CAPITOLO XXIV:
ZLATAN E ALEXANDRE

zlato



Aveva la mente completamente vuota, non aveva la minima idea di come fare quello che gli aveva suggerito Thiago. Sapeva che aveva ragione e che doveva vederlo a tutti i costi, ma come dimostrargli che andava tutto bene e che ne valeva la pena?
D’altronde lui stesso non si era mai fatto quella domanda, doveva ammetterlo… si era buttato a capofitto in quella storia senza pensarci molto, una volta che gli piaceva stare con Zlatan e gli piaceva soprattutto come lo faceva sentire, aveva logicamente dedotto che, semplicemente, gli piaceva lui, quindi che problema c’era?
Aveva creduto che fosse così anche per lui, gliel’aveva messa in modo tanto semplice quando ne avevano parlato che aveva pensato non ci fossero problemi dietro. Invece aveva paura.
Si fermò davanti a casa sua e prima di scendere esitò corrucciato.
Era così assurdo che ne avesse proprio uno come Zlatan, così grande e grosso. Era lui di solito a far paura agli altri. Probabilmente era un altro dei famosi stereotipi a cui finiva per credere chi non andava mai oltre un certo livello. Si reputò superficiale fino a chiedersi se dopotutto fosse lui all’altezza dell’altro la cui profondità era tale da spaventarsi davanti ai sentimenti seri.
Ma Thiago era stato chiaro e nemmeno volendo poteva fraintenderlo.
Aveva paura dei legami ed ora stava allentando perché cominciava ad affezionarsi troppo, più di quanto non avesse messo in conto.
Sospirò.
Qualunque cosa potesse dirgli dubitava sarebbe mai servita e comunque cosa? Cosa dirgli?
Non era bravo a parole, non si era mai reputato tale ed anche se non aveva coscienza di sé era sicuro che a livello confidenziale fosse un autentico disastro.
Non riusciva a vedersi, perché in realtà non era una frana come era convinto di essere, capiva il livello interiore altrui in poco ed anche se era lento di comprendonio e pesantemente ingenuo, questo non toglieva che sapeva cogliere i punti dolenti degli altri con facilità e cosa ancor migliore indovinava gli approcci più giusti, senza saperlo lui stesso.
Pensando che non fosse il caso di presentarsi fisicamente alla sua porta di casa, gli scrisse un messaggio nella speranza che uscisse e sospirando attese appoggiando la testa all’indietro, sul sedile.
Cosa dirgli? Come fare?
Non ne aveva la minima idea.

Quando Zlatan ricevette il suo messaggio lo trovò particolarmente categorico, non fu quindi ciò che c’era scritto, un semplice ‘esci’, ma proprio il tono che colse.
Quasi un ordine.
Normalmente mandava a cagare chiunque gliene desse, ma lì si rese conto che era stranissimo che Alex parlasse così, specie a lui, quindi decise di vedere se non altro la sua faccia mentre gli diceva una cosa simile.
“Comunque dovrò vederlo, a momenti torna ad allenarsi con noi.”
Sbuffando si alzò ed uscì di casa.
Non aveva voglia di affrontare una discussione del genere e tanto meno di parlarci civilmente, voleva solo poter fare quello che gli pareva senza giustificarsi. Per lui era insopportabile dover dire il motivo delle sue azioni. Se non voleva parlare con qualcuno semplicemente aveva il diritto di farlo, che gli importava agli altri dei perché?
Per lui avrebbe dovuto funzionare così ma sapeva che non si accontentavano mai.
Quando uscì ed arrivò davanti al cancello di casa, trovò la macchina di Alex parcheggiata poco più in là e abbassatosi lo trovò dentro. Aveva la testa appoggiata al sedile e teneva gli occhi chiusi, sembrava dormire e per un momento soppesò l’idea di tornare dentro senza farsi vedere e basta ma poi la consapevolezza che sarebbe tornato -perché quelli così insistenti tornavano sempre- lo fece decidere per entrare dall’altra parte. Almeno chiudere tutto, no?
Quando salì si fermò un momento prima di chiudere la portiera, sapeva che si sarebbe spaventato e per assurdo aspettò che si accorgesse della sua presenza prima di fare rumore proprio per non farlo saltare. Capiva da solo quanto idiota fosse ma non ci poteva fare nulla.
Vedendo che probabilmente si era addormentato o che ci era vicino, invece di chiamarlo cercando di usare un tono leggero alzò la mano e con un dito gli sfiorò il viso rilassato. Aveva una piccola rughetta di preoccupazione sulla fronte che trovava deliziosa, per il resto quel filo di barba gli donava dandogli un’aria più adulta. Gli esercizi di irrobustimento stavano avendo i loro frutti e nel complesso stava crescendo proprio bene.
Adorava il taglio dei suoi occhi. Allungati e grandi.
Non si mosse ancora.
Accostò la porta senza sbatterla e assicurandosi che al momento non ci fosse nessuno nei paraggi e aiutato dal buio della sera, si chinò sulle sue labbra sfiorandole con le proprie.
Era un vero problema, si disse mentre la sensazione di calore gli ridava la pace persa in quei giorni da incubo in cui si era isolato volontariamente.
Tanto voleva allontanarsi dai legami tanto ci finiva dentro con tutto sé stesso, inesorabilmente.
La cosa più bella di quel periodo era proprio Alex ed il rapporto con lui e nella fattispecie quel bacio che tale non era ma solo una piccola carezza.
Quando si staccò fu il suo turno di sussultare, i suoi occhi erano aperti e talmente seri che si chiese se non stesse sognando.
Avrebbe giurato di vederlo spaventato per un qualche arcano motivo ma probabilmente la voglia di capirci qualcosa era più grande di tutto il resto.
Senza dire nulla chiuse bene la portiera e indicando col capo il volante, disse piano di partire ed allontanarsi da lì.
Alex in silenzio eseguì ma non lo portò a casa sua, voleva un posto neutro così raggiunse una zona in periferia particolarmente tranquilla non molto distante da lì. Fermò la macchina in un vicolo buio e con la flebile luce dei lampioni più in là che li illuminava appena e solo in parte, si guardarono ancora seri e pensierosi, Alex non aveva idea di che cosa dire e fare, sapeva solo l’obiettivo che voleva raggiungere e si rese conto che gli succedeva costantemente in ogni momento della propria vita.
Era una sua caratteristica. Sapeva l’obiettivo ma non il modo per raggiungerlo. Il punto era che comunque alla fine ci arrivava sempre lo stesso, solo che non sapeva come ce la faceva.
Sospirò specchiandosi nelle sue iridi autunnali e con la mente ancora completamente vuota nel pallone fino a che non l’aveva sentito sfiorargli le labbra con le sue, alzò una mano carezzandolo sul viso con leggerezza e timidezza. Fece piano spaventato all’idea di essere rifiutato ma vedendo che non lo mandava via continuò inghiottendo a vuoto. Ora doveva anche dire qualcosa o come minimo si sarebbe fatto riportare a casa. Non era facile parlare con lui, si erano sempre fraintesi, avevano ancora problemi di comunicazione, erano talmente diversi da far ridere eppure perché si ostinava a provarci ancora?
Per come si sentiva quando era con lui, come il primo astronauta che metteva piede nello spazio.
Si rese conto che solo quando sarebbe riuscito a toccarlo, toccarlo veramente e dentro e cogliere quello che gli sfuggiva, allora avrebbe avuto la vera sensazione di camminare sulla luna.
- Volevo vederti perché non ti sei più fatto vivo dall’altra mattina ed ero preoccupato, so che sei in pensiero per Antonio ed anche se io quando sono agitato non riesco a stare solo, so pure che tu invece odi parlare e stare con gli altri, in quei momenti. - Bè, qualcosa da dire l’aveva trovata, alla fine. Peccato che non sapeva come andare avanti.
Zlatan si rese conto che nonostante l’apparenza di ragazzo che viveva nello spazio, Alex ne aveva capite un bel po’ di cose su di lui e probabilmente anche più di quante ne aveva appena dette.
Era la stessa sensazione che aveva avuto quel giorno quando l’aveva visto destreggiarsi così abilmente fra gli intricati fatti di Kevin, Robinho e Thiago… sembrava sprovveduto e per lo più lo era, ma in certe cose era più acuto di quanto lui stesso non sapesse.
Gli piacque perché non essendone cosciente non si atteggiava e non ci marciava, era una qualità autentica che in pochi avevano, ormai, e se la possedevano se ne vantavano dispensando consigli a destra e a manca senza che gli fossero chiesti.
- E allora perché sei venuto se lo sai? - Chiese con più durezza di quel che avrebbe voluto metterci.
Alex storse la bocca e domò l’impulso di uscire dalla macchina e andarsene, lo destabilizzava, lo agitava e lo mandava nel panico ma era più importante rimanere. Era importantissimo. Era essenziale. Se c’era una cosa che era in grado di fare per dimostrargli che valeva la pena di legarsi a lui, era stargli vicino e rimanere nonostante tutto. E la voglia di nascondersi e rifugiarsi dai suoi amici era stratosferica. Ma Zlatan lo sapeva?
Si strinse nelle spalle parlando molto bene anche solo con quei suoi occhi che sapevano diventare esageratamente grandi tanto più si sentiva terrorizzato, ora erano enormi.
Zlatan lo sapeva e si chiese allora perché rimanesse, non era obbligato e lui stesso voleva troncare tutto perché non voleva sentirsi troppo legato. Perché allora non faceva anche Alex come voleva e basta?
- Perché volevo farti vedere una cosa. - Zlatan preso alla sprovvista da questa frase apparentemente semplice ed ingenua, scosse il capo per chiedere di cosa si trattasse senza usare parole. Allora Alex tolse la mano dalla sua guancia e alzandola in mezzo a loro due gliela mostrò mentre tremava come una foglia, sembrava avesse il morbo di Parkinson ma non era naturalmente così e Zlatan capì ma non lo interruppe sapendo che avrebbe anche potuto non riuscire più a riprendere, poi, ed il suo sforzo per dire tutto era così grande che non poteva mandarlo nel cesso così.
- Ho paura, Zlatan. - l’altro si bloccò immediatamente. Era diverso dai suoi soliti stati di terrore costante. Era un altro tipo di paura, una paura vera. - Io sono un codardo, un fifone, insomma… ha ragione Roby quando me lo dice, è vero. Ho paura di tutto e costantemente e sopra ogni cosa ho paura di te e all’inizio pensavo fosse perché eri grande e grosso, poi ho pensato perché comunque hai un carattere molto burbero. Sono arrivato anche a pensare che era perché siamo così diversi e non ci capiamo. Ma sai cosa penso ora? Che ho paura solo che, una volta che leghiamo come si deve, tu mi pianti in asso per andartene chissà dove o per chissà quale altro motivo che non potrò mai capire. Ho paura di stare male, ho paura di legarmi, ho paura di non essere ricambiato, ho paura di capire male, ho paura di tutto, di milioni di cose, costantemente ed ora vorrei andarmene e tornare alla mia vita sicura lontana da te, come prima che cominciasse questa cosa fra noi. Ho una tale paura, Zlatan, che non hai idea perché a te le cose vengono facili, tu fai quello che vuoi punto e basta. Però guardami! Sono qua, non me ne vado, rimango e tremo e sono nel panico perché non so cosa dire però parlo lo stesso e sono allucinato quando ti guardo però ti guardo. Sto facendo violenza su me stesso per starti davanti e parlarti ed espormi così e buttarmi, ma lo sto facendo perché penso che ne valga la pena. Non lo so, non ne sono certo, non so le cose io, spesso me le spiegano gli altri perché non le capisco da solo. Però penso che potrebbe valerne la pena, così mi sto violentando! Sono qua per fartelo vedere. Tu capisci quanta paura ho io? - Lo disse muovendo le mani davanti a lui come se lo stesse scuotendo fisicamente, non lo toccava e non l’avrebbe fatto però era un gesto davvero significativo, dimostrava quanto ci tenesse a farglielo capire e per Zlatan fu lampante, fu evidente e cristallino.
Gli parve di ricevere una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno perché quel ragazzino con la sua semplicità, i suoi mille complessi e le sue tonnellate di paure insulse stava lì a fargli vedere a fatti e non a parole che le stava affrontando, forse non vincendo ma affrontando sì.
E lui aveva poco più di venti anni ed un carattere da cartone animato, quasi, però gli stava dimostrando che certe cose valevano la pena di essere fatte e non solo, ma che si poteva. Si poteva affrontare tutto, sé stessi per primi.
Era l’unica cosa a cui non era mai arrivato a mettere mano. Affrontava tutto nella sua vita, costantemente e da sempre. Non aveva mai avuto paura di nessuno, nessuno era riuscito a calpestarlo e fermarlo tranne che sé stesso e la sua paura di ritrovarsi in catene.
Ma se uno sprovveduto simile si metteva ad affrontare i suoi fantasmi, perché diavolo lui doveva rimanere indietro?
Di uno così, poi…
Vedendo che le sue mani fra loro continuavano a tremare, incapace di fermarsele, ci pensò lui e prendendogliele di slancio le bloccò fra le sue.
Alex trattenne il respiro che era quasi convulso, quindi sgranò gli occhi come un gatto terrorizzato pronto a scappare alla velocità della luce ed incapace di rimanere serio davanti ad una reazione così istintiva e spontanea, sorrise cominciando a mollarsi.
Per quanto pazzesco fosse, quell’essere che sembrava un imbranato cronico incapace di capire le cose più semplici, arrivava sempre in qualche modo a capire quelle più complicate ed il bello era che non ne era consapevole.
Così come riusciva a prendere gli altri sempre per il verso giusto.
- Non voglio catene, non voglio legami, sto cercando di smettere, sto lavorando su questo ma non è facile perché fino ad un anno fa quando mi sentivo troppo bene in un posto me ne andavo e qua a Milano mi sono imposto di non farlo più e stabilirmi e piantarla con queste stronzate. Però pensi che sia facile per uno che ha vissuto quasi trent’anni in questo modo? È più facile vincere un campionato che vivere gli affetti, per me! -
Non che gli stesse presentando una soluzione od una proposta, gli stava solo spiegando il problema perché dopo quello che gli aveva detto e come si era mostrato, glielo doveva.
Alex però tradusse le sue parole automaticamente come tendeva a fare costantemente con tutto, leggendo fra le righe. Era una sua mania e nonostante fra loro due si erano detti di dire né più né meno le cose come stavano, non riusciva a controllarsi e lo fece ancora.
- Ti stai innamorando di me? - Solo dopo averlo detto si rese conto di aver fatto qualche passo di troppo e dimostrando il timore di aver di nuovo sbagliato, Zlatan rimase prima colpito dalle sue parole dirette, semplici e acute poi dal modo in cui dimostrava tutto quello che gli passava dentro.
Era una contraddizione, a volte.
- Ti sembra una cosa da chiedere? - Fece infatti spontaneo non credendo che davvero glielo chiedesse, nessuno avrebbe osato.
Alex non poté che confermare di averne detta una di troppo e stringendosi nelle spalle rispose senza saper che altro dire.
- No? - Domandò insicuro. Zlatan sorrise di nuovo per la naturalezza con cui si comportava. Era forse contraddittorio in molti aspetti ma comunque divertente e gli tornò alla mente Antonio ed i loro mille dialoghi al riguardo. Aveva ragione, Alex era un tipo divertente ma non nel senso di buffo. Era divertente perché sembrava irreale, un cartone animato, insomma!
Ed invece di ammonirlo, mettere paletti e mortificarlo come avrebbe voluto o fatto un tempo, scivolò con le mani sulle braccia per poi giungere sul collo ed ai lati del viso, lo teneva fermo perché tremava ancora di tanto in tanto, incapace di stare fermo.
Stava davvero facendo violenza su sé stesso, dopotutto… e se nonostante questo era ancora lì, allora significava che poteva sforzarsi e rimanerci anche lui e vedere se era davvero così atroce legarsi a qualcuno e dare via un po’ della sua libertà.
- Non si chiede a qualcuno se è innamorato, lo si deve capire da soli oppure aspettare che glielo dicano. - Spiegò piano con un tono sorprendentemente delicato.
Alex si sorprese infatti di sentirlo così e cominciando a sentirsi ad un livello più umano e meno allucinato, annuì scusandosi senza pensarci.
- Era solo per capire… ci eravamo detti di dirci le cose proprio per come erano e… - Zlatan sorrise di nuovo tornando poi subito serio per avvicinarsi col viso al suo. I suoi occhi erano meno enormi, ora, significava che la paura era calata e quando sentì le sue mani timidamente aggrapparsi alla sua felpa, sentì che non tremavano più mostruosamente come prima.
- Allora interpreta questo. - Introdusse con ironia che cancellò appena dopo. Ormai sfiorava le sue labbra ma continuò prima di toccarle: - Sto facendo una partita di calcio che ho cominciato quando sono arrivato qua al Milan e non è ancora finita. Non so come andrà, se vincerò o perderò, però sto continuando a giocarla. Ti va di scendere in campo con me? -
Alex parve pensarci e ripetersi le sue parole più volte fino a che, dopo aver guardato di lato per capire, credette di esserci arrivato e tornando sul suo sguardo penetrante che lo stava studiando curioso, disse spontaneo e teso:
- Vuoi dire che hai cominciato un percorso nuovo che non hai ancora finito e che non sai come andrà, se bene o male, ma che vuoi provare a farlo con me? - La speranza alla fine della domanda, la speranza di aver capito bene. Una speranza tenera che piacque a Zlatan, fu grazie al calore che provò in quel momento che decise e annuendo tornando a sorridere sicuro, chiese:
- Ti va? -
Alex con gli occhi lucidi, capendo che ce l’avevano fatta sia a capirsi che incontrarsi e riappacificarsi, l’abbracciò di slancio ed entusiasta togliendogli parole e fiato.
Zlatan rimase stordito e sorpreso per qualche istante a farsi stringere a quel modo, le sue braccia intorno al collo quasi lo soffocavano e si elettrizzò di quella sensazione.
Continua a riservargli sorprese e a lui piacevano le sorprese e dopotutto poteva almeno dire una cosa, con certezza. Quella relazione non sarebbe stata poi tanto prevedibile come aveva avuto paura potesse diventare quando si era sentito troppo legato a lui in troppo poco tempo.
Suggellò la decisione di entrambi prendendogli il viso di nuovo fra le mani e affondando le dita fra i suoi adorabili ricci neri, si prese le sue labbra che l’altro gli donò con l’emozione tipica di un bambino che sapeva vivere con tutto sé stesso anche le cose più semplici e banali.
Del resto anche dai bambini c’erano molte cose da imparare…
Fu allora che capì di aver fatto la scelta giusta, per la pace e la serenità che provò dopo tutta l’inquietudine di quei giorni.
Separatisi Zlatan rimase un attimo ad osservarlo da vicino, era ancora imbarazzato come se fosse stato il primo bacio ma al tempo stesso illuminava tutto a giorno, non glieli aveva ancora visti così brillanti, quegli occhi che tanto adorava.
- Alla fine siamo riusciti a capirci… - Disse concludendo un momento tanto strano quanto bello.
Il sorriso di Alex fu balsamico e non lo mandò via quando volle rifugiarsi contro il suo collo sicuro per riprendersi dalle troppe emozioni potenti che l’avevano quasi fatto impazzire.
Naturalmente si stupì quando si rese conto che aveva funzionato.
Non aveva mai pensato seriamente che rischiare valesse la pena, però ora non poteva che ricredersi, ovviamente.
E non fu il solo che ormai si trovava a pensarlo… oltre a lui almeno altri tre se ne erano finalmente convinti.
Del resto meglio tardi che mai.

FINE