*Ecco un altro capitolo. Jacoby è in caduta libera e Dave ha dei problemi seri in casa che non vive per niente bene nemmeno lui, il gruppo sembra avere i giorni contati e Jerry e Tobin decidono di tentare il tutto per tutto e chiudersi in una villa per fare il quarto album, quello che sarà The Paramour Session. Nella realtà l'idea gliela danno gli Slipknot come scrivo nel capitolo e loro lo fanno proprio perchè sia per Jacoby che per Dave era un periodo terribile, uno in lutto per il nonno e l'altro in separazione. Questo li salva davvero. E' anche vero che Jacoby era autolesionista nei suoi momenti di depressione, sono cose che ha detto lui stesso. Buona lettura. Baci Akane*

31. NON È ANCORA ORA DI MOLLARE



"Stufo e stanco di essere stufo e stanco
Voglio essere libero da queste catene ed
Essere libero da questa vita di dolore ed
Essere libero da queste catene
Devo essere libero da te"
- Be free -


- Com’è? - La domanda di Tobin ha il tono di chi sa la risposta. Io sospiro e mi stringo nelle spalle anche se attraverso il telefono non mi può vedere.
- Beh, come immagini... -
- Male? -
- M-hm. - Sospiro di Tobin.
- Dave non se la passa meglio... - Sospiro mio.
- Problemi con la moglie? -
- Eh, a casa sta andando in casino e lui in risposta beve, credo abbia iniziato con le pasticche... - Alzo gli occhi al cielo e mimo un ‘fuck’ mentre l’ansia mi fa tremare per un momento, ma la ricaccio indietro.
Sto camminando sulle uova da molto, quando si romperanno?
- Quei due vivono le cose allo stesso modo! - Esclamo seccato. Tobin fa un sorrisino di circostanza che al telefono lo percepisco. - Jacoby beve un sacco, per ora è fermo lì però non è in grado di prendere una penna per scrivere e Kelly non riesce a fermarlo, anche perché pensa al bene dei figli e glieli allontana perché sai, lui ubriaco è sempre un incognita e non vuole che abbiano di lui quel ricordo. -
Un padre ubriaco, ma dove l’ho già vista?
Credo che tutti quelli che hanno avuto i padri militari in servizio in qualche guerra, poi abbiano il loro ricordo attaccati alla bottiglia o depressi. Anche Jacoby ha lo stesso ricordo. Per fortuna a me poi è finita bene.
Per un momento vacillo, devo chiudere gli occhi per riprendermi e Tobin si inserisce.
- Ci sarebbe una soluzione. L’idea me l’hanno data nell’ultimo tour, sai gli Slipknot... - appena lo dice mi ricordo, un gruppo affermato ci ha dato un bel consiglio.
- Di chiuderci in una casa insieme fino a che non facciamo tutto l’album? - Tutti i gruppi migliori fanno questa cosa per avere un lavoro di una certa qualità.
- Sì quel consiglio! Mi sembra una buona idea! Facciamo un po’ di ritiro spirituale, isolamento, riabilitazione insomma. Chiediamo alla nostra etichetta se c’è un posto del genere, con camere, cucina, sala prove e registrazione e che ne so, qualche svago sano, magari una palestra, non saprei... così possiamo controllarli ed impedire che si facciano o bevano dalla mattina alla sera, possono mangiare bene, rimettersi in forma un po’ no? Perché se li lasciamo così non torniamo più insieme. - E lo sappiamo tutti.
Tobin deve averci pensato un bel po’, mi piace la sua idea e mentre ne parla mi sento subito meglio, leggero, come se questa soluzione fosse proprio quella giusta.
- Sì, penso sia proprio l’unica che possiamo tentare! Hai sentito Ben? -
Ben è il nostro produttore, Howard Benson, diciamo manager, diciamo capo anche se al nostro quarto album, questo quello che vorremmo fare,  e dopo due etichette cambiate, abbiamo una relativa libertà, infatti con la Geffen siamo riusciti ad avere più spazio decisionale, hanno abbracciato la nostra voglia di evolverci dal nu metal suggerendoci di passare al rock-metal alternativo in modo un po’ graduale.
Ben è uno a posto.
- Sì, dice che c’è una mansione che fa al caso nostro, la Paramour Mansion, è proprio per i gruppi che vogliono isolarsi per fare gli album, è completa di tutto quel che può servire e saremmo seguiti dal solito Jack per avere tutto quello che ci servirà. Ci basterà chiedere ed avremo. -
Jack è il nostro assistente personale, una sorta di tutto fare, un’agenda vivente. Fai un comando e lui esegue. Jacoby scherza un sacco su di lui, dice che è un robot umanizzato.
Io lo correggo perché si dice androide, ma lui preferisce robot umanizzato.
Non che mi fidi molto, voglio dire... dove trovano marijuana e pasticche? Chiaro che se gli chiedono quello per stare meglio lui che gliene frega? Glielo da!
Se scopro che gli passa la droga lo uccido, altro che!
- Ok allora io mi occupo di Jacoby, tu di Dave? - Tobin concorda e così ci salutiamo.
Tobin mi piace perché non si preclude i divertimenti tipici delle rock band, però non esagera fino a perdere conoscenza e sé stesso. Anche lui ha famiglia come ormai tutti, ma non tradisce, non si distrugge. Insomma, è quello più in controllo di tutti, dopo di me che sono astemio da tutta quella merda!


Telefonicamente era impossibile trovarlo, Kelly in questo periodo sta a casa il meno possibile, così le ho detto della nostra idea e lei l’ha abbracciata a pieno. Sorrido. L’amante che parla alla moglie. Che situazione assurda. E la moglie che consegna il marito ben volentieri nelle mani dell’amante.
Però mi ha detto di venire a casa a parlargli perché una volta gli ha passato il telefono e l’ha lanciato rompendolo.
Chiudo gli occhi immaginando le sue sceneggiate esagerate, però mi muovo con la mia valigia pronta. O così o non si fa nulla, immagino.
Arrivo da lui e mi apre Kelly con un’espressione esasperata. Deve amarlo davvero tanto per sopportare tutto questo, lei non si merita quello che Jacoby le fa da sempre.
- è impossibile stare con lui in questo periodo... - Sussurra indicando che è in taverna, in quello che è il suo mondo dove va ad isolarsi. Immagino dalla mattina alla sera. - Io vado via coi bambini, spero di non trovarvi qua quando torno. - è seria e non scherza, perciò capisco quanto male deve essere la situazione qua.
Annuisco e sospiro, mi sento in colpa per essermene lavato le mani, ma è anche vero che la moglie è lei, l’ha voluto lei, l’ha accettato lei e sapeva tutti i problemi che ha sempre avuto, i crolli psicotici, gli attacchi di panico, problemi di depressione combattuti con alcool e problemi di stress combattuti con il fumo...
La saluto ed entro nell’antro del lupo facendomi forza, non ho voglia di rivederlo in queste condizioni. Dopo quel giorno in cui abbiamo fatto sesso di nuovo al motel l’ho salutato e non mi sono più fatto vedere, però l'ho chiamato spesso. A un certo punto parlavo solo con Kelly comunque.
Non busso perché so che non mi aprirebbe, la porta è aperta, Kelly ha nascosto la chiave per evitare che si chiudesse per fare delle sciocchezze.
Quando varco la soglia la puzza di chiuso è la prima cosa che mi assale, faccio una smorfia e mi fermo. Poi la penombra.
Lo cerco smarrito e lo trovo seduto sul divano davanti alla tv spenta, non c’è nemmeno un po’ di musica, la luce non filtra dalle finestre perché sono chiuse, ha solo una lampadina accesa in un angolo, tenue lo illumina.
Mi fermo da qua e lo osservo. Indossa una tuta larga ma l’idea che mi dà è che quella tuta sia troppo larga rispetto a quel che dovrebbe essere.
Deve essere dimagrito ancora.
Poi i capelli lunghi, la ricrescita della tinta nera dove si vede la radice bionda. A parte il colore così, gli stanno bene. Sono naturali senza intrugli e pose. Sono giù intorno al viso, secchi per i troppi trattamenti aggressivi, ma comunque gli stanno bene. Nessun trucco in faccia.
Mi avvicino dal lato e mi perdo sul viso che guardo bene. Della barba sulle guance e sul mento. Che bene che gli sta, cazzo!
Non è più lui, è vero. Ma devo essere onesto, è molto più bello!
Jerry, torna in te e concentrati! Lui sta male, lui è così perché sta male!
È in una di quelle depressioni nere nere!
Le bottiglie nel tavolino davanti, il cofanetto della marijuana intatto, per fortuna.
Non ha bisogno di rilassarsi, ha bisogno di scuotersi semmai.
Mi siedo e solo dopo vedo la lametta nelle sue mani ed impallidisco, spalanco gli occhi ed il cuore si ferma.
C’è un momento in cui mi sembra di tornare al momento in cui James si è quasi ucciso tagliandosi le vene, Jacoby me lo ha raccontato come se fossi lì ed ora penso per un momento di essere finito in quel film, solo che al posto di James c’è Jacoby.
Mi paralizzo, ma poi lui forse sentendomi si distrae dal nulla che fissava catatonico e lascia andare la lametta, gli prendo le mani ed i polsi e li apro, ci sono negli avambracci, fra i tatuaggi, dei segni leggeri e vecchi, ormai rimarginati. Il sangue incrostato lungo la pelle dipinta, le due cose si sono mescolate.
- Jacoby, sei impazzito del tutto? -
A questo lui risponde ridendo in modo grottesco.
- Un giorno potrò dirti ‘eh sì amico!’ - La risposta ironica mi fa capire che è ancora qua fra noi, sospiro e prendo la lametta, vado nel bagno qua accanto e prendo l’asciugamano, lo bagno tutto e torno da lui, gli passo bene le braccia e poi approfitto per passargli anche il viso ed il collo. Lui si lascia fare basito, incredulo, senza capire il motivo per cui lo faccio. Ma so che i depressi non si lavano e non oso indagare su quanto tempo non si infili in una doccia. Capisco Kelly, ricordo le lotte di mia madre con mio padre. Alla fine non so come ce l’ha fatta.
Dopo che gli passo accuratamente l’asciugamano bagnato sul viso, noto che i capelli sono puliti, così mi rilasso. Il suo livello di depressione non è così grave. Glieli tocco seguendo un domabile istinto, sono secchi ma gli stanno bene naturali. Poi scendo con la mano sulla guancia, carezzo la barba lunga di alcuni giorni, il pizzo sul mento più lungo, faccio un sorrisino intenerito da questa sua immagine da barbone, totalmente lontana da quella che vuole sempre dare di sé.
- Sono venuto a portarti via, ma vorrei che ti rimettessi un po’ in sesto... sembri un senzatetto! - Certo che poi io le battute le so proprio fare, eh?
- Ah già fatto quello... ormai non è un problema! - si riferisce al fatto che i primi sei anni di vita circa lui è stato un senzatetto. Non so se per così tanto tempo, ma a sei anni sua madre ha lasciato suo padre, perciò lì poi ha incontrato la famiglia Roatch che lo ha salvato.
Sorrido con aria di scuse e lui sembra non esserne toccato, ma sta qua ad aspettare il resto del mio trattamento. Aspetta il bacio.
- Io e Tobin abbiamo pensato che visti i problemi tuoi e di Dave fosse meglio riunirci e seguire il consiglio degli Slipknot, ricordi? - Jacoby aggrotta la fronte e poi ricorda.
- Comporre l’album in una villa? - Annuisco.
- E ci sarebbe la Paramour Mansion adatta. Possiamo stare lì quanto ne abbiamo bisogno, così riusciamo a rimettervi in sesto e a comporre qualcosa di buono. Credo che questa sia l’ultima cartuccia prima di mollare tutto. - Perché sapendo quanto sono messi male Dave e Jacoby, non possiamo che pensare a questo.
Insomma, un batterista lo sostituisci, un cantante comune a tanti che magari si limita solo ad interpretare canzoni che scrivono e compongono altri anche, Jacoby no. Lui scrive tutte le canzoni e le fa su di sé. E poi anche se non fosse per quello, è l’anima del gruppo e poi dove la trovi una voce come la sua? Il suo modo di cantare è troppo particolare e completo, passa da qualsiasi genere, riesce in qualsiasi cosa. E poi... non so, non potrei accompagnare una voce che non è la sua, io mi rifiuterei di continuare.
Jacoby ci pensa un po’, poi annuisce.
- Però ad una condizione. - Senza capire a cosa si riferisce, chiedo di cosa si tratta e lui con un sorrisino malizioso e l’aria più spenta mai avuta, risponde: - Che non mi lasci più così tanto! So che non vuoi impantanarti con me e che quei giorni ci sei stato perché avevi paura che mi uccidessi, ma come noti i pensieri non sono migliorati. E comunque... non dobbiamo fare niente, ok? Non ti salterò addosso di nuovo. Però solo vederti... ti prego. Non posso... non posso non vederti più in questo modo. - Mi sale una risposta acida del tipo ‘sei tu che ti sei isolato’ ma non posso fare questa gara con lui perché sta soffrendo per suo nonno e quando soffri non capisci più nulla, non hai la concezione del tempo, dello spazio, del giusto e dello sbagliato. Non esiste più niente. Così annuisco e gli appoggio la fronte alla sua, chiudo gli occhi e aspetto che unisca le labbra alle mie, ma non lo fa, così capisco che è in controllo. Che nel suo dolore, è ancora in sé.
C’è ancora speranza. Si può ancora lavorare su di lui. Non è ancora ora di mollare.