*Ecco qua un altro capitolo. Siamo alla soglia di Infest, il loro primo album in studio, e vediamo come si preparano a questo evento, quanto erano consapevoli, come pensavano che fosse. Mentre Jerry si preoccupa del loro futuro, Jacoby pensa a come superare le sue paure perchè per Jerry ce la vuole fare e si impegna. Sapendo della sua infanzia e pensando a certe 'follie' che aveva per metà carriera, ho tratto alcune conclusioni logiche che però non possiamo confermare. Per esempio la paura degli insetti è una di queste logiche conclusioni, ma non so se lo è davvero. So che il simbolo dei Papa Roach è uno scarafaggio morto (se è a pancia in su è morto), per cui ho usato la cosa in un certo modo che vedrete cammin facendo. Buona lettura. Baci Akane*

17. CAMBIARE MA NON TROPPO



"Non puoi scrivere la storia delle nostre vite?
La morte per me, la vita per te
Qualcosa non quadra

Ed ho bisogno di più spazio per
Svuotare la mia testa a pensare alla Mia vita
E non posso esser solo"
- Decompression period -


Quando si è tatuato come prima cosa il nome di Kelly non gli ho parlato per due giorni, poi è tornato con altre stronzate addosso come per dire ‘ehi, tanto mi dipingerò dalla testa ai piedi di cagate’.
Così mi sono calmato.
Non stiamo insieme, però diciamo che tiriamo avanti. Cerchiamo di gestire come possiamo, solo che a volte scoppia cercando di trattenersi e così arrivo e tiro su i cocci.
Dopo la sua laurea ed il nostro primo album indipendente le cose decollano in modo piuttosto veloce, prima che ce ne accorgiamo siamo notati da una casa discografica più seria che ci propone un contratto e come inizio non ci mette limiti e regole, vogliamo fare nu Metal, rap metal, cose così. Per cui il look con cui ci presentiamo va bene per quello che mostriamo.
Quando firmiamo è come l’apoteosi per noi, ci sembra la cima e non la partenza. Non abbiamo idea di dove possiamo arrivare, sappiamo tutti che Jacoby come leder del gruppo e cantante è dannatamente portato e sappiamo che abbiamo delle buone carte grazie a lui, solo che non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello che possiamo avere un successo pazzesco.
Per cui noi firmiamo per fare un album e siamo al settimo cielo, come arrivati, no? Eppure quella sera prima di arrivare al locale dove berranno e si festeggerà questo traguardo importante, siamo io e lui da soli e per un momento lui mi guarda sempre con quei suoi occhi incredibilmente belli e tristi al tempo stesso.
Aspettiamo a scendere perché fa freddo e gli altri non ci sono ancora, fuori inizia a nevicare e spegniamo il motore della macchina perché consuma troppo accesa anche se siamo a zero gradi.
E così lui fa un sorriso particolare, di quelli che non ci credono.
- Ma ci pensi che potremmo smettere di pensare in ‘non è il caso di’ e ‘non possiamo fare questo’? - Sorrido dolcemente mentre lo guardo perché so quante rinunce deve aver fatto fino a qua ed in generale nella sua vita. So che è stato anche senza una casa da piccolo, viveva in tenda e probabilmente l’instabilità emotiva di suo padre per il post guerra ha scavato in lui creandogli queste paure recondite di cui non si libererà facilmente.
Non è che lo ha controllato bene, fino a qua, però non si è nemmeno più nascosto. Se capita di stare soli è come se si arrendesse per qualche minuto. Semplicemente si limita ad abbassare la guardia invece che alzarla come cercava di fare prima. Un po’ va meglio.
Però è sempre pieno di lotte.
- Chissà... - Annuisco rimanendo come sempre coi piedi per terra.
Lui si strofina le mani e se le soffia davanti alla bocca, così visto che i vetri si stanno appannando gliele prendo, le strofino fra le mie e lo guardo mentre nei suoi occhi il conflitto e la paura lottano con questa serenità che gli trasmetto ogni volta che lo tocco.
Sa che non deve, però lo vuole un sacco.
- Abbiamo fatto un primo passo importante, adesso vedremo come andrà, ma con quella firma sai a cosa penso? - Chiedo come se avessi a che fare con un bambino che fa un broncio delizioso. Scuote la testa, io rispondo sorridendo ancora con dolcezza. Perché quando siamo soli io e lui è così bello... così bello.
- Penso che ci siamo legati più di quello che eravamo prima. - Pensiero particolare da condividere con lui che cerca sempre un equilibrio interiore ed esteriore. Con scarsi risultati.
- Come quando due si sposano? - Ovviamente lui deve pensare al suo folle ed insulso matrimonio che io odio!
Sorrido annuendo.
- Sì. Come due che si sposano. -
- Quindi siamo sposati? - Così rido e scuoto la testa mordendogli la punta delle dita, lui ride a sua volta senza capire cosa abbia detto e ringrazio il freddo che fa fuori che contrasta col calore che emaniamo noi, perché questi vetri sono così tanto appannati che da fuori nessuno ci vede mentre ci sfioriamo le labbra.
No, non è che stiamo insieme, ma non siamo nemmeno solo amici o compagni di band.
E non sono nemmeno il suo amante, non davvero. Non abbiamo più fatto sesso, non ci siamo più toccati, niente orgasmi. Però nemmeno l’indifferenza o la paura di toccarci e stare soli.
Ogni tanto ci concediamo queste piccole debolezze e non ne facciamo una tragedia, perché quando siamo soli il resto del mondo fuori è lontano anni luce, non ci sono ragazze e mogli o amici e compagni di band. Non c’è un mondo pronto a giudicarci, etichette, regole, imposizioni. Non c’è niente. Solo io e lui e questa voglia di toccarci e baciarci. Niente di più. Mai niente di più.
Per ora così va bene, ma pensando a questa firma, a questo album serio, a questo lancio che potrebbe essere tutto e niente, mi viene un po’ di paura.
Perché è un equilibrio precario quello che abbiamo ora, ma c’è perché la nostra vita è circoscritta a queste poche cose sicure e conosciute. I nostri amici, le nostre famiglie, la nostra band, quel paio di fan che ci seguono fedelissimi nelle nostre serate.
Adesso ci sono i lavori che cerchiamo di fare per mantenerci, l’arrivare a fine mese, creare nuova musica.
Queste sono le cose nel nostro mondo.
Ma domani? Domani cosa diventerà il nostro mondo? Cosa ci apprestiamo a gestire?
La verità è che non ne abbiamo minimamente idea, però l’impatto che avrà in noi sarà devastante.


Quello che succede con Infest non è nemmeno lontanamente paragonabile a quel che ci eravamo immaginati.
Avevamo pensato di non avere più problemi di benzina, ma non certo di ritrovarci dal nulla al tutto in un attimo.
È una cosa improvvisa ed inaspettata e mentre realizzo che non è esattamente come pensavo, capisco che ormai sono legato indissolubilmente a lui e non so quanto sia positivo.
C’è però un momento fra il niente ed il tutto. Prima dell’uscita dell’album e del successo.
Stiamo tutti pensando un po’ a titoli e copertine e cose così, quando lui una sera mi fa questo discorso a casa mia.
L’album è praticamente pronto e stiamo facendo le ultime rifiniture e si discute sui dettagli, come appunto il titolo e la copertina. Ci sono diverse proposte. Sul genere non ci sono mai state discussioni. Il Nu Metal è il genere del momento e Jacoby è incredibilmente bravo con il rapcore ed il rap mescolato al metal.
Sto guardando quello che ho nel mio armadio per fare i live e Jacoby è steso nel mio letto.
- Sai, pensavo alla mia tesi di laurea. - Quando ci ripenso mi vengono i brividi, ma ovviamente sono bravo a far finta di nulla.
- Sul superamento delle fobie? -
- Sì... - Ha le braccia incrociate dietro la testa e una gamba piegata sul letto mentre l’altra è a penzoloni. - Ti avevo promesso che avrei fatto di tutto per superare le mie follie, gestire le mie emozioni in modo umano... - Sorrido fra me e me, dandogli le spalle posso fare quest’aria tenera. Solo io lo vedo già estremamente umano?
- Ricordo bene. - Tiro fuori tutti i pantaloni che ho e glieli butto addosso, alcuni vanno benissimo per il look che vogliamo proporre, siamo ragazzi semplici che propongono del nu metal, non possiamo essere troppo hip hop, ma nemmeno troppo metallari. Lui ridacchia ma non si muove, così prendo i jeans uno ad uno e li guardo sistemandoglieli per bene sopra, lui non si oppone.
- Nella mia tesi si dice che per superare le fobie le devi affrontare faccia a faccia. Devi come prima cosa capire quali sono, poi scavare per vedere da dove derivano. Quando si trova la derivazione devi sviscerare, analizzare, capire che non è una colpa od un problema. Insomma, ci sono poi diversi modi. -
Non so dove vuole andare a parare, ma gli metto un jeans sulla faccia, lui non se lo toglie ma ride. Mi piace  farlo ridere.
- E se sono fobie che non derivano da un problema infantile di cui ti puoi disfare con dei dialoghi? - Mi riferisco ad un problema coi genitori che può aver portato alla fobia delle relazioni serie, per esempio. Lui ha paura degli insetti, sente dei ronzii. Ha associato la sua condizione di disagio da bambino, la paura delle notti passate in tenda, ai ronzii degli insetti che gli sembravano gli entrassero nelle orecchie. Ora ogni volta che c’è qualcosa che gli crea disagio o lo agita, arrivano gli insetti. È un’associazione, più che una fobia.
- In quel caso terapia d’urto. O anche non proprio d’urto ma... insomma ti immergi in quella paura, o lo fai piano piano a piccole dosi, oppure tutto in una volta. -
- Perciò dovrei infilarti in una vasca di scarafaggi? - Chiedo divertito. Lui si toglie i jeans dalla faccia e me li tira addosso, io ridendo li metto via passando alle maglie. Forse per le maglie mi servirà comprare qualcosa.
Ancora non realizzo che il problema del comprare, di qualsiasi cosa si tratti, non sarà ancora un problema per molto. Non ci si riesce a spostarsi dalla propria condizione di limiti.
- No, ma devo iniziare ad ucciderli da solo! - Faccio un mezzo sorriso.
- Vuoi iniziare ora? - Spalanca gli occhi e mi fissa pallido come un cadavere, così mi metto a ridere mentre ne prendo uno abbastanza piccolo in mano. Io sono il suo opposto, non ho proprio problemi con gli insetti. Lo prendo nelle mani a coppa e vado da lui che si raggomitola sul letto, rigido come un cadavere. Inghiotte e sto per buttarlo fuori dalla finestra, quando mi richiama con voce tremante.
- No aspetta. - Inarco le sopracciglia. Onestamente pensavo che tutti i suoi discorsi sull’affrontare le paure fossero solo discorsi. - Fammelo solo vedere... - Lo guardo ancora incerto e lui, sia pure terrorizzato, annuisce deciso. - Devo iniziare almeno a guardarli. Cominciare a resistere. -
- Sei sicuro? - Chiedo serio. Lui annuisce e stringe i pugni sulle ginocchia che tiene contro il petto, così piano piano mi avvicino a distanza di sicurezza e apro le mani mostrandogli lo scarafaggio che a parte essere davvero brutto, non ha grandi colpe.
Guardo la faccia pallida di Jacoby e si morde il labbro fin quasi a sangue, trattiene il respiro per un po’, io sto immobile, lo scarafaggio anche e sembra che i due si guardino negli occhi. È una specie di miracolo perché non è mai successo che stesse così calmo davanti ad un insetto.
- Tutto ok? -
Jacoby annuisce, ma non parla, così dopo un paio di istanti interminabili mi chiede di buttarlo ed io lo faccio. Appena chiudo la finestra prende un respiro di sollievo, si rilassa e si strofina il viso sudato. Mi avvicino e gli carezzo la testa sempre con la mia tipica tranquillità.
- Grazie. - Dice poi. Io sorrido.
- È andata bene, no? Non sei mai stato così tanto a guardarne uno. - Lui annuisce.
- Se non inizio da qualche parte non ci riuscirò mai... -
Così torno al mio armadio e alle magliette che scarseggiano.
Magari le camice...
- Forse è più facile con gli insetti che non volano e non ronzano? - Chiedo senza averne idea. Lui piega la testa e torna a stendersi nel mio letto mentre credo che lo stress appena affrontato potrebbe essere destabilizzante.
- Sì, sicuramente sì. -
- Da cosa deriva la tua paura degli insetti? - Lo so da dove deriva, ma penso dovrebbe parlarne in modo più approfondito.
- Beh ma lo sai. -
- Sì, però ogni paura è legata a qualcosa, no? - Ricordo la sua tesi quando l’ho sentita e lui stupito annuisce.
- Sì... beh, i problemi di quella vita erano le notti. Completamente al buio, senza un tetto ma sotto una tenda... completamente vulnerabili tanto che persino gli insetti potevano farci quel che volevano. E la sensazione di essere sempre sporchi... sai, mi sentivo indifeso, aggredito da tutto e da tutti ed avevo continui incubi su questi insetti mostruosi ed enormi che mi divoravano e... - inizia a parlarne e tira fuori un bel po’ di paure legate a quel periodo, paure che hanno contribuito a renderlo così maledettamente instabile e fondamentalmente pauroso di tutto.
- E così affronto le paure in diversi modi. O le ridicolizzo o eccedo per distrarmi... oppure come noti mi blocco e mi vengono allucinazioni! -
- Devi diventare emotivamente più forte e sicuro di te. Ora sei adulto, puoi proteggerti da tutto. -
- Sì, ma queste cose sono radicate. Non è facile. Se ho paura di impazzire perché ho visto mio padre impazzire nel suo stress post trauma, come l’affronto? - Questa è la domanda del secolo.
- Non stordendoti fino a non controllarti più... - Finisco di visionare quello che ho e mi siedo nel letto vicino a lui, si fa in parte e mi tira giù con la sua solita delicatezza. In un attimo sono steso vicino a lui, nel mio letto da una piazza e mezza, stessa posizione a guardare il soffitto.
- Non lo so, ma penso di dover iniziare con calma, da una parte e poi piano piano lavorare un po’ su tutto. - Mi strofino le labbra, poi con la delicatezza maggiore di cui sono capace, azzardo.
- Forse dovresti chiedere aiuto a qualche esperto, non credi? - Lui mi prende subito la mano ed intreccia le dita alle mie. Non fa queste cose con Kelly, non le fa. Cerca me per farle. Che senso ha il suo matrimonio con lei?
È stata solo l’ennesimo colpo di testa alla Jacoby. Così come quel tatuaggio e miliardi di altre cose. Perché prima fa e poi pensa.
- Non credo in quelle cose, credo che ognuno ha la forza per tirarsene fuori, che se non ne usciamo noi da soli, nessuno ce ne può tirare fuori. -
- Io invece credo che a volte bisogna chiedere e accettare aiuto. - Lui piega la testa verso di me e si accoccola contro il mio braccio, la mano stretta alla mia con una dolcezza ed una ricerca d’affetto che mi fa sempre impressione.
- Mi basta che tu mi stia vicino e mi sopporti. Piano piano ne uscirò, vedrai. - Sospiro.
- Io ci sarò sempre, lo sai. Ma tu non smettere di lavorare su te stesso. - Posso solo sperare che le cose non peggiorino.
- Pensi che questa avventura che ci aspetta ci cambierà la vita davvero o sarà solo l’ennesimo ridicolo fallimento? - Ed ecco che si affaccia la mia, di paura, attraverso la sua bocca maledettamente bella. Mi giro e lo guardo, ma siamo troppo vicini per non cedere alla nostra solita tentazione, così in risposta gli sfioro le labbra, ci rilassiamo entrambi chiudendo gli occhi e respirando più calmi.
Che lo amo non glielo dirò mai.
Spero solo che lui lo sappia.
- Ho paura che ce la cambi troppo. - Ammetto poi sulle sue labbra. I suoi occhi meravigliosi e velati mi guardano da vicino senza capire, così gli carezzo il viso con un dito, poi sorrido e piego la testa. - Ma possiamo solo buttarci. -
A questo punto lui fa una cosa incredibile. Mi mette la mano dietro la nuca, come fa spesso, mi tira a sé fino a nascondermi il viso contro il suo collo ed in un modo di protezione totale, mentre mi stringe contro di sé, mormora.
- Non noi. Noi non cambieremo. Il nostro modo di stare insieme, di prenderci cura uno dell’altro. - Sorrido contro la sua pelle e mi sento stupidamente meglio. Per una volta fa lui quello forte.
Non lo può sapere, vorrei dirglielo, ma mi tengo questa bella promessa e spero che abbia ragione, per una volta.