CAPITOLO
XVI:
L'INIZIO
DELLA RISALITA
La
rinascita di Kevin non era stata per niente facile e per niente
veloce, ma si era dato una regola, prima di cominciare a tentare la
risalita.
Prima
di ottenere dei risultati non avrebbe risentito Mark per non avere la
tentazione di riappoggiarsi troppo a lui.
Aveva
sbagliato in tutti i modi possibili ma soprattutto nell'appoggiarsi a
lui, nel pretendere tanto, nel chiedergli tutto. Voleva fosse lui a
salvarlo perchè non voleva si allontanasse, aveva paura che se ce
l'avesse fatta da solo poi Mark sarebbe sparito, per questo si era
impedito di provarci e l'aveva cercato ossessivamente bloccandosi da
solo con un peso di una tonnellata alla caviglia.
Paradossalmente
era stato proprio questo ad allontanare Mark anche se sapeva che
questo gesto non era di insofferenza verso di lui ma un estremo
ultimo tentativo di aiutarlo.
Un
giocarsi il tutto per tutto a costo di perdere per sempre l'amore.
E
lo sapeva, ora, ne aveva la certezza che lo amava perchè nessuno
avrebbe fatto una cosa simile.
Gli
aveva dato Nigel sotto forma di angelo custode pur di assicurarsi che
ce la facesse, sapendo che all'inizio non si sarebbe nemmeno voluto
muovere di casa.
Quanto
aveva fatto per lui?
In
tutti i modi, sempre, costantemente... si meritava di veder ripagati
i suoi sforzi ma voleva almeno fargli sapere che ce la voleva fare,
che aveva l'intenzione.
Non
voleva ancora contattarlo, voleva usare il chiamarlo o lo scrivergli
come premio nel caso in cui sarebbe riuscito a fare un passo in
avanti.
Decise
di cominciare dal calcio, di darsi seriamente da fare, di capire il
suo ruolo, di scendere realmente in campo.
Così
fece.
Fu
dura all'inizio, era come ricominciare dopo cinque mesi di fermo
totale. Perchè si era allenato ed aveva giocato ma per modo di dire,
era come non aver fatto niente e se ne rendeva conto.
Ripartiva
da zero, dall'ABC.
Guardò
la sua maglia per la prima volta e si rese conto che c'era un dieci
lì dietro.
Pensò
a chi aveva avuto il dieci prima di lui non solo al Milan ma anche in
altre squadre.
Chi
aveva il dieci al momento era solitamente il più grande della sua
squadra, il perno in qualche modo.
Zlatan
con la Svezia, Messi con il Barcellona, Totti con la Roma, Del Piero
l'aveva avuto con la Juve. Kakà l'aveva avuto con il suo Brasile.
Nella storia il grande Baggio l'aveva avuto. E quanti altri? Ci pensò
andando a ritroso in base alla propria conoscenza del calcio e
lentamente si emozionò.
Stava
ritrovando la passione per quello sport, stava ricordando il motivo
per cui aveva iniziato e lottato tanto per arrivare fin lì.
L'aveva
perso.
Aveva
perso di vista tutto.
I
suoi sogni, le sue speranze, le sue passioni, i suoi desideri, il suo
amore assoluto verso qualcosa e non qualcuno.
Come
aveva potuto?
Aveva
fatto tanti sacrifici per poter arrivare a giocare a calcio ed ora
aveva il numero dieci di un club importante come il Milan, il più
titolato al mondo, un club che aveva fatto la storia del calcio, su
cui tutti avevano sognato.
E
lui ce l'aveva e solo per delle delusioni si era ritirato
mentalmente.
Come
aveva potuto?
Si
emozionò nel prendere quella maglia rossonera con quel numero ed il
proprio nome.
Si
emozionò la prima volta.
Quello
fu il vero inizio della sua risalita.
Il
passo successivo fu capire davvero cosa avrebbe dovuto fare, cosa si
aspettavano tutti da lui e porsi un traguardo.
Non
si era mai posto un traguardo. Da quando era arrivato si era detto
solo di giocare e basta, non aveva dovuto pensarci perchè affiancato
da un grande come Zlatan.
Però
ora che non aveva la sua guida doveva farlo da solo, doveva essere
lui una guida. Doveva farlo lui.
Il
dieci era un faro là davanti, verso la porta avversaria.
Doveva
controllare tutto l'attacco, fare da collegamento dal centro alle
punte ed alle ali, lanciarli in rete, assicurarsi che tutti siano
nelle posizioni ideali, sfruttarli a fondo, considerare i punti di
forza di ognuno, conoscerli, smarcarli, avere le idee, tirare fuori
schemi, usare la fantasia. Creare.
Pensò
a come faceva Zlatan.
Aveva
dei lampi di genio, lui aveva l'istinto, non ci pensava, andava e
faceva. O segnava o faceva segnare ma non era solo questo.
Lui
si portava intorno due o tre difensori attirando l'attenzione con le
sue giocate pericolose e quando qualche altro compagno
necessariamente era libero, passava a lui. A volte non erano nemmeno
assist però era lui che permetteva l'azione da goal.
Oppure
dava le idee, gridava come un matto a chi passare o cosa fare.
Era
davvero un killer... non aveva la pazienza di istruire o spiegare, se
uno gli stava dietro lui l'aiutava ma non c'era spazio per le parole.
Però
a seguirlo tutti vincevano e tutti giocavano meglio.
Doveva
fare così.
Si
era angosciato tanto perchè si era fissato col segnare senza
considerare che non era il vero ruolo di un numero dieci. Un
costruttore doveva solo costruire le azioni d'attacco e assicurarsi
che andassero a frutto, che tutti giochino a dovere.
Avrebbe
dovuto fare questo.
Cercare
di intercettare tutte le palle degli altri nella propria zona ed
anche nelle altre.
Avviare
l'attacco appoggiandosi ai suoi compagni, captare quello nella
posizione migliore, seguirlo ed in caso ordinargli a chi dare la
palla e poi sistemare gli altri. Doveva essere pronto.
Pensò
al calcio giorno e notte e fu come tornare ai vecchi tempi, quando
aveva solo quello in testa.
Tutti
videro quanto concentrato fosse, quanto diverso.
E
se ne stupirono, naturalmente.
-
Ma hai risolto? - Chiese sfacciato Stephan, Kevin lo guardò e fece
una strana espressione a quella domanda. Non rispose. Non rispose
nemmeno a Roby, ma una sera a Milanello, dopo la cena ed in attesa di
andare a dormire, si ritrovò con un paio dei suoi compagni.
La
solita luce ad angolo della sala comune, con lui Stephan, Roby, Alex
e Philippe.
Stephan
era l'unico felice, era in un momento a dir poco di grazia, era
esploso tutto il suo talento ed era l'eroe della squadra. Dava
allegramente sfogo ai suoi divertimenti personali un po' con Marco,
un po' con Mattia.
Roby
cercava di stare sempre allegro e sorridere, far ridere gli altri ed
apparire spensierato, ma la verità era che gli mancava Thiago
tantissimo. Lo vedeva e lo sentiva regolarmente, specie grazie alla
web cam, però non era facile, Thiago per lui era una specie di
sostentamento vitale, si completavano a vicenda, si facevano forza.
Erano come parte della stessa mela.
Quando
calava la sera e si ritrovava con pochi intimi, si permetteva di
apparire stanco e nostalgico, non faceva il solito casino.
Alex
dimostrava molto di più la sua tristezza. Zlatan gli mancava come
l'aria, per lui era stato il coraggio, quell'uomo. Il coraggio di
vivere, di uscire dal guscio, di essere chi doveva, chi era
veramente, di fare ciò che desiderava, di essere onesto con sé
stesso. Quindi stargli lontano non era facile ed aveva dimostrato la
malinconia da subito, apertamente, senza esitare. Senza capire perchè
non dovesse. Senza comprendere Roby. Però si erano sempre stati
vicino come due veri fratelli.
Philippe
stava passando ultimamente un momento difficile.
Era
un ragazzo forte ma pareva aver accusato il colpo delle partenze di
molti altri. Forse non vedeva più la squadra come prima, forse la
stava vedendo affondare, forse aveva anche lui le sue storie storte.
Forse qualunque cosa avesse nessuno l'avrebbe immaginato però si
vedeva che non stava bene.
Si
ritrovò lì con loro, quella sera.
E
Kevin si decise a parlare. Aveva una serenità diversa che comunque
non aveva mai avuto. Un'onestà disarmante.
Era
diverso. Era diverso in qualche modo, forse nella luce che l'animava.
Forse perchè aveva superato un vero inferno e ne stava risalendo.
-
E' davvero tutto strano, vero? Dio mio quante cose sono diverse.
L'anno scorso per me è stato davvero duro con la separazione da mia
moglie e prima ancora con la scoperta dei miei sentimenti per un
uomo. Io, etero convinto, mi sono innamorato di un uomo. Mi ha
cambiato completamente, me ne sono reso conto. Ho lentamente perso di
vista tutto, per quest'uomo. Tutto. La mia famiglia specialmente. Ho
sbagliato in tanti modi e di continuo. Dopo essermi innamorato di
lui, ho lasciato mia moglie con onestà, lei non ha capito. È stata
una separazione davvero dura e traumatica, mi ha tolto mio figlio, se
ne è andata in Germania. Quanto male sono stato senza Jery... non
avete idea... è stato lui a salvarmi. Mark è diventato il mio
sostentamento, la mia forza, la mia energia, il mio risveglio, il mio
sonno. Lui mi ha preso a calci scuotendomi e mi ha curato con
dolcezza, lui ha fatto tutto per me. Poi lentamente sono risalito, ne
sono uscito, mi sono messo con una donna per convincere mia moglie
che non sono un deviato e così ho potuto rivedere qualche volta
Jery. È andata meglio anche se la lotta con lei non è vinta. E Mark
è diventato sempre più tutto. Dio, quanto lo è stato... quando se
ne è andato mi ha detto che era perchè non ce la faceva a reggere
questi ritmi, è stata una tragedia ma mi sono impegnato per non
farglielo pesare, non volevo. Mi sono avvicinato tanto a Zlatan.
Siamo sempre stati amici, siamo andati d'accordo in questi anni
insieme, e lì in lui ho visto la forza per farcela quando non ci
sarebbe stato Mark. Avevo bisogno di un faro in quel momento per
convincermi di potercela fare o sarei affondato. Io quando sto male
vado giù e basta, non reagisco. E se sono solo è finita. Quindi mi
dicevo che c'era lui, che di lui potevo fidarmi. Quando anche lui se
ne è andato... ecco, è stato il colpo di grazia. Ho capito che non
ne sarei uscito e mi sono lasciato morire. Senza mio figlio vicino,
senza l'uomo che amavo, senza un amico a darmi fermo sostegno. Mi
sono trascinato andando sempre più giù. È stato un inabissarmi
senza fine e pensavo che sentendolo e vedendolo potevo farcela ma era
peggio. Non riuscivo a reagire, non volevo. Avevo perso di vista
tutto il resto, non lottavo per mio figlio, non capivo cosa diavolo
facevo a calcio, cosa dovevo fare con quella maglia... ero come un
drogato in crisi d'astinenza ed ogni volta che rivedevo Mark tornavo
più dipendente di prima. Ero concentrato solo su quello perchè non
trovavo nella squadra più la famiglia che era, la vedevo diversa,
cambiata e non mi interessava conoscerla e ricominciare con tutti
voi. Non volevo perchè poi un giorno avrei dovuto riaffrontare
separazioni dolorose. Non riuscivo ad interessarmi più a niente. Ho
perso di vista il mio sogno. Poi Mark mi ha salvato di nuovo, senza
di lui non so cosa sarei. Mi ha lasciato facendomi credere di avermi
tradito ed è stato dannatamente bravo perchè ci ho creduto. Ecco,
penso di essere morto davvero. Io ho il buio in questi giorni, eh?
Non ricordo cosa diavolo ho fatto in questo periodo da quando lui mi
ha lasciato. Se dovessi dirlo proprio... proprio non so. Mi è stato
vicino Nigel. Strano, vero? Non capivo cosa diavolo ci facesse, lui
mi gestiva completamente, mi faceva fare ciò che serviva e... e non
capivo cosa stonava. Poi quando ha preso le foto dei miei compagni ho
capito. Era mandato da Mark. Come Dio che manda gli angeli in
missione, no? Ecco... Mark aveva tirato fuori tutto questo per farmi
reagire, per spingermi ad uscirne in qualche modo, convinto di essere
lui a mia zavorra. Però mi ha mandato Nigel sapendo che non sarei
potuto stare solo. Quando l'ho capito ho potuto rinascere. Ho provato
il desiderio di tentare davvero, cosa che non avevo mai avuto prima.
Ecco cosa è cambiato in me. La voglia di risalire. Il desiderio di
tentare. Non gli ho scritto, non l'ho sentito, lo farò quando avrò
la certezza che ho mosso dei veri passi. Per la prima volta ho
guardato la mia maglia ed ho capito che c'era un dieci dietro e mi
sono detto che quel dieci ce l'hanno avuto persone illustri e mi sono
chiesto cosa dovesse essere davvero un dieci. Io ho davvero
cominciato a pensare al mio calcio ed al mio ruolo solo in questi
giorni. Ho ritrovato ciò che avevo perso. L'amore per il calcio, i
motivo per cui ho iniziato, la mia passione, il mio sogno. Io avevo
perso di vista tutto questo per il mio dolore ed ora lentamente l'ho
ritrovato. Mi prenderò cura di questo e farò in modo di tornare.
Non so quanto mi ci vorrà, non so se nel frattempo mi manderanno via
e cosa sarà di me, io so solo una cosa. Che ci proverò finchè non
ci riuscirò ma è diverso da prima. Ora ci proverò davvero perchè
lo voglio, lo voglio veramente. Lo voglio come niente ho voluto
prima. Per chi ha creduto in me, per lui che ha sacrificato tutto sé
stesso pur di aiutarmi, per chi mi è stato sempre intorno, per mio
figlio che aspetta di potermi rivedere. Ma soprattutto per me, perchè
io amo questo sport e mi piace rincorrere una palla e segnare. È
solo che adesso non devo segnare ma far segnare, ho cambiato il mio
ruolo, le mie priorità, ora capirò bene cosa e come fare e lo farò.
È questo. È per questo che ci provo. Per me stesso ed il mio amore
per il calcio, per la mia passione, per il mio sogno. E perchè devo
ricambiare questo favore che mi è stato fatto. Ci sono persone
importanti che credono in me, non le deluderò per sempre. -
Alex
ovviamente piangeva. Lo faceva in silenzio, si teneva la bocca ed un
po' era immedesimato in lui e nella sua tragedia, un po' la riviveva
nei propri panni, pensava a Zlatan e a quanto gli mancava.
Roby
aveva gli occhi lucidi e teneva un braccio intorno alle spalle di
Alex. Stephan sorrideva sereno, felice, conscio che il suo fratellone
sarebbe tornato, certissimo come la morte.
Credeva
in quella squadra ed in quel posto, poteva diventare lo spettacolo di
un tempo, poteva tornare sul tetto del mondo e potevano farlo loro.
Aveva questa grande ambizione ma era grazie a quella che lui stava in
testa ad una classifica di cannonieri a venti anni. Entusiasta di
lui, gli batté felice la mano sulla schiena in un evidente
'bentornato' che aspettava da tempo di dargli.
Philippe
sospirò e lo guardò strano, con uno sguardo malinconico e
comprensivo al tempo stesso. E forse un po' di invidia c'era, ma un
invidia positiva e sana.
Non
era facile nemmeno per lui e qualunque cosa stesse vivendo vide in
Kevin la speranza di poterci riuscire, di risalire, di farcela, di
ritrovare quell'entusiasmo perso per motivi che poi non sapeva
definire nemmeno lui bene.
Era
cambiato tutto, aveva ragione. Troppo. E spesso i cambiamenti sono
faticosi da assimilare, ma non è impossibile farcela.
Quella
notte tutti si aprirono, tutti parlarono di loro, dei loro problemi,
lo fece anche Philippe a cui si attaccò Kevin come sentendo una
specie di missione.
Quella
fu la prima notte da squadra, anche se poi alcuni erano nelle camere
a dormire. Sarebbe stata una cosa che avrebbero fatto successivamente
anche con gli altri, piano piano si sarebbero aperti fra di loro, si
sarebbero finalmente conosciuti veramente, sarebbero andati
seriamente d'accordo. Si sarebbero parlati, guardati, visti,
considerati.
Piano
piano sarebbero diventati compagni.
Era
solo un passo da fare. Quello più importante.
Il
primo.
Poi
lentamente gli altri andavano da soli.
Ma
il primo era uno scoglio. Bisognava lottare per farlo, volerlo
davvero più della vita. Bisognava volerlo.
Kevin
il giorno dopo parlò con Nigel, lo ringraziò e l'abbracciò
fortissimo.
Poi,
lentamente, tornò alla vita.
Non
aspettò di segnare, giocò una partita meglio delle altre, poi ne
giocò un'altra ancora meglio della precedente.
Si
vedeva lontano anni luce dal traguardo fissato, però non smetteva di
guardarlo e nemmeno di essere lucido. Aveva tanto da fare ma aveva
messo a fuoco il suo ruolo, le sue competenze e per lo meno si
impegnava davvero, non stava in campo a fare cose completamente a
caso. Certo, sbagliava ancora, doveva essere più preciso in molte
cose, ma ora si sentiva con un senso. Non c'erano effettivi paragoni
alle prime partite, diciamo che c'era reattività, non lo si poteva
negare.
Fu
così che si decise a scrivere a Mark.
Emozionato
come un bambino al primo giorno di scuola, guardò il cellulare
un'ora prima di trovare cosa scrivergli. Cancellò e riscrisse di
continuo, poi si decise.
'Grazie
a te che continui sempre a salvarmi e non mi lasci mai solo. Ti amo,
generale.'
Il
riferimento al suo soprannome ed al messaggio lasciato su Twitter
quando aveva lasciato Milano.
'Mi
mancherai Generale.'
Con
questo era chiaro che aveva capito tutto.
Mark
rispose.
'Quando
sarai pronto per rivedermi, io ti aspetto qua. Ti amo, Kev.'
Perchè
mentirsi non era da loro e l'avevano fatto già troppo.
Kevin
pianse come un bambino davanti a quel messaggio che sbaragliò il
ricordo dell'altro precedente, quando l'aveva lasciato.
Sbaragliò
e vinse prepotente la gioia e la speranza che tutto poi un giorno
sarebbe tornato come sempre.
Non
poteva immaginare che anche Mark stava piangendo, a casa sua,
sollevato nel sapere che aveva capito e che finalmente stava
reagendo.
Però
il grande generale tutto d'un pezzo sapeva commuoversi e lo sapevano
chi l'aveva incontrato, chi l'aveva conosciuto, chi era andato oltre
l'apparenza di giocatore falloso dal gioco duro.
Le
lacrime scesero in tandem e fu come un ritrovarsi.
Non
avrebbero atteso molto, prima di rivedersi.
Avrebbero
pianto di nuovo ma abbracciandosi, stringendosi, baciandosi e
rifacendo l'amore fino a sentirsi in profondità, fino a non averne
più, fino a morire e rinascere e scoprirsi ancora più innamorati di
prima. Fino a raggiungere il loro mondo che ora era perfetto,
equilibrato e perfetto.
Quel
giorno sarebbe arrivato presto e sarebbe stato il più felice della
loro vita, perchè finalmente non c'era più da morire, c'era solo da
vivere. Rinascere e vivere.
I
viaggi in noi stessi sono necessari, c'è del buio in ognuno e prima
o poi si fa i conti con quello.
Si
affonda e si sbaglia, ci si odia e ci si fa odiare. Molte porte si
chiudono, in tanti non ci capiscono ma si deve andare avanti. Bisogna
vivere tutte le tenebre fino in fondo, fino all'ultimo goccio, non
bisogna scapparne, non bisogna far finta di niente. Loro sono lì e
non se ne andranno finchè non le avremo vissute tutte per bene. Solo
dopo, solo quando avremo dato fondo a tutti noi stessi, potremo
risalire. Ma il primo passo è volerlo. È pensare seriamente di
farlo.
Quello
è il primo, il più difficile. Ma è la vera chiave.
Mai
perdere di vista le cose veramente importanti, le motivazioni sono
ciò che ci muovono, sono il nostro motore. Bisogna guadare bene.
Bisogna ricordare sempre chi siamo, da dove veniamo e perchè
cominciamo. Bisogna ricordare sempre. Non bisogna dimenticare.
Non
bisogna mai dimenticare.
Perchè
il nostro passato rafforza il nostro presente e ci trasporta verso il
futuro.
Ed
ogni passo sarà sempre importante, anche quello più sbagliato e
disastroso. Ogni errore. Tutto.
Perchè
poi potremo essere uomini solo dopo aver fallito. Prima del
fallimento non si arriva in cima. Non si arriverà mai in cima.
Un
obiettivo.
Prendiamocelo
e lottiamo per raggiungerlo.
Ricordando
sempre chi siamo e perchè abbiamo cominciato.
Non
importa chi e cosa o come e quanto è veramente importante. Basta che
lo sia per noi.
Il
viaggio è obbligatorio per tutti.
L'importante
è partire.
FINE