*Ecco un altro
capitolo. Ormai la vita da tour fa il suo dovere come lo fa sempre per
le band che sfondano con un enorme successo che dà alla testa. Jerry è
l'unico astemio del gruppo e non ha mai bevuto, mentre Jacoby si sa che
di cose ne ha fatte molte ed anche estreme, su sua stessa ammissione in
quel periodo distruttivo oltre a bere e farsi, andava anche con un
sacco di donne ed io sono brava a combinare tutte le informazioni reali
con la mia visione di quei due. Buona lettura. Baci Akane*
19. SOLO UNA QUESTIONE FRA NOI
"Linea per linea, rima per rima
Qualche volta combattiamo
tutte le dannate volte
Mi fa star male
Le relazioni ti fanno ammalare
Bevi piscio, idiota, pazzo
Davvero potresti sentire quello che sento io?"
Passa dall’amarmi alla
follia all’odiarmi, sempre alla follia.
Dopo che mi abbraccia
eccitato ed entusiasta per il bello show fatto comincia a bere come
sempre e dopo che diventa sentitamente pesante e cerca di saltarmi
addosso, io lo scarico dicendo che da ubriaco non faremo mai nulla.
Così lui mi insulta,
anche a voce piuttosto alta, attirando l’attenzione degli altri, io
rimango paziente ed indifferente a fare come se lui non fosse qua
mentre lui mi fa il dito medio e prendendo una ragazza per mano se la
porta via.
Come diavolo si fa, qua
dentro, ad avere sempre una maledetta puttana a portata di mano?
Cazzo!
Così io divento un muro
gelido, non lo guardo quando torna, non lo calcolo, per me non esiste.
So cosa ha fatto e lui
è sempre arrabbiato, lo vedo che scaccia dei moscerini dal lato del suo
orecchio come quando è fortemente stressato.
In risposta continua a
bere fino a che non viene trascinato in bus, la festa è finita e viene
tutto sbaraccato, mentre noi della band andiamo su con lo sciroccato.
In bus è sul suo letto,
ce ne sono quattro, due per parete. Jacoby si butta sulla prima in
basso e sta lì per un po’, gli altri si mettono ognuno su uno, già a
russare pieni. Io che non sono ubriaco ma solo stanco, mi viene la
nausea a dormire con questa puzza di alcool.
Dave è quasi al livello
di Jacoby, Tobin è meglio, infatti lui dorme sereno.
Rimango un po’ nel
divano nell’angolo al di là del divisore, vicino a me la mia fedele
chitarra, davanti sul tavolino un quaderno.
Il quaderno di Jacoby
dove scrive i suoi appunti, versi, tentativi di canzoni, frasi e
scarabocchi.
Pensieri a ruota
libera.
Mi mordo il labbro
guardando il suo famoso quaderno che non ho mai aperto.
Ogni tanto lo prende e
sparisce, si isola e va in un altro mondo ed io lo osservo con quella
sua aria triste. Non se ne rende conto di quanto triste è il suo
sguardo quando non sa di essere guardato.
Le mie mani si muovono
da sole prima che me ne accorga, non l’ho mai fatto, è la prima volta
che lo faccio.
Apro il suo quaderno e
mi immergo in quello che per me è sempre stato un mondo misterioso a
cui mi sono negato.
La sua scrittura è un
misto fra il gotico e l’urbana, alcune scritte occupano più spazio e
sono più grandi, alcune sono parole, altre frasi. Certe sono
visivamente molto belle. Dovremmo usare questo suo talento per lo stile
di scrittura.
‘Nato con niente, morto
con tutto’ attira la mia attenzione.
Ma anche ‘Born to
rock’.
Poi c’è il simbolo
della chiave di violino, alcuni scarabocchi ed altre cose che forse
saranno tatuaggi un giorno.
Non è un disegnatore,
direi che è più un grafico.
Sfoglio le pagine come
se le sue sceneggiate che tanto odio siano lontane da me anni luce e
non avvenute poche ore prima.
Impressionato dal suo
modo di esprimere il suo mondo privato. Lo sto violando? Si
arrabbierebbe?
Scivolo nei suoi versi,
alcuni li conosco, altri no. Alcuni sono impossibili da capirne il
senso, altri sono davvero belli.
Poi ci sono molti di
segni di insetti, scarafaggi a pancia in su, come quando muoiono
stecchiti. Chissà se nella sua testolina bacata disegnare scarafaggi
morti è come ucciderli davvero e superare la sua fobia.
Sospiro e scuoto la
testa quando un rumore da dietro il pannello divisore a cui appoggio,
mi fa capire che qualcuno è rotolato giù dal letto. Mi raddrizzo e giro
la testa per capire se è lui, il bus continua la sua avanzata placida
verso la prossima città in giro per gli States.
Una camminata da
elefante, una porta che viene aperta malamente, non questa, così
capisco che è Jacoby che va in bagno.
Si fa chiamare Coby
Dick per insultarsi e schernire, ridicolizzare il suo problema col
cibo.
Non è grasso, ma
nemmeno magro, ha solo un paio di chili di troppo. Eppure lui si vede
enorme, forse perché mangia, sa di mangiare male e in modo compulsivo,
sa che il suo rapporto col cibo è disastroso ed il fatto che mangi lo
disturba al punto da insultarsi da solo con questo nome idiota.
Io gli dico ‘ma che te
ne importa se mangi male?’ E lui ‘a me importa perché so che non sto
affrontando bene i miei problemi.’
Ed odio quando è così
lucido. Lo odio, cazzo.
Perché mi fa arrabbiare!
Non è sempre pazzo. Se
fosse sempre pazzo e stronzo sarebbe facile ignorarlo e mandarlo a
cagare, ma ci sono le volte in cui è sé stesso ed io mi arrabbio.
Perché non può esserlo sempre?
Così sbuffo e sebbene
non volessi farlo, mi alzo e attraverso le brande per raggiungerlo al
bagno, mentre mi insulto pesantemente per questo.
Quando mi affaccio al
bagno piccolo e non di certo profumato, lo vedo in ginocchio davanti al
water, abbracciato alla tazza, la testa dentro che cerca di vomitare.
Scuoto la testa, sospiro e mi siedo accanto a lui, in modo da avere le
spalle alla parete a cui è attaccato il water. Il poco spazio che c’è
qua dentro lo occupiamo noi e stare seduto in un pavimento non fradicio
ma di certo non pulito, è sintomo di quanto tenga a questo idiota.
Più di questo posso
solo alzargli la testa, aprirgli la bocca con una mano ed infilargli
due dita in fondo alla gola fino a che non arriva il conato.
Da solo non riesce a
vomitare, ma finché non lo fa non sta bene.
Jacoby vomita subito,
io gli tengo la nuca e aspetto che butti fuori tutto mentre appoggio la
testa all’indietro e stringo gli occhi senza capire perché. Perché
diavolo devo fare questo?
Quando lui finisce di
vomitare rimane con la testa appoggiata alle sue braccia piegate sul
bordo, incrociate. Tiro lo sciacquone e aspetto che abbia voglia di
alzarsi. Non solleva il capo, non mi guarda, non dice nulla per un bel
po’, così pensando che si sia addormentato mi alzo e mi preparo a
tirarlo su, ma a questo punto mi parla.
- Come fai? - Biascica.
Non è più ubriaco e non ho idea di che cosa ricordi, è comunque molto
provato.
- A metterti le dita in
gola? - Chiedo senza capire visto che potrebbe riferirsi a ventimila
cosa che faccio e non so nemmeno io come.
Lui scuote la testa e
faticosamente la alza, appoggia il mento al bicipite, tutto storto
rispetto alla posizione in cui è. I suoi occhi azzurri mi fissano dal
basso e sono liquidi, arrossati e carichi di una tristezza che è più
viva che mai.
Sembra mi stia pregando
e per un momento non respiro, rimango a fissarlo impressionato,
paralizzato.
Come se mi pregasse di
non abbandonarlo, nonostante prima mi abbia gridato di andare a
fanculo.
- A non chiudere con
me. - Ed io che cazzo ne so?
- Vorrei saperlo anche
io. - Rispondo sinceramente, abbattuto a mia volta.
Lui rimane lì stanco e
sfinito, così mi stringo nelle spalle e le alzo.
- Forse perché non
stiamo davvero insieme. Tu hai una moglie, io una ragazza a casa che ci
aspettano. Non siamo davvero noi la coppia. Per questo posso rimanere
comunque. - Ma lui non è idiota, è questo il punto. Stringe le labbra
che mi provocano ogni volta problemi insieme al suo sguardo ed alla sua
voce e chiude gli occhi ancora più stanco. Io sempre in piedi davanti a
lui.
- Non è così e lo sai.
La vera coppia in tutto questo fottuto casino siamo io e te. E forse
non ci diremo mai che ci amiamo e non scoperemo mai e magari non vorrai
più baciarmi come facevi prima. Ma la vera coppia siamo sempre stati
noi due. E lo saremo sempre. Per questo non so come fai. - non mi
chiede di continuare, di non abbandonarlo. Ma non ne ha bisogno, perché
sono i suoi occhi a farlo per lui.
Come potrei? Gli tendo
la mano e lui sorpreso me la prende.
Non è mai stata Kelly o
la mia ragazza. Mai. Siamo sempre stati io e lui. Loro sono dei
tentativi che facciamo ogni tanto per percorrere una strada più facile,
più giusta. Sono ripieghi.
Ma siamo sempre stati
io e lui, ha ragione.
Ed è qua, quando le
nostre mani si stringono, io lo tiro su, lui si lascia fare e poi una
volta in piedi, con le gambe addormentate per la posizione tenuta per
molto, mi viene addosso, io lo prendo, lo sostengo completamente e lui
si appoggia del tutto.
È qua che capisco che
non riuscirò mai a lasciarlo perdere e non so perché, ma non potrò mai.
Lo stringo più di quel
che serve e lui si nasconde contro di me come se fosse lui quello più
piccolo fisicamente. Piccolo pezzo di merda.
Come fai ad essere così
fragile ed indifeso?
Una mano lo sostiene
dietro la schiena, l’altra risale sulla sua nuca, le sue si aggrappano
ai miei fianchi, il viso contro il mio collo, gli occhi stretti. Non
respiriamo.
- Non ti odio, lo sai.
Anche se faccio di tutto per farlo. Odio me che non riesco ad essere
quello che vuoi, quello che vorrei essere per te. - Mi terrò stretto
questa ammissione e cercherò di ricordarla tutte le altre volte che si
ubriacherà, che mi salterà addosso, che lo rifiuterò e che mi manderà a
cagare andando con altre ragazze.
Perché è proprio come
ha detto lui.
Non c’entrano le nostre
rispettive donne. Qua c’entriamo solo io e lui, è sempre stato così e
sempre sarà.
- Nemmeno io ti odio,
lo sai. - Mormoro baciandogli la testa. Poi lo aiuto ad uscire, lo
riporto nella sua branda e lo aiuto a stendersi. Una volta giù, mi
trattiene il polso e non posso alzarmi perché sopra c’è un altro letto
dove dovrei mettermi io. Gli altri russano della grossa.
Mi chino, i suoi occhi
nell’ombra cercano e trovano i miei, ma non ha bisogno di dire nulla.
Sorrido tristemente ed annuisco.
Non era esattamente
questo il sogno che avevamo. Ma forse è che non abbiamo mai osato
sognare davvero, per questo ora siamo qua un po’ persi.
Ed è appena l’inizio.
Quando mi metto nel
letto di sopra al suo, spunta con la mano ed io so cosa vuole e mi
chiedo quanto sia normale tutto questo, quanto sia giusto.
Gli prendo la mano su
sua muta richiesta, lascio cadere il braccio sotto e mi godo quel
Jacoby che adoro, quello vero, quello che conosco solo io, quello per
cui lotterei e sopporterei mille angherie. Per questo Jacoby potrei
fare di tutto e lui è ancora qua a chiedermi di non mollare con lui.