NOTE:
nonostante io sia milanista incallita, non avevo mai scritto una fic
all’interno della mia squadra adorata, però era da molto che volevo
scrivere su di loro perché mi sono fissata e chi mi conosce sa che
quando mi fisso prima o poi faccio! Non saprei spiegare di preciso
perché, forse mi attira il fatto che mister Allegri non li mette quasi
mai in formazione insieme e quindi nell’immaginare i retroscena di
queste scelte particolari, i film sono cominciati. Non sapevo proprio
come fare, però, e poi è arrivato il tragico ennesimo stop di Pato,
povero caro. Ed io mi sono messa lì a scrivere senza sapere di preciso
cosa.
Quello
che ne è uscito non è vero e proprio slash ma mi conosco e so che
finirò per farlo tale, di conseguenza non mento dicendo che parlo solo
del loro strano rapporto. Finirò per approfondirlo eccome!
Su
Zlatan è stato più facile scrivere, su Alex invece è stato più
complicato perché non mi ero mai soffermata troppo a pensare che tipo
fosse, alla fine mi sono lasciata andare ed ho usato completamente
l’istinto e le sensazioni per cui potrei aver scritto cavolate oltre
che nella fic stessa anche nell’interpretare il suo carattere. Però
ammetto che mi piace come è venuto fuori!
In
attesa di altre (e non so come quando e perché) vi auguro buona lettura.
Baci
Akane
INNESCO
Avrebbe
volentieri camminato su e giù come un matto per sfogare il terribile
nervoso che provava, se avesse potuto.
Peccato
che non arrivava visto lo stiramento, l’ennesimo.
Non
era umanamente possibile, si ripeteva che era fuori da ogni logica una
cosa simile.
Quando
aveva sentito che cominciavano a circolare i numeri, si era sentito
male.
Undici
stop in due anni… avevano tutti dannatamente ragione nel dire che era
qualcosa di inaccettabile.
Insomma,
delle domande qualcuno se le doveva fare, no?
Lui
aveva il terrore di farsele ma che le avesse compiute o meno qualcuno
comunque se le stava già tirando fuori. E sicuramente stava anche
rispondendo.
L’idea
che il mister stesse chiedendo proprio in quel momento al presidente di
venderlo e comprare un altro al suo posto di più resistente, lo stava
ormai mandando fuori di testa.
Non
riusciva a smettere di pensarci, era diventata una sua fissa.
Già
dall’ultima volta che si era fatto male e si era fermato aveva
cominciato a pensarlo, poi la relazione con Barbara era arrivata più
che provvidenziale.
Non
era un subdolo machiavellico figlio di puttana che usava le persone per
i suoi sporchi scopi.
In
molti nel suo ambiente lo erano, stronzi, corrotti e doppiogiochisti.
Lui
non ci sarebbe mai riuscito, però doveva ammettere che si era sentito
schifosamente meglio quando era cominciata quella cosa con Barbara
proprio quando si era convinto di essere in pericolo lì al Milan.
Ok,
se fosse stato messo da parte dal suo club sicuramente sarebbe arrivato
qualcun altro a comprarlo, non sarebbe certo finito come giocatore,
però doveva ammettere che non era tanto scontato poter continuare a far
carriera con tutte quelle rotture fisiche.
Gambe
fragili… delle dannatissime gambe fragili potevano davvero pregiudicare
il lavoro di una vita, il sogno di una vita… bè, una vita intera
proprio?
Sospirò
sempre più nervoso.
Non
sapeva come sfogarsi eppure ne aveva bisogno, peccato che non potendo
usare un metodo fisico, non sapeva proprio che fare.
Contemplò
l’idea di lagnarsi con qualcuno e subito vari visi gli scivolarono
davanti agli occhi… e con tanta facilità lui li scartò per diversi
motivi…
Barbara
poi avrebbe pensato che la stava supplicando di non venderlo, non
poteva… oltretutto ora che era proprio lei il boss nel club, colei che
aveva potere di vita e di morte su tutti, il loro rapporto aveva subito
una brusca svolta. Più che svolta era ormai diventato tutto strano.
Quando
si vedevano evitavano accuratamente di parlare di tutto ciò che
riguardasse la squadra, peccato che essendo una il presidente di un
club calcistico e l’altro un giocatore chiave dello stesso, era
decisamente difficile evitare di parlare di ciò che albergava in
prevalenza nelle loro teste!
Di
conseguenza quando Alexandre aveva qualcosa che lo alienava che
centrava col suo lavoro, evitava Barbara come la peste.
Non
poteva parlarne con lei, specie dei suoi problemi come calciatore. In
ogni caso, in qualunque modo l’avrebbe vista, sarebbe stato fuori luogo
per chiunque, lei per prima.
Di
conseguenza lei era fuori discussione.
Ma
se non poteva andare da lei quando aveva i problemi più grossi -posto
che per lui quelli più grossi erano proprio quelli legati al calcio-
che razza di rapporto era?
Insofferente
mise da parte anche queste considerazioni per dirigersi, sempre
mentalmente, al prossimo nome.
In
squadra senz’altro quello da cui tutti andavano per… bè, per ogni cosa,
era il Ringhio!
Oddio,
tutti lo chiamavano così ma lui era uno di quelli che si sentiva un
imbecille a farlo, per cui lo chiamava semplicemente Rino.
Poi
ad ognuno capitava il proprio nome, bello o brutto che fosse… come le
disgrazie, insomma…
Da
lui tutta la squadra andava per ogni cosa, sia che fossero cose belle
che fossero cose brutte. Era il centro emotivo di tutti, veniva
coinvolto da ogni membro del gruppo, perfino dalle riserve delle
riserve!
Il
vero capitano era lui, il sostegno principale, la gravità, ogni cosa.
Ma
ora che aveva anche lui problemi col suo occhio come poteva essere
pronto a sostenere le sue menate?
Perché
sapeva cosa gli avrebbe detto, se lo figurò mentalmente: una smorfia,
una pacca troppo forte sulla spalla e una sparata del tipo ‘fatti meno
seghe mentali e più fisiche, cazzo! Tu pensi troppo!’ e poi avrebbe
sparato una qualche altra sua cazzata.
Un
forte sostegno.
No,
in realtà i suoi modi che semplificavano ogni peso insostenibile erano
essenziali e davvero molto utili, lo sapeva, tutte le altre volte che
si era infortunato era stato il primo a venire da lui e dirgli di non
fare il coglione e non pensare minimamente di essere una merda solo
perché si rompeva sempre.
Quelle
parole tanto grezze quanto indispensabili per non buttarsi
effettivamente giù erano sempre ben accette.
Era
sempre stato il piccolo del gruppo, da quando era arrivato, anche ora
che era un po’ più grande continuava ad esserlo e gli piaceva, ma
questo loro coccolarlo e tenerlo nell’ovatta alla fine non l’aveva
aiutato davvero a crescere e a farsi le ossa.
Spesso
lo pensava.
Le
cazzate le aveva sempre fatte ma poi loro l’avevano ogni volta tolto
dai casini.
Quando
si era sposato con quella puttana della sua ex moglie loro avevano
cercato di avvertirlo e dirgli che era… bè, una puttana, ma poi quando
gli avevano aperto brutalmente gli occhi se l’erano preso tipo soldati
di guerra e l’avevano aiutato ad affrontarla e a buttarla fuori dalla
sua vita.
Anche
poi quando lei aveva fatto di tutto per rovinarlo, loro erano sempre
stati lì con lui a corazzarlo, a tirarlo su e a impedire che si
deprimesse.
Erano
sempre stati preziosi.
Lui
li adorava, tutti, per questo l’idea di andare in qualche altro club lo
mandava in confusione.
Quella
era la sua famiglia, non poteva andarsene, punto e basta.
E
non era proprio per Barbara a cui pensava solo in secondo o terzo luogo.
Era
proprio per loro, per quell’atmosfera, per quella casa che gli avevano
costruito intorno.
Ma
ora erano più loro quelli pieni di problemi, era un momento duro per
tutti e quelli che non avevano un qualche cataclisma calato addosso
dovevano pensare esclusivamente alla squadra e a fare bene proprio
perché in pochi ed in una situazione critica.
Peggio
di come avevano fatto, non avrebbero potuto iniziarlo il campionato.
Non voleva disturbarli.
Scartò
quindi anche chi stava bene, come Antonio che pareva convinto di dover
fare le veci di Rino in sua assenza, o di chiunque altro.
Quelli
nuovi naturalmente erano ancora pressoché estranei, in effetti faticava
a legare con chi non conosceva. Sarebbe potuto sembrare strano ma era
piuttosto timido, per questo all’idea di cambiare club, fra le altre
cose, lo mandava in crisi.
Non
sarebbe mai riuscito a legare con nuove persone come aveva fatto con
tutti loro.
Vagliati
tutti quelli con cui riusciva a confidarsi, non rimase praticamente
nessuno se non un volto.
Un
volto dai lineamenti decisi almeno quanto le sue espressioni che
definire spesso rabbiose ed inquietanti era dire poco.
Era
il secondo anno, quello, che Zlatan passava con loro, ma nonostante
questo non era riuscito a legare molto con lui. Se ne preoccupava
perché perfino con Antonio gli erano bastati pochi mesi per legare.
Certamente erano caratteri diversi, quest’ultimo infatti era del sud e
si sapeva che contava tanto questo genere di cose. Molto più facile ad
instaurare rapporti con chiunque. Aveva notato che aveva fatto amicizia
subito persino con Zlatan, per l’appunto.
Lo
inquietava, non c’era niente da fare ed infatti il mister notandolo li
aveva impiegati pochissime volte insieme.
Si
massaggiò il mento dove un leggero velo di barba scuriva la sua pelle
dandogli un aria meno fanciullesca.
Si
era irrobustito molto negli ultimi anni, fisicamente era cresciuto
eppure le sue gambe continuavano costantemente a dargli un sacco di
problemi.
Tornò
sul problema principale di prima.
Con
chi diavolo andava a sfogarsi?
Aveva
bisogno di qualcuno, dannazione… perché lui aveva sempre bisogno di
qualcuno. Era un classico, una costante. Lui da solo non sapeva starci
ma non soltanto. Non sapeva affrontare una sola situazione che fosse
una.
Quando
c’erano casini come risse che coinvolgevano un paio dei suoi in campo,
lui se ne stava accuratamente alla larga e se poteva si nascondeva al
sicuro negli spogliatoi. Questo era un esempio plateale del tipo che
fosse.
Non
codardo… lui preferiva definirsi poco coraggioso.
Sostanzialmente
sempre bisognoso di qualcuno accanto, tutto lì.
Per
questo, forse, aveva avuto così difficoltà con Zlatan. Erano proprio
agli antipodi.
Quello
era il condottiero per eccellenza, quello di cui gli altri avevano
bisogno per le loro battaglie, non quello che chiedeva aiuto.
Per
questo considerava il calcio uno dei pochi ambienti dove si sentiva
semplicemente bene ed in pace, perché era una di quelle cose -se non
l’unica- che gli veniva alla grande, dove poteva dimostrare un valore
importante, dove si mostrava degno non solo di nota ma anche di tutto
quello che aveva. E sapeva di avere tanto.
Il
calcio era il suo mezzo per guadagnarsi ciò che abbondava nelle sue
mani e di questo ne era talmente cosciente che all’idea che il proprio
fisico inadeguato gli togliesse tutto, andava nel panico più autentico.
Cercava
di non dimostrarlo davanti a terzi, specie giornalisti e staff, ma non
era facile.
Voleva
solo dare l’idea di uno che finalmente non era più un bambino bensì un
uomo, ma non era facile, per niente, specie perché a volte bambino ci
si sentiva ancora. Spudoratamente.
Ripensò
alle poche volte che aveva giocato con Zlatan ed una strana nota di
calma si fece strada in lui.
Era
vero che non avevano legato molto, cioè non come con gli altri, ma non
c’erano mai stati dei veri e propri ostacoli fra loro, anzi… erano
sempre riusciti a comunicare anche se forse solo per quel che
riguardava il calcio, al di là di quello non si ricordava di avere mai
avuto contatti con lui. Non degni di quel nome.
Però
in campo era sempre andata bene.
Certo,
le poche volte che avevano giocato insieme.
Anche
quando avevano segnato insieme avevano festeggiato alla grande, non
c’era mai stata l’ombra della tensione fra i due, anzi. Ricordava
precisamente la sensazione di sicurezza che gli aveva dato giocare con
lui.
Alzò
la testa e si decise.
Poteva
essere la più grande cazzata della sua vita -e di cazzate grandi ne
aveva fatte- ma se non altro poteva essere un’ottima occasione per
provare ad instaurare un rapporto decente con lui anche al di fuori del
campo. Delle poche volte in cui stavano insieme fuori, cioè.
Senza
pensarci oltre, prese il cellulare e gli scrisse la prima cosa che gli
venne in mente:
‘Che
fai? Ti va una cosa a casa mia?’
Non
lo vide come una richiesta strana, insolita o quant’altro ma anzi ben
chiara e semplice.
Spesso
la sua ingenuità rasentava quella dei cartoni animati!
Ecco
perché si trovava talvolta in guai così grossi, vedi la sua ex moglie
che gli succhiava quanti più soldi poteva, e non erano certo pochi.
Oltretutto
non vedeva il suo chiamarlo ora come un gesto disperato, tanto meno
come un ‘ultima carta’… per lui era solo un tentativo.
Di
cosa, poi, non ne era tanto sicuro, ma tale era, i dettagli non
contavano!
Mise
presto da parte l’idea Zlata Ibrahimovic per immergersi nel mondo
dell’unico con cui avrebbe sinceramente voluto parlare.
Ricardo.
Riky
era sempre stata la sua prima scelta, quando se ne era andato era stato
un duro colpo.
Non
solo la sua prima scelta per ogni cosa e l’esempio da emulare in quanto
più poteva -sorvolando sulla questione fede visto che nessuno poteva
star dietro alla sua, non tanto per quella in sé ma per quanto
smisurata fosse!- ma un vero e proprio punto di riferimento, la sua
stella polare.
Forse
perché entrambi brasiliano e perché giocavano insieme anche in
nazionale, forse perché anche Riky era arrivato al Milan che era un
ragazzino e lì era cresciuto, come lui. O forse perché semplicemente
lui sapeva entrare nel cuore di chiunque e diventarne il suo punto di
riferimento.
Tutto
lì.
Per
un momento provò ad immaginarselo ancora con loro.
Sarebbe
riuscito a legare subito persino con Zlatan con cui tutti all’inizio
avevano avuto problemi. Allo svedese sarebbe piaciuto di certo, ne era
convinto.
Dio,
quanto era stato male quando se ne era andato…
Ricordava
che quando era giunta la notizia ufficiale, arrivatagli per altro da
un’altrettanto sconvolto Rino, si era sentito mancare ed in lacrime
-come le cascate del Niagara!- si era precipitato da lui abbracciandolo
infantile come un bimbo.
Perché?
Gli aveva ripetuto come una litania.
E
lui con dolcezza e delicatezza l’aveva consolato e gli aveva risposto
che c’erano momenti di svolta nella vita di ognuno e che sentiva il
bisogno di andare avanti per crescere ancora un po’ e imparare
qualcos’altro in un ambiente nuovo.
L’aveva
vista come una mezza verità ma non aveva assolutamente mai saputo il
resto, convinto solo che poi un resto ci fosse stato.
Ad
un certo punto si era anche messo in testa che scappasse da qualcosa.
Idee
assurde deliranti.
Però
non era riuscito ad avercela seriamente con lui, non ce l’aveva proprio
fatta perché il sentimento d’amicizia che aveva provato per lui era
stato così forte ed enorme che nemmeno il senso del tradimento l’aveva
rotto. Si era sciolto in lacrime, se ne era dispiaciuto fino all’anima,
ci era stato di merda come non mai, ma non ce l’aveva mai avuta
veramente con lui e di questo Riky gliene era stato grato, anche se non
gli aveva facilitato comunque la partenza.
Ricordava
bene quanto dura era stata lasciarli.
E
Ricardo se ne era andato di sua iniziativa, non praticamente cacciato
via a calci come sarebbe potuto succedere a lui se il suo fisico del
cazzo avrebbe continuato a spezzarsi così tante volte.
Con
gli occhi lucidi al ricordo del suo amico, lo stesso effetto che gli
faceva ogni santa volta che ci pensava -in qualunque modo gli
capitasse- si disse che oltretutto non era messo meglio di lui. Aveva
passato due anni d’inferno, costantemente con mille problematiche
fisiche, con la sua permanenza a Madrid ogni giorno più labile e con
chissà quanti altri problemi legati al mister-orco -tale l’aveva sempre
considerato lui in effetti-.
Però
ce l’aveva fatta, sapeva che aveva superato tutto. Seguiva sempre la
sua progressione al Real Madrid e ne era orgoglioso anche se gli faceva
sempre male.
Ora
sembrava si fosse ripreso ed era certo che avrebbe fatto vedere il suo
vero valore, il suo vero viso, il vero Ricardo Kakà.
Se
lo meritava.
Come
pensò a questo, che persino lui con gli stessi suoi problemi ce l’aveva
fatta, si sentì immediatamente meglio, come se un peso gli fosse stato
tolto.
Ancora
una volta, seppure indirettamente, merito di Riky.
Non
poteva farci niente, lui sarebbe sempre contato come pochi nella sua
vita.
Anche
da lontano, anche senza sentirlo regolarmente, anche senza il rapporto
di prima, continuava a guidarlo e a dargli la forza necessaria per
affrontare i problemi nel modo giusto.
Sereno,
anche se con ancora una piccola ombra sul viso, venne interrotto
bruscamente dal campanello.
Completamente
dimenticato di Zlatan, si alzò non avendo la minima idea di chi potesse
essere. Oltretutto non è che gli avesse risposto…
Quando
si ritrovò il suo viso davanti impallidì mentre lo stomaco gli si
contrasse in una stupida morsa imbarazzante.
Si
sentì andare a fuoco come una scolaretta e si insultò per l’effetto che
gli stava facendo.
Che
diavolo andava ad emozionarsi tanto per una visita a sorpresa?
Certamente
non se l’era più aspettato, non si era nemmeno preparato seriamente -e
lui aveva sempre bisogno di prepararsi per tutto!- però ugualmente
sentirsi così annientati era da perfetti idioti.
Pregò
che il suo stato pietoso non fosse evidente e si disse di tutto per
averlo chiamato e chiesto di passare.
-
Che c’è? - Chiese Zlatan brusco senza preamboli.
“Ma
deve per forza sempre andare subito al sodo, questo?”
Arrossì
e ne fu conscio, quindi nel cercare di gestirsi si dimenticò le buone
maniere alla disperata ricerca di una valida risposta.
Vedendo
che non rispondeva ma che lo fissava come un completo idiota, Zlatan
seccato riprese:
-
Mi hai detto se mi andava una cosa a casa tua, di che diavolo si
tratta? -
Non
sembrava minimamente vicino alla verità. Alexandre capì stranamente
subito che Zlatan non aveva capito la natura della sua richiesta, ma
non aveva comunque messo a fuoco cosa invece avesse interpretato.
-
Ecco… - Cercò comunque di dire qualcosa e grattandosi la nuca spaesato
ed ancor più imbarazzato di prima, mormorò impacciato: - avevo bisogno
di parlare con qualcuno e… -
Zlatan
sgranò gli occhi e non nascose il suo stupore. Non che sembrava capace
di nascondere qualcosa, in effetti….
-
Parlare?! -
Alexandre
sgranò i propri apparendo più piccolo e più ‘cucciolo’ del solito,
quindi con il viso ormai in fiamme -e dannazione non riusciva nemmeno a
capire perché cazzo dovesse essere tanto imbarazzato!- balbettò:
-
S-sì… p-parlare… perché? - Era così strano parlare? Si chiese fra sé e
sé sentendosi improvvisamente stupido anche a fare quella domanda. A
Zlatan sembrava tanto ovvio… perché lui non ci arrivava, invece?
-
Niente… è solo che è strano… e poi… -
Sembrò
soppesare, stranamente lui stesso in difficoltà, evento storico, l’idea
di aggiungere qualcosa. Cosa a cui Alexandre si aggrappò con tutto sé
stesso sperando che fosse qualcosa che lo traesse in salvo. Altrimenti
avrebbe dovuto chiedergli perché era strano, e poi cosa avrebbe detto?
- E
poi? - Chiese ansioso, ancora guardandolo con quei suoi occhi troppo
grandi per uno che bambino non lo era più, in teoria.
Zlatan
tornò a fissarli con più attenzione dopo aver fatto tutto il giro della
parete e della porta aperta. Ma perché dovevano capitargli persone così
ingenue e fuori dal mondo?
Alla
fine, massaggiandosi il collo con una mano, si mandò al diavolo e
rispose sincero com’era nel suo stile:
- E
poi il tuo messaggio non era chiaro… sembrava… -
Alexandre
sperava ancora che quelle frasi sospese invece che scavargli la fossa
lo togliessero dai guai, ma ancora una volta si scontrò con la dura
realtà.
-
Sembrava? - Che poi anche a lui non era chiaro cosa era sembrato, a
quel punto…
Zlatan
esasperato e senza più resistere oltre, rispose schietto ed
accusatorio:
-
Cazzo, Alex, sembrava volessi fare chissà cosa! -
Alexandre
si aggrappò come un disperato alla vaga possibilità che non fosse
ancora chiaro cosa intendesse, ma forse questa volta si ostinava lui a
non volerlo vedere perché non aveva la minima idea di come affrontarlo.
Sempre
rigido lì all’ingresso e stringendo lo stipite come un ossesso, chiese
con un filo di voce e quel suo famoso sguardo troppo ingenuo.
-
Tipo? -
Lì
Zlatan ebbe un paio di istinti da galera ma si impose con forza di non
seguirli, alla fine prendendo un profondo respiro tornò a guardarlo e
nel rispondergli ogni cosa fu mandata a quel paese proprio dal modo in
cui lo guardava.
Perché
diavolo doveva fargli quell’effetto il suo sguardo?
Solitamente
le persone così gli erano completamente indifferenti mentre legava
molto meglio con quelli più aperti e risoluti. Lui amava le idee chiare.
Cos’era
quel cosino che gli stava davanti che non sapeva forse nemmeno come ci
si alzava il mattino?
-
Porca puttana, sembrava una cosa che non mi avresti mai proposto! Per
questo mi sono precipitato! Ero convinto ti fossi bevuto il cervello! -
Alexandre
ora capì e nel momento in cui gli fu tutto chiaro ripensò al proprio
messaggio e a cosa era potuto effettivamente sembrare ed andò
ufficialmente nel panico. Non riuscì a spiccicare mezza parola e rosso
come un pomodoro maturo scivolò all’interno della casa coprendosi il
viso con le mani, piantandolo in asso come se fosse solo una visione od
un sogno.
Zlatan
rimase lì imbambolato e senza parole da quella reazione, quindi dopo
qualche secondo dove non ricompariva, si affacciò attento per capire
cosa fare.
Lo
vide appoggiato col viso contro il muro e le mani ancora a coprirselo,
rigido come una corda di violino e probabilmente nel panico più totale
per l’imbarazzo peggiore che avesse mai provato.
Certo
con ‘ti va una cosa a casa mia’ uno poteva intendere di tutto, ma era
proprio quel ‘di tutto’ che lasciava libertà a troppe interpretazioni,
il problema. Anche perché se uno voleva parlare chiedeva ‘ti vanno due
parole?’ o al massimo ‘ti va di bere qualcosa da me?’. Magari avrebbe
pensato male lo stesso ma in quel caso sarebbe stata colpa della sua
mente malata.
Così
Alex era stato troppo equivoco.
-
Alex? - Chiese titubante non sapendo cosa fare.
Dal
ragazzo girato contro il muro della porta aperta vicino all’ingresso,
nessun cenno. Zlatan pensò che dopotutto non poteva lasciarlo così,
quindi entrò e si avvicinò, gli sfiorò la spalla e l’altro sussultò
come se gli avesse tirato un pugno al fianco.
Tolse
subito la mano pensando di aver usato inavvertitamente troppa forza ma
tornò a chiamarlo. Non era bravo in quel genere di cose, lo seccavano
enormemente, non potevano essere così insicuri ed ingenui e non sapere
cosa facevano e affrontare il mondo senza avere la precisa visione
della sua pericolosità.
Come
diavolo viveva quel ragazzino?
Sembrava
davvero non sapere come si facesse…
-
Dai, non importa… capita di far casino e di esprimersi male… - Lui si
riferiva più ad un lato pratico come alla difficoltà tecnica di
comunicazione. Non erano italiani né tanto meno della stessa
nazionalità, di conseguenza poteva essere che ci si capisse male, ma
soprattutto lui all’inizio della sua permanenza in Italia aveva sparato
strafalcioni che avevano sempre fatto ridere i suoi compagni di
squadra.
Peccato
che Alexandre dovesse averlo capito in un altro senso e tirandosi via
dal muro si girò verso di lui tornando a fissarlo con quei suoi grandi
occhi ingenui ed imbarazzati, il colorito e l’espressione colmi di
vergogna certo non l’aiutava e sentendosi una volta di più in
difficoltà davanti a lui, rimase senza parole, turbato, a non saper
cosa fare e come porsi.
-
E’ che a volte do per scontato le cose e penso che gli altri mi
capiscano al volo… so che è da egocentrici ma… - In effetti lo era ma
Zlatan con la visione dell’egocentrismo fatta persona ben chiara in
mente, il vero egocentrismo, si mise a ridere perché quel tipetto ne
era lontano anni luce.
Alexandre
non capì perché ora ridesse e ci rimase male non sapendo come
interpretare tale atteggiamento spontaneo!
Rimase
di sasso a guardarlo ridere e pensò che così non sembrava tanto
inquietante, anzi… lo vide con tutt’altra luce, più rilassante e
amichevole, e gli piacque. Gli piacque perché non era più di un altro
pianeta.
-
Per…perché ridi? - Chiese poi con un filo di voce.
Zlatan
senza esitare rispose subito ancora divertito:
-
Perché conosco uno che è l’egocentrismo fatto persona e ti assicuro che
tu non gli somigli nemmeno vagamente! - Naturalmente si riferiva a José
Mourinho ed aveva ragione a dire che erano completamente diversi!
-
Vuoi dire che non sono egocentrico? -
Chiese
sperandoci.
Zlatan
smise di ridere distratto da quella domanda e cercando una risposta la
diede senza prima assicurarsi che non fosse tragicamente diretta.
-
Sì che lo sei ma in modo diverso da un vero egocentrico. Più che altro
non sai stare al mondo. Sei solo un principino viziato, tutto qua! Non
hai la completa visione di ciò che ti circonda! Per questo spesso fai
cazzate da cui poi i tuoi cavalieri serventi ti devono tirare fuori! -
Con questo dimostrò brutalmente di sapere ogni cosa lo riguardasse,
come se fosse stato attento a quello che gli era capitato o se si fosse
magari anche informato.
Alexandre
rimase senza parole, rigido come un manico di scopa a fissarlo con
quello sguardo da bambino impressionato sull’orlo di uno scoppio
colossale. Zlatan pensò che gli mancava poco per vedergli tremare il
mento e spaventato dall’idea che si mettesse veramente a frignare alzò
le mani in segno di scuse, cercando di rimediare un pessimo tiro.
Dannazione,
a volte doveva pensare le cose prima di dirle. Non lo conosceva bene,
non sapeva come poteva prenderle.
Anche
se… ci arrivò solo dopo.
Che
gliene fregava se le prendeva bene o male?
Normalmente
se ne sbatteva sempre. Ora perché no?
-
Scusa, ecco, ora forse mi sono espresso male io. - Il massimo che aveva
saputo fare. Questo però basto al più piccolo che tornando a respirare
lo guardò meno spaventato ed impressionato.
Ora
i suoi occhi avevano una dimensione accettabile.
-
Immagino che da qualche parte ci fosse un sottinteso che per te era
ovvio e per me no… - Disse con un ragionamento un po’ contorto come gli
capitava spesso di farne.
Zlatan
lo fissò interrogativo non avendo ben chiaro che diavolo intendesse, ma
non avendo la minima intenzione di cacciarsi ulteriormente nei guai,
annuì con vigore:
-
Eh sì, proprio così… - Sperando che non gli chiedesse i particolari di
ciò che intendeva.
Così
fu per sua fortuna.
-
Bè, comunque volevo solo fare due chiacchiere con te… cioè non ti avrei
rotto le scatole però ne avevo davvero bisogno e tu… - Ma al momento di
dirgli perché lui, proprio non seppe più proseguire.
Zlatan
avrebbe dannatamente voluto sapere perché, ma al preciso istante in cui
glielo stava per chiedere sfacciato e perentorio, dei fari illuminarono
il vialetto della sua villa interrompendoli.
Alexandre
uscì di casa per vedere chi fosse arrivato e Zlatan imprecò nel sentire
la voce ormai nota di Barbara Berlusconi. La ragazza di Alexandre
nonché il suo gran capo.
Non
si spiegò lì per lì perché tanto fastidio, si disse solo che avrebbe
dato non so cosa per avere quella risposta.
Perché
aveva chiamato lui alla fine per parlare?
E
di cosa?
Ma
quando li vide scambiarsi un bacio sulla porta, capì che ormai sarebbe
stato di troppo e senza fare la minima piega o dimostrare di voler
proseguire il dialogo, li salutò sbrigativo e prima di dar loro tempo
di dire o fare qualunque altra cosa, se ne andò in fretta.
Qualunque
cosa fosse successa, entrambi ci pensarono a lungo senza naturalmente
venirne a capo.
Troppo
confusa, piccola e tenue per comprenderla già allora.