte le evenienze. -
Aspetta qua, vedo cosa trovo. - Sicuramente l’idea di fare shopping non
era nell’elenco di ciò che avrebbe fatto, quindi sperò che chiunque
avesse usato quella Torre l’ultima volta, avesse lasciato degli abiti
decenti.
Alla
fine non aveva trovato di meglio che dei pantaloni in pelle nera e
degli stivali alti in stile anfibio. Comunque uno stile che a Chester
donava di certo. Gli rimise anche i suoi orecchini preferiti, quelli
che allargavano leggermente i buchi ai lobi, poi gli inserì un ditale
speciale proprio per androidi combattenti che Joe gli aveva lasciato
fra gli effetti essenziali per Chester, un apparente gioiello gotico
dalle funzioni più svariate fra cui emettere raggi laser del calibro di
un cannone. Gli mise anche dei bracciali di cuoio con delle fibbie e
dei guanti senza dita della medesima tipologia poiché erano i suoi
accessori preferiti. Nel sistemargli le mani notò le unghie nere e si
chiese se non fosse un ricordo della malattia che aveva cominciato a
mangiargli anche il corpo esterno partendo proprio da esse. Alzò le
spalle trovandole di un certo stile, quindi guardandolo nel complesso
decise che l’avrebbe lasciato a torso nudo. Chester era un tipo che
soffriva molto il caldo, ricordava bene tutte le volte che potendo
scegliere si spogliava solo per non provarne.
Decise
che si sarebbe occupato lui stesso del suo fedele serpente che ora
dormiva sul trono nel piano superiore, poi osservò i capelli. Aveva
appena fatto un taglio alla moicana, solo naturalmente meno
appariscente. Rasati ai lati ed un po’ più lunghi centralmente. Sapeva
che non gli sarebbero più cresciuti e la questione era se farglieli
tutti rasati dello stesso livello oppure lasciarli così, alla fine non
lo toccò rispettando ancora una volta quel suo gusto di quando era sé
stesso.
All’androide
non importavano quei dettagli ma a lui sì.
Era
sempre il suo Chester.
Capendo
che non c’era più niente da fare, sospirò e sentendosi vicino ad un
nuovo crollo poiché gli era stato troppo accanto domando a stento un
moto d’insofferenza, disse in un misto fra il comando ed il gentile:
-
Ora puoi tornare nella capsula e ricaricarti. Se avrò bisogno di te ti
chiamerò. -
Vedendolo
eseguire gli ordini come niente, non nascose una smorfia di dispiacere
e girandosi si posizionò sul punto preciso del pavimento che si alzò
permettendogli poi di salire al soffitto e da lì venire inglobato dal
soffitto che appariva come uno specchio nero.
Mike,
passato ai raggi X nel liquido identificativo, riemerse asciugandosi
subito e sistemandosi nel trono prese il serpente sistemandoselo sulle
gambe, lasciò che gli si attorcigliasse addosso e sentendo quella
sensazione familiare si lasciò andare ai ricordi. Ricordi di quando
Chester aveva inveito contro gli androidi ritenendoli creature fredde e
stupide in quanto non ragionavano per conto loro e facevano quello che
veniva comandato; o per il fatto che per fare ciò per cui erano
programmati o che gli veniva richiesto dal padrone, potevano fare anche
danni seri.
Per
lo più erano androidi da combattimento. C’erano due eserciti: uno
composto interamente da umani e l’altro da androidi da combattimento,
rispondevano tutti ai generali e comandanti che a loro volta erano
sotto il re. Per il resto erano androidi da quotidianità per lo più
comprati da qualcuno che li utilizzava come meglio credeva per fargli
fare qualunque cosa avessero bisogno.
C’era
una terza categoria di androidi ed erano quelli indipendenti che però
erano comunque programmati sì per vivere da soli per conto proprio, ma
comunque per rispondere al bisogno se chiamati da un umano. Erano
l’ultimo esperimento del padre di Joe che aveva cercato di riprodurre
con essi gli uomini più similmente possibile, quindi li aveva composti
in modo che potessero per l’appunto vivere indipendentemente ma
ugualmente entro certi limiti e regole. I programmi caricati alla
creazione comprendevano quindi il saper svolgere i lavori più
disparati, obbedire agli uomini senza far loro del male e con essi
collaborare oltre che a mantenersi completamente da soli. Avevano
comunque registrato in loro l’obbligo del controllo mensile e quindi in
ogni caso, sia che stessero bene sia che avessero qualche anomalia,
andavano alla Zona Blu e si facevano revisionare dai tecnici umani per
vedere che fosse tutto a posto. Non era mai successo niente soprattutto
perché il re era sempre stato in grado di mantenere tutto sotto un
preciso equilibrio assicurandosi che ogni cosa andasse per il verso
giusto.
Chester
però li aveva detestati per un sacco di motivi fra cui che comunque
erano solo macchine non vive programmate per fare determinate cose
senza la minima iniziativa e dei sentimenti. Per non parlare del fatto
che non possedevano uno straccio di personalità. Al contrario Mike li
aveva sempre protetti, ma ora che erano in una situazione simile poteva
capirlo, eppure poteva dire di odiarlo solo perché era un androide con
tutti i difetti -più che altro solo limiti- che ora e solo ora era
disposto a riconoscere?
O
lo sopportava solo perché aveva il corpo di Chester?
Del
resto era anche per quello che ora detestava a sua volta quella specie.
No,
la verità era che tutto stava già cominciando a perdere di interesse e
ciò per cui riusciva a vivere era esclusivamente i ricordi di ciò che
l’aveva reso felice, nella speranza che potesse tornare in quel modo
rischioso e assurdo.
Tutto
il resto divenne via via sempre più grigio per poi arrivare addirittura
al nero.
Non
gli interessava più niente, solo desiderava che il tempo passasse in
fretta.
Fosse
stato per lui avrebbe continuato a sprofondare in quella depressione
sempre più profonda, sempre più spaventato dall’idea di avere a che
fare con Chester poiché guardandolo si illudeva che fosse il suo
compagno mentre poi standoci insieme si accorgeva che era un androide.
Non poteva dimenticare che se anche tutto quello poi sarebbe finito,
Chester sarebbe andato su tutte le furie sapendo che l’aveva reso ciò
che odiava.
Sperando
che comunque succedesse poiché avrebbe significato che sarebbe tornato
come prima, in nome dello sforzo che sapeva i suoi compagni stavano
compiendo per lui ma soprattutto in nome di quella flebile speranza che
tutto si sarebbe risolto, decise qualche giorno dopo di tentare per lo
meno di prendersi cura di sé.
Dopo
aver esplorato la Torre in lungo ed in largo e aver ovviamente scoperto
che non c’era la minima traccia di cibo, si chiese se come prima
missione avrebbe potuto affidare una semplice scorta di viveri a
Chester.
Del
resto lui non avrebbe mai messo piede fuori da lì, non ci pensava
minimamente a farsi vedere e rispondere alle mille domande su cosa gli
era successo. Non gli importava più di niente e nessuno, in alcuna
maniera se non dei suoi quattro amici là fuori.
Non
voleva rivedere il suo mondo nemmeno in cartolina, tanto più che non
aveva mai usato le capacità del chip che gli avrebbero permesso di
vedere ciò che succedeva là fuori.
Era
totalmente privo di volontà per ogni cosa dal momento che stava vivendo
tutto quello come un lutto vero e proprio.
Cercava
solo di trascinarsi nella vita per arrivare alla fine quei dannati
cinque anni.
-
Chester. - In pochi istanti l’androide gli fu davanti di nuovo chinato
davanti a sé e questa volta gli baciò la mano sull’anello, simbolo del
suo essere re. Si stupì a quel gesto profondamente reverenziale ma non
ci fece caso. - Tieni questa lista. - Gli consegnò un foglio con un
elenco preciso e dettagliato di cose da recuperare. - Vai nel Centro
Commercio della capitale e recupera tutto quello che è riportato lì. Ci
sono scritti nei dettagli i negozi di dove puoi recuperare tutto quello
che ci serve. Dovresti avere impiantato da qualche parte lì dentro il
navigatore ed il programma per fare acquisti, giusto? - Chester annuì
mentre le iridi cominciarono a colorarsi di rosso e capendo che stava
registrando i suoi ordini si sentì una volta di più strano sia nel
darli al suo ragazzo sia nel capire che comunque non era più per niente
colui che conosceva.
Al
suo congedo si chiese se sarebbe stato in grado di portare davvero a
termine una missione tanto semplice quanto insolita per un androide da
combattimento.
Non
intendeva minimamente impiegare Chester per quel genere di cose, doveva
farlo rischiare il meno possibile e sperava anzi che nessuno l’avrebbe
riconosciuto.
Del
resto era difficile scambiarlo per il generale Bennington. O meglio,
fisicamente era lui ma ad un’occhiata più attenta era lampante che
fosse un androide quindi la spiegazione saltava subito con facilità:
era solo un robot costruito sulle sembianze di un personaggio famoso.
Ne facevano ogni tanto per vari motivi, di solito di sicurezza. Il
fatto era che si capiva subito che non era l’autentico, a partire dagli
occhi privi di pupilla che riflettevano l’esterno. Era un dettaglio
fatto di proposito per riconoscere la categoria.
Quando
tornò, Mike era già andato sotto ogni paranoia possibile visto
l’eccessivo tempo impiegato. Si era fatto tutte le visioni più tragiche
esistenti, come che i circuiti si fossero rotti, che i chip si fossero
staccati e che comunque Chester fosse morto.
Poi
quando si sentiva un’autentica anima in pena, sentì il portone del
decimo Livello, quello inferiore, aprirsi e Mike scattò in piedi
scendendo nell’acqua.
Raggiunto
il Livello Uno, un lampo si fermò davanti a lui e nell’inginocchiarsi
lo riconobbe.
-
C-Chester? - Chiese il re incerto che fosse davvero lui. Per un momento
esitò ma furono le sue labbra sul proprio anello a fargli capire che
non c’erano dubbi.
Nonostante
fosse chino si vedevano tutte le numerose ferite che lo ricoprivano
facendo fuoriuscire del liquido nero che corrispondeva al suo sangue.
In realtà solo dell’olio di manutenzione.
Alcuni
squarci sulla pelle lasciavano scoperti dei fili elettrici che facevano
corto circuito e le scintille lo circondavano interamente. Dei tatuaggi
erano anneriti e quando gli alzò la testa per vederlo bene aiutandolo
ad alzarsi, con sorpresa ed inorridito vide il suo viso aperto per un
quarto. Dell’altro olio nero per androidi gli colava sul collo e sul
petto e invece delle ossa erano scoperti dei pezzi metallici. Una
spalla era completamente rovinata e fuori asse mentre su tutte le mani
e le braccia colava del sangue vero e proprio. Anche il suo petto
presentava diversi danni notevoli.
Chester
posò le borse ai suoi lati e rimase fermo in attesa di nuovi ordini,
Mike era inorridito ed inebetito, incredulo da ciò che vedeva ma
soprattutto spaventato. Spaventato per una miriade di motivi che tutti
collimavano col: ‘chi ha ucciso e come lo sistemo?’
Poi
la sua mente cominciò a muoversi impazzita come fosse in tilt, provò
una sensazione simile a quella di qualche giorno precedente, quando
aveva appreso da Rob la notizia più tremenda della sua vita ed il suo
inferno era così cominciato.
Un
inferno dove era completamente solo ed isolato con la persona che al
tempo stesso amava ed odiava di più, sentendosi in lutto per la sua
perdita e sospeso in un abisso in procinto di sprofondare per la paura
che tutto quello fosse vano, completamente disinteressato a ciò che
avveniva nel mondo circostante, divorato da una depressione crescente
che gli faceva venire voglia solo di una cosa. Non vedere nessuno e
continuare a stare comunque solo.
Si
sforzò di non svenire sentendo i giorni di digiuno farsi pesanti sulle
proprie spalle e con una fitta alla testa ed allo stomaco che gli diede
una specie di scarica elettrica, chiese tirando i muscoli, stringendo i
denti ed ogni cosa era in grado di tendere per stare su e non
impazzire:
-
C-cosa ti è successo? - Ma avrebbe voluto solamente gridare ‘tu non sei
il mio Chester, non sei lui, vattene, cosa gli hai fatto?’ e più
guardava quelle parti sottopelle così da robot, più si convinceva che
non sarebbe mai più potuto tornare quello di prima. Mai più. Che ormai
l’aveva perso.
Ma
lottò e lottò come non aveva ancora fatto. Lottò con sé stesso e la
voglia di ordinargli di distruggere entrambi per farla finita e
l’androide parlò con quella voce così uguale a quella di Chester ma al
contempo inespressiva. Lui non sarebbe mai stato così inespressivo,
soprattutto non avrebbe mai omesso una sola parolaccia dai suoi
discorsi.
-
C’erano rivolte nella capitale ed il Centro Commercio stava venendo
distrutto in quel momento. Ho incontrato ostacoli per recuperare le
cose della lista, mi hanno attaccato ma poi sono riuscito a portare a
termine la missione del mio re. - Chester poi tornò a chinarsi in segno
reverenziale e Mike lo rialzò stizzito. Non poté non sbottare
all’ennesimo segno troppo non da lui:
-
Chester, chiamami Mike, porca miseria! E non darmi del lei! -
-
Come desiderate mio re. Le chiedo perdono per il ritardo. - In quello
capì che non ci sarebbe stato niente da fare e che avrebbe dovuto
accontentarsi.
Se
al termine dei cinque anni sarebbe rimasto qualcosa di intero nel suo
corpo!
Rendendosi
conto che prima di ogni cosa -e sforzandosi così di non capire il
significato di quello che aveva detto- doveva curarlo, cercò di
ricordare le istruzioni di Joe.
Non
aveva mai avuto androidi di sua proprietà poiché erano sempre stati al
servizio di quelli che erano ai suoi comandi diretti, generali e
assistenti personali, tutti uomini in carne ed ossa. Si era sempre
occupato qualcun altro di quei dettagli cibernetici!
Si
mise le mani fra i capelli e si spettinò cercando di ricordare tutto.
-
Dunque, fammi riflettere… cosa diceva Joe se ti fai del male? - Chester
che non poteva capire la differenza fra frasi riflessive e frasi
dirette, rispose con freddezza:
-
Mi posso rigenerare da solo. Mi basta andare nella mia capsula, se il
mio re me lo permette. Per questo genere di danni non serve la capsula
curativa. -
C’erano
diversi tipi di capsule per ogni androide, quella rigenerativa dove
solitamente riposava e stava nel tempo libero, quella curativa che
serviva a sistemare i danni più gravi e quella di contenimento, quando
veniva spento o addirittura moriva, questa serviva più che altro per i
trasporti poiché un androide era pesantissimo mentre inserito in questa
capsula particolare diventava leggero e facilmente maneggiabile.
-
Certo che puoi! Fallo subito! - Esclamò Mike esasperato non credendo
che gli chiedesse il permesso per una cosa simile.
Guardandolo
stendersi nel cilindro di vetro illuminato di azzurro, si sedette
accanto e rimase pensieroso e preoccupato ad osservare la sua pelle
rigenerarsi come non fosse successo niente.
Fu
allora che cominciò a capire veramente e completamente il significato
di avere a che fare con un androide.
Era
totalmente diverso da un umano e nello specifico da Chester. Anche se…
lì ci rifletté meglio.
“No,
nemmeno tanto, è da Chester. In un certo senso hanno almeno una cosa in
comune: portare a termine una missione ad ogni costo andando dritto
come un caterpillar e travolgendo qualunque cosa.”
Si
rese conto che il sangue sulle sue mani era umano e si preoccupò
chiedendosi se si fosse imbattuto in un gruppo di ribelli o se fossero
addirittura parte dei cosiddetti innocenti.
Increspò
la fronte realizzando anche un’altra cosa fondamentale.
“Ma
cosa diavolo sta succedendo là fuori?”
Fu
così che si decise ad usare il famoso chip di Joe e chiamando ad alta
voce il nome della capitale, Issho Ni, cercò di visualizzarla come gli
aveva indicato il suo amico.
Quando
il chip cominciò a funzionare, l’iride dell’occhio sinistro dove era
stato posto il chip divenne bianco, l’altro rimase normale, nero, ed in
questo netto contrasto divenne estremamente impressionante ma proprio
allora Mike cominciò a vedere ciò che veramente stava accadendo là
fuori sotto forma di film, grazie alle immagini satellitari trasmesse.
Un
film che gli rimandava scene raccapriccianti di rivolte fra gruppi
numerosi di uomini e di androidi.
Uomini
che non avevano niente a che fare con i ribelli che erano distinguibili
per dei tatuaggi e segni precisi che avevano addosso.
Un
solco scavò la sua fronte ulteriormente e mettendosi due dita sulle
tempie, continuò a guardare.
Vide
morti e molto sangue già sparso per le strade e alcune case distrutte.
Da
lì capì che doveva essere da un paio di giorni che la rivolta aveva
preso forma e si chiese di nuovo cosa mai stesse succedendo.
Decise
così di fare un giro virtuale sul resto delle città e non in tutte ma
nella maggior parte v’erano diversi disordini, così giunto al castello
e alle basi militari androidi ed umane li vide tutti in fermento ed in
assetto da guerra, come se si stessero preparando per attaccare da un
momento all’altro.
Quando
Chester si alzò completando la rigenerazione e tornando come sempre,
Mike tornò al presente e smise di guardare, quindi disorientato,
sconvolto e preoccupato disse fissandolo senza essere ricambiato:
-
Ma cosa succede? -
Chester
allora rispose non capendo ancora quali fossero le domande dirette e
quali quelle a sé stesso.
-
E’ la guerra. - E nel momento in cui lo disse uno squarcio piegò
definitivamente Mike che ebbe un mancamento improvviso e scivolò giù
dallo sgabello svenendo privo di sensi.
Chester
lo guardò e con le iridi che lo riflettevano, registrò la scena
ottenendo le informazioni di rimando che gli indicavano cosa stava
accadendo. Dopo aver capito che Mike, il suo re, era svenuto, scavò fra
i dati per trovare ciò che in quei casi dovesse fare e secondo i
programmi caricati da Joe finalmente si mosse.
Chinato
a terra lo prese fra le braccia e lo sollevò con una facilità
disarmante, quindi sollevandosi in aria raggiunse il soffitto di
specchi neri e l’attraversò facendosi inglobare da esso.
L’acqua
che li circondò ribollì al suo passaggio e quando emersero secondo quel
sistema tecnologico innovativo, camminò raggiungendo la piattaforma.
Sapeva
perfettamente, sempre grazie alle informazioni caricate, come
funzionava quel posto e in completa autonomia aggirò il grande trono
dove sopra stava il serpente che si mosse senza riconoscerlo. Giunto
dietro, scese di nuovo dalla piattaforma e nel momento in cui toccò
quella zona di acqua, da lì emerse un ampio letto matrimoniale già
pronto.
Lo
sistemò giù stendendolo sul materasso dalle lenzuola in seta nere
poiché quel colore non traspariva dalle pareti speciali della Torre.
A
quel punto lo guardò e lesse i dati seguenti che dicevano cosa fare
successivamente, quindi eseguì senza la minima esitazione e mettendo la
mano col ditale in metallo e appuntito sulla sua fronte, attese. Nel
giro di poco un ronzio si sentì ed una piccola luce venne trasmessa
dall’oggetto alla fronte e dopo un paio di secondi Mike aprì gli occhi
riprendendosi grazie all‘energia ricevuta.
Quando
lo vide chino su di lui, accanto al letto, per un momento ebbe un
attimo di confusione dove credette di aver sognato tutto e di trovarsi
in una di quelle loro notti insieme, quando Chester stava bene e veniva
nelle sue stanze per fare l’amore con lui.
In
quelle occasioni lo svegliava carezzandolo delicato. L’unico momento in
cui lo era poiché sembrava non avere il coraggio di essere brusco in
intimità.
Allora
Mike sorrideva e l’abbracciava attirandolo a sé, facendolo stendere con
lui e cominciando a baciarlo.
Così
fece anche ora, con un disperato bisogno di rendersi conto che fosse
veramente stato solo un incubo.
Quando
lo cinse e l’attirò giù facendolo stendere sopra di sé, cercò subito le
sue labbra e le trovò ferme ed insensibili. Il freddo gli rispose e
nonostante questo volle intestardirsi fuggendo dalla dura realtà, una
realtà dove il suo amore era un androide e basta.
Si
intrufolò con la lingua nella sua bocca che prendendo tutto quello come
un ordine un po’ anomalo del suo re, si lasciò fare dal momento che era
programmato anche per farsi fare da lui qualunque cosa.
L’accarezzò
con la lingua e lui non sapendo cosa fare poiché non aveva alcun dato
di risposta in una situazione simile, non fece niente.
Dopo
un paio di tentativi, Mike dovette di nuovo arrendersi e questa volta
giurò a sé stesso che sarebbe stata l’ultima, che non l’avrebbe più
toccato né tentato né avrebbe permesso a sé stesso in alcun modo di
illudersi.
Mai
più.
Così
allontanandolo bruscamente si girò dall’altra parte, si raggomitolò su
sé stesso e coprendosi con le lenzuola nere si mise di nuovo a piangere
chiedendosi se fosse meglio vivere un vero lutto oppure una cosa del
genere dove avevi il tuo amore ma non era davvero lui.
-
Posso aiutare il mio re? - Chiese allora Chester con reverenza ma
sempre sostanzialmente atono. Mike scosse il capo sapendo che era solo
la risposta ad un programma di Joe che gli inculcava il dovere di
aiutarlo anche se lo vedeva soffrire moralmente e non solo fisicamente.
-
Nessuno può aiutarmi. Gli unici che possono stanno già cercando di
farlo. Ed ora la follia è anche là fuori. Sembra che ogni cosa voglia
finire ed io non vedo più la strada. - Ma a quello Chester non aveva
dati, per cui non sapendo cosa fare rimase lì, seduto sul suo letto in
una posa neutrale ad aspettare i prossimi ordini. Ordini che non
arrivarono poiché ora come ora Mike non aveva né la forza di mandarlo
via né di separarsi da lui.
/Ma
io sono qua e ti sto guardando, ti ascolto, aspetto che tu mi tocchi di
nuovo, perché diavolo non lo fai?
Perché
cazzo non mi senti?
Sono
qua, porca puttana!
Qua!
E
tu piangi ed io voglio solo abbracciarti e dirti che ci sono, cazzo!
Ma
la mia voce non esce, le mie braccia non si muovono, il mio corpo è
immobile e niente di me reagisce.
Porca
troia, cosa sono diventato?
Mike,
sono qua… qua… ti prego, non piangere…/