*Ormai
è fatta, ci sono ricaduti, ma era ovvio. Jerry ha tenuto duro per un
po' per poi cedere a Jacoby e alla voglia di fare sesso con lui, ma
riuscirà a non ricaderci oppure ormai è spacciato? Jacoby ovviamente
non ci pensa molto, va e fa tutto quel che gli passa per la testa ed
ovviamente in periodi in cui è sobrio, sta bene ed è quasi
completamente solo con lui, lontano dal mondo, si sente di poter far
funzionare la sua relazione con Jerry, ma lui invece sa che è tutto
momentaneo. La foto di Jerry con la chitarra e l'eyeliner la mise lui
tempo fa indicando che era stato convinto a truccarsi, ma è una cosa
che lui odia fare. Jacoby che è stacanovista è vero, l'hanno detto i
ragazzi in un'intervista che nel periodo creativo quasi non stacca mai
dallo scrivere, cantare o perfezionare. Buona lettura. Baci Akane*
37. FACCIAMO E NON FACCIAMO
"Ho strappato il mio cuore aprendolo
mi sono chiuso in me stesso
la mia debolezza è che ci tengo troppo
e le mie cicatrici mi ricordano che il passato è reale
ho aperto il mio cuore solo per sentire"
- Scars -
- Potresti andare nella
tua doccia? Se notano che veniamo dalla stessa camera belli puliti e
profumati come lo giustifichiamo? - Lo rimbecco puntiglioso mentre
cerco di non dargli corda.
- Oh, mi posso sempre
inventare qualcosa... sono bravo con le palle! - Risponde lui
spogliandosi come se io non avessi detto nulla.
- Appunto, è questo che
mi preoccupa! Che ci pensi tu! - Jacoby ride e si infila sotto la mia
doccia. Mi perseguita, non mollerà facilmente. Ed io, in realtà, non
voglio che molli.
Lo guardo mentre
l’acqua lo ricopre, l’accompagna con le mani sui capelli che lascia
schiacciarsi sul volto, poi scende giù sul corpo, fra le gambe, afferra
l’erezione, apre la bocca e beve l’acqua. È volontariamente erotico. Un
delirio per me. Mi mordo le labbra e scuoto la testa imprecando senza
voce, la gola asciutta, io già di nuovo eccitato. Lui sorride perché
non serve che parlo anche se di solito so essere molto inespressivo.
Evidentemente ha imparato a leggere ogni mia non espressione e
silenzio. Decisamente l’unico a riuscirci.
Poi tende la mano libera mentre l’altra si masturba e si lecca le labbra.
- Avanti, so che lo
vuoi più di me. - Ed è vero, credo. Penso proprio di volerlo più di
lui, perché lui è il sesso e lo sa ed è terribile.
Alla fine lo raggiungo
arrendendomi, lascio che le sue mani mi prendano ai fianchi ed io metto
le mie sulle piastrelle bagnate dietro di lui, spingo su di lui e lo
bacio.
Al diavolo tutte le cose ragionevolmente giuste da fare.
Io lo voglio ed ora è
forse l’unico momento di tutto il lungo processo della nostra
professione e delle nostre complicate vite in cui lo posso avere come
vorrei che fosse sempre. Quando siamo isolati a creare l’album. Quando
sarà pronto ed usciremo da qua sarà tutto diverso, lui cambierà perché
lui già cambia qua davanti ai ragazzi, e sono loro, non estranei.
Figurati cosa succede con gli altri?
Per cui è vero, posso
averlo come voglio solo qua. E non mi fa bene ubriacarmi così tanto di
lui, abituarmi in questo modo. Ma in realtà cosa ci posso fare?
La sua bocca si apre
sulla mia e mi viene incontro con la lingua, io gliela succhio e mi
strofino su di lui mentre lo schiaccio col mio corpo.
Lui ora è mio, forse poi sarà solo della sua psicosi. Ma per ora sta bene e quando sta bene è mio.
La punta morbida e
umida della matita nera scorre sotto i miei occhi mentre lui mi tiene
abbassata la palpebra inferiore con un dito e con l’altra mano mi
trucca.
- Sei sicuro? - Chiedo
rassegnato. Ovviamente non volevo, ma ovviamente lui fa quel che vuole
con me. Non posso impedirgli nulla. O forse non voglio.
Lui annuisce
concentrato, il problema è questo. La sua faccia persa e concentrata
così vicino alla mia è terribile. Lui sa tutti i modi in cui mi può
tenere in pugno. O forse non lo sa, ma li so io ed è peggio.
Così anche se odio
l’idea di truccarmi e farmi mettere questo stupido eye-liner sotto gli
occhi, lui lo fa ed io glielo faccio fare.
- È figo! Tu lo sei, i
capelli che ti stai facendo crescere ti stanno maledettamente bene, sei
un gran figo, vedrai che questo eye-liner ti starà d’incanto! - Lui
parla, ovviamente, ed io così vicino a lui cerco di distrarmi dalla
sensazione che mi ficchi questa matita nell’occhio mentre me lo
evidenzia come di solito fa per sé. Da quando siamo qua chiaramente non
si trucca, senza è un altro, mi piace di più ovviamente perché è come
se si togliesse una maschera.
- E tu perché continui
coi capelli neri ed il trucco? - Chiedo per distrarmi. Lui alza le
spalle fingendo che non sia una gran cosa.
- Lo sai, no? - Silenzio. - Per nascondermi meglio. - Lo ammette. A me ammette tutto. Non mi stupisce questa sua risposta.
- Nascondi la tua tristezza? - Alza le spalle.
- Anche. Nascondo ogni debolezza. Così nessuno sa cosa c’è dietro e non mi rompe le palle. -
Credo abbia quasi finito, quanto può resistere ancora il mio occhio senza lacrimare come ha già fatto l’altro? A momenti muoio.
- Oppure potrebbe anche
rispecchiare quel che hai dentro, no? - Chiedo seguendo un’intuizione.
Lui smette di torturarmi l’occhio e mi guarda, lo facciamo da vicino,
una mano sul mento, smette di tirarmi giù la palpebra inferiore. Piega
la testa con quella sua aria sorpresa di come io faccia a capirlo, poi
in risposta mi bacia le labbra e si fa indietro senza rispondere. Non
che poi serva, io so che è così.
- Guarda quanto sei
figo, ora ti scoperei di nuovo! - Come se mi avesse scopato lui sotto
la doccia. Povero imbecille. Senza commentare, mi giro e mi guardo allo
specchio. I capelli corti mi incorniciano il viso, me li ha asciugati e
tirati con la piastra, tutti i suoi trucchi di scena che ha imparato
per sé stesso. A me niente cera, gel o intrugli. Sono lisci naturali,
me li ha solo messi nella giusta posa. La matita sotto gli occhi non è
pesante, è accennata e per lo meno non è oscena, anche se mi sento un
imbecille.
- Sono un pagliaccio. - Commento monocorde. Lui scoppia a ridere e mi spinge.
- Sei hot, così hot che... - mi tocca il pacco infilandosi da dietro, appoggia il mento alla mia spalla e sta così su di me.
Penso che siamo spariti
da ore, dopo la palestra. La colazione è bella che saltata, a momenti
arriva l'ora del pranzo. Non so cosa possano pensare Dave e Tobin. Non
ne ho idea. Spero che non comincino a sospettare.
- Dobbiamo andare prima
che vengano a cercarci. - Dico prima che la sua mano torni a svegliarmi
di nuovo. Lui mi morde l’orecchio.
- Che te ne fotte? - Alzo gli occhi al cielo.
- Lo sai che non possiamo dirlo a nessuno. -
- Ma di loro ci possiamo fidare... - Scuoto al testa.
- No, Jacoby. È una
situazione troppo incasinata. Se io fossi al loro posto non mi andrebbe
bene ed avrebbero ragione. Ci sono troppe incognite, più che certezze,
troppi rischi che potrebbero far andare tutto questo a puttane. Sai
cosa significa una nostra rottura per il gruppo? - Fa il broncio si
stacca da me uscendo dal bagno. Mi dispiace riportarlo alla brusca
realtà, ma ogni tanto devo farlo anche per me stesso.
- Immagino un casino. -
- Immagini bene. Penso
che non vorrebbero sapere che stiamo insieme. Queste cose non vanno mai
bene. Le relazioni all’interno del gruppo. -
- Sì, ma tu sei bravo a gestire le cose. Quando mi avevi piantato le altre volte... -
- Jacoby, non è che ora
stiamo insieme... noi abbiamo i periodi in cui facciamo e quelli in cui
non facciamo, ma... - Alza gli occhi al cielo e sbuffa insofferente
scacciando qualcosa vicino al suo orecchio. Ecco che ricomincia con lo
stress. Questo è il segnale per me di smetterla.
- Comunque le altre volte sei riuscito a rimanere distaccato e a lavorare benissimo con me. Anche io sono riuscito a... -
- Beh, cantavi bene in
mia presenza, ma la reazione al mio allontanamento non era propriamente
edificante... - Uso il primo termine che mi viene fuori mentre lui
prende il telefono e se lo infila in tasca in attesa di uscire, io gli
faccio cenno di aspettare perché devo prima controllare che non ci sia
nessuno fuori.
- Sei uno stronzo quando parli così. - Dice poi seccato.
- Sono realista e
sincero. Qualcuno fra noi deve mantenere i piedi per terra ogni tanto,
no? Già concederci quello che ci concediamo qua è un lusso che poi
pagheremo, e lo sai... - Jacoby non vuole sentire questo discorso e
freme per uscire, così con una mano sul suo petto lo respingo, apro e
mi infilo silenzioso fuori per vedere. Nessun movimento e rumore nel
piano superiore delle camere, così poi gli faccio cenno di andare nella
sua camera, aprire la porta e chiuderla.
Lui fa la faccia da
‘sei paranoico, piantala’, ma con un gesto della mano gli indico di
farlo e basta e lui sia pure sbuffando va e finge di uscire dalla sua
camera proprio in questo momento.
Aspetto per chiudere la
mia, poi fingiamo di esserci incontrati in corridoio. Magari nessuno ci
ha fatto caso, ma nel caso fosse successo dovrebbe essere tutto a
posto.
- Vedi che tu sai
gestirla? Io forse no e forse faccio il coglione quando tu mi pianti in
asso e fingi di essere solo il mio chitarrista, però siamo in grado di
farla funzionare comunque. Sia nel bene che nel male, noi possiamo
andare avanti in ogni situazione. E lo potremo sempre. -
Ormai siamo giù dalle
scale e sento un profumo di cibo venire dalla cucina, così evito di
dirgli che per me farla funzionare in ogni caso a volte è una tortura e
vorrei evitare di arrivare sempre a quel punto. Di sforzarmi di vederlo
mentre si distrugge o mentre amoreggia con Kelly per impedirsi di
andare con tutte le puttane e ubriacarsi fino a non averne più.
Come faccio ad avere il suo controllore fra i piedi e ad essere sereno?
Lui non sa lo sforzo
che faccio tutte le volte! Non ne ha idea ed è anche colpa mia, perché
sono io che non voglio che lo capisca. Forse anche se volessi farglielo
sapere non ci riuscirei. Ormai sono incapace di condividere con gli
altri le mie modalità interiori.
Però poi arriva lui e
proprio mentre sembra non capisca un cazzo e mi fa solo impazzire,
beh... mi sconvolge dimostrandomi che invece è proprio l’unico a
capirmi e a sapere.
Forse siamo fatti l’uno
per l’altro proprio per questo. Ci guardiamo dentro, ci leggiamo ed
anche se a volte penso di non sapere come aiutarlo, è impossibile
smettere di farlo.
La verità è che quest’uomo mi tiene in pugno e sempre mi avrà.
Le giornate iniziano a
giostrarsi fra la ginnastica in palestra che facciamo tutti al mattino
ed il lavoro. Passiamo molto tempo a comporre, creare e perfezionare.
Jacoby sta sempre con
noi anche quando non ha testi su cui lavorare, perché di solito deve
avere la musica che lo ispira per scrivere, però quando siamo seduti
sul divano, chitarre e bacchette alla mano, di norma lui ha il quaderno
e trascrive per noi note ed idee.
È molto partecipe.
Lui tecnicamente sa suonare la batteria, sta rompendo a Tobin che gli insegni il pianoforte.
Insomma le giornate
trascorrono così, poi ci distraiamo con qualche gioco demenziale su cui
di solito Jacoby poi esagera sempre in qualche modo proponendo versioni
idiote.
Così funziona.
Ogni tanto Jack, il nostro assistente tutto fare, viene a vedere come andiamo, che combiniamo, se abbiamo bisogno di qualcosa.
Lui è il solo contatto col mondo che abbiamo.
A volte le canzoni vengono fuori da dialoghi che abbiamo, altre vengono fuori da suoi giri interiori misteriosi.
Come queste qui.
È sempre così strano
quando se ne sta zitto e buono a fare una cosa per più di cinque minuti
di fila. Quando gli altri hanno detto che si prendevano una pausa e si
sono defilati in giro, pensavo che lui li seguisse a ruota, che se ne
andasse a fare altro, visto che non è capace di stare buono a fare una
cosa per troppo tempo.
Invece mi ha stupito.
Poi, però, mi ricredo e
capisco perché è rimasto. Perché nella sua testolina bacata gironzolava
qualcosa di diverso dallo scrivere!
- Perché non parli mai
di te? - Mi chiede di punto in bianco mettendo giù la penna sul
quaderno da cui pare non riesca a tirare fuori niente da un po’. Io che
sto lavorando con la chitarra a qualcosa, lo guardo come se dicesse
un’eresia, poi torno a suonare come se non avesse detto niente e lui
salta su.
- Eddai, lo vedi? Di
nuovo! perché non parli di te? Non hai mai detto niente! Io qualcosa lo
so, ma poco e comunque in generale è sempre tutto sugli altri, su di
me, su qualunque cosa ma non su di te. - chiaramente se lui parla come
faccio a farlo io?
Ma so che questo di solito gli dà fastidio, dice che così è comodo.
Metto giù la chitarra,
mi stiracchio e sbadiglio impigrito abbracciando l’idea degli altri di
una pausa, infatti si sono sparsi per conto proprio. Vivendo insieme
abbiamo bisogno di staccarci. Tranne Jacoby. Jacoby pare non abbia
questo bisogno nei miei confronti.
- Mi prendo una pausa, vado a fare due tiri! -