2. L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA



"Non riesco a sconfiggere questi sentimenti
Sono rimasto qui in mezzo
E le mie ferite non stanno guarendo
Sono bloccato con i miei genitori
Desidero avere qualcuno con cui parlare
qualcuno con cui confidare"
- Broken home -


L’idea che mi sono fatto di lui sarà presto demolita, ma ancora non lo so.
Jacoby viene a chiamarmi ad un certo punto dicendo che loro ora vanno a finire la serata da Dave, mi butta di nuovo il braccio intorno al collo e per un momento mi strozza mentre mi tira ignorando completamente Lily che ha già gli occhi a cuore.
Con stoicismo rimango sufficientemente in me e riesco a sciogliermi con classe, mentre mi giro a guardarlo per capire quanto sia in sé e quanto sia eventualmente utile fargli sentire ora come suono. C’è da dire che mi riempie di orgoglio l’idea che mi abbia cercato lui.
Non capisco minimamente se sta bene o no, perciò guardo Lily cercando di capire se sia il caso.
- Per me è tardi e se mio padre viene a sapere che faccio tardi per stare a casa di un gruppo di ragazzi mi uccide. - Alla fine fa la coscienziosa, pensavo mi si appiccicasse come una cozza pur di infilarsi nella stessa casa con il suo idolo. - Però tu vai, dai! Poi mi fai sapere come va domani! - Visto che lei non viene mi sento stranamente positivo, così decido di andare ed annuisco.
- Vai con Denise? - Dico per non farla andare a casa da sola. Lei annuisce sebbene muoia dalla voglia di venire. Jacoby ridendo appiccica la bocca alla mia guancia e me la lecca dicendo sfacciato:
- Mi prendo cura io di lui, vai tranquilla! - E così io muoio con un’erezione che sale subito.
Jerry, qui abbiamo un problema!
Cosa sto combinando?
Prima di rispondere sono per la via con Jacoby ed i suoi rumorosi ed allegri amici. Sembrano un gruppo di disadattati, un altro mondo rispetto al mio, completamente diverso.

Chiaramente sono dovuto passare a prendere la chitarra, ho fatto piano perché i miei dormivano, sono uscito subito e Jacoby mi aspettava fuori con le mani in tasca a fissare il cielo stellato, con un’aria completamente assente.
Per un momento mi fa strano vederlo ad aspettarmi davanti a casa mia, mi fermo un momento guardando il suo sguardo così particolare, così assorto.
Così diverso da quello che ha avuto fino ad ora, così allegro e coinvolgente.
Chiudo la porta e torno da lui che si rianima, anche se rimane abbastanza calmo ora, senza gli altri che ci stanno aspettando a casa del suo amico.
Visto che non abita lontano da qua, abbiamo deciso di fare la deviazione solo io e Jacoby a recuperare la chitarra.
Ci avviamo insieme, io la custodia sulla spalla in una notte evidentemente giovane. Il fresco ci schiaffeggia e ci fa stare bene e sono felice di essere qua con lui, anche se non lo conosco e non so niente di lui. A pelle mi sento felice. Per fortuna l’erezione è anche rientrata.
Chissà, sarà stato un riflesso incondizionato.
- Come mai il nome Papa Roach? - Chiedo camminando al suo fianco.
- In onore di mio nonno. Lui… mi ha salvato un po’ la vita, credo… e mi ha sempre spinto a cantare seriamente e a imparare la musica, mi vedeva dotato. Così Papa per grandpapa, mentre Roach è la derivazione del suo cognome. - Cerco di capire se sia nonno materno o paterno e mi spiega che è il nonno di suo padre adottivo. Rimango colpito dal fatto che sia tanto legato ad un parente acquisito e che abbia dato un nome simile al suo gruppo.
- Ci ha dato molti consigli, è una persona in gamba ed io l’adoro. Mi sta dietro ed ha una gran pazienza con me. Insomma, non sono tanto facile. - A questa ammissione scoppio a ridere di gusto realizzando che se ne rende conto.
- Se lo sai sei già a cavallo! - Lui non si offende e ridacchiando risponde:
- Saperlo è una cosa, saperlo gestire è un’altra! Io… - Esita ed alza gli occhi in alto cercando delle parole che non so se ha, in un attimo capisco che ha un mondo molto complesso dentro di sé e ne sono estremamente curioso. - In questa seconda non sono bravo! - Ammette facendomi quasi tenerezza. È un sentimento totalmente diverso da quelli che mi ha suscitato prima.
Sorrido di circostanza senza saper bene che dire.
Dopo un po’ riprende in mano la conversazione come se niente fosse:
- Tu? Perché non bevi e non fumi? - Chiede accendendosi una sigaretta. Io rimango spiazzato dalla sua capacità di cambiare argomento.
- Mio padre aveva problemi d’alcolismo, così ho deciso di non finire come lui! - Dico con semplicità. Ne è uscito con difficoltà, però quel periodo è stato duro e non lo dimenticherò mai, non potrei mai mettermi a bere.
Jacoby mi guarda e mi scruta curioso e sorpreso per capire come la prendo, ma io ricambio e rimango semplice a fissarlo.
- Ormai è andata, però non voglio dedicare me stesso a quell’inferno. - Dico calmo. Lui annuisce sorpreso.
- Bravo. Ti ammiro. Magari un giorno diventerai la mia ancora di salvezza, la mia retta via, la mia bussola! - Lo dice mezzo scherzando e mezzo serio, io non so cosa pensare per cui rido scuotendo la testa.
- Tu sei sicuro che io sia bravo con la chitarra? - Lui poi ride ed annuisce vigoroso.
- Io certe cose le sento a pelle! - Sbotta convinto.
Poco dopo la magia finisce, arriviamo a casa di Dave e appena varchiamo la soglia del suo garage, Jacoby cambia drasticamente e da persona stranamente normale, quasi tenera in certi momenti, con un tono di voce da brivido, si trasforma in un buffone rumoroso che entra ruttando e scarica una valanga di insulti. Si butta alla ricerca di una birra e mi stupisco che abbia 17 anni. Cosa sarà da adulto? Per un momento mi chiedo se in ogni caso sia meglio stargli alla larga, sembra uno distruttivo sotto molti aspetti e non ho nemmeno idea di quanto lo sia davvero.
Eppure non riesco a girare i tacchi e andarmene.
Con la chitarra mi siedo in un angolo ed inizio a preparare tutto, poi una volta attaccato all’amplificatore vado e lo conquisto.
Faccio del mio meglio e penso proprio di fare subito centro.
Poi mentre suono lo guardo e me ne rendo contro mentre rabbrividisco e torna l’erezione di prima per il modo famelico e penetrante in cui mi guarda.
Gli piaccio e l’impressione che mi dà è che io da ora sarò suo perché è così che lui vorrà.
Questo è proprio quello che penso.

Dopo un tempo indefinito passato a stordirsi di fumo e alcool, i ragazzi vanno via alla spicciolata e Dave mi saluta gentile dicendo che mi aspetta per le prove, alla fine mi ha convinto ad accettare e provare un po’ con loro.
Poi dice a Jacoby di fare quel che vuole e va a dormire.
Io e lui rimaniamo così nella sala prove dove un divano sgangherato è finalmente libero.
Non sembra avere molta voglia di andare e nemmeno io. Sto bene con lui anche se ha fatto il pazzo tutto il tempo.
È una di quelle sere che dovrebbero essere infinite e penso sia quasi l’alba, ma noi non abbiamo voglia di tornare a casa.
- E quindi non suoni nulla? - Chiedo notando che non ha preso in mano uno strumento, cosa che di solito fai se suoni qualcosa.
Lui si butta sul divano a gambe larghe, una sollevata sullo schienale e l’altra a penzoloni per terra.
- Il clarinetto. - A questa risposta lo guardo mentre chiudo la custodia della mia chitarra, chiaramente scherza, ne sono sicuro. Ma ride e mi fa il dito medio.
- Sono serio, piantala! È l’unico strumento che potevo permettermi perché ce l’aveva mio nonno, appunto. E mi ha aiutato a conoscere meglio la musica e le note. - Non so perché quando siamo soli lui parla in modo normale e non si atteggia, non urla, non fa nulla di insolito e pazzo.
Si trasforma come se avesse una doppia personalità.
- Beh per uno che canta è insolito il clarinetto, di solito suonano la chitarra o il piano… - Jacoby ride e indica con il piede di sedermi con lui, così non me lo faccio ripetere e con una gioia che so contenere molto bene, mi siedo con lui, fra le sue gambe belle aperte. Imbarazzo.
Credo che mi piaccia l’idea di appartenere a qualcosa, ad un gruppo così fuori dalle righe, così cool! Insomma, per me lo sono. Forse perché siamo di due mondi molto diversi, anche se poi non così lontani visto che ci piacciono più o meno le stesse band e gli stessi artisti.
Abbiamo dei punti in comune.
- No, vorrei imparare qualcosa, però potevo imparare solo il clarinetto. Non chiederei mai niente ai miei. In realtà è tutto sulle spalle di mio padre adottivo perché mia madre… beh, ha uno stile di vita, una filosofia da fuori di testa… - E non stento a crederci, ma mi guardo bene dal dirglielo.
- Comunque canti molto bene per esserti avvicinato alla musica da relativamente poco. Complimenti. - Annuisce e alza le spalle.
- Devo migliorare molto, ma ho tante idee e la pratica è l’unica cosa. - È una di quelle conversazioni normali, estremamente normali, e non riesco proprio a conciliarlo con il Jacoby visto in pubblico e con gli amici. Non capisco quale sia quello autentico, ma il problema che questa sua dualità mi piace da matti, mi stordisce e mi piace.
- Io mi sono messo a suonare qualche anno fa, non tanto tempo. Per evadere dai problemi di mio padre… - Ammetto. Forse voglio approfondire questa connessione, anzi, voglio rafforzarla. Voglio che sia reale, che sia duratura.
Jacoby mi ascolta e faccio qualcosa che di norma non faccio mai, anzi, che non ho proprio mai fatto.
Parlo di me.
- Non è stato un bel periodo e avevo bisogno di un’evasione, visto che a  14 anni puoi andare poco lontano, ho chiesto di suonare uno strumento. Per tenermi buono, visto il casino che vivevo in casa, mi hanno preso la chitarra. Ho imparato con un amico e poi visto che sono diventato più bravo ho voluto provare con quella elettrica. È stato amore! - Lui mi ascolta interessato e penso che potrebbe addormentarsi da un momento all’altro, ma invece mi guarda e mi ascolta da quella posizione improbabile e scomposta, il braccio piegato sulla fronte, i vestiti larghi.
- Alcolismo… brutta cosa. Sono contento che tuo padre ne sia uscito. E ancora di più che per colpa sua tu suoni! Sei bravo! Sei sicuramente quello che mancava nel gruppo! - Il suo entusiasmo scoppia di nuovo e allunga le gambe su di me come se fossi sua proprietà, io lo lascio fare ridendo divertito, adoro già il suo entusiasmo quando mi coinvolge e lo ammiro perché non so esserlo, non riesco a scompormi come fa lui. Sono stato abituato a tenere tutto in modo da non mostrare turbamento per non infastidire mio padre quando era ubriaco o per non preoccupare mia madre. Così ora non sono più capace di esprimermi come fa lui, per esempio.
Sto ancora pensando a queste differenze che scrutandolo per lo strano silenzio in cui è caduto, strabuzzo gli occhi vedendo che dorme.
Cazzo, dorme davvero così di punto in bianco? E cosa si suppone che faccia, ora? Gli tolgo le gambe e lo sveglio?
Sembra il classico demonio da non svegliare assolutamente una volta che per miracolo si addormenta. Che dovrei fare?
Sto qua a guardarlo cercando di decidermi ed intanto vengo assorbito dai suoi lineamenti così particolari e davvero carini. Il taglio delle sopracciglia arcuato, la bocca ben disegnata dalle curve morbide.
Assorbo ogni centimetro di lui e non mi fermo più, tanto che finisce che appoggio la testa dietro e proprio fissandolo come un malato di mente, mi addormento qua con lui.
Sei fottuto, Jerry. Ancora non lo sai, ma lo sei.