NOTE: ecco qua,
non potevo non fare qualcosa per tirarmi su. Sicuramente di coppie milaniste
che si stanno consolando ce ne sono ma solo in una c’è un ragazzo che ha subito
un colpo più duro rispetto che tutti gli altri. Alex purtroppo sembrava aver
superato, per l’ennesima volta, i suoi problemi fisici e, per l’ennesima volta,
non era così ed è dovuto uscire dopo pochi minuti di gioco. E certo la
sconfitta brucia, specie perché non è dipesa da noi ma da un arbitraggio
scandaloso che ci ha fatto innervosire e giocare non come sappiamo, però per
lui di certo è doppiamente orribile. Così mi sono detta che se avevo qualcuno
da consolare più di altri quello era proprio lui, Alexandre Pato. A lui ci
pensa Zlatan, non temete! Dedicata a chi, come me, era morta ancora prima che
la partita fosse cominciata. E che poi era anche peggio. Buona piccola lettura.
Baci Akane
NON AFFONDARE ORA
Così nessuno
poteva dire di averlo mai visto.
Se fino a quel
momento avevano visto un Alexandre fiducioso che si sforzava di rimanere calmo
e sereno, dopo di quello nessuno l’avrebbe più riconosciuto.
Non era una
questione di colpe, non era colpa di nessuno.
Era solo una
questione fisica, non ce la faceva.
Poteva sforzarsi
di rimanere psicologicamente tranquillo ed in sé quanto voleva, ma il fisico
non arrivava e se non arrivava non poteva farci assolutamente niente.
Niente più di
quanto non avesse fatto già.
Allora, visto
che niente serviva, la prima cosa che poteva ufficialmente andare a quel paese
era la sua calma interiore e serenità psicologica.
A fanculo tutto,
ormai.
Quel che
successe dopo ebbe dell’epico.
Alex non disse
niente a nessuno, non parlò, non comunicò, non disse mezza parola. Chiuso a
riccio con il viso più cupo che si fosse mai visto, smise di essere quello che
tutti conoscevano.
Nessuno lo
avvicinò e a casa, quando Zlatan arrivò con la sua auto come di consueto, Alex
sulla porta cominciò col piede di guerra, apertamente fuori di sé:
- Non è serata,
per favore voglio stare solo! - Zlatan alzò il sopracciglio incredulo, l’aveva
visto male per tutto il tempo del viaggio e gli aveva lasciato i suoi spazi, ma
ora potevano bastare!
Insomma, anche
lui aveva perso una partita importante, per di più contro una sua ex!
- Ed io ho
bisogno di stare con qualcuno! - Ovvio. Con qualcuno che potesse capire
vagamente come si sentiva e di certo non ce n’erano altri all’infuori di lui.
Alex scosse il
capo sbuffando rumorosamente, quindi premette la fronte contro la porta che non
apriva del tutto convinto a non farlo entrare, picchiò la punta del piede a
terra impaziente e sull’orlo di esplodere, ringhiò insofferente come non aveva
mai fatto, specie con lui:
- Io devo stare
solo! Non voglio vedere nessuno! Sto male e non voglio stare con nessuno! - Era
come se si fossero scambiati i ruoli ma Zlatan tornò presto in sé e seccato non
ci pensò due volte a mandarlo a quel paese:
- Vaffanculo,
Alex! Se reagisci così, proprio vaffanculo! -
Così dicendo,
convinto che si sarebbe spaventato, gli diede le spalle per andarsene ma si
sentì gridare dietro, fortunatamente non ai massimi livelli.
- E come cazzo
dovrei reagire, sentiamo! - Zlatan si fermò, tornò indietro e, sempre sulla
porta, lo puntò col dito rabbioso:
- Non è il
momento di buttarsi giù! È facile gettare la spugna ora! Sei vicino dal
farcela! Non è ora che devi mollare, cazzo! Se sei incazzato perché abbiamo
perso e siamo fuori dalla Champions è un conto, ma se sei così perché non hai
retto… - Alex però non lo fece finire, esasperato scoppiò.
Uscì e
prendendolo per la giacca lo tirò giù strattonandolo, quindi furibondo questa
volta alzò davvero la voce volendo solo sputare fuori l’anima.
- MA DAVVERO NON
E’ IL MOMENTO DI BUTTARMI GIU’? NON DEVO GETTARE LA SPUGNA? E LO DICE UNO CHE
HA UN FISICO PERFETTO E CHE NON HA UN CAZZO DI PROBLEMA FISICO NEMMENO SE LO
CARICANO IN UNDICI?! DAVVERO SONO VICINO? VICINO A COSA, AL SOTTERRARMI? SE
PROPRIO VUOI SAPERLO NON ME NE IMPORTA UN CAZZO DELLA CHAMPIONS! CE N’E’ UNA
OGNI ANNO, CASOMAI NON L’AVESSI NOTATO! MA IO HO 21 ANNI E NON RIESCO A TORNARE
A GIOCARE PERCHE’, QUALUNQUE DANNATISSIMA COSA IO FACCIA PER RECUPERARE E
AGGIUSTARMI, IL FISICO NON REGGE, CAZZO! NON REGGE! VAFFANCULO ALLA SCONFITTA
DI STASERA! VAFFANCULO AI MALUMORI DI TUTTI! VAFFANCULO AL NON ABBATTERMI E NON
MOLLARE! VAFFANCULO A CHI PENSA DI SAPERE TUTTO E NON SA UN CAZZO! E VAFFANCULO
A TE CHE NON PUOI CAPIRE E NON CAPIRAI MAI, MAI! HAI 30 ANNI, UNA CARRIERA
GLORIOSA ALLE SPALLE, UN FUTURO ASSICURATO IN UNA GRANDE SQUADRA CHE TI ADORA E
UN FISICO FORTE CHE NON TI MOLLA! TU NON SAI COSA SI PROVA E NON POTRAI MAI
SAPERLO, MAI! PERCHE’ SAPERE DI AVERE LE CAPACITA’, DI AVERE IL TALENTO, E NON
AVERE IL FISICO, NON FARCELA FISICAMENTE, CAZZO, TI GIURO CHE NESSUNO PUO’
CAPIRE. NESSUNO CHE NON CI SIA PASSATO! E TU, MI DISPIACE, SEI PROPRIO L’ULTIMO
DI QUESTI! -
Dopo di ciò lo
mollò e prima di lasciarlo reagire in qualunque modo, fregandosene altamente di
quale questo potesse essere, si voltò e tornò dentro sbattendosi la porta alle
spalle.
Zlatan rimase
esterrefatto a guardarlo, le sue parole gli rimbombavano. Tutto si sarebbe
aspettato ma non quello e doveva anche ammettere che comunque aveva ragione, alla
fine di tutto.
Vista dal suo
punto di vista, QUEL punto di vista, come poteva biasimarlo?
Certo essere
psicologicamente deboli quando già il fisico ci pensava da solo ad abbatterti,
era sbagliato, ma parlare era facile per uno forte sia fisicamente che
mentalmente.
Alla fine
Alexandre aveva ragione ed anche se gli bruciava ammetterlo ed aver fatto
quella parte, gli scocciò ancora di più dover bussare e chiamarlo per
convincerlo a farlo entrare.
Quell’idiota
teneva sempre la porta aperta, lo rimproverava costantemente per quello, l’unica
volta che gli serviva lo fosse l’aveva chiusa a chiave di proposito!
Voleva proprio
stare solo.
- Alex! Ale,
dai, apri, cazzo! ALE, PORCA PUTTANA! - Continuò a chiamarlo sempre più forte
battendo calci e pugni sulla porta, non se ne sarebbe andato e stava meditando
di entrare da qualche finestra del piano di sopra, quando glielo disse sperando
di convincerlo ad evitare di rompersi l’osso del collo!
- ALE! GUARDA
CHE MI ARRAMPICO SULLA GRONDAIA E SE POI MUOIO FACENDO IL FOTTUTO PRINCIPE DI
MERDA SONO TUTTI CAZZI TUOI! QUELLO EMOTIVO SEI TU, NON IO! - Anche perché nel
caso specifico lui sarebbe quello morto e quindi non gli sarebbe di certo
importato della sua stessa morte!
Attese qualche
istante e quando si decise a chiamare Thiago perché aveva una copia di chiavi
-che l’avessero Thiago e Roby e non lui era assurdo ma vagamente sensato visto
che non volevano destare sospetti…- poco prima di essere mandato a quel paese
da Roby stesso in crisi profonda per la bruciante sconfitta, il chiavistello
girò e sospirando aprì la porta entrando.
Vide subito una
figura sgusciare di nuovo dentro e salire le scale per rifugiarsi in camera.
Zlatan
sospirando chiuse la porta a chiave per evitare seccatori, quindi lo seguì su.
Quando lo trovò
immerso sotto le coperte, sapeva che stava piangendo. Non gli piaceva quando lo
faceva, lo trovava disarmante, seccante e poco virile. Quest’ultimo punto non
era grave, in realtà finiva per piacergli anche per quello, alla fine, però era
un’arma troppo forte nelle mani del brasiliano. Si sentiva annullato
completamente, quando piangeva.
Si avvicinò e si
tolse le scarpe per poi infilarsi sotto le coperte così com’era, vestiti con la
tuta della squadra. Anche Alex l’aveva ancora.
Lo cinse da
dietro abbracciandolo e attirandolo con forza a sé, gli tolse il fiato per un
istante, quindi baciandogli il collo sussurrò piano:
- Scusa. -
Questo ebbe il potere di fermarlo subito. Che lui si scusasse era materia di
leggenda. Smise di piangere sebbene le lacrime grosse e calde rigassero le sue
guance lo stesso, ma si girò in modo da averlo davanti e poter immergere il
viso stravolto dal pianto contro il suo ampio petto caldo e confortevole.
Zlatan, sollevato che alla fine avesse ceduto -non aveva dovuto lottare troppo-
lo abbracciò meglio carezzandolo dalla schiena alla nuca. Ora che lo capiva
meglio gli dispiaceva ad un livello inaudito ed il non saper veramente cosa
fare per lui al lato pratico, come aiutarlo, come farlo stare meglio, come
risollevarlo, era orrendo.
- Hai ragione.
Non posso capirti. Siamo troppo diversi anche in questo, però ora so cosa provi
perché me l’hai detto. Devi dirmelo sempre anche se ti fa male e non vuoi perché
è doloroso quello che provi. Dimmelo e basta. Io non posso fare niente per te,
però almeno non sei qua solo come un’idiota a piangere! - Questo, non poteva
proprio immaginarlo, ma era già abbastanza.
- Mi basta
questo e che non mi dici di reagire perché ti giuro, Zla, io sto cercando di
farlo ma… ma quando… quando hai le capacità e non le possibilità e va oltre le
tue forze umane di risoluzione… è tutta una schifezza… non so più cosa fare…
non so più… torno e non reggo, ritento e cado di nuovo. Non faccio che… -
- Lottare. -
Concluse per lui sorprendendo Alex. Gli baciò delicatamente la testa, fra i
capelli ingarbugliati. - Non fai che lottare, Ale. Ed è tutto quello che puoi
fare, quindi non smettere a qualunque costo, davanti a qualunque risultato. -
Alex come se gli
togliessero tutte le macerie di dosso, cominciò lentamente a sentirsi meglio e
a respirare, quindi Zlatan gli prese il viso fra le mani, gliel’alzò per
guardarlo e gli asciugò la pelle umida. Sorrise a quella distanza ravvicinata,
non lo faceva spesso, non così tranquillo e sereno. Gli trasmise tutta la sicurezza
che improvvisamente gli era venuta a mancare quella sera per lui disastrosa.
Disastrosa in pochissimi minuti.
Dopo di questo,
con calma e dolcezza, lo baciò leggero senza spaventarlo, per tranquillizzarlo
e rasserenarlo, cercò di dargli tutto quello che gli mancava in quel momento e
nel tentativo si fece prendere ampiamente la mano.
Le sue lacrime
che ora asciugava con le labbra, erano salate e finite quelle gli terse gli
occhi chiusi.
Le carezze si
fecero via via più profonde, mentre scendeva sotto la maglia per toccare la sua
pelle sensibile. Non era più molto delicato, non ne era gran che capace, ma
sentirlo raggomitolato contro di sé meno disperato di prima fu un sollievo
anche per lui.
Per un momento
aveva temuto gridasse che non poteva più giocare a calcio, che annunciasse il
suo ritiro, che gettasse veramente la spugna.
Aveva avuto
paura, una paura assurda.
Fu fra un bacio
e l’altro su tutto il suo viso, che Alex gli prese i lembi della maglia e
proprio contro le sue labbra, mormorò senza più forze residue:
- Dammi la tua
forza. Dammela ora. Il tuo coraggio. La tua voglia di lottare. Di dimostrare al
mondo che si sbagliano. Dammi la forza di lottare con me stesso. Mettimi tutta
la tua forza dentro. Ti prego. Ne ho bisogno subito. -
Nel momento in
cui lo disse, Zlatan capì cosa succedeva quando ci si scioglieva.
Divenne come
lava incandescente incapace di solidificarsi perché Alex non era acqua o vento
che lo raffreddava, ma il vulcano stesso capace di farlo eruttare e scaldarlo
ulteriormente.
Era la prima
volta che lo vedeva così ma non resistette e capendo che non andava bene
prendere il sopravvento brutalmente come voleva, non ce la fece a seguire le
solite procedure che tendenzialmente cercava di rispettare con lui.
Lo amava, lo
faceva per quello, ma proprio per quel motivo, ora, non poteva trattenersi.
Se Alex aveva
bisogno della sua forza, tutta la sua forza, e subito, gliel’avrebbe data.
Quindi si mise
sopra il compagno e alzandogli il bacino gli tolse i pantaloni ed i boxer,
quindi fece altrettanto con sé facendo scivolare giù le coperte e alzandogli le
gambe in modo da non fargli male ma da avere il suo accesso, senza perdere
tempo a prepararlo o in altri preliminari che lì su due piedi ritenne
completamente inutili, semplicemente ed inesorabilmente, coi suoi occhi
incatenati nei propri, entrò in lui.
Come aveva
bisogno, come voleva, come gli aveva chiesto.
Com’era lui.
Alex si tese un
istante ma poi si rilassò, comunque abituato ad averlo dentro senza molti
riguardi. Che lui ne dicesse, alla fine prevaleva sempre quel suo lato quasi
animalesco che a lui eccitava enormemente.
Affondò le
unghie nelle spalle ampie e forti, fra alcuni tatuaggi, e sentì la forza
trasmettersi da uno all’altro. Lo sentì dalle dita che lo graffiavano, dai
gemiti che si alzavano, dal suo sesso dentro di sé, da come si muoveva con
sempre più impeto, dal fascio di nervi che era diventato, dalla solidità con
cui lo possedeva.
Lo sentiva.
Lo sentiva in un
modo che non riusciva proprio a capire.
E la forza,
mentre si muoveva in lui con sempre più possente virilità, lo investì come un
uragano.
Un calore
inumano lo avvolse sbalzandolo fuori da sé e premendo la nuca all’indietro, si
morse le labbra nel piacere assoluto che provava insieme a quello che sentiva
Zlatan.
Era esattamente
l’unica cosa in grado di non farlo affondare nel peggior momento mai vissuto in
vita sua.
Era esattamente
l’unico capace di prenderlo per i capelli e con forza bruta tirarlo su dandogli
una ragione per non mandare tutto a quel paese.
Perché comunque,
in ogni caso, nessuno si meritava la sua bandiera bianca. Nemmeno la vita
stessa che pareva divertirsi a togliergli tutto quello che gli aveva dato. La
sua capacità di giocare a calcio. E nemmeno di quello si trattava. La
possibilità. Avere il talento ma non più il fisico era peggio che perdere il
dono.
Ma quella stessa
vita sadica non si meritava che lui mollasse e si desse per vinto.
Ecco cosa gli
ricordava Zlatan ogni volta che veniva da lui e che lo sgridava riprendendolo
su a forza.
- Non affondare ora.
- Era quello che gli diceva sempre. Ma solitamente, nel momento dell’orgasmo,
non aggiungeva un altro pezzo… - Ti amo, non voglio che vai giù senza di me. -
No, decisamente non lo diceva, di solito.
Specie perché
era la prima volta.
Questo fece
tornare le lacrime ad Alex ma non per disperazione, tristezza o rabbia. Bensì
di gioia.
Un’emozione tale
pensò di non poterla mai provare, specie in una situazione simile.
Si trovò così
sbalzato dall’inferno al paradiso ad una velocità senza precedenti, stordito di
tutto quell’incredibile istante, rimase a premersi le mani sul viso per
nasconderselo spaventato, improvvisamente, dall’idea di non essere alla sua
altezza.
Ed il calcio andò
su un altro piano, venne anzi praticamente dimenticato.
I suoi problemi
fisici, la salute, la carriera in pericolo… tutto. Tutto spazzato via dall’uragano
forza dieci di quel suo ‘ti amo’ e una voglia immensa di rispondergli ‘anch’io’
ma senza trovare la forza.
Zlatan raggiunto
il culmine già sulla propria dichiarazione che gli era sfuggita senza
controllo, uscì facendolo sistemare meglio con le gambe, quando fu comodo gli
prese le mani dal viso e gliele tolse, quindi lo guardò di nuovo stravolto di
lacrime, ma vide anche la sua emozione.
Non credeva la
si potesse vedere ma quel ragazzino sapeva sempre stupirlo.
- Anche se le
cose non vanno come dovrebbero, chi se ne frega. Si va avanti lo stesso. In
qualche modo si fa. Certo il mondo non finisce perché noi stiamo male o abbiamo
problemi o va tutto in merda. - questo discorso comprendeva un po’ tutto, ma
Alex alla fine gli cinse il collo con le braccia, l’attirò a sé e premendo le
labbra contro il suo orecchio, mormorò con un filo di voce pianissimo:
- Ti amo anche
io. E cercherò di rimanere su con te. Non voglio che affondi con me. -
Consapevole, immediatamente, che così sarebbe stato se lui avesse mollato
tutto.
Fu la prima
volta che se lo dicevano e fu incredibile per entrambi, naturale e spontaneo ma
sconvolgente al tempo stesso.
Zlatan poi si
girò di schiena e se lo portò su, sul petto, in modo da farlo stare più comodo
e non schiacciarlo, quindi si cullò con lui sopra che finalmente respirava
piano e serenamente. Quando ebbe la certezza che si era addormentato e che
stava meglio, si lasciò prendere dal sonno a sua volta ed ogni seccante
sensazione per quella stupida sconfitta andò presto nel dimenticatoio.
Via, spazzato
tutto via perché, alla fine, c’era sempre qualcos’altro di più importante per
tornare in campo e di occasioni per dimostrare chi si era, non sarebbero mai
mancate.
FINE