*Ecco
la conclusione di questa mini fic. I protagonisti qua saranno Juraj e
Gianluca, poichè la festa finisce e rimangono loro a finire quella
serata che per molti non sarà passata liscia come le altre. Gianluca
suona il piano, ma questo l'ho già detto. Quale coppia trionferà alla
fine con Juraj? Eh, è presto, c'è ancora un bel po' da leggere a
proposito. Prossima shot sarà su Gigio e Manuel, visto che li ho
lasciati così sospesi. Spero che questo breve capitolo e questa breve
fic sia stata di vostro gradimento e che pian piano io stia riuscendo
ad incuriosirvi con Juraj. Su di lui e la sua vita passata non so
davvero niente, è tutto completamente inventato, ma mi immaginavo
qualcosa del genere. Buona lettura. Baci Akane*
3. UNA SONATA PER FINIRE
- Chi dei due ti fai? - Chiese Gerard dopo un po’ che gli animi si erano calmati, sorseggiando qualcosa di fresco.
Suso lo guardò senza capire, ma Gerard alzò il mento ridendo, con aria di sfida.
- Andiamo, ti conosco. Hai
sempre avuto quella di divertirti così! Chi è dei due? - Suso decise
che non poteva mentire al suo amico, così si rassegnò a raccontargli.
- Juraj. - Sussurrò piano per
non farsi sentire. Gerard assottigliò lo sguardo per capire chi dei due
era e Suso gli disse: - quello coi capelli biondi ed i tatuaggi. -
Gerard annuì con aria compiaciuta.
- Buoni gusti. - Disse poi come
se non ci trovasse nulla di male, nonostante prima non si fosse
divertito seriamente nel vederli strusciarsi uno sull’altro in quel
modo. Aveva preferito di gran lunga quando aveva cercato di farlo
ballare.
- Ti piace? - Chiese interessato Suso. Gerard annuì e alzò le spalle.
- Non me lo farei, ma ha un
certo non so che. - Juraj non era di certo bello, non il più bello ad
ogni modo, ma aveva un suo fascino, aveva comunque qualcosa.
- È grezzo, vive nel suo mondo e
spesso sembra più una bestia che altro. E capisce la metà delle cose
che gli capitano e gli dicono. L’ironia per esempio… lascia perdere! -
Si mise così a descriverlo ridendo, Gerard ascoltava interessato mentre
domava abilmente la propria gelosia. Più che altro cercava di capire
con chi aveva a che fare. - Però ha… ha quella dolcezza che non diresti
mai. Tutte le volte che avevo i miei momenti, lui li ha capiti subito e
mi ha coccolato con dolcezza. - Gerard inarcò le sopracciglia
incredulo.
- Sembra tutto fuorché dolce. -
- Vero? Eppure… - Poi malizioso
aggiunse. - Beh, poi dopo la dolcezza è arrivato ben altro… - Gerard
annuì più convinto su quel pezzo, lo immaginava bene.
- Sembra caliente! - Disse infatti. Suso concordò.
- Lo è molto. A letto è incredibile. - Chiaramente doveva essere quello il suo punto forte.
Gerard lo invidiò molto, stava
pensando che forse non era stata una grande idea venire al Milan per
riprovare quel famoso discorso interrotto con lui, quando notò Juraj e
Carlos venire insieme dal corridoio. Entrambi avevano delle arie molto
soddisfatte.
- Ma lui… - Disse poi
interdetto, convinto di aver capito male. Suso si girò guardando la
direzione del suo sguardo shoccato. - Ma lui sa che se la fa con te? -
chiese in modo del tutto illogico. Suso a quell’uscita scoppiò a ridere
divertito, abbracciandolo per tale sparata. Ovviamente avrebbe potuto
ridere anche senza abbracciarlo, ma toccarlo era molto meglio.
- Lui non ha storie. Lui scopa.
Non chiedergli cose esclusive. Lo puoi avere in qualunque situazione,
chiunque tu sia, ma lo devi condividere. Lui deve andare con chi gli
pare e non avrai altro che il suo corpo. Per il resto è un amico
fantastico e divertente, come lo è con tutti gli altri. - Gerard si
fermò senza capire quel discorso, se lo ripeté mentalmente per capire
cosa intendesse e Suso continuò spiegandoglielo meglio.
- Fa parte del suo fascino.
Credo che abbia il terrore delle relazioni o forse ha avuto una brutta
delusione. Gli piace il sesso, chiaramente, ed è comunque dolce sotto
quella scorza dura. Però non chiedergli altro. - Gerard annuì capendo
un po’ meglio.
- C’è da perdere la testa… -
Ammise. Quelli così rubavano il cuore proprio perché non si concedevano
mai completamente. Era quello che funzionava, lo sapeva bene. - Ma non
ti dà fastidio? Non soffri che non ti dia altro e che vada con altri? -
Chiese poi interessato a quel discorso. Suso fece spallucce e con aria
vaga rispose sinceramente:
- Non più di tanto. All’inizio
mi ha lasciato un po’ così vedere che andava con altri, poi ho capito e
vabbè. Comunque quando ho bisogno c’è. Se volessi una vera relazione la
cercherei comunque altrove. Uno così mi farebbe impazzire. - Gerard si
ravvivò con quell’ultima ammissione e sorridendo tornò a sperare.
- Mi accompagni a casa? Comincio ad essere stanco. - Fu così che anche loro, imitati da altri, se ne andarono.
Gianluca stava sistemando casa
credendo d’aver salutato tutti, mentre si chiedeva che fine avesse
fatto Juraj. Li aveva visti tutti, ma lui ad un certo punto gli era
mancato.
Stava pensando proprio a lui, quando sentì un rumore osceno uscire dal proprio studio.
Gianluca sbiancò riconoscendo
subito quel suono, infatti lasciò il sacco con le cose da buttare che
aveva in mano e corse in studio consapevole di che suono fosse.
Quando entrò, vide proprio l’oggetto dei suoi pensieri seduto al piano che schiacciava tasti a caso.
- Ti prego, smettila! - Disse
strozzato senza riuscire ad essere carino come al solito. Juraj lo
guardò shoccato nel sentirlo così perentorio e alzò le dita dal
pianoforte.
- Sei geloso? - chiese senza problemi, stupito. Gianluca arrossì.
Sì, era stato geloso tutta la sera, ma non del pianoforte.
Suo malgrado si strinse nelle spalle avvicinandosi.
- Possessivo. Sono possessivo
col mio pianoforte. - Ammise con aria di scuse. Juraj ridacchiò e si
fece in parte nel sedile lungo ed imbottito davanti al piano, poi gli
fece cenno con la mano di sedersi con lui. Gianluca inghiottì a vuoto,
emozionato. Ora erano completamente soli a casa e forse poteva iniziare
la festa che sperava lui.
- Che silenzio. - Si accorse Juraj dopo un notevole ritardo. Gianluca rise divertito illuminandosi.
- Te ne sei accorto? - Juraj non
capì, come non capiva mai la retorica. - Sono andati via tutti, mi
chiedevo proprio quando ti fossi defilato senza salutare… - Juraj
sorrise guardandolo da vicino, le braccia e le spalle si toccavano.
- Non ero andato via! - E Gianluca ne era estremamente felice.
- Adesso ho visto. - Rispose ovvio. Juraj indicò col mento il piano.
- Non sapevo suonassi. - Il
compagno arrossì un po’, si stava imbarazzando a stare solo con lui
sebbene l’avesse voluto tutta la sera. Ed ora erano in una situazione
un po’ particolare. Il pianoforte lo denudava, non era sicuro di
volersi mostrare nella sua parte sensibile con uno che sensibile non
sapeva proprio esserlo.
- Non è un segreto… - Rispose
cercando di rilassarsi. Era vero, l’avevano invitato in una
trasmissione e l’avevano fatto suonare in televisione. Ovviamente Juraj
viveva in un altro mondo.
- A casa mia c’era un piano, lo
suonava mia madre. Aveva delle dita così delicate, mi incantavo a
guardargliele mentre correvano sui tasti. - Il suo italiano non era
perfetto, ma nemmeno osceno. Gianluca l’ascoltava sorpreso, scrutava il
suo profilo mentre osservava il pianoforte davanti a sé, gli occhi
brillavano correndo a ritroso nel tempo, un’epoca in cui era stato
bambino e forse spensierato.
O forse no. Gianluca lo guardò
con più attenzione, cercando di catturare nei suoi occhi azzurri
qualcosa che non riusciva ad inquadrare. Qualcosa che non aveva mai
visto, anzi, che nessuno aveva mai visto.
- Era cagionevole di salute,
quindi usciva poco di casa. Io le facevo compagnia e la sentivo
suonare. Voleva insegnarmi ma non ho mai imparato, non ho proprio
orecchio. - Disse con un sorrisino divertito. - Però mi piaceva molto
ascoltarla. - Gianluca deglutì sentendo una connessione speciale
crearsi subito, colpito dalla sua storia, intorpidito da quel po’ di sé
che stava condividendo proprio con lui.
La cosa sconvolgente era che lo faceva con facilità. Sembrava naturale per lui farlo.
- Mi suoni qualcosa? -
Gianluca non avrebbe mai immaginato di dare vita ad un momento simile, così intimo e delicato, proprio con lui.
- Cosa… cosa ti piacerebbe? - Chiese a quel punto chiudendo ed aprendo le dita per prepararsi a suonare.
- Forse è banale, ma adoravo
quando suonava la Sonata al Chiaro di luna. - Gianluca non aveva idea
di che vita avesse avuto, di quale infanzia. In un momento aveva saputo
che sua madre era sempre malata e suonava il piano, per suonare sempre
una sonata così triste non doveva essere molto felice.
Non gli avrebbe chiesto altri
dettagli, chiaramente, e senza aggiungere altro iniziò a correre con le
dita sui tasti bianchi e neri e mentre dava vita ad un’atmosfera
decisamente diversa rispetto a quello che era stato fino ad ora, Juraj
chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare alle atmosfere cupe e
delicate di casa sua.
Sua madre sempre sull’orlo della
depressione, suo padre sempre arrabbiato che credeva nelle punizioni
corporali, il proprio isolarsi nei lavori manuali, specie quelli sul
legno, che lo rilassavano, le risse fuori casa, il calcio come obbligo
morale poiché erano tutti calciatori in casa. Una scelta un po’ non
sua, ma che alla fine gli era piaciuta comunque essendo che le cose
erano andate bene.
Forse non avrebbe mai saputo
cos’era l’amore, forse non avrebbe mai amato, mai, però non si poteva
lamentare. La vita era stata generosa, ad un certo punto. I soldi non
gli mancavano più, aveva la salute, le punizioni del padre gli avevano
insegnato a stare sempre in piedi e a non infortunarsi come gli altri e
poteva avere tutti i piaceri fisici che voleva.
Era felice, era comunque felice. Anche senza amore, quell’amore vero, quello autentico, ricambiato.
E mentre ci pensava, ricordava le lacrime di sua madre mentre suonava il piano, mentre suonava quella sonata.
Chissà se lei aveva mai amato
suo padre? Chissà se il suo essere sempre malata, sempre depressa,
derivava dalla mancanza di vero amore per suo marito?
Juraj se lo chiese in quel
momento e trovò che essere costretti a vivere una vita che si odiava,
dovesse essere di certo molto triste.
Non aveva mai ripensato a quel
periodo della sua vita, quando tornava a casa da scuola e non era
pronto da mangiare e mentre preparava per gli altri, lei suonava e
piangeva. Non era mai tornato a quei momenti, quando sperava di essere
abbastanza veloce, prima che suo padre arrivasse a casa, perché se
arrivava e il pranzo non era pronto, poi gridava.
Era sempre un’aria pesante, un’aria strana.
Però quando lei correva le dita
sottili e bianche sul piano, la magia nasceva e tutto si alleggeriva.
Tutto era un sogno, un bel sogno. Tutto era vivibile, per quei momenti.
Quando Gianluca smise, erano
passati 14 minuti. Aveva suonato tutto il pezzo e per lui la spina si
era staccata. Completamente incapace di capire quanto fosse passato, lo
guardò smarrito al suo fianco come a chiedergli perché si fosse
fermato. Gianluca lo guardò meravigliato, poi shoccato.
Gli toccò delicatamente la guancia con una mano e solo quando lo fece, Juraj si rese conto d’aver pianto.
Gianluca gli avrebbe chiesto
perché piangeva o se stava bene, ma capì che non era il momento di
proferire parole. Juraj non disse nulla, non disse assolutamente nulla.
Si protese verso di lui e lo baciò con una sorta di bisogno interiore che lo devastò.
Strinse gli occhi e aprì la bocca mentre cercava la sua lingua come se fosse un incantesimo per stare meglio.
Quando Gianluca gli andò incontro, il bacio divenne intimo, dolce, una richiesta di calore.
E glielo diede, gli diede tutto il calore che Juraj chiese quella notte.
Gli diede ogni centimetro del
proprio corpo, nel suo letto, sotto le coperte, rigorosamente al buio,
mentre niente e nessuno avrebbe visto e sentito quel profondo
turbamento di un ragazzo che viveva convinto di non poter conoscere
l’amore, convinto che non l’avrebbe mai saputo. Eppure, stranamente,
mentre lo prendeva e lo faceva suo, mentre Gianluca gli si dava
completamente e senza riserve in un piacere senza precedenti, si
sconvolgeva nel sentirsi così capito. Così estremamente capito.
Per la prima volta nella sua vita, forse.
Quando il giorno dopo Gianluca
si svegliò, la luce del mattino entrava dalle persiane mezze abbassate.
Il sole carezzava il corpo atletico di Juraj steso accanto a lui, la
mano sotto il cuscino, le lenzuola abbassate alla vita.
La pelle era bianca e
attraversata da tatuaggi di vario genere, l’espressione del viso
rilassata e abbandonata. Gianluca sospirò guardandolo per un tempo
indefinito, felice che si fosse fermato tutta la notte, colpito dal
modo in cui avevano fatto l’amore quella notte.
Dopotutto alla fine aveva avuto il suo regalo di compleanno.
Sicuramente quella sarebbe stata una di quelle feste indimenticabili per molti.