NOTE:
non so se è andata veramente così ma è la mia versione dei fatti.
Quando è venuto fuori quel caos apocalittico sul trasferimento
imminente di Pato a chi non è venuto un colpo? E poi quando ha
rifiutato contro tutto e tutti? E quando poi il mister ha detto che
Alex comunica con lui attraverso gli altri? Ebbene io ho messo insieme
vari pezzi, aggiunto qualche retroscena e sistemato qua e là.
Ambientato prima dell’infortunio di fine gennaio di Alex, povero che
calvario. Speriamo bene, siamo tutti con lui. Anche Zlatan, Thiago e
Roby. Ma certamente pure il mister! Grazie a chiunque leggerà e
commenterà. Ho scritto di recente un’altra shot su loro due che è una
pwp alla fin fine, quindi anche se questa volta non ci sono cose
maniache, vi rifarete martedì prossimo con quest’ultima. Intanto sono
lieta di annunciarvi che mi manca solo un capitolo e poi ho finito
quella long di cui vi parlavo su Kevin e company… questo significa che
a breve potrete cominciare a leggerla. Volete sapere quanti capitoli mi
son venuti? 24! Non l’ho fatto apposta, son venuto loro 24 (che sono
quanti quelli di Intrecci milanisti). Segno del destino? Buona lettura,
baci Akane
VOGLIO
RESTARE QUA
Quello
fu il classico colpo di grazia, la goccia ultima. Dopo di quella il
vaso traboccò e tutto cadde, tutto si ruppe.
Non
che non se lo aspettasse, quello che non si aspettava era che facessero
tutto praticamente senza parlargliene, dando per scontato che a lui
andasse bene.
Quando
venne a sapere che stavano praticamente già firmando un accordo per
mandare lui al PSG e far venire Tevez al Milan val Manchester City,
Alexandre non andò dalla sua fidanzata, né dal presidente, né
dall’amministratore, né tanto meno dall’allenatore.
Quando
il suo agente gli portò la notizia insieme alla proposta ufficiale,
Alexandre glissò dicendo che doveva pensarci e che non poteva
rispondere subito, dopo di questo sparì dalla circolazione.
Il
primo ad accorgersene fu Zlatan il quale chiamò immediatamente Thiago.
-
Cosa c’è che ti preoccupa tanto se non ti risponde? - Chiese Thiago
cercando di restare calmo in contrapposizione all’agitazione di Zlatan.
L’altro
sbuffò seccato:
-
Ma cosa cazzo stai facendo? Non le senti le notizie? - La domanda era
retorica, se Thiago non sapeva qualcosa era chiaro il motivo e tale
sbucò dalla sua spalla, risalendo dal fondo della sua schiena di cui si
era amorevolmente occupato:
-
Che c’è? - La voce di Roby arrivò a confermare l’idea di Zlatan che
proseguì ancor più scocciato dall‘altra parte del telefono:
-
La società vuole vendere Alex al PSG per poter far venire Tevez da
Manchester. Ci sono già tutti gli accordi, mancano solo le firme e
nello specifico quella di Alex. Peccato che Alex non mi risponda e non
sia a casa! - Thiago nel sentirlo si alzò dal tavolo a cui era
appoggiato a novanta per permettere a Roby libero accesso alla propria
parte posteriore e buttandolo brutalmente via, dandogli anche una
testata involontaria sulla fronte e provocando una valanga di insulti,
cominciò a vestirsi in fretta e furia tenendo il cellulare fra la
spalla e l’orecchio:
-
Non ne sapevo niente! No, non è qua ma adesso andiamo a cercarlo! -
Roby che non sapeva i dettagli continuò a brontolare e solo quando
messo giù il telefono l’altro gli spiegò tutto smise di lamentarsi per
cominciare a vestirsi veloce a sua volta.
-
Dove cazzo vuoi che sia andato? Quello è troppo emotivo! -
-
Non so ma non può stare solo ora. È anche capace di accettare solo
perché si sente non voluto da tutti! -
-
Non può farlo, cazzo, dai! - Thiago non rispose e prendendo le chiavi
della macchina uscì di corsa di casa.
Da
quando era venuto a Milan, ed ormai erano un po’ d’anni, aveva sempre
avuto un rifugio particolare che ad Alexandre piaceva in modo
particolare, lo rilassava, lo faceva sentire particolarmente a casa.
Era
lo stadio Meazza di San Siro.
Era
la vista più bella che conoscesse.
Ricordava
la prima volta che l’aveva visto e da fuori aveva pensato fosse lo
stadio più grande mai costruito, poi in realtà non era veramente così
ma vederlo dal vivo per lui così giovane fu un’emozione enorme. E
ancora più grande fu il giocarci.
La
prima partita da giocatore lì dentro era stata un’amichevole con la
maglia rossonera, non aveva potuto farne di ufficiali subito per dei
problemi con la FIFA e la sua minore età.
Quando
riuscì a calcare lo stadio ufficialmente era il 13 gennaio 2008 contro
il Napoli e non si sarebbe mai dimenticato quella data poiché
coincideva anche col suo primo goal in Serie A.
Si
era innamorato subito di quello stadio e anche se in realtà era solo
una costruzione grigia intorno ad un semplicissimo campo da calcio,
quando l’aveva visto pieno di gente e tifosi che inneggiavano il Milan,
aveva capito a pieno la magia e la bellezza di quel posto.
Forse
in un altro stadio sarebbe stato uguale ma ormai per lui era quello la
sua casa.
Entrato
grazie a chi lui era nonostante non ci fossero partite o eventi che
l’aprissero al pubblico, salì sugli spalti della curva nord e seduto su
quelli più alti rimase a lungo seduto lì a guardare giù.
Da
quella visuale il campo sembrava davvero piccolo eppure quando lo
calpestava gli pareva enorme.
Era
una prospettiva davvero inusuale per lui.
Perdendo
la cognizione del tempo, si accorse dell’arrivo dei suoi due amici solo
perché salivano dal basso per raggiungerlo.
Sbatté
un paio di volte le palpebre e sospirò cercando di riscuotersi. Non
intendeva piangere, lamentarsi o piagnucolare, solo che prima di
accettare una proposta simile doveva come minimo pensarci seriamente.
Non
voleva andarsene, dannazione, ma nessuno lo voleva lì e allora quale
soluzione c’era? Imporre la sua presenza solo per capricci?
Doveva
saper andare avanti… tanti compagni prima di lui l’avevano fatto.
Partenze clamorose che nessuno avrebbe mai detto, era ovvio che prima o
poi sarebbe toccato anche a lui. Il punto era che comunque gli altri se
ne erano andati decidendolo loro, alla fin fine, perché volevano fare
carriera altrove, crescere di più o per rinnovarsi, lui non voleva
andarsene, non ne sentiva la necessità, era giovane e voleva diventare
il perno del Milan. Quando Ricardo se ne era andato aveva lasciato a
lui il testimone così come quando Andry l’aveva lasciato a Ricardo
prima di lui. E sicuramente prima era successo con qualcun altro.
Andarsene
all’apice della propria carriera era anche normale, a meno che non si
decideva di consacrarsi unicamente ad un club. Ma lui non aveva ancora
fatto quello che sapeva, quello che voleva e quello che doveva. Ricardo
aveva vinto un Pallone D’Oro lì dentro, così come Andry prima di lui,
avevano portato alla squadra una Champions, varie coppe e degli
Scudetti, prima di andarsene. Lui? Lui che cosa aveva fatto, dopo che
aveva salutato il suo migliore amico e punto di riferimento?
Niente.
Aveva
accolto Zlatan e gli aveva mitemente fatto spazio. Tutto lì.
Sospirò
per l’ennesima volta abbassando il capo e lo sguardo, si prese il viso
fra le mani e con una voglia matta di piangere ed un fortissimo senso
d’insoddisfazione, un peso insostenibile, mormorò consapevole che i
suoi amici erano lì per lui, come sempre, e che l’avrebbero capito.
-
Non ho dubbi sul mio valore, non ne ho mai avuti ed ho dimostrato
perché sono qua. Perché gli altri dimenticano facilmente? Solo perché
non ho la fortuna di avere un fisico forte come dovrei? Come ce l’ha
Zlatan? Perché si dimenticano di me così? Non mi interessa ricevere gli
encomi che merito e nemmeno essere messo su un piedistallo… vorrei
solo… vorrei solo che mi accettassero… che capissero che mi merito di
stare qua… vorrei essere voluto quanto voglio io loro… - Era un
discorso generico che abbracciava tanto i tifosi a cui teneva, quanto i
dirigenti di quella sua casa che i preparatori atletici che,
oltretutto, i suoi stessi compagni.
Fu
Thiago a parlare perché fra i due era quello che riusciva sempre a
tirare meglio fuori le parole. Lo fece con calma e quel tocco di
fraterno che metteva sempre con lui.
-
La gente dimentica facilmente ma è il bello di loro perché così come lo
fanno nel male lo fanno anche nel bene. Dimenticano facilmente quanto
bravo sei stato quando ti fermi un po’ ma poi quando riparti
dimenticano altrettanto facilmente quando eri fermo o giocavi male. -
Era vero, lo sapeva, non si era mai preoccupato troppo per tutti i suoi
molti stop per infortuni, ma non era quello il discorso.
Il
discorso era solo uno.
-
Ma non mi hanno mai presentato un contratto da firmare per andarmene in
un altro club, prima d’ora… - Mormorò demoralizzato alzando lo sguardo
abbattuto su Thiago seduto accanto. Il difensore lo comprese e se ne
dispiacque. Aveva ragione. Fin’ora avevano sempre avuto pazienza,
l’avevano sostenuto ed aspettato e lui li aveva sempre ricompensati.
Cosa si stava spezzando, ora?
Aveva
ancora molta strada davanti a sé, era giovane e non c’era la scusante
dell’età che avanzava per scaricarlo in quel modo, come se non potesse
più dare nulla, come se fosse finito, come se non meritasse, come se
non avesse mai fatto nulla di che.
Lo
capiva ed era totalmente dalla sua, però non poteva accettare solo
perché non si sentiva voluto, non era giusto.
- E
poi… non è il fatto che penso che una volta via da qua, in un’altra
squadra, io sia finito. Non è affatto questo. So che mi riprenderò, mi
ambienterò e tornerò ai miei livelli, che giocherò ancora e dimostrerò
sempre quello che valgo, pur con un fisico così debole! Non è questo. È
che io… - Alex esitò, si guardò le mani strette e poi alzò lo sguardo
dispiaciuto e triste sul campo più sotto, dove aveva giocato moltissime
partite e spesso aveva vinto e segnato. Il nodo salì e per poco non gli
uscì, lo ricacciò a fatica indietro ingoiando a vuoto un paio di volte,
poi con voce rotta ma ancora sforzandosi di non piangere come voleva,
disse: - E’ che io voglio stare qua. Non voglio andarmene. Nonostante
io non sia voluto più praticamente da tutti, nonostante mi abbiano al
fatto già venduto… nonostante tutto io… voglio stare qua. I miei
compagni, voi, siete la mia famiglia, questo stadio è la mia casa e
vorrei solo… vorrei solo che il mister potesse essere un padre… è solo
che lo vedo lontano ed irraggiungibile, non riesco a parlarci, ad
aprirmi, a spiegarmi ed io stesso non lo capisco, non so perché fa così
o colà e soprattutto non so, non so proprio che cavolo pensi e la cosa
mi manda in bestia perché io devo sapere. Io devo avere conferme.
Quando c’era Leonardo ed anche Ancelotti mi trovavo bene, loro li
capivo, mi spiegavano, riuscivo a parare con loro, mi davano conferme.
Ma con lui non riesco a comunicare e non capisco se faccio bene o male,
se mi voglia, se creda in me… non capisco niente, niente di lui. Ed io
devo riuscirci ma non so come fare! - Thiago capì subito qual era in
realtà il suo problema principale ma prima di poterlo indirizzare con
abilità come solitamente riusciva a fare, Roby prese la parola e
spigliato, diretto e deciso com’era nel suo stile, disse la sua senza
giri di parole:
-
Cazzo, Ale, vuoi rimanere qua? Rimanici! Non sei obbligato ad
andartene! Non possono venderti senza il tuo permesso, per fortuna le
cose sono così, ormai, e anche se loro ti vogliono via e tu non vuoi
sei tu che decidi! Rimani qua, dì di no e che si fotta chi non ti
vuole, porca puttana! Tu non hai bisogno di pregare nessuno, hai già
dimostrato chi sei e che lo vogliano o no continuerai a dimostrarlo!
Non è Galliani che decide la formazione, è il mister, porca puttana! E
tu non smetti di avere talento solo perché qualcuno ti svaluta! Chi sei
lo sei comunque indipendentemente da quello che pensano gli altri di
te! O sei tu che pensi di essere finito come giocatore e di non avere
più il livello di un tempo? - E si parlava solo di pochi anni, non di
chissà quanti…
La
provocazione finale fu una specie di pugno allo stomaco fatto
coscientemente e di proposito e nel sentirlo Alex si girò di scatto
verso di lui e come se l’avessero veramente picchiato, con una luce
d’orgoglio e di rabbia nello sguardo spento e triste fino a quel
momento, disse:
-
No dannazione! No che non lo penso! Sono certo di saper giocare a
calcio e di saperlo fare anche bene! E se il mio fisico continua a
piantarmi in asso io continuerò testardamente a lavorare su di lui per
rafforzarlo e tornerò e continuerò a fare quello che so fare meglio!
Tirare calci ad uno stupido pallone! - Lo sfogo avvenne con forza e
decisione e ne furono tutti contenti perché alla fin fine era tutto
quello che gli serviva, aprirsi e tirare fuori con furia quello che
aveva dentro.
Dopo
di che Alex si sentì sollevato.
Sapeva
cosa fare.
Quando
andò in sede per dare la sua risposta ufficiale, scrisse esattamente
queste parole nel sito:
'Il
Milan è casa mia. Non volevo interrompere la mia carriera in rossonero
dopo aver vinto i miei primi due trofei con questa maglia. Voglio
contribuire a scrivere la storia del Milan e ai successi futuri di
questa società con allegria e in perfetta armonia con tutto l'ambiente.
Questa gioia mi darà la carica per affrontare le partite future con
maggiore entusiasmo, voglia di vincere e fare gol. Oggi per me è un
giorno speciale. Ringrazio il presidente Berlusconi, la società e
tifosi che hanno sempre creduto in me.’
Dire
che non sconvolse la stragrande maggioranza delle persone fu dire poco
dal momento che tutti erano ormai certi che se ne sarebbe andato da chi
in passato l’aveva ampiamente oltre che apprezzato anche gestito al
meglio.
A
casa, in attesa degli allenamenti pomeridiani, Alex si trovò a litigare
con Zlatan per telefono.
-
Non me ne fotte un cazzo di quello che ti succede, di come stai e di
cosa combini! Se ti chiamo rispondi e se decidi di sparire mi avverti
così non ti cerco come un coglione a casa senza trovarti! Fanculo! -
Era un modo molto aggressivo per esprimere la sua preoccupazione e
aveva scelto il telefono come mezzo di comunicazione per evitare di
spaventarlo troppo di persona, chiunque l’avrebbe capito, solo Alex
l’aveva preso per una specie di scusa per nascondersi:
-
Perché non vieni qua e ne parliamo? Ho passato delle pessime ore, ho
rifiutato una proposta importante, ho visto quanto in pochi mi vogliano
qua, sto male, dannazione, e tu mi urli contro al telefono per di più!
- Si stava innervosendo, oltre che agitando, e se prima era
miracolosamente riuscito a trattenersi dal piangere ora gli sembrava
tremendamente dura.
-
No perché altrimenti ti demolisco! - Sbottò Zlatan scoprendosi più di
quel che avesse voluto.
-
Se questo è il tuo modo di preoccuparti per me è davvero un modo
strano! Thiago e Roby mi hanno cercato e mi hanno anche trovato! Potevi
sforzarti un po’, se eri proprio così fuori di te! - non pensava
veramente che fosse stato poco in pensiero, capiva che lo era stato
veramente, ma accusarlo di non avergli risposto al telefono e detto
dove andava gli sembrava una sciocchezza in confronto a quel che aveva
passato lui. Aveva avuto delle buone motivazioni, in fondo.
-
Alex, non è questo il punto! Non puoi pretendere che ci avviciniamo e
ci capiamo meglio se al momento del vero bisogno mi scappi via così!
Quando l’ho fatto io sei venuto da me e mi hai obbligato ad ascoltarti,
mi hai convinto a provarci ma io te l’ho permesso. Ti ho permesso di
convincermi, ti ho ascoltato, sono uscito, sono venuto con te! Tu se
hai bisogno di me non puoi scappare così impedendomi di aiutarti,
cazzo! Come pensi che possa fare? - Era un discorso sensato, per questo
urlava tanto infuriato, ma Alex era troppo in subbuglio al momento.
Aveva anche rifiutato l’unica proposta che probabilmente avrebbe mai
voluto accettare. Seguire Leonardo e Ancelotti era sempre stata la sua
alternativa al Milan, un domani. Rifiutarla non era stato facile,
andare là lo sarebbe stato, a quel punto della sua vita.
Non
poteva venire ad accusarlo di essersi isolato al momento del bisogno,
lui lo capiva, tendeva a fare la stessa cosa ed era vero che mesi fa
l’aveva rimproverato dicendo di non chiudersi così, però era anche vero
che se per una volta che era una lo faceva lui, Zlatan poteva capirlo
visto che tendeva a fare la stessa cosa quando era arrabbiato. Ad
isolarsi.
Non
poteva rimproverarlo se poi era la sua stessa mania!
-
Zlatan, avevo bisogno di pensare da solo! -
-
Ma poi l’hai fatto con Thiago e Roby! -
- E
cosa vuol dire, sei geloso? - Non l’avrebbe mai detto in casi normali
ma lì non era molto in sé.
A
furia di tenere e tenere il tappo stava per schizzare pericolosamente
via. Non sapeva per quanto si sarebbe potuto trattenere, per questo
aveva liquidato anche Barbara con un momentaneo ‘ho bisogno di stare
solo.’ E poi si era chiuso in casa.
-
Fanculo, Alex! Se non vuoi capire non capirlo! - Poi però sull’impeto
dell’ira Zlatan si fermò e respirò a fondo, quindi con evidente sforzo
provò di nuovo a spiegarsi: - Non hai pensato da solo, ti hanno aiutato
loro. Ti hanno spinto loro a rifiutare, no? Tu ti sarai lamentato
dicendo che non vuoi andartene e loro ti avranno detto di rifiutare la
proposta e di rimanere! È vero che è andata così? -
-
Sì e allora? - Non capiva cosa ci fosse di male, funzionava sempre
così, con lui. Se stava male i suoi amici lo aiutavano, l’ascoltavano e
gli davano dei validi consigli. Che c’era che non andava in questo? Era
uno che non sapeva stare solo ma non lo vedeva come un difetto
insormontabile. Almeno non era uno che andava in giro a terrorizzare la
gente con la sua irascibilità!
-
Allora anche adesso lo stai facendo! Sono io che ti cerco per parlare e
chiarire, non sei venuto tu da me a scusarti e dirmi cosa hai
combinato. Guarda che io non sono uno che corre dietro a nessuno, lo
capisci che se mi sto dando la fottuta pena per farlo vuol dire che ci
tengo? E capisci che se ci tengo come minimo tu devi svegliarti e
capire come funziona il mondo!? -
-
C-cioè? - Non era nemmeno sicuro di volerlo sapere, in realtà.
Sicuramente gli avrebbe urlato contro di tutto e sicuramente lui ci
sarebbe rimasto malissimo. A quel punto sapeva comunque di non poterlo
fermare…
-
Cioè se vuoi qualcosa devi prendertela da solo! Non possono essere
sempre gli altri a darti il calcio in culo, a dirti cosa fare! Devi
fare le cose da solo perché lo vuoi tu e non perché qualcuno ti dà il
permesso o ti spinge! E soprattutto non puoi predicare di venirci
incontro e poi fare esattamente quello che ho fatto io che hai
rimproverato. Se vuoi che qualcuno si apra a te fallo tu per primo,
cazzo! Se non capisci qualcuno vai da lui e glielo chiedi! Se vuoi
rimanere in un posto decidilo da solo, prendi tu una posizione e
seguila fino in fondo! Non possono essere sempre gli altri a dirti
tutto! Cresci, Alexandre! - Dopo di questo Zlatan mise giù il telefono
consapevole che dopo l’avrebbe sentito probabilmente piangere e non
potendolo ascoltare evitò.
Alex
rimase a bocca aperta troppo shockato per scoppiare in lacrime sebbene
avrebbe anche voluto farlo. Quel nodo di prima trattenuto a stento non
era per niente stato digerito ed ora sembrava una minaccia troppo forte
per vincerlo.
Voleva
gridare, piangere e disperarsi perché si sentiva dire di tutto quando
voleva solo essere consolato e coccolato. Voleva che Zlatan
l’abbracciasse e gli dicesse che era lì con lui, non che lo sgridasse e
gli dicesse di essere un marmocchio viziato. Voleva che gli altri gli
parlassero e gli spiegassero le cose come facevano Thiago e Roby e non
dover indovinare da solo ed inseguirli. Voleva essere voluto da chi
voleva lui e non sentirsi un peso, cacciato, respinto.
Voleva…
quando capì però che semplicemente Zlatan aveva ragione, che erano
tutti comportamenti infantili, si fermò esterrefatto completamente
sotto shock. Non aveva nemmeno la minima idea di ciò che dovesse fare.
Rimase fermo a guardare il cellulare come se fosse una persona e quando
il campanello suonò per un momento assurdo credette che fosse proprio
Zlatan, l’unico che avrebbe voluto vedere e coprire prima di pugni e
poi affogarci dentro.
Andò
ad aprire precipitosamente e quando si trovò davanti il viso di qualcun
altro che non era Zlatan ne rimase non deluso ma impietrito. Fra tutti
era assolutamente l’unico che non si sarebbe mai e poi mai aspettato di
vedere.
Il
volto impassibile di Massimiliano Allegri era lì davanti a lui e tanto
per cambiare non sorrideva. Poi si corresse. Non è che non sorrideva
mai, non sorrideva mai a lui. O per lo meno questa era la sua
convinzione.
E
comunque quando lo faceva veniva frainteso perché sembravano smorfie.
Ad
ogni modo rimase di sasso a guardarlo.
Il
mister non era mai venuto lì a casa sua e tanto meno l’aveva mai
cercato di persona. Quasi quasi nemmeno in campo si parlavano se non lo
stretto necessario.
-
M-mister… cosa ci fa lei qua? - Chiese interdetto cercando di scacciare
la litigata con Zlatan ancora troppo fresca.
-
Posso? - chiese col suo forte accento livornese.
Alex
si fece da parte come un automa e quando fu dentro rimase inebetito ad
osservarlo addentrarsi in casa sua, si diede un’occhiata intorno poi si
fermò, si girò verso di lui e senza bisogno di farsi offrire qualcosa
come normalmente si faceva in quei casi, con le mani puntate ai
fianchi, disse schietto e sbrigativo senza peli sulla lingua:
-
Mi spieghi che diavolo di problema hai tu con me? - Quando lo sentì
Alex credette di aver sentito male.
-
Come, prego? -
Massimiliano
sospirò spazientito, chiuse gli occhi e li riaprì cercando di non
saltargli alla gola. Solitamente era una persona abbastanza controllata
e calma, molto zen, come lo definivano i giornalisti, però alcuni
giocatori ed alcune partite lo facevano uscire di testa. Alex era fra
questi ma cercava sempre di trattenersi e non urlargli contro per non
spaventarlo e non mettergli la pressione sbagliata.
-
Perché mi parli attraverso i giornalisti, le interviste, i siti e gli
amici? Perché non bussi alla mia diavolo di porta e non parli a me in
faccia, direttamente? Perché non mi chiedi quello che ti sta
sull’anima? Quello che non capisci? Perché non mi parli? La mia porta è
aperta a tutti e tutti la oltrepassano senza problemi, Ibra è più da me
che a casa sua, a momenti! Per non parlare di Roby e Antonio!
Dannazione, Alex, che problema hai con me? Non ti ho nemmeno mai
rimproverato! A Roby sono sempre che gli urlo dietro di tutto, con te
non ho neanche mai perso la calma! Spiegami cosa c’è che non va! Devo
venire a saperlo dalla società e dal sito ufficiale che hai rifiutato
la proposta di andare al PSG e che vuoi rimanere qua al Milan? -
Alex
credette in uno scherzo ma poi si corresse, Allegri non scherzava mai
che lui sapesse. In realtà lo faceva solo che nessuno lo capiva…
-
Ma io non volevo andarmene al PSG! - Disse spontaneo la prima cosa che
gli venne in mente tralasciando tutto il resto.
Massimiliano
sospirò impaziente e lo raggiunse in poche falcate, una volta davanti a
lui, faccia a faccia, replicò basso e penetrante:
-
Perché non me l’hai detto prima? -
-
Perché non pensavo le interessasse… - Ancora una volta parlò senza
riflettere dicendo semplicemente come stavano le cose, Massimiliano
tornò a provare l’irrefrenabile istinto di dargli una testata. Di
solito era così calmo, perché ora voleva ammazzare qualcuno? Non stava
nemmeno guardando una partita!
-
Come diavolo puoi dirlo?! -
-
Perché ha permesso facessero l’accordo? Se lei mi blindava non
avrebbero fatto un accordo col PSG! - Fu allora che cominciò a sentire
il famoso coperchio barcollare pericolosamente. Cercava di trattenersi
ma ormai erano troppe, quelle che aveva dovuto ingoiare. Quella era il
culmine.
-
Perché sembravi infelice qua! Come se non riuscissi più ad andare
avanti e siccome non mi parli ho pensato che fosse colpa mia. Dal
momento che sono io l’allenatore e che non voglio impedire lo sboccio
di una carriera promettente come quella che hai tu e soprattutto
vedendo che non stavi più bene qua, ho pensato che ti sarebbe piaciuto
tornare con chi ti sei trovato sempre bene! E siccome a me serve un
rinforzo sostanzioso in attacco, abbiamo fatto questo piano con
Galliani ed il presidente! Ma se mi dicevi prima quali erano i tuoi
problemi, qualunque essi fossero, e che comunque volevi rimanere qua,
non ti proponevo nemmeno lontanamente! Perché non sei venuto da me
invece di fare tutto da solo? -
Massimiliano
stentava a non gridare ma riusciva ancora a controllarsi sebbene fosse
visibilmente arrabbiato e seccato. Alex a sua volta voleva di nuovo
piangere e gridare e questa volta seppe che non sarebbe riuscito ad
evitarlo.
-
Perché pensavo di non piacerle, che non le interessassi, che volesse
liberarsi di me, di non servirle! Pensavo che tutti i miei infortuni la
stessero seccando, che non volesse più aspettarmi. Pensavo che non le
importasse niente di me! - Il mister sospirò esasperato e prendendolo
per le spalle lo scosse cedendo ad un eccessivo scatto d’impazienza
oltre il suo solito, e lo fece alzando la voce concitato:
-
Ma come puoi dirlo se non mi hai mai parlato? -
-
Ma come facevo? Lei era il primo a non farlo! -
-
Alex, la mia porta è sempre stata aperta, perché non sei venuto,
dannazione? - Insisteva su quel punto come se le sue risposte non
andassero bene, come se ci fosse dell’altro che voleva sentire, un
altro punto della situazione e all’ennesimo scossone, davanti a tutto
quello che aveva passato in quei mesi nella disperata ricerca di essere
apprezzato principalmente da lui, il suo allenatore, con la convinzione
assoluta di non esserlo mai stato, le lacrime uscirono insieme al suo
scoppio concitato e fuori di sé, ma non per la rabbia, solo per la
delusione e la disperazione:
-
Perché non capisco le sue scelte! Non capisco se quando mi faccio male
lei è arrabbiato o deluso o cosa! Non capisco se le piacciono le mie
prestazioni in campo! Non capisco perché, se sto bene, non mi mette
sempre in partita! Non capisco se le mie giocate le vanno bene! Non
capisco cosa pensa di me! Non capisco niente di lei! Ed io per aprirmi
a qualcuno ho bisogno di capirlo, se non ci riesco mi chiudo! - Ed era
stato tale e quale anche con Zlatan. Solo grazie ad una serie di
curiosi eventi alla fine ci era riuscito. E alla furbizia di Antonio
che si era lavorato l’amico spingendolo a frequentare di più il
brasiliano. Solo quando aveva capito che non era un mostro ma solo uno
che veniva il più delle volte frainteso, si era rilassato e si era dato
a lui.
Massimiliano
vedendolo piangere e sentendo finalmente quella che era la verità e
niente altro, lo strinse nascondendogli il viso contro la sua spalla.
Alex vi si aggrappò come se fosse veramente suo padre, proprio come
aveva voluto fare da molto prima, come spesso aveva fatto con Leonardo
e Ancelotti nei momenti di crisi. Perché a lui le crisi emotive non
erano mai mancate ma fortunatamente nemmeno gli amici ed i punti di
riferimento.
-
Io non voglio andarmene, voglio rimanere qua a Milano. È la mia città,
quello stadio è la mia casa, i miei compagni sono i miei fratelli e
tutto quello che mi manca sono dei riferimenti che credano in me e che
mi facciano capire quando vado bene e quando non vado bene… voglio
solo… - Ma le lacrime e i singhiozzi che aveva trattenuto per troppo
tempo nel periodo peggiore della sua carriera, erano troppi per
riuscire a parlare ancora e fu Massimiliano questa volta a farlo
ritrovando la sua famosa calma e pacatezza che spesso sembrava un muro
insormontabile e spesso né più né meno ciò che appariva. Una persona
solida su cui fare affidamento.
-
Va bene, ho capito. Però devi imparare a farti capire anche tu. Non
puoi aspettare che gli altri ti anticipino od indovinino o che qualcuno
ti spieghi, se vuoi sapere qualcosa la chiedi, se non capisci, parla.
Se vuoi qualcosa, fallo. Una squadra funziona quando si schiera
compatta in ogni caso ed un giocatore va bene quando si sente in
famiglia. Devi esprimerti anche senza qualcuno che lo faccia al posto
tuo, Alex. - E con questo intendeva i soliti Thiago e Roby che venivano
sempre in suo soccorso, per non parlare di comunque anche tutti gli
altri come Antonio, Rino, Massimo e altre colonne portanti della
squadra che l’avevano da sempre preso sotto la loro ala protettiva.
Sapeva
che era successo per la sua giovane età. Approdare a diciassette anni
in una squadra come quella non era facile per nessuno e veniva
spontaneo a tutti i compagni prenderselo in simpatia e proteggerlo,
specie se poi lui non era arrogante, saccente e presuntuoso. Ricardo
era stato il primo a prenderselo sotto braccio ed anche se Massimiliano
non c’era al tempo, le cose erano andate così. E dopo di lui c’erano
stati gli altri.
Il
mister sospirò sentendolo finalmente calmarsi, aveva anche cominciato a
dargli delle carezze paterne fra i ricci ingarbugliati e nonostante il
fisico prestante sembrava ancora un bambino.
Si
dispiacque per il modo in cui si era sentito. Nel non capirlo si era
chiuso dando vita ad un cane che si mordeva la coda senza arrivare a
capo di niente. Vedendolo così chiuso aveva pensato ce l’avesse con
lui, che non stesse più bene lì e che volesse andarsene. Ad un certo
punto non aveva proprio più saputo cosa fare e ricevere le notizie dal
giornale su cosa aveva detto Alex su un incontro, su una scelta
dell’allenatore o su qualunque cosa che riguardava la sua carriera, era
stato frustrante quando invece persino con Zlatan era riuscito ad
instaurare un buon rapporto.
-
Mi scusi, ho frainteso tutto ma… - Disse con voce rotta tirando su col
naso come un bambino, Massimiliano ridacchiò e staccandoselo di dosso
gli porse un fazzoletto, il ragazzo lo prese e si pulì il viso
rendendosi presentabile. Solo allora, alzando lo sguardo, Alex vedendo
quella sua espressione indulgente e vagamente divertita, l’aveva visto
come quello di un padre. Ciò che aveva sempre cercato nel suo sguardo,
quella nota di solida presenza, quella conferma ferrea, quell’esserci
incondizionatamente. Quel riferimento che non era ancora mai riuscito a
vedere in Allegri ma che ora e solo ora cominciava finalmente a vedere.
Sorrise
con timidezza volendo scusarsi di non sapeva bene cosa, Massimiliano
capendolo scosse il capo e gli diede una pacca sul braccio:
-
Ci vediamo agli allenamenti più tardi! - Con questo, solo con questo ed
un sorriso che come sempre parve una specie di smorfia di dolore solo
perché non sapeva sorridere come Dio comandava, se ne andò lasciandolo
senza un peso insormontabile che fino a prima l’aveva schiacciato a
terra.
Accompagnandolo
alla porta lo guardò scendere gli scalini dell’entrata e solo quando
incrociò Zlatan dandogli una pacca anche a lui sul braccio, la stessa
che gli aveva appena dato, lo vide.
Per
un momento tutto si fermò di nuovo, anche la propria serenità appena
ritrovata.
Per
un momento il mondo sparì e tornò quel peso, quella voglia di piangere
e gridare e soprattutto la paura, la paura di tutto.
Ma
quando l’altro entrò chiudendosi la porta alle spalle per poterlo
abbracciare subito, ogni cosa svanì e la leggerezza tornò.
Non
sorrideva, Zlatan, ma nemmeno era più tanto arrabbiato. Era solo
seccato per la litigata di prima ma si capì subito e Alex non ne ebbe
dubbi.
-
Scusa, è che quando non capisco qualcosa mi chiudo a riccio… devo
imparare a chiedere, a parlare, insomma. - Non era facile per uno col
suo carattere ma quando lo sentì Zlatan se ne sollevò capendo che il
mister doveva averlo appena strigliato per bene. Per la prima volta.
Finalmente.
Ghignando
e spettinandogli ulteriormente i capelli ricci, asserì infine con la
sua solita sicurezza ed un pizzico di ironia:
-
Sarebbe sempre ora! -
Decisamente
sempre ora.
Il
sorriso di Alex fu la cosa più apprezzata di quei giorni difficili.
Oltre
che il bacio finale che sancì una pace a gesti e non a parole. Insomma,
visto che tendevano a fraintendersi sempre era meglio agire, per
comunicare in modo efficace!
In
quello funzionavano bene!
FINE