CAPITOLO
XV
SCOPRENDO
LE CARTE
Prendere
una pistola, puntargliela e sparargli sarebbe stato meglio.
Kevin
l'avrebbe preferito di gran lunga.
Finire
tutto, mettere veramente la parola fine, definitiva, unica, semplice,
netta. Per sempre.
Kevin
ebbe molti giorni di morte assoluta, molte risalite, molte discese.
Ed
ogni volta erano sempre peggio.
Arrivato
a quell'ultima si convinse di essere finito, di non averne più.
Quella
era l'ultima, si disse.
L'ultima.
Kevin
guardava il vaso di fiori davanti a sé.
Il
telefono rimandava delle immagini su lui ed Arjen in nazionale del
periodo in cui era ancora al Milan.
Erano
loro due in atteggiamenti decisamente intimi, ma sul campo, dopo un
goal. Non potevano significare niente perchè dopotutto avevano un
rapporto stretto, erano stati insieme ed erano rimasti amici. E
comunque a dei goal ci si abbracciava.
Ma
era diverso.
Kevin
ripensò agli abbracci di Zlatan ed Alex dopo che si erano messi
insieme. Erano stati diversi dai primi, tutti se ne erano accorti.
Pensò
a quelli mentre guardò le foto che non aveva mai visto per gelosia.
Avrebbe
dovuto farlo prima.
Mark
ed Arjen si guardavano vicini, abbracciati, stretti, fronte contro
fronte, quasi a baciarsi. Erano illuminati, intimi, profondi.
Sembrava si dicessero che si amavano.
Perchè
solo ora?
Perchè
gliele mostrava solo ora?
Perchè
quando gli aveva detto che era tornato con Arjen non gli aveva
creduto.
Così
gli aveva dato delle prove.
E
poi il suo messaggio.
'Mi
dispiace ma non è giusto nascondertelo ancora. Speravo ti rialzassi
e poi che il sentimento per me svanisse lentamente, ma vedendo che
non mi togli dalla testa è ora di dirtelo, me ne sono andato dal
Milan perchè in Nazionale sono tornato con Arjen. Non volevo farti
stare male più del necessario dicendotelo ma non posso continuare
così. Non cercarmi più, Kevin, e se puoi perdonami. Devi voltare
pagina, dimenticarmi ed andare avanti. Ti prego, fallo. Ti ho amato
davvero e non ti dimenticherò mai.'
Quando
l'aveva richiamato il telefono risultava inesistente. Aveva spaccato
la sim per essere sicuro di non essere rintracciato.
Così
Kevin rimase col suo telefono in mano, le foto con Arjen ed il suo
messaggio di addio definitivo.
E
lì davanti a quel vaso di cristallo pieno di acqua e di fiori, dopo
minuti interminabili passati immobile, dopo un rimando di mesi e mesi
di sofferenza, dolori, lacrime, parole e confidenze, dopo tutto
quello che aveva passato che gli cadeva addosso, sentì il mondo
sulle spalle.
Sentì
tutto il mondo.
E
semplicemente non ci stette a sopportarlo ancora. Non ci stette e
quel mondo decise di scrollarselo di dosso non facendocela più.
Così
mosse il braccio che stringeva il telefono e con esso scaraventò sia
l'apparecchio che il vaso a terra.
Il
vetro si ruppe in mille pezzi facendo un fracasso assordante, l'acqua
schizzò insieme alle schegge ed i fiori si sparsero.
Il
telefono si bagnò ma non si ruppe. L'immagine sulla foto di Mark ed
Arjen abbracciati. E sotto il suo messaggio di addio.
Kevin
e quei pezzi di vetro erano un'unica cosa.
La
voglia di morire, la voglia di morire subito, la voglia di mandare
tutto al diavolo e spararsi, buttarsi giù dal tetto. Non voleva
andare avanti.
Non
voleva sopportare quell'umiliazione, quel dolore, quella
consapevolezza, quell'abisso.
Non
voleva sopportare quell'ennesimo mondo che gli crollava addosso e
alzando il piede lo pestò con forza e rabbia sul telefono che si
ruppe ma cancellò l'immagine maledetta.
Incisa
nella mente, non l'avrebbe mai dimenticata. Mai.
Poi
con le crepe di vetro sotto le scarpe strinse i pugni lungo i
fianchi, si piegò in avanti ed urlò con quanto fiato aveva in gola.
Urlò
così tanto che fu sentito da fuori.
Urlò
con una rabbia impressionante tanto da perdere la voce per un po'.
Urlò
dando fondo ad ogni dolore represso, ad ogni pensiero sopportato, ad
ogni abisso in cui era affondato.
E
buttò via tutto il mondo sulle sue spalle, lo calpestò e lo
insultò.
Urlò
ed urlò e pensando di poter continuare in eterno, fu interrotto dal
campanello.
Suonava
da un po' quando si accorse, smise di urlare, si guardò intorno come
se rinvenisse solo ora e shockato andò ad aprire automatico, senza
pensare, senza realizzare.
Vide
Nigel.
Un
Nigel sconvolto e sotto shock dall'urlo sentito al di là della
porta, il telefono in mano. Non sapeva con chi stava parlando, non se
ne accorse, non se ne interessò.
Ma
rimase fermo senza dire niente per un po'.
-
Stai piangendo... - Disse dopo un po' non sapendo cosa dire.
Kevin
si toccò le guance accorgendosene e si asciugò, dopo un po' riuscì
a chiedere con un filo di voce roca.
-
Cosa diavolo vuoi? - Parlava in tedesco con lui.
-
Ecco... - Nigel non era uno che si spaventava facilmente, aveva una
certa prestanza fisica e comunque preferiva i metodi brutali a quelli
gentili, per questo si era trovato bene con un certo tipo di elementi
nella squadra.
-
Ero passato per... ma tu stavi urlando, stai male... cosa... - Non
sapeva cosa dire, era sconvolto e non si credeva all'altezza.
Kevin
scosse il capo non sapendo cosa dire e cosa fare.
Era
vuoto.
Si
era svuotato così bene di tutto quello che aveva tenuto dentro e che
l'aveva fatto affondare, che non sapeva più cosa fare, cosa dire,
come reagire, se prendersela, chiudersi, uscire, mandare tutto al
diavolo.
Non
sapeva cosa fare.
-
Ho voglia di morire. - Disse lugubre, sempre con una voce che
mancava. Nigel allora entrò vedendo che andava a mettersi sul
divano.
Chiuse
titubante la porta e mise il telefono in tasca.
Si
avvicinò guardandosi in giro con occhi sgranati, impressionato da
ciò che vedeva.
-
Ma hai rotto un vaso? - Domanda ovvia, Kevin non rispose. Rimase
accartocciato su sé stesso.
-
E quello deve essere il tuo telefono. - Disse ancora. - L'hai
pestato? - Sembrava dovesse fare un resoconto di ciò che c'era in
giro.
Poi
arrivò davanti a Kevin e rimase fermo ad osservarlo.
-
Ti va di parlarne? - Kevin scosse il capo.
-
Posso fare qualcosa? - Scosse ancora il capo.
-
Vuoi che stia qua con te? - Kevin alzò le spalle, così Nigel si
mise a pulire in silenzio senza dire nulla.
Non
era da lui nemmeno questo, però lo fece. Non lo invase, non gli
disse niente, stette con lui dopo aver pulito e sistemato, si sedette
sul divano, guardò la sua televisione e dopo ore di silenzio si
guardò l'orologio.
-
Ti va di mangiare? - Kevin scosse ancora il capo.
-
Posso mangiare io qualcosa? - Kevin si strinse nelle spalle, così
andò a cercare in cucina qualcosa di commestibile. Era ormai ora di
pranzo, doveva trascinarlo agli allenamenti per evitargli una multa
salata e l'esonero dalla squadra, anche se aveva la mano ancora
malandata si allenava con gli altri naturalmente.
Stette
con lui senza fare l'amico o provare ad indagare.
Rimase
con lui e basta, poi gli presentò il borsone e come se sapesse
precisamente già cosa doveva fare anche se non l'aveva mai fatto, lo
alzò per il braccio.
-
Dobbiamo andare agli allenamenti. - Kevin lo guardò come se fosse
pazzo.
-
Non intendo farlo. - Nigel però finse di non capirlo e tirandogli la
giacca lo obbligò con dei modi poco gentili. Sperò quasi di vederlo
reagire male ma così non fu.
Fece
l'automa.
Agli
allenamenti tutti capirono che stava male e che era successo
qualcosa, non ci fu uno che non si preoccupò e Nigel non seppe dire
niente.
Stephan
e Roby capirono che doveva essersi trattato di Mark e quando insieme
l'avvicinarono per chiederglielo, lui finalmente reagì fissandoli
come dei nemici da uccidere.
Rabbrividendo
si fecero indietro decidendo di lasciargli tempi e spazi.
Furono
allenamenti inutili e Nigel continuò ad occuparsi di lui, a stare
con lui anche a casa e tutta la notte assicurandosi che non vedesse
nessuno, disse a Melissa che aveva bisogno di lui e anche
successivamente non lo mollò.
Fu
come un angelo custode un po' strano in quanto non era un ruolo che
gli si addiceva, non era da lui e faceva cose di cui non avrebbe
dovuto avere idea.
Kevin
era troppo fuori di sé per accorgersene.
Poi
giocò la peggiore partita di sempre. Allegri le provò tutte fino a
che decise che l'unica era trovare una scusa da dire a tutti per
farlo stare completamente fuori dai campi ancora per un po'.
Lo
fece per questo ed intanto Nigel continuò ad occuparsi di lui in
modo brusco ed impacciato. Non era come uno che aveva un interesse
nascosto, era come uno che stava facendo un favore ad un amico.
Nigel
De Jong era un compagno di nazionale, ormai ex, di Mark.
Avevano
giocato molto insieme, erano amici, era stato Mark a convincere Nigel
ad andare al Milan convinto che fosse il giocatore adatto al suo
ruolo vacante.
Sapendo
che avrebbe potuto chiedergli dei favori immensi alla necessità.
Lasciatolo
in soggiorno, Nigel andò al bagno e lo chiamò.
Aveva
un'espressione grave e stanca.
-
Senti io sto facendo tutto quello che mi dici per filo e per segno e
posso avere tutta la pazienza che vuoi, ma non vedo come possa
migliorare... il mister è disperato ed ha inventato che ha problemi
muscolari quindi l'ha tolto dai convocati però non vedo come
possa... -
Mark
sospirò.
-
Lo so però devi continuare, sono sicuro che ne uscirà. L'avevo
previsto, per questo ti ho chiesto di andare e non mollarlo. -
-
Ma l'hai sentito... l'hai sentito un sacco di volte. Cioè non
reagisce, non parla... - Nigel spesso gli teneva la comunicazione
telefonica aperta per fagli sentire cosa si dicevano. Niente. Nigel
faceva qualche domanda ma Kevin rispondeva a monosillabi. Era come se
non gli importasse più di niente.
Era
come se non volesse più trovare una ragione di vivere, questa volta
davvero.
-
Sì lo sento e sto di merda ma sono convinto che tornerà! Non poteva
andare avanti in quel modo. Dovevo fare qualcosa! -
-
Ma sembrava un tipo forte! Come può ridursi così? - Era quasi
impossibile da credere pur guardandolo.
Mark
sospirò ancora.
-
Sì lo so.... Dio, se lo so... e questo è tutto quello che posso
fare per lui. Ti prego, stagli ancora vicino. -
-
Io penso che una persona non possa arrivare a questi livelli per
amore. - Ma non si capiva se si riferisse a Mark o Kevin, Mark non
glielo chiese e Nigel non disse niente.
-
Ti prego, resisti ancora un po'. Lui in soggiorno tiene delle foto
con la squadra, prendile e guardale vicino a lui. Sono nel cassetto
della televisione, sotto alcuni oggetti. Cerca bene che c'è. È una
busta enorme color azzurro. In quelle ci sono anche io. Guardale e
parla di me dicendo di quando eravamo compagni in nazionale e di che
tipo sono... digli qualcosa che mi riguarda... reagirà. Deve
reagire, finchè non reagisce con rabbia non va bene. -
-
Aveva spaccato il vaso ed il telefono ed urlato quando sono
arrivato... -
-
Ma poi si è svuotato ed io … devo farlo reagire. -
-
E' rigirare il coltello nella piaga. -
-
Fallo. Potrebbe picchiarti, stai attento, ma fallo. -
Nigel
sospirò e mise giù.
Una
volta di là Kevin era come l'aveva lasciato, la televisione accesa
che non guardava.
Non
ci si poteva ridurre così per amore, ne era convinto. Non si poteva
amare a quel modo, non si poteva...
Nigel
scosso da quei due andò al cassetto e a colpo sicuro cercò quella
busta, trovatala si sedette accanto a lui e guardò le foto.
Quando
Kevin lo vide si scosse immediatamente, Nigel non ebbe bisogno di
fare alcuna sceneggiata.
-
Come diavolo sapevi che erano lì? - Era stato così evidente che lo
sapeva, che lo guardò senza rispondere.
Kevin
gliele prese e le sventolò davanti agli occhi con rabbia, la voce
ringhiava bassa e penetrante, gli occhi spalancati, il volto sformato
in una smorfia.
-
Dimmi come diavolo lo sapevi! Lo sa solo chi ha frequentato molto
casa mia e sono pochi! Perchè odio farmi vedere mentre guardo foto e
quindi le tengo nascoste e non le mostro mai! E lo sa solo una
persona! - Poi, come se si svegliasse improvvisamente da un
lunghissimo sonno, si alzò realizzando, ripercorrendo quei giorni da
incubo. Fu come ricordare un sogno.
-
E poi come facevi a sapere tutte le altre cose? Sei andato a colpo
sicuro su tutto! Dove tengo il borsone da calcio, cosa ci dovevi
mettere dentro, dove ho le scorte di cibo, cosa fare in ogni
fottutissimo caso! Sai cose di casa mia che non puoi sapere perchè
non l'hai mai frequentata e tu le sapevi benissimo! E poi come cazzo
sei arrivato proprio in quel momento? Non mi hai detto cosa volevi!
Sei venuto e non hai detto niente, non mi hai mai lasciato! Non siamo
amici, ci conosciamo da poco e ti sei comportato come se fosse
normale, come se vivessimo insieme! Come cazzo facevi a sapere che in
quel momento io... - Kevin si fermò capendo. Aveva parlato frenetico
con un crescendo agitato che poi si era fermato improvviso e
shockante. Lasciò cadere le foto e si prese la bocca con la mano.
Spaventato. Parve di vedere un fantasma, nel capire tutto.
Nigel
fermo non disse nulla.
-
E' stato Mark, vero? -
Nigel
si chiese se tirare su una scusa od essere sincero, poi pensò al suo
amico e a quanto stava male in Olanda per quella reazione che sperava
arrivasse.
Fu
allora che decise. Si alzò, prese le foto, le aprì con calma a tirò
fuori una con Mark. Erano insieme e parlavano ridendo luminosi e
felici.
Gliela
diede. Kevin la prese e la fissò ancora sotto shock.
-
Mark quel giorno mi ha chiamato dicendomi di venire da te. Sapevo che
stavate insieme perchè quando mi ha convinto a venire al Milan al
suo posto, mi ha anche detto di voi. Ho sempre saputo tutto. Mi ha
detto di avere pazienza e di stare con te in questo periodo, che
saresti stato male ma di non mollarti mai. Mi ha fatto tenere il
telefono acceso sulla sua linea un sacco di volte a sentire i nostri
non dialoghi, sperando tu parlassi. Mi ha chiesto di fare questo e
quello. Tutto quello che ho fatto me lo chiedeva lui. Non mi ha
spiegato niente. Mi ha solo detto che finchè non ti rialzi e non
reagisci di starti vicino. È convinto che sia l'unico sistema per
aiutarti. Visto che sai tutto non ha più senso restare. Spero che
avesse ragione. Che tu possa tirarti su una volta per tutte e
tornare. In ogni caso, a te la palla, ora. - Dopo di questo discorso
calmo Nigel se ne andò scrivendogli su un foglietto il nuovo numero
di Mark.
Poi
andò via.
Kevin
rimase a guardare la foto sconvolto, incapace di reagire ancora,
ripetendosi tutto, ripercorrendo mentalmente ogni cosa, trovando
punti di connessione e cose sensate in tutto quello.
Finalmente
un senso.
Il
suo sorriso nella foto fu come se lo facesse rinascere.
Non
l'aveva veramente tradito, mai lasciato. Era stato un modo disperato
per farlo reagire.
Guardò
il suo numero di telefono.
Lo
prese, lo accese, ci inserì il numero di Mark dentro ma non lo
chiamò e non gli scrisse.
Restò
sveglio tutta la notte a pensare a lui, a ciò che aveva fatto, a ciò
che aveva passato, provato e voluto e a quello che aveva detto Nigel.
Restò
tutta la notte a pensarci.
Poi,
il giorno dopo, tornò ad allenarsi.
Allenarsi
veramente.
Per
la prima volta davvero dopo la fine del campionato scorso.
Poiché
durante l'estate ed i mesi successivi non l'aveva mai davvero fatto,
per arrivare a quel livello imbarazzante...
E
adesso era ora di farlo.
Di
tornare.
Tornare
veramente.
Perchè
non poteva spingere una persona a quei limiti estremi pur di
aiutarlo.
Era
ora di smetterla.
Per
lui.
Perchè
se lo meritava.
Perchè
era giusto.
Perchè
voleva.
Gli
mancava.
L'amava.
L'avrebbe
reso fiero ancora una volta. Felice di nuovo.
Sarebbe
tornato, dannazione, com'era vero che amava quell'uomo.