CAPITOLO
XIX:
NON
SEMPRE C’E’ IL LIETO FINE
La
nube, quel giorno, albergò nel cielo milanista per colpa di qualcun
altro che non aveva niente a che fare con Kevin e Mark.
-
Che cosa gli prende? - Chiese Thiago a Zlatan vedendo Alex
particolarmente cupo e pensieroso.
Lo
svedese si strinse nelle spalle sminuendo la motivazione per cui quel
giorno il soprannominato papero, stava così a terra:
-
Il suo agente ha detto che c’è aria di accordo con il PSG… Ancelotti è
appena andato ad unirsi a Leonardo e per ora non c’è niente di sicuro
ed ufficiale ma sembra gli abbiano messo gli occhi addosso. A lui e a
Kakà, per la precisione. - Thiago e Roby fecero la stessa identica
faccia preoccupata e quando le notò, Zlatan chiese seccato: - Perché
anche voi così, ora? - Lui non capiva che ci fosse di tanto
preoccupante… Alex poteva rifiutare e rimanere lì, che problema c’era?
-
Tu non capisci cosa significa per lui… e nemmeno noi, per la
precisione… - Esordì Thiago cercando di spiegargli senza farsi sentire
dall’interessato che comunque sembrava in tutt’altro mondo. Allo
sguardo inquisitore -e particolarmente intenso- dell’attaccante, si
decise a proseguire cercando di essere esauriente: - Noi siamo arrivati
dopo l’epoca Ancelotti e Leonardo e soprattutto dopo l’epoca Kakà.
Leonardo lo conosce bene, anzi, li conosce bene. Sa che quel periodo
per loro due è stato quello più felice della loro vita e che erano al
massimo, sta cercando di riprodurre lo stesso ambiente, le stesse
condizioni per attirarli nella sua squadra e tornare a far di loro i
campioni che erano al Milan… E’ ovvio che lui sia pensieroso… è il
minimo… ed onestamente pur sapendo tutto questo non possiamo
avvicinarci nemmeno lontanamente a quello che è ora la sua mente! Cosa
gli passi per la testa solo lui lo sa. -
-
Cosa cazzo vuoi dire, che accetterebbe? - Chiese cominciando ad
accendersi Zlatan, tante cose non le sapeva e non si era preoccupato
molto per saperle…
-
Ma dai, se ha chiamato il suo gatto Riky proprio per Kakà! Se
quest’ultimo accettasse non sarebbe solo una grande tentazione ma
sarebbe un incentivo pazzesco! - Rispose Thiago cercando di fargli
capire quel lato nostalgico ed emotivo di Alex. - Lui è legato alle
persone che l’hanno reso felice in un modo che nemmeno immagini… questo
non significa che ora non sia felice anche qua. -
-
Cazzo, mettiti d’accordo! O andrebbe o non andrebbe! - Zlatan ormai non
ce la faceva più, l’aveva vista come una cazzata ed improvvisamente era
incombente!
Thiago
sospirò… onestamente non ne aveva idea…
-
Per questo dico che non possiamo capirlo. Non so se accetterebbe o no,
ma non sappiamo cosa significano per lui quelle persone. Alex è
arrivato al Milan che era un bambino, in pratica, e si è attaccato a
chi trainava la squadra come se fossero i suoi genitori e le sue guide
vitali. Hanno instaurato per lui un ambiente tale da permettergli di
esprimersi al massimo e diventare il campione che tutti hanno visto.
Lui, il timido per eccellenza! Capisci cosa vuol dire? -
-
Che se Kakà va ci va anche lui? - Ringhiò schifato dall’idea più orrida
che potesse aver partorito la sua mente.
Thiago
si strinse nelle spalle. Fino a qualche settimana prima avrebbe giurato
assolutamente di no ma ora Alex rappresentava un punto di domanda. Era
un vero mistero.
-
Non lo so, Zlatan. Io se fossi in te cercherei di dargli un paio di
motivi validi per farlo restare, poi vedi tu… è imprevedibile quel
ragazzo. -
Ma
non aveva nemmeno la più pallida idea di tutti i motivi che aveva Alex
per restare lì.
Quando
l’attaccante tornò a guardare il ragazzo che li precedeva da solo e
pensieroso verso la spiaggia per l’allenamento, vide improvvisamente
quella famosa nube nera e tempestosa sopra le teste di tutti, specie le
loro due.
Ora
che lui si stava convincendo a rimanere davvero lì a Milano e a legarsi
senza paura, quello non poteva nemmeno lontanamente pensare di
andarsene veramente.
-
Sicuramente non l’aiuta la partita amichevole di fine ritiro proprio
contro Ancelotti e Leonardo! -
Esclamò
ancor più lugubre Thiago. Zlatan ebbe l’istinto di trucidarlo, se non
la piantava di seminargli i rovi nell’anima, lo avrebbe ucciso!
In
risposta, però, Zlatan rimase alla larga da Alex apposta per non fargli
pressione di alcun tipo e per fargli decidere da solo. Modi tipici suoi.
-
Ehi, si può sapere cosa succede ai due piccioncini? - Avrebbe potuto
definirli così solo Kevin e mentre Roby rideva sguaiato, Thiago gli
spiegò la situazione.
-
Non se ne andrà facilmente! - Esclamò Mark lì con loro durante
l’allenamento. I ragazzi si voltarono stupiti a guardarlo, come poteva
dirlo con tanta sicurezza? - Per esperienza so che sì, sono le persone
che contano, ma il legame con la città e la squadra stessa non è
assolutamente da sottovalutare. Spesso supera quello per le persone.
Proprio perché Alex è praticamente cresciuto qua, vede questa casa come
sua, anche se gli abitanti se ne vanno e a lui mancano. - Kevin si
chiese a cosa di preciso si riferisse e decise che avrebbe approfondito
dopo, da soli.
-
Punto di vista interessante… - Rispose Thiago capendo che dovevano aver
fatto pace lui e Kevin. Una delle tante che avrebbero fatto… - Dici che
è più legato alla casa che alle persone? -
-
Bè, ha senso… - Esclamò allora Roby dimostrandosi presente riguardo
l’argomento, fin’ora non si era ancora pronunciato. - Alex non è un
cane ma un gatto! - Molti, sentendolo, l’avrebbero colpito dicendo di
fare il serio ma Thiago capì che lo diceva seriamente e non poté che
dargli ragione. In fatto di paragoni era più un gatto.
-
Però, non vorrei dire una cazzata, ma mi pare che anche il suo caro
amico Kakà fosse praticamente cresciuto qua al Milan e che diceva non
se ne sarebbe mai andato… ma intanto poi l’ha fatto! - Asserì malefico
Kevin che non gli importava seriamente della questione pur comunque
fosse interessato al destino di Alex. Era un ottimo amico.
Si
beccò per questo due paia di sguardi assassini, Zlatan fortunatamente
non l’aveva sentito, mentre Mark scosse il capo pensando che era sempre
il solito diavolo!
-
Infatti se n’è pentito! - Esclamò Thiago seccato per l’allusione sul
fatto che se se ne era andato uno come Kakà, allora potevano andarsene
tutti!
-
Sicuro? Mi pare che se la intenda bene con Ronaldo… - Come se ne fosse
accorto solo lui lo sapeva ma Kevin con quell’asserzione si guadagnò
uno sguardo davvero perforante da Thiago tanto che Mark, per evitare lo
uccidesse, se lo dovette portare via sul suo acceso ribattere: -
Andiamo ragazzi, non esiste solo il calcio anche se siamo calciatori! -
La protesta sfumò ma rimase nelle menti di tutti gli ascoltatori che
nonostante la frase era stata sparata alla leggerezza senza pensarci,
alla fin fine era una grande verità.
Non
potevano negarlo e loro ne erano la testimonianza vivente che era così.
-
Ma dai, loro stanno tanto lì a pensare a cosa farebbe Alex in quanto
calciatore ma poi la verità è che sì, conta tanto quanto una squadra ha
da offrire, quanto è forte, che ambiente ha e cose del genere, però
conta anche molto chi c’è dentro! -
Kevin
aveva continuato a parlarne con Mark sentendosi un bambino capriccioso,
voleva solo dimostrargli che non stava sparando cavolate.
-
In pratica secondo te prima o poi se ne andrà… - Anche Mark cercava di
capire perché non era un discorso tanto stupido, lo sapeva, specie se
fatto fra di loro.
-
Non lo so, potrebbe essere… o magari sta davvero bene qua con noi, con
Ibra… cioè, non è detto… - Mark ora ci capiva meno di prima…
- O
ci andrebbe o non ci andrebbe… - Kevin sospirò insofferente e si
strinse nelle spalle, ma perché tutti dovevano avere delle risposte
definite per qualcosa che riguardava qualcun altro? Perché non si dava
tanta pena per definire il loro rapporto? Se si parlava di calcio o di
qualcun altro allora parlava, altrimenti evadeva! Ma che tipo assurdo!
-
Che cazzo ne so! Dico solo che sì, il Milan ed il PSG non hanno
paragoni fra di loro, voglio dire, chi lascerebbe il Milan per il PSG?
Kakà che se ne è andato per il Real Madrid è comprensibile, era
diverso, specie nel periodo in cui se ne è andato… il Milan non era al
suo splendore. Al di là di questo, poi, gli avevano offerto moltissimo,
quale idiota non avrebbe accettato? Lui ha dimostrato di essere meno
sentimentale di quanto tutti lo reputano… però ora, a mio avviso,
insiste a rimanerci nonostante non sia più stato lo stesso e come
calciatore fatichi, perché si è legato a chi sta là altrimenti non
avrebbe senso rimanere nonostante non ce la faccia… - Mark stava molto
attento al suo discorso a ruota libera, sapeva che stava portando da
qualche parte e non lo interruppe. - Per Alex è diverso, la proposta
viene dal PSG, un club minore del Milan, e l’offerta economica non è
così stratosferica da non poter essere accettata… pensando da
calciatore, chi accetterebbe? Anche se qua Alex quest’anno sta
faticando per colpa di questo infortunio, ora sta tornando a giocare
sul campo, ha la possibilità di riprendere da dove ha interrotto e
dimostrare chi è a chi l’ha scordato. Perché dovrebbe accettare? Però
loro pensano troppo in base ad una mentalità da calciatori. Bisogna
considerare la questione degli affetti. Dall’altra parte ci sono delle
persone a cui Alex è stato molto legato e che l’hanno saputo rendere
chi è oggi. Senza considerare che potrebbe anche esserci il suo grande
amico ed esempio Kakà, se anche lui accettasse. Non so, non entro nel
merito di certe scelte ma voglio solo dire che la scelta da calciatore
e quella da persona sono diverse. -
-
Ma Alex ha molti legami anche qua e come ho detto prima spesso è la
squadra e la città in sé che rappresentano una casa, se lui è più
legato alla casa che alle persone… - Ripeté Mark. Proprio a questo
punto Kevin intervenne vittorioso contento d’averlo portato proprio
laddove aveva voluto portarlo. Con grande abilità.
-
Tu però te ne sei andato per colpa di persone! - Mark capì che voleva
parlare di quello ma non era un argomento di cui parlava con
leggerezza, ci era riuscito solo al Frak Bar ed il Frak Bar era il Frak
Bar!
-
Sì, però mi manca Monaco e la squadra. -
-
Ti manca il posto o le persone? - Inquisì Kevin volendo capirlo meglio.
-
Tutti e due ma sono state le persone a farmi scappare e devo dire che
fosse stato per me sarei rimasto fino alla fine della mia carriera, là
al Bayern. -
- E
perché fra tutte le molte squadre che ti volevano, hai scelto proprio
il Milan? Ce n’erano di molte rinomate che ti volevano… - Mark rimase
senza parole a quella domanda, perché voleva saperlo ora?
Si
strinse nelle spalle e si chiese perché fosse tanto fissato con certe
cose, suo malgrado provò a dargli la prima risposta che gli venne in
mente, che poi era sempre la verità.
-
Perché è una squadra che mi è sempre piaciuta, è molto competitiva e dà
molta importanza ai giocatori lasciando loro molto spazio per
esprimersi ed essere loro stessi. Squadre come il Real Madrid, il
Barcellona, il Mancherster United, per essere chi sono non guardano in
faccia i giocatori, nel momento in cui hanno un nuovo piano di vittoria
ti piantano. Ed il Bayern Monaco è identico a queste. Per questo sono
andato via, per la mentalità che sta dietro a tutto ciò. Ho cercato un
posto dove questo non succedesse ma che potesse comunque darmi
soddisfazione a livello calcistico. Chi non vuole chiudere la carriera
vincendo? -
Era
stato molto esauriente e preciso e non poteva certo dire di non aver
capito o che avesse torto.
Era
vero.
Il
Milan era una grande squadra che non invidiava niente a nessuno ma
bisognava dire che aveva una mentalità diversa di base. Non stava a
rovinarsi da sola quando un giocatore non faceva più il suo dovere, ma
non lo mollava a calci nel didietro. Prima di gettare la spugna da
entrambe le parti se le provava tutte e solo quando comunque si vedeva
che proprio non c’era niente da fare, si parlava di altre alternative
al club.
Considerandosi
una famiglia, veniva data un’importanza diversa ai calciatori e questi
si sentivano più tranquilli poiché non in pericolo di essere liquidati
in quattro e quattr’otto…
Sentendo
il fischio dell’allenatore che li voleva dividere in due squadre,
smisero con gli esercizi che stavano facendo e Kevin trattenne Mark un
po’ in disparte prima di lasciarlo andare, aveva un’espressione
particolarmente soddisfatta, gli piaceva sempre il suo modo di
ragionare e le sue idee, l’ascoltava volentieri ed era sollevato di
sapere che era lì per la ‘casa’ e non per le persone…
-
Significa che se l’ambiente non cambia improvvisamente, tu rimarrai qua
fino alla fine? - Mark si strinse nelle spalle preso di nuovo in
contropiede. Oltretutto gli parlava molto da vicino e lo fissava con un
sollievo di fondo che non pensava d’avergli mai visto.
-
Bè, penso di sì ma lo sai che nella vita non puoi mai dare niente per
sicuro… - Anche questo era vero ed era una lama a doppio taglio, ma
Kevin volle vederla in modo positivo e prendendogli il mignolo in modo
da non sembrare troppo intimo, gli trasmise una scarica elettrica
imprevista.
-
Questo stranamente mi rincuora se lo dice uno inquadrato e rigido come
te! - Mark trattenne la risposta poiché insicuro se quello fosse un
complimento o meno, ma fece più caso al piccolo contatto delle loro
mani che provvide subito a concludere spaventato di farsi vedere in
quelle vesti private ed intime da altri.
Kevin
ebbe un moto di stizza, se avesse ceduto ai suoi istinti l’avrebbe
baciato davanti a tutti ma riconosceva che non era proprio il caso. Poi
era la volta buona che Mark lo piantava!
-
Non dovresti affezionarti tanto a me, tu… - Disse di slancio Mark
incapace ancora una volta di tenersi un pensiero per sé, per quanto
crudele fosse. Kevin si irrigidì, mica pensava già di andarsene? Lo
guardò oscurandosi.
-
Perché? -
-
Perché siamo calciatori ed anche se tu pensi che siamo pure persone e
che spesso gli affetti vengono prima della carriera, scoprirai a tue
spese, continuando in questo ambiente, che per gli affetti hai tempo
quando la tua carriera finisce e che questa, invece, non è infinita. -
A Kevin questo discorso piaceva molto meno di quello di prima e dopo
averlo portato alle stelle, fu portato bruscamente alle stalle.
Sbuffando
di malumore lo mollò e gli diede le spalle ringhiando seccato una
risposta che non sentì solo Mark:
-
E’ solo una questione di priorità! Non siamo tutti uguali! -
Ma
Mark lo sapeva, voleva solo evitare che gli si attaccasse troppo come
stava notando stava facendo. Si conosceva, sapeva come funzionava ed
anche se diceva che pensava prima da calciatore e poi da persona, la
verità era che nel momento in cui qualcosa lo coinvolgeva troppo
emotivamente e gli faceva perdere di vista le cose più importanti della
sua vita, tendeva a chiudere tutto e ad andarsene per non continuare a
sbagliare o ad avere la tentazione di farlo.
E
sapeva che questa cosa con Kevin, qualunque nome avesse, era sbagliata.
Prima
o poi la voglia di tornare sulla strada giusta per sentirsi meglio,
meglio come persona e non come calciatore, sarebbe tornata.
Non
voleva farlo soffrire.
Vedendolo
andarsene dagli altri intenzionato a non parlargli per un po’ per
sbollirsi, Mark sospirò sconsolato.
Come
poteva, poi, chiedersi cosa lo legava a Kevin?
Non
era chiaro?
Zlatan
non avrebbe mai parlato ad Alex dell’argomento trasferimento, PSG e
quant’altro potesse vedergli sfuggire di bocca il proprio desiderio che
rimanessero lì insieme.
Si
sarebbe limitato a stare con lui come sempre e a non cambiare mai
atteggiamento.
Ovvero,
niente romanticismo, niente dichiarazioni, niente coccole, niente
comportamenti da fidanzati se non la notte, da soli, insieme, in
camera.
Niente
di più.
Alex
non sapeva se lo faceva perché non gli importava molto del suo futuro
oppure se era per non influenzarlo e farlo scegliere liberamente,
avrebbe chiesto a Thiago e Roby se non li avesse visti fissarlo come
fosse un cristallo fragile. Erano evidentemente preoccupati per lui e
si capiva pensavano crollasse da un momento all’altro. Non volendo
assillarli ulteriormente coi suoi dubbi, se li tenne per sé e trascinò
gli ultimi giorni di ritiro con sempre più crescente logorio.
Più
o meno simile furono i giorni conclusivi fra Mark e Kevin se non
addirittura peggio.
Gli
unici che finirono bene furono Thiago e Roby i quali avevano chiarito
tutto ed avevano districato la matassa più complicata che avessero mai
visto in vita loro.
Ben
presto Roby stesso sarebbe tornato a giocare serenamente e senza gli
evidenti errori della prima parte del campionato, ne era certo.
Il
cercare di evitare Kevin di Mark si infranse tragicamente con l’essere
in camera insieme… era davvero difficile ritrovandosi nella stessa
alcova a fine serata.
Non
si erano parlati ed avvicinati per il resto della giornata, ma poi
erano andati a dormire e la cosa era stata difficile.
Difficile
in quanto l’istinto di entrambi li portava a chiarirsi e sistemare
tutto insieme, ma poi la ragione li fermava sempre.
Kevin
diceva che Mark doveva far pace con sé stesso e decidersi una volta per
tutte se viverla o meno e quest’ultimo, invece, voleva evitare che
Kevin si legasse troppo a lui convinto che presto o tardi avrebbe
comunque sofferto per colpa sua.
Non
era idiota, lo conosceva bene… aveva capito che si stava innamorando
seriamente di lui e non era il discorso del ricambiarlo o meno, sarebbe
stato anche fin troppo facile riuscirci, lo sapeva. Per ora poteva
fingere si trattasse solo di attrazione fisica ma si conosceva. Il
problema era che sapeva prima o poi avrebbe voluto mettere le cose a
posto, sapeva l’avrebbe lasciato.
Non
voleva però che soffrisse ogni volta che i loro sguardi si
incrociavano, c’era sempre la voglia di parlarsi con sincerità,
aprirsi, comunicare… e quando si sfioravano o si ritrovavano nudi
insieme a cambiarsi, la voglia mutava in qualcosa di più profondo e
primordiale.
Quando
si ritrovarono per andare a dormire, quella sera, venivano da un
evitarsi di tutta la giornata da parte di entrambi e bastò guardarsi da
poco meno di un metro di distanza per sentire il desiderio l’uno
dell’altro.
Mark
sospirò sentendosi sempre più sconfitto su quella propria linea dura e
rigorosa nonché fondamentalmente corretta verso tutti, Kevin per primo,
mentre questi respirò marcato e seccato.
Voleva
prenderlo a pugni ma decise di spogliarsi e andare a dormire in fretta
per evitare tutto il possibile.
Scelta
peggiore non avrebbe potuto fare.
Mark,
nel guardare di nuovo il suo corpo nudo, sia pure di schiena, trattenne
il fiato e contrasse tutti i muscoli.
Come
poteva fargli quell’effetto solo perché l’aveva un po‘ guardato?
Come
poteva desiderare che Kevin gli venisse addosso e gli facesse di tutto?
Non
aveva mai avuto desideri di quel tipo, se ne aveva avuti erano sempre
stati interiori… ad esempio Arjen nonostante avessero fatto l’amore,
era stata proprio voglia di lui, mai niente di fisico. Poi c’era stato
anche quell’aspetto ma non era mai stato primario.
Con
Kevin sembrava proprio fosse così. Anzi.
Era
così.
Ma
quanto ci avrebbe impiegato a provare anche sentimenti?
Distolse
lo sguardo e decise che per non impazzire fino alla fine del ritiro e
comunque dei suoi giorni lì a Milan, doveva come minimo sistemare in
qualche modo la situazione con lui.
Che
non si parlassero più era impensabile, e poi si desideravano a vicenda.
Che fosse giusto o sbagliato era così ed in qualche modo dovevano
correre ai ripari, questo era ciò che pensava lui.
Kevin
pensava che dovesse solo accettarlo, non ripararlo.
Non
erano oggetti rotti da sistemare!
-
Kevin… - Lo chiamò rimanendo in piedi di schiena mentre a sua volta si
cambiava.
Kevin
si girò verso di lui e vide che cercava di non guardarlo. Contrasse
muscoli e mascella e lo incenerì con lo sguardo. Non gli rispose. Non
poteva parlargli dandogli le spalle, dannazione!
Però
rimase in boxer in attesa.
-
Kevin? - Chiamò ancora infilandosi gli shorts leggeri con cui dormiva
la sera. Non ricevendo risposta si voltò per vedere perché non lo
calcolava e si fermò dimenticando la maglietta.
Stava
lì fermo dietro di lui alla stessa distanza insicura di prima a
fissarlo truce ed intensamente. Solo in biancheria intima. Quei suoi
boxer così stretti…
Si
morse il labbro e sospirò spompandosi ma non si mosse, continuò a
fissarlo dapprima sul corpo, poi in viso:
-
Senti… non possiamo andare avanti così… da quando abbiamo cominciato
questa cosa - e non era ancora capace di dargli un nome - è tutto
sempre un casino fra noi. Litighiamo, non ci parliamo, fra guerra calda
e fredda qua non si può andare avanti… - Kevin voleva gridare.
Cosa
stava per dire, ora?
Erano
di nuovo al punto in cui si rimangiava tutto?
Di
già?
Non
era un po’ troppo?
-
Dobbiamo trovare il modo di convivere pacificamente come prima, non
possiamo continuare così. Ora come ora giochiamo ancora insieme, non so
come andrà avanti, desidererei rimanere qua ma se le cose continuano ad
andare male non vedo altre scelte che… - Non glielo avrebbe mai fatto
dire, mai.
Con
sguardo feroce annullò la distanza e lo spinse brutalmente e con
violenza facendolo finire seduto di schianto sul letto.
Non
c’era vera e propria differenza di forza, ma Mark non se lo sarebbe mai
aspettato e fissandolo come fosse impazzito, chiese:
-
Cosa diavolo ti salta in mente? - Kevin non ci vide più e tirando tutti
i muscoli del suo corpo ora ben in evidenza, gridò:
-
PIANTALA DI CAMBIARE IDEA COME UNO STRONZO! COSA VUOI DIRE? MI PIANTI
DI NUOVO? MI PRENDI E MI MOLLI? CHI CAZZO TI CREDI DI ESSERE? PENSI CHE
FACENDO COSI’ TUTTO TORNI IN PACE E AMORE COME PRIMA? LO PENSI DAVVERO?
VOGLIO SOLO UNA COSA DA TE E NON E’ LA TUA AMICIZIA! - Mark,
completamente spaesato e preso in contropiede, non sapendo cosa dire e
cosa fare, non poté che chiedere cosa volesse di preciso ed una volta
per tutte. Saperlo era una cosa, sentirselo dire era un’altra. Lo
rendeva reale. Lo obbligava ad affrontarlo.
Ed
era ora di affrontarlo in qualche modo, nel bene o nel male.
-
Cosa vuoi da me allora, si può sapere? - Però non riusciva a gridare e
strepitare come voleva, sentiva che la risposta l’avrebbe ammazzato e
nemmeno si rialzò. Non riusciva ad inalberarsi. Era come se sapesse già
tutto e non volesse viverlo ma sapeva che doveva. Questo era Mark Van
Bommel.
Faceva
ciò che doveva, non ciò che voleva. A parte quando poi arrivava al
limite massimo di sopportazione.
Kevin,
incredulo che glielo chiedesse davvero, gli salì sopra a cavalcioni ed
in ginocchio lo prese per le spalle nude e lo scosse con violenza
affondando le unghie nella sua pelle calda:
-
VOGLIO TE! NON VOGLIO SOLO SCOPARTI! VOGLIO AVERE TUTTO DI TE! - E lo
sapeva, Mark, che sarebbe stato tremendo sentirlo ma ancor peggio
dovergli rispondere, ma non si tirò indietro, non l’aveva mai fatto e
non poteva cominciare ora. Doveva. Era giusto e basta.
-
Non devi innamorarti di me, Kevin! - Lo ripeté chiaro e tondo, piano e
duro come un pugno allo stomaco. Voleva essere gentile e delicato ma
non ne era molto capace. Per nulla.
Kevin
si sentì preso e spinto di faccia contro il muro ma rimase lì su di lui
a fissarlo agghiacciato, spento e finito.
-
Come puoi dirmelo ora? - Mark non si muoveva ma voleva che rimanesse lì
sopra di lui. Era sbagliato ma era ciò che voleva.
-
Prima o poi dovevo. Non devi, Kevin. Perché io so che anche se ora
posso farlo, prima o poi cederò e non riuscirò ad andare avanti. E non
voglio che tu soffra in quel modo, come ti ho visto soffrire mesi fa.
Non voglio tu ti riduca in quello stato per colpa mia. Non voglio. Non
innamorarti di me, Kevin. Se continuare questa cosa ti fa finire in
quel modo la smettiamo subito, in qualche modo la smettiamo. Non
innamorarti di me, Kevin. - era fermo ed incisivo, mentre lo diceva.
Dava forza e durezza alle parole, sembrava addirittura freddo. Lo
fissava col suo sguardo adulto e la gentilezza era il ricordo di
un’altra vita, forse.
Kevin
non ce la faceva più. Scosse il capo incredulo come avesse una crisi di
panico e senza riuscire nemmeno a respirare, disse col volto deformato
da una smorfia di rabbia, orrore e odio:
-
E’ tardi, stronzo! - Di peggio non avrebbe potuto dirgli e Mark,
immobile, raggelato, si chiese cosa fare a quel punto.
Cosa
doveva fare?
Voleva
affidarsi al volere, ma c’era sempre il dovere. Il dovere perché Kevin
non era uno qualunque e si meritava di essere trattato nel modo giusto
in base ad un futuro.
Ora
avrebbe potuto abbracciarlo e baciarlo ed accontentarlo, gli sarebbe
piaciuto anche a lui, lo voleva, dopotutto, no?
Ma
poi come avrebbe potuto tirarsi su, un domani, quando se ne sarebbe
andato?
Perché
sapeva l’avrebbe fatto.
Lo
sapeva troppo bene, dannazione.
No,
doveva lasciarlo subito, avrebbe sofferto ma di meno, sarebbe stato più
affrontabile e…
Kevin
si alzò da solo, a quel punto, e Mark gliene fu grato perché spingerlo
via sarebbe stato troppo difficile.
In
piedi, rimase ancora un po’ sconvolto a fissarlo e a non credere che
davvero dopo la sua ammissione non dicesse e non facesse niente.
Eppure
fu così.
Non
disse nulla, non gli rispose, non agì, non lo toccò.
Si
limitò a raccogliere le sue cose e ad andare da Stephan, Antonio ed
Alberto e a chiedere all’italo egiziano se gentilmente poteva fare
scambio con lui per quegli ultimi giorni di ritiro.
Capendo
subito che doveva essere successo qualcosa di grave, il ragazzo accettò
e senza dire assolutamente nulla, raccolse le proprie cose ed andò
dall’altro.
Sulla
porta Mark lo fermò e con aria dispiaciuta e grave, mormorò piano per
farsi sentire solo da lui:
-
Cerca di farlo stare bene, se puoi… - Era come chiedere a Sam di
portare l’anello di Sauron al posto di Frodo. L’unico capace di
portarlo fino alla fine era Frodo, Sam non ci poteva riuscire per tutto
quel tempo. Allo stesso modo chiedere ad un altro di fare ciò che tutti
sapevano bene sarebbe stato in grado di fare solo Mark in quel modo
efficace e completo, era proprio chiedere un’impresa.
Stephan,
suo malgrado, annuì con serietà e fece del suo meglio.
Poté
comunque solo fargli da cuscino per tutta la notte.
Kevin
non pianse. Non pianse mai, nemmeno gridò o parlò, però accettò la
spalla di Stephan su cui rimase steso tutta la notte sveglio a pensare
a Mark e a cosa avesse sbagliato. Ma soprattutto a cosa avrebbe potuto
fare.
Da
quella volta, Kevin cominciò a chiamare Stephan ‘il suo fratellino’.