CAPITOLO II:
ALEXANDRE E ZLATAN


zlato

Solo quando lo guardò negli occhi, sceso dalla macchina e arrivatogli davanti, Alexandre si rese conto che non aveva più la minima idea di che cosa avrebbe potuto dirgli.
Non solo, pur volendo seguire il consiglio di Antonio -ma chi mai poteva chiedere consiglio a lui su qualcosa?!- sul parlare di quello che gli veniva in mente, non poteva perché… bè, in testa non aveva assolutamente nulla.
Improvvisamente il vuoto più nero.
Nel panico più autentico esistente, lottò seriamente con la voglia di scappare e piantarlo lì però si aggrappò alle buone maniere. L’aveva invitato lui, anche se sotto costrizione, ora qualcosa doveva tirarla fuori.
Doveva per forza.
- Che c’è? - Chiese Zlatan come al solito diretto non avendo voglia di aspettare i suoi comodi -che sarebbero consistiti nel farlo riprendere dallo shock d’averlo davanti.-
Alexandre lo fissava coi suoi occhi grandi e neri leggermente a mandorla che gli donavano un’aria esotica deliziosa.
Si capiva che era in confusione ma dannazione, se gli chiedeva di passare, magari poteva sforzarsi, no?
- N-nulla… - Cominciò incerto e balbettante facendo forza su sé stesso.
Zlatan alzò gli occhi al cielo. Non riusciva a sopportarli quelli così insicuri e timidi. Possibile che quello a ventidue anni appena compiuti fosse così spaventato del mondo?
- E perché diavolo mi hai chiamato? - Chiese sbottando spontaneo con un tono alquanto aggressivo. Non voleva essere brutale o spaventarlo, ma non era davvero bravo a controllarsi. In campo erano epici i suoi scoppi d’ira!
Vide nell’immediato Alexandre farsi ancora più piccolo -e rispetto a lui sembrava già una pulce- e fissarlo addirittura terrorizzata.
Sbuffò ed alzò ancora gli occhi al cielo imprecando fra sé e sé -cosa che comunque era fin troppo evidente- e maledicendosi per essere venuto, si chiese anche perché poi l’avesse fatto.
- Vuoi… vuoi entrare? - Chiese timido Alexandre sforzandosi.
Voleva legare, si ripeteva all’infinito mentalmente ricordando il dialogo illuminante -o incasinato- con Antonio. Voleva legare con lui. Il motivo era ambiguo ma non contava, di certo da qualche parte c’entrava il calcio, poi forse c’era anche del personale. Non importava.
L’obiettivo era uno e non doveva perderlo di vista.
Voleva legare con lui e quello era l’unico modo, parlargli e stargli davanti per più di un minuto fuori dal campo!
“Bè, a questo punto…”
Si disse Zlatan sospirando ancora ed entrando in casa del ragazzo.
Si fermò all’ingresso. Non era mai stato dentro, cioè l’altro giorno non ci aveva poi fatto caso. Aspettando che gli indicasse dove andare e cosa fare, si perse nell’enorme atrio spropositato. Non che casa sua fosse più piccola, ma non aveva fatto spese folli non sapendo, quando era venuto a Milano, quanto si sarebbe fermato quella volta.
Quel ragazzino sembrava intenzionato a fare radici in quella città. A lui, solo dopo il primo anno con quel club, il pensiero cominciava appena a sfiorarlo, il che non significava che poi sarebbe stato così. All’inizio si trovava bene in ogni squadra, non significava nulla!
Spostò lo sguardo inquisitore sul brasiliano ancora fermo accanto a fissarlo dal basso come avesse accanto un gigante-orco e alzando le sopracciglia in segno di quesito fin troppo evidente per essere pronunciato, Alexandre si riscosse.
- Sì, da questa parte, il soggiorno è di là! -
Disse ricordandosi che lui non era mai stato lì come invece praticamente tutti gli altri compagni di squadra.
Thiago e Roby ci avevano praticamente fatto le radici!
Zlatan seguì il compagno di squadra perdendosi a guardare il buon gusto con cui qualcuno gli aveva arredato casa, quindi notando che i cuscini del divano erano un paio a terra, capì che qualcuno se ne era appena andato.
Non chiese niente, non erano affari suoi ed oltretutto non gli interessava. Solo non voleva essere interrotto di nuovo da un momento all’altro dalla reginetta dell’anno.
Sedendosi chiese subito con ironia mentre lo vedeva trafficare nel piano bar che aveva in soggiorno:
- Spero questa volta tu abbia abbastanza tempo! -
Alexandre però non colse né l’ironia né il sottinteso e non capendo a cosa si riferisse, andò alzò lo sguardo interrogativo:
- Perché? -
Zlatan scosse il capo ridacchiando.
“Antonio ha ragione, dannazione! È autentico! Non lo fa di proposito, gli viene naturale!”
- Se appena cominciamo a parlare arriva la tua ragazza evitiamo di partenza, odio essere interrotto. - E mentalmente aggiunse: “Sul più bello!”
Che quella volta fossero arrivati sul quel più bello era ormai inconfutabile.
Alexandre arrossì, chissà per quale arcano motivo, e irrigidendosi si grattò la nuca arruffandosi ulteriormente i ricci neri.
- No, oggi ha da fare, non verrà. -
Zlatan si sentì assurdamente sollevato e quando liberò involontariamente un’espressione più serena e rilassata, anche Alexandre si sentì meglio e smise di uccidersi con l’ansia.
Fu strano e nel momento in cui tornò a scattare quel preciso meccanismo dell’altro giorno, sembrò come se non si fossero mai interrotti, qualunque cosa fosse poi successa.
- Cosa vuoi bere? I miei amici mi forniscono di tutto l’impossibile, sai, essendo spesso qua e non potendo vivere senza le loro bevande preferite, portano direttamente quello che vogliono e lo lasciano qua, così ho sempre tutto! Sono fornitissimo. -
Fu subito chiaro che Alexandre quando era imbarazzato ma non ai livelli del panico, parlava a macchinetta ed istericamente tantissimo.
Zlatan rise sotto i baffi e divertito da quel ragazzino che si stava violentando da solo, si chiese perché mai dovesse avere così timore di lui, mica gli aveva mai gridato contro!
- Una birra va benissimo! - Disse alzando le spalle, non gli interessava bere ma sapere che diavolo avesse da dirgli di tanto importante da chiedergli ben due volte in pochi giorni di vederlo.
Proprio a lui!
Era davvero motivo di profonda curiosità persino per uno notoriamente menefreghista come lui.
Alexandre ne prese due considerando che prima con Antonio non aveva bevuto nulla, quindi tornando a sedersi nella stessa postazione, sulla poltrona a distanza di sicurezza da Zlatan sul divano, gliene porse una. L’altro la prese e cominciò a sorseggiarla fissandolo insistente aspettando i suoi comodi con una pazienza che ormai andava via via assottigliandosi sempre più.
Sguardo coraggiosamente ricambiato.
Dopo un paio di secondi eccessivamente lunghi passati così a fissarsi silenziosi entrambi in attesa che parlassero, Zlatan sbottò stufo:
- Bé? - Alexandre sussultò.
- Sì? -
- Come sì! Alex, mi hai fatto venire per parlare e questa volta sei stato chiaro, ma di che diavolo devi parlarmi? -
Il brasiliano tornò ad agitarsi e mordicchiandosi il labbro resistette all’istinto di scrivere ‘aiuto’ ad Antonio.
- Oh niente di che… così, due chiacchiere… -
A Zlatan, che in quel momento stava bevendo seccato, gli andò di traverso la birra e cominciando a tossire lo guardò stralunato. Non era certamente uno da quattro chiacchiere così come venivano… nessuno dei due, in effetti. Cioè, non insieme!
Con Antonio parlava senza il minimo problema ma era prevalentemente l’altro che lo faceva.
Alla fine si stabilizzò e notando i vari coloriti del suo delizioso viso imbarazzato, non poté che apprezzare quel suo stato d’animo tanto in subbuglio per lui. Probabilmente stava solo cercando di legare, tutto qua, ma era così impacciato che invece di infastidirlo come sarebbe stato normale provò l’insano istinto di metterlo ancor più in difficoltà e torturarlo ulteriormente. Se pensava che fosse stato difficile fino a quel momento, avrebbe dovuto vedere ora!
Allungò le chilometriche gambe davanti a sé ed incrociando i piedi si rilassò mettendosi a suo agio, tutto l’opposto dell’altro che se avrebbe potuto si sarebbe attorcigliato fino a non riuscire più sciogliersi da solo.
Mancava solo che si tirasse su le ginocchia contro il petto abbracciandosele.
- L’altro giorno sembrava avessi qualcosa in particolare da dirmi… -
Alexandre preso alla sprovvista cercò di ricordare a ciò che si riferiva e riuscitoci diventò un pomodoro. Quel giorno era stato devastante. Prima il panico per il proprio infortunio, poi quello per trovarsi Zlatan davanti invitato proprio da sé stesso e come se non bastasse c’era stato pure l’equivoco del messaggio.
- Davvero? - Chiese fingendo di fare lo gnorri.
Zlatan alzò un sopracciglio scettico.
“Vuole davvero giocare con me al finto ingenuo? Cioè, davvero pensa che non mi accorga quando è autentico e quando ci marcia? Pensa veramente che sia capace di giocare con me così?”
Non scoppiò a ridergli in faccia per miracolo e pensando che a quel punto se l’era voluta lui, pestò il suo enorme piede nella piaga di proposito. Se l’era cercata.
- Sì, eravamo faticosamente arrivati al ’perché hai chiamato me!’ -
Alexandre che era riuscito a risollevarsi di poco, si trovò scaraventato di nuovo giù all’inferno e guardandolo boccheggiò non avendo la minima idea di cosa dirgli.
La verità?
Sì, e quale era?
Non bastandogli più le labbra da mordicchiare, cominciò nervosamente con le unghie già corte ed in un movimento particolarmente brusco si dimenticò della birra che si spanse un po’ sui vestiti. Imprecando nell’agitazione più totale rimase a guardarsi la larga chiazza sulla maglia bianca in pieno petto.
Zlatan ghignò divertito. Non doveva involontariamente sfidarlo.
Si sporse e gli prese la bottiglia di mano, la posò insieme alla propria nel tavolino e pensando d’aver a che fare con suo figlio gli porse un fazzoletto.
Alexandre che ancora non capiva niente per una serie di motivi uno più evidente dell’altro, fra cui tutti quei quasi contatti con Zlatan, lo fissò spaesato non sapendo cosa dovesse poi farci con quel pezzo di carta.
- Pulisciti? - La birra infatti gli era caduta anche sul braccio ed indicandoglielo Alexandre mormorò un ‘oh’ come se si svegliasse solo ora.
Era seccante, snervante eppure al tempo stesso divertente.
Solo ora riusciva a capire tutti gli interminabili discorsi di Antonio su quello che tutti chiamavano il Papero.
Stimolava sentimenti contrastanti, ma quello che lo colpiva maggiormente era proprio che sostanzialmente lo stimolasse.
Cioè, alla fine risultava in qualche modo interessante pur non l’avrebbe mai pensato possibile.
Alexandre si pulì il braccio poi si guardò la maglia e sospirò:
- Mi… mi cambio un attimo… - Non era tipo da stare bagnato o sporco, figurarsi puzzolente di birra!
Fu così che alzandosi di scatto fu fermato da Zlatan che gli tirò al volo una maglietta che gli finì sulla testa:
- Tieni, era qua dietro… - E non indagò su cosa ci facesse una maglia fuori posto in casa di un principino, ma non gliene importò seriamente.
Il ragazzo si fermò e la guardò, colto di sorpresa la riconobbe:
- Oh, ma è di Roby! -
- Chi? - Fece interessato l’altro.
- Robinho… -
- Oh… - Non lo chiamava mai così. Bè, non lo chiamava mai in effetti, ma era perché quando parlava con qualcuno gli andava davanti e lo faceva fissandolo negli occhi, non serviva chiamare nessuno. Oppure gridava un tonante ‘ehi’ e tutti si giravano, anche l’interessato!
- Dev’essere della scorsa settimana… - Era da un po’ che non passava, in effetti, ma non si ricordava avesse lasciato lì la sua maglia. Che ci faceva?
- E lascia normalmente i suoi vestiti da te? -
- Non solo lui se è per questo… anche Thiago, quando dormono qua non lo fanno mica vestiti. Poi la mattina si prendono i miei perché sono fissati e non mettono mai gli stessi della sera, anche se magari li hanno messi solo per un’ora… -
Spiegò Alexandre trovandosi più a suo agio a parlare dei suoi amici con cui era praticamente inseparabile. Non notò minimamente lo sguardo attento di Zlatan.
Non che ci fosse qualcosa di male ma non avrebbe mai immaginato che la sua vita sociale godesse di tanta ottima salute. Non che in effetti sapesse molto di lui… anzi…
- E ti lasciano i suoi per uno scambio equo? -
Alexandre rise non captando l’ironia, quindi togliendosi la propria maglia lì dov’era, rispose mentre se la passava sul petto per togliersi le tracce di birra dalla pelle:
- No, semplicemente se le dimenticano, anche perché spesso le mollano in parti impensate della casa… -
Dopo di che, sotto gli occhi penetranti di Zlatan che ancora non si era mosso dal divano, se la mise.
Era nera e attillata. Trovò che gli donasse molto ma che comunque il bianco per lui fosse meglio.
Fu un pensiero veloce contrastato dalla prima cosa che gli venne su per non dare ulteriore seguito ad un idra tanto assurda quanto insolita:
- Ma te la metti lo stesso? -
Alexandre rise di nuovo magicamente rilassato.
- Non è sporca, sono solo loro idioti a cambiarsi troppo spesso! Sapessi quanti vestiti ci siamo scambiati in questo modo perché non mi hanno più ritornato i miei ed io così ho cominciato a mettere i loro… - Informazioni interessanti, pensò Zlatan distrattamente. Per quale motivo lo fossero non gliene importava, erano comunque interessanti; gli stavano dando un’idea piuttosto precisa del ragazzino. Un’idea che dopotutto non gli dispiaceva.
Era uno tutto da scoprire ma sostanzialmente molto divertente a modo suo, non come magari lo era Antonio che ti faceva ridere perché sparava cazzate. Era divertente perché sembrava un alieno fra i terrestri.
Quando fece per sedersi di nuovo in poltrona, notò che era riuscito a bagnare anch’essa, quindi sbuffando si spostò sul divano, accanto a Zlatan, e senza rendersene conto fece il primo vero passo verso di lui.
Nel realizzarlo capì che Antonio aveva ragione nel dire che non importava di cosa gli parlasse ma che bastava farlo. Iniziare era la parte più difficile ma poi era più facile.
Ora sentiva che avrebbe anche potuto dire qualcosa di più serio e consistente di un paio di cavolate prive di senso.
Si girarono col busto per potersi guardare nel parlare e Zlatan riprese in mano il discorso con disinvoltura:
- E dunque? Eravamo rimasti al ‘perché io?’ - Alexandre per poco non tornò nello stato di prima ma si impose di rimanere lì e non sparire sulla luna a nascondersi.
- Perché tu cosa? - Ma lo sapeva perfettamente e l’altro con un sorriso poco raccomandabile, l’accontentò stando al suo gioco.
- Perché volevi parlare proprio con me. Cioè, non cosa hai da dirmi, ma perché io. Capisci il senso? È chiaro o ci sono troppi doppi sensi o sottintesi non detti che considero solo io e tu fraintendi? - Stronzo ci era nato ma acido ci era diventato!
Alexandre si oscurò sentendosi evidentemente preso per il culo, la cosa non gli piacque, né a lui né al suo ego, quindi non sapendo di preciso cosa dire gli rispose stizzito con un broncio deliziosamente infantile:
- E’ chiaro, non sono idiota sai! L’altro giorno ero nel panico perché avevo appena parlato col medico e fatto due conti su tutti i miei stop nel giro di due anni, quindi avevo bisogno di parlare con qualcuno ma tutti quelli con cui di solito lo faccio erano impegnati, così ho pensato che magari poteva essere un’occasione per legare un po’ con te, visto che mi terrorizzi come se fossi uno yakuza! Ti ho scritto quasi senza pensarci e nello stato in cui ero sarei saltato nella fossa dei leoni senza rendermene conto! Figurati se sapevo cosa stavo facendo o se potevo pensare a cosa stavo scrivendo! Non l’ho fatto con nessun doppio senso sporco o strano! Però visto che poi mi è passata se sapere perché ho chiesto a te è più importante di sapere che cosa avessi quel giorno, allora bè, questa è la risposta! Ora puoi andare se non ti interessa creare un minimo di rapporto con me! Non sei obbligato, abbiamo fatto un anno così perché non farne un altro! - Seccato, ironico, acido ed anche visibilmente arrabbiato nonché offeso e punto sul vivo. Ecco che era esploso. Troppe cose da controllare e trattenere, troppi motivi d’agitazione ingoiati, troppe voglie di scappare non accontentate ed ora la scintilla era scattata. Perché andava bene un po’ ma essere presi così tanto per il culo non gli piaceva!
Poteva essere ingenuo e lento di comprendonio e magari anche poco coraggioso e timido, ma non si meritava di avere a che fare con uno stronzo simile!
Gli fu cristallino il motivo per cui non avevano ancora legato e perché non sarebbe poi successo.
Senza aspettare una risposta, appena finito la sfuriata Alexandre si alzò dal divano per andare altrove nella sua enorme villa ma fu subito fermato dalla mano forte di Zlatan che lo prese per il polso un istante prima che fuggisse via da lì. Lo trattenne e lo obbligò a risedersi nel divano, solo che lo tirò con un po’ troppa forza e Alexandre si sentì ributtare brutalmente giù, cosa che lo spaventò istintivamente. Dopo lo scatto d’orgoglio non era pronto ad altro e rigido come una statua rimase immobile a fissarlo rendendosi conto che ora era anche più vicino di prima.
Rimase a bocca aperta a fissarlo di nuovo coi suoi grandi occhi sgranati in bilico fra il terrore e lo shock. In ogni caso a Zlatan uscirono i sensi di colpa, momento storico per uno come lui.
Alzò infatti le mani in segno di pentimento e di scuse e imprecando mentalmente pensò a cosa fare per calmarlo. Forse aveva esagerato ed ora era stato lui quello frainteso.
Gli capitava spesso, in effetti… per questo subiva tante espulsioni ingiuste!
Ma perché i suoi modi di fare dovevano sempre essere presi male?
- Scusa, non volevo essere stronzo ma solo alleggerire la situazione… insomma, ti ho visto teso e… - Poi gli tornarono tutte le mille parole sparate velocissime e impetuose e corrugando la fronte incredulo, chiese: - Sembro uno yakuza? - Dopo si ricordò di un altro passaggio: - Ti terrorizza tanto? - Poi: - Doppio senso sporco?! Cioè, chi ti ha spiegato cosa avevo capito? - Ed infine: - Perché solo un altro anno? Pensi di andartene? - Ignorò completamente l’invito a levare le tende e nel fargli l’ultima domanda si era involontariamente avvicinato a lui per capire quell’uscita che non gli era per niente piaciuta.
Di nuovo non controllò la sua troppo spontanea mimica facciale e di nuovo apparve più truce di quanto non fosse. Di nuovo, quindi, Alexandre si inquietò appoggiando la schiena dietro di sé per allontanare il viso dal suo troppo vicino e troppo terrorizzante.
Non era una questione di bellezza o bruttezza -oddio, non era mister universo, Zlatan!- quanto proprio di modi ed espressioni.
L’altro si accorse del suo nuovo terrore nello sguardo estremamente espressivo e imprecando si raddrizzò per dargli respiro.
- No che non voglio andarmene, che dici… - Fece allora Alexandre captando poi solo quello dalla sua raffica di domande. Bè, e le scuse naturalmente.
Scuse molto gradite anche se strane poiché non sembravano tali…
Entrambi si imposero di calmarsi e controllarsi, soprattutto uno di non dare l’idea di un killer all’altro che invece cercava di non scappare.
Era adulto, si ripeteva Alexandre, doveva dimostrarlo. Quello era il momento. Non l’avrebbe ucciso.
Cercò di ricordare le parole di Antonio ma non fu facile, il panico cercava di inglobarlo ignobilmente.
- Hai detto che abbiamo fatto un anno così possiamo farne un altro… -
Fece modulando la voce con un tono cauto.
- E questo suonava equivoco? - Chiese Alexandre altrettanto cauto con ancora il cuore che voleva uscire dal petto per lo spavento. Per un momento aveva pensato che lo volesse picchiare, ma vedendo che cercava di controllarsi e suonare vagamente gentile, o per lo meno cercava di chiarire, doveva per lo meno concedergli il beneficio del dubbio.
- Sì! - Esclamò di nuovo impetuoso Zlatan tornando ad avvicinare il viso al suo. Alexandre scivolò leggermente di lato per allontanarsi, o l’ansia l’avrebbe ucciso.
- N-no… io… non intendevo che me ne andavo alla fine di questo anno… intendevo… cioè… prima o poi riusciremo a legare, no? - finì per spiegarsi più eloquente e sincero che mai. Fu quanto più chiaro poté per non creare altri fraintendimenti e questo Zlatan lo apprezzò. Almeno ora sapeva cosa pensava, cosa voleva e cosa cercava di fare con quei tentativi goffi di parlargli!
Goffi e buffi.
Bè, anche simpatici a volte.
Ed un pochino deliziosi, anche se spesso snervanti.
- Bè, dai… spero anche meno di un anno… - Fece altrettanto spontaneo non capendo proprio che problema ci potesse essere con lui. Era assurda questa visione che il mondo aveva di lui. Ok era un tipo diretto, però da lì ad averne paura ce ne passava!
- Non so… - Mormorò smarrito. Non sapeva cosa dire ma non voleva far morire l’argomento, gli sembrava fosse un momento decisivo, però ancora un po’ che si fosse avvicinato e sarebbe caduto completamente giù, faticava infatti a stare ancora su senza dare l’idea di voler scappare a gambe levate. E poi era un uomo, ogni tanto doveva cercare di dimostrarlo.
Ogni tanto, almeno un po’.
- Ma cos’è che ti spaventa tanto di me? - Chiese col suo solito fare senza peli sulla lingua, sforzandosi di non essere troppo brusco. Alex notò il tentativo e l’apprezzò ma non riuscì a sorridere e ad ammorbidirsi.
Ci pensò ma la mente era ancora nel caos, per non dire quanto batteva il suo cuore, ancora.
Alla fine disse la prima cosa che gli venne in mente.
- Sei… alto! -
Ma per Zlatan fu il colpo di grazia e non riuscendo più a contenersi gli si avvicinò di nuovo istintivo:
- Alto?! E questo che diavolo c’entra con la paura? - Ecco fatto, i nervi gli cedettero e spostandosi ulteriormente di lato col solo busto per spostarsi dal suo viso inquietantemente troppo vicino, cadde ignobilmente giù sul divano e Zlatan per la sorpresa per poco non gli finì sopra. Si tenne sulla mano appoggiata all’ultimo sul cuscino accanto alla sua testa, quindi per poco non lo schiacciò. Poco cioè un paio di centimetri.
I due a quel punto si guardarono trattenendo il fiato e rimasero fermi immobili per qualche istante, il tempo per Alexandre di mormorare con un filo di voce, rossissimo in viso:
- Cosa… fai? - Che uno normale avrebbe pensato volesse saltargli addosso era un conto, che poi Zlatan non voleva farlo ma sarebbe stato solo frainteso era un altro, ma che Alexandre non ci arrivò in nessun caso per niente, era davvero roba da film fantasy!
A questo punto Zlatan avrebbe avuto molte opzioni. Divertirsi ancora e prenderlo per il culo fingendo di star facendo quello che chiunque avrebbe pensato e che lui non contemplava, ovvero provare a farselo; rigirargli la domanda per sapere da lui che diavolo gli fosse venuto in mente di stendersi improvvisamente a quel modo; oppure magari dirgli solo la verità, ovvero che nell’impeto del discorso che l’aveva fatto avvicinare gli era venuto spontaneo seguirlo fin giù.
Alla fine scelse una via di mezzo.
- E tu che diavolo fai? - Che era poi quello che gli interessava sapere. Insomma, stavano parlando di una cosa importante, che cavolo si buttava giù a fare?
Alexandre arrossì ancora di più, ormai sarebbe stato difficile tornare del suo colorito normale. Gli occhi sgranati erano addirittura lucidi e non per le lacrime ma per il forte imbarazzo, quindi col cuore in tachicardia e un nodo in gola che gli impediva di parlare, si coprì la bocca con la mano senza pensarci, perando che non gli chiedesse il motivo perché non avrebbe saputo cosa dire!
Ma figurarsi se Zlatan poteva avere pietà di un essere umano!
- Ed ora che cazzo fai? - Che pensasse veramente gli stesse saltando addosso? Al suo silenzio cominciò a pensarlo a tirandogli via le mani dalla bocca tenendolo per i polsi, disse: - Guarda che non ci sto provando con te! Sono caduto perché ero preso dal discorso e tu sei andato giù improvvisamente e siccome ti stavo seguendo ti sono andato istintivamente dietro. -
A quel punto Alexandre trovò il fiato per chiedere piano piano:
- E perché non ti alzi? - Effettivamente, si rese conto lo svedese, sembrava ci stesse davvero provando con lui. La posizione non era equivoca ma molto peggio, però…
- Ma tu cosa pensavi facessi? - a quel punto la domanda era d’obbligo perché era quasi sicuro che non avesse pensato quello che invece sembrava fosse accaduto. Cosa comunque falsa.
- Non lo so… - Ed era vero, Zlatan capì che era sincero anche perché in condizioni simili non aveva proprio la forza di mentire. Posto che comunque non sarebbe stato credibile comunque perché lui e l’ingenuità erano nati insieme e mai più separati! - Ma ti puoi alzare? - Chiese sempre con quel filino di voce che lo fece apparire ancor di più bambino.
Zlatan allora si rese conto che gli stava ancora sopra e gli teneva i polsi per guardarlo in viso, ma soprattutto si rese conto di essergli molto vicino col volto, così tornando in sé si alzò di scatto lasciandolo andare.
Alexandre rimase giù passandosi le mani sulla faccia, imbarazzato e mentalmente sfinito, ecco come si sentiva.
Provare a legare con lui era la cosa più faticosa e sfibrante che avesse mai provato a fare!
- Ehi! - Borbottò secco facendolo sussultare. Si allargò le dita creando delle fessure per vederlo, sembrava proprio un bimbo terrorizzato e Zlatan non riuscì più a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Cominciò rumorosamente e di gusto premendo la nuca all’indietro, sullo schienale, quindi continuò strofinandosi gli occhi che minacciavano di lacrimargli.
Quel ragazzo era la creatura più divertente che avesse mai visto!
In molti erano intimoriti da lui, ok, non capiva perché ma lo sapeva ed ormai ci conviveva. Ma nessuno ne era puramente terrorizzato!
Alexandre rimase ancora mezzo steso sul divano, aveva le gambe giù sul tappeto mentre il busto tutto storto ed ora con le mani completamente tolte dal viso lo fissava stranito e ammutolito.
Che razza di reazione era quella?
Dopo una serie di equivoci spaventosi, sganasciarsi dal ridere non era certo normale.
Quando si chiese se per caso non stesse ridendo di lui, si seccò ma subito fu distratto dalla luce diversa che lo attorniava mentre si divertiva tanto e capì quello che aveva cercato di dirgli Antonio prima.
Era una persona come tante, per lo più fraintesa per i modi un po’ più diretti e duri degli altri, ma fondamentalmente le reazioni erano quelle che avevano tutti. Se lo infastidivi reagiva male, se lo facevi divertire, rideva, se gli parlavi, ascoltava!
Proprio come tutti!
Fu così che si tirò finalmente su e ancora vagamente spaventato cercò di lasciar correre la stizza per tutte quelle risa a sue spese!
Alla fine quello che contava era che sostanzialmente veniva solo frainteso perché aveva dei modi particolari di fare. Magari non era uno effettivamente paziente, morbido e dolce, ma non era nemmeno un mostro cattivo.
Proprio come lui… veniva frainteso perché non si spiegava bene, perché dava tante cose per scontate, perché pensava che tutti ragionassero come lui… perché sì, insomma.
Allora, magari, poteva smettere di avere tanta paura e cominciare a fare proprio come Antonio gli aveva suggerito.
Parlarci e basta!
- Allora, stai meglio? - Chiese Alexandre vedendo che finalmente smetteva di ridere. Era più fermo e tranquillo. Vederlo ridere a quel modo l’aveva effettivamente aiutato molto.
- Sì grazie, e tu? Sei ancora terrorizzato? Devo spostarmi? Chiedo in anticipo scusa per tutti gli infarti futuri, ma ho un modo di parlare e di fare che è particolarmente deciso. Oltretutto tendo effettivamente all’irascibilità ed essendo uno ‘alto’ se mi arrabbio faccio molta scena. Ma se pensi di riuscire a sorvolare su tutti questi dettagli mostruosi, possiamo provare ad instaurare un rapporto, non so… a parlarci, almeno. Intendo al di fuori del campo e del calcio. - Lo disse di nuovo col suo piglio ironico e acido, proprio come aveva fatto prima quando l’aveva visto rilassato. Peccato che poi avesse reagito peggio che mai infuriandosi permaloso.
Si morse la lingua pensando di averne fatta un’altra e per un momento si sentì in campo davanti ad un arbitro, quelli che lo fraintendevano sempre e costantemente.
Quando però lo vide sorridere sorprendentemente, si rilassò subito pensando che forse questa volta ce l’aveva fatta.
- Penso che posso sforzarmi di non morire, questa volta, sì… se tu terrai in considerazione che non so leggere nel pensiero e che spesso non capisco al volo le cose. -
- Guarda, al massimo posso ricordarmi che sei un fifone, per il resto non ti prometto niente! - Esclamò alzandosi e stiracchiandosi con un ghigno soddisfatto sul viso. Sentendolo fare altrettanto capì che non se l’era presa e pensando che fosse il primo miracolo del pomeriggio, guardò l’ora.
- Devo andare, è tardi… - Alexandre guardò a sua volta l’orologio per la prima volta e realizzò che era vero. Gli rimase sulla punta della lingua la proposta di invitarlo a rimanere ma non lo fece, limitandosi ad accompagnarlo alla porta.
Per quel giorno era anche troppo, di conquiste ne aveva fatte, per il resto doveva fare un passo per volta.
Prima di andarsene, sulla porta aperta, Zlatan si fermò e si girò per salutarlo, Alexandre non aspettandoselo gli andò addosso e si scontrò col suo eccessivamente duro torace. Fu il proprietario di tale corporatura muscolosa che se lo staccò di dosso tenendolo per le braccia, poi prima di lasciarlo andare lo guardò.
- E’ stato piuttosto piacevole. Il resto direi di affrontarlo un altro giorno, ok? - Più chiaro e diretto di così non avrebbe potuto essere, ma per lo meno non ci furono più spazi per fraintendimenti vari.
Alexandre annuì con un mezzo sorriso ed uno sguardo comunque confuso, dopo di che lo lasciò andare e fece per andarsene. Davanti alla macchina si fermò e tornò a guardarlo.
- Prima di me è passato Antonio, vero? - Chiese sapendo benissimo che era così. Alexandre curioso chiese:
- Come fai a saperlo? -
Zlatan ghignò:
- Solo lui ti avrebbe spiegato precisamente cosa avevo capito con quel messaggio e poi ti avrebbe obbligato a farmi venire qua oggi! - Ed era proprio vero, perché l’unico impiccione capace di far fare qualunque cosa a chiunque, era proprio lui. Così come era stato uno dei primi a farlo ridere lì al Milan.
Talenti naturali, pensò.
Ognuno aveva i suoi.
Quel ragazzino non faceva eccezione.
Di sicuro oltre al saper giocare bene a calcio di qualità ne aveva a sua volta, magari nascoste, ma ne aveva.
Curioso di scoprirle, salì in macchina sorridendo sornione, immaginando che presto ne sarebbero uscite delle belle.
Sgommando via dal vialetto con ancora Alexandre fermo sulla porta a fissarlo con un’espressione incomprensibile, scrisse subito un messaggio ad Antonio:
‘2 a 0 per te!’
Un punto per aver avuto ragione su Alexandre ed uno per aver avuto ragione su di lui.
Il terzo punto doveva ancora segnarlo, avrebbero visto prossimamente visto che per il momento l’ultima delle sue tre previsioni non si era ancora avverata.
La prima era stata che Alexandre l’avrebbe fatto ridere come un matto mentre la seconda era stata che quei due semplicemente si fraintendevano e che il ragazzino aveva solo paura di lui e niente altro.
La terza c’entrava col rapporto che entro la fine dell’anno avrebbero instaurato.
Un rapporto che Antonio aveva descritto con dovizia di particolari lì per lì visti come i più assurdi mai sentiti.
Certamente quando gli aveva detto ‘scoperete come ricci’ l’aveva fatto ridere convulsamente prendendola per una cazzata, ora era diventata una previsione.
Ma si sarebbe effettivamente realizzata?
Intanto quello che sapeva era che si sentiva insolitamente contento per aver fatto quel passo verso il ragazzino, cosa che prima di quel momento non avrebbe minimamente pensato possibile. Cioè di sentirsi contento per una cosa simile.