4. IL BUCO NERO SI ALLARGA   



"Spero che qualcuno possa dirmi che è tutto a posto

Niente va bene
Niente è a posto
Sto correndo e piangendo
Sto piangendo, piangendo, piangendo, piangendo
Non posso continuare a vivere così
Hai fatto la mia vita a pezzi
Questa è la mia ultima possibilità
Soffoco, non respiro
Non fare un cazzo se mi taglio le braccia, sanguino"
/Last resort /

A volte pensi che da lì in poi le cose possano solo migliorare, perché ne hai passate tante e di peggio non può andare, quindi abbassi la guardia e sei piuttosto sereno.
Quanto sbagli.
Mi è capitato di pensarlo di Jacoby dopo che ho realizzato tutto quello che deve aver passato. Ho pensato ‘beh, adesso gli andrà bene, ormai è uscito da quella merda e starà ok!’
Ovviamente sbagliavo. 

Sto studiando per gli esami finali, per potermi diplomare, quindi ultimamente esco di meno e anche le prove le sto saltando. Sono praticamente recluso.
Perciò quando mia madre mi chiama dicendomi che c’è un mio amico, mi stupisce.
Avevo avvertito tutti di lasciarmi in pace per un po’.
Esco dalla camera pensando a chi possa essere e non certo immaginavo Jacoby.
Rimango basito, ma quando noto la sua espressione capisco che deve essergli successo qualcosa.
 Per quanto pazzo e fuori controllo, se gli dico ‘lasciami in pace che devo studiare’ lui lo fa, stranamente.
Ora è qua ed ha tutta l’aria di avere qualcosa di brutto. Lo capisco dallo sguardo che ha. I suoi occhi sono piccoli e rossi, ha pianto ed è sotto shock, credo non dorma da un po’ o forse ha solo appena subito qualcosa di terribile.
Scendo subito e gli vado davanti preoccupato.
- Che è successo? Qualcuno ha avuto un incidente? - Chiedo allarmato lasciando andare il mio leggendario autocontrollo. Lui mi guarda senza capire, come se non fosse ancora qua, quindi lo prendo per le braccia e lo scuoto convinto che debba essere successo qualcosa a Dave, perché altrimenti non verrebbe da me, non credo.
Lui allora si riscuote e mi guarda come se si svegliasse, sbatte le palpebre e capisco che non sa nemmeno come sia finito lì, è meravigliato e non ha idea di che ci faccia lì, così ripeto la domanda e mi chiedo se abbia avuto un crollo nervoso. Mi chiedo quanto gravi siano davvero le sue condizioni psicologiche.
- James. James ha cercato di uccidersi ed io ero lì! - Spalanco gli occhi incredulo, per un momento mi gelo, non mi muovo e mi sembra che le gambe siano di piombo. Quando ricevi certe notizie non sai mai come reagirai, a volte non sai nemmeno che stai facendo. Ora capisco Jacoby.
James è un nostro amico ed è il compagno di appartamento di Jacoby, perché per comodità vive con questo amico. Si paga la sua parte di affitto facendo il lavapiatti.
Per un momento la mia mente non produce niente di adeguato, non immagino nemmeno come debba essere successo, non mi viene da fare niente di razionale e utile come avere informazioni.
Così mia madre che era nei paraggi ed ha ascoltato si fa avanti e chiede al mio posto notizie, Jacoby però è ancora in bilico e per un momento io e lui ci guardiamo dritti negli occhi e siamo lì insieme, in quel buco, in quel fosso. E mi fa paura, maledettamente paura.
Da morire. Sento questo.
Jacoby poi distratto da mia madre risponde alle domande e spiega che adesso è in ospedale e sperano che ce la faccia, ma non è ancora del tutto fuori pericolo. E dice che lo ha trovato in tempo, era ancora cosciente e diceva di lasciarlo in pace.
Sentendolo rabbrividisco.
Cosa dici ad uno che si sta uccidendo?
Come lo convinci a lasciarsi aiutare?
Ci sono parole che puoi dire così su due piedi in un caso del genere, quando uno cerca di uccidersi?
- Dove… dov’è? - Chiedo con voce roca, mentre mi riprendo piano piano.
- In ospedale! - Dice come se fosse una domanda stupida e mi rendo conto che lo è.
- Ci… ci andiamo? - Non so nemmeno che ora sia e se sia il caso, è solo che ho bisogno di isolarmi e penso che se lo vedessi, non so, forse tornerei in me. E poi improvvisamente sono con Jacoby per strada e sto guidando e non so nemmeno come mia madre mi abbia dato le chiavi in questo stato.
E c’è un silenzio pesante, qua dentro. Si soffoca.
Abbasso i finestrini e cerco di capire che direzione ho preso. L’ospedale dove diavolo è? Ed io dove diavolo sono, ora?
- Dì là. Devi andare di là. - Dice lui piano e rauco. Così sorpreso lo guardo per capire come sia possibile, ora, che lui sia in sé.
Che reazione avrà avuto? Prima sembrava fuori, ma ora sembra in sé. Abbattuto, ma in sé. O forse è ancora più strano di prima, non so, non capisco.
Seguo le sue direttive e poi non riesco a tenermelo per me.
- Come stai? - Chiedo sorvolando sul motivo per cui sia venuto da me. Mi ha detto delle cose che non credo abbia mai detto a nessuno.
- Ero andato a casa a cambiarmi perché ero tutto sporco del suo sangue. Sai, si era tagliato i polsi nella vasca da bagno. Visto che non usciva più sono entrato che dovevo pisciare. Mi sono pisciato addosso. - Non si vergogna a dirlo, sta dicendo cose sconvolgenti e non ha intonazione, non ha espressione se non quel buio, quel buio che ho il terrore di vedergli crescere.
Il traffico ci fa rallentare, così il tempo per parlare aumenta.
- Quando mi sono cambiato non sapevo cosa dovevo fare, non ne avevo idea e non so perché mi sono ritrovato da te. Forse tu sai cosa devo fare ora? - Adesso torna umano, mi tranquillizza un po’ anche se vorrei sapere meglio come è andata.
- Non lo so Jacoby. Aspettare e sperare che si riprenda, immagino. - Cerco di essere ragionevole, ma sono ancora sconvolto. - quando l’hai visto che hai fatto? -
- A parte pisciarmi addosso? - Chiede ironico, piano piano vedo che si riprende e non so se sia positivo. Dovrebbe scoppiare, piangere, gridare ed avere una reazione devastante. Se ingoia e riprende come niente un giorno il cancro lo farà fuori.
- Io non so se sarei riuscito a fare nulla. Credo mi sarei bloccato del tutto. Con me James sarebbe morto. - Quando lo dico sono calmo e mi chiedo come faccio, questo però aiuta Jacoby che mi guarda sorpreso.
- Ho preso degli asciugamani per legarglieli ai polsi, lui cercava di opporsi ma era troppo debole, così ha iniziato a dire… - Si sospende e spalanca gli occhi con di nuovo lo shock di prima. Momentaneamente fermi in auto, mi giro a guardarlo mentre mi sembra di essere colpito da tanti pugni allo stomaco. Continuo ad avere paura e non so bene di cosa.
- Non posso continuare a vivere così, niente va bene! Ed io dicevo ‘Ma questo non ti farà di certo bene, non starai meglio così!’ E lui ‘sto perdendo di vista tutto, me stesso, la ragione… ‘ Così gli ho chiesto che cosa vuole, che cosa diavolo voleva e lui ha detto ‘vorrei solo che qualcuno mi dicesse che è tutto a posto’ e lui piangeva ed io così gli ho preso il viso fra le mani, le mie mani erano tutte sporche di sangue e gli ho stretto la faccia forte finché mi ha guardato poi con forza, con una grande forza, ho gridato ‘è tutto a posto, andrà bene, lasciati aiutare!’ e lui piangeva e diceva ‘soffoco, non respiro, la mia vita è a pezzi’ Poi non so, ho chiamato il 911, ma non so quando l’ho fatto. -
Il suo racconto è diventato una sorta di sfogo dove ha spiegato la scena in modo concitato, confuso e dettagliato insieme. In qualche modo ho visualizzato tutto e gesticolava e gridava mentre lo raccontava ed io sono coperto di brividi.
- Gli hai salvato la vita. - Mormoro shoccato da quanto successo, ma soprattutto dalla sua presenza di spirito. Come ha fatto a rimanere così saldo e a fare la cosa giusta? Io sarei andato nel panico.
- Sempre che sopravviva o che poi non ci riprovi! - Così capisco che lui deve aver già passato una situazione simile, solo se l’hai già vista reagisci. O sei portato di natura o l’hai già vissuta e visto che lui non è uno portato a gestire le emergenze con calma, direi che l’ha già visto.
- Quando ti era già successo? - Così mi fissa come se gli avessi pestato la coda, il clacson della macchina dietro suona e ci distrae, riparto e dopo un po’ ripeto la domanda. Alla fine risponde riluttante.
- Non a me, a mia madre. Con mio padre. Non so come ha fatto, la guardavo incredulo di come gestiva tutto, io ero paralizzato. L’ha salvato, l’ha messo in un ospedale, si è assicurato che ce la facesse e poi lo ha lasciato. Ha preso me e i miei due fratelli e se ne è andata. Poco dopo ha conosciuto il suo attuale compagno, un brav’uomo! Ci ha salvato lui, devo dire. -
Il racconto prosegue e prende connotazioni da psicoterapia, ma lo lascio parlare capendo che è il minimo e che ne ha bisogno e spero che possa bastargli perché so che da cose simili non ne esci facilmente e spero solo che un giorno tutto questo non gli presenti il conto.

Poi quando siamo su davanti alla stanza dove c’è James che dorme tutto intubato e con flebo varie attaccate alle braccia, lui mi stringe convulsamente la mano facendomi male, lo sento che trema e lo guardo in tutta la sua enorme fragilità. La sua paura è qua, così come il suo buio.
Ed io mi sento vicino ad un buco nero che non vuole saperne di lasciarmi sopravvivere. Forse non devo, forse devo diventare parte di quel buco nero. O forse devo essere qui proprio per impedirgli di risucchiarsi del tutto da solo.
Per un momento vorrei essere uno che crede in Dio e vorrei pregare. Gli chiederei di salvare Jacoby.
Lo penso mentre guardo James in bilico fra la vita e la morte dopo il tentato suicidio ed ho una sgradevole immagine mentale. Vedo Jacoby steso nel letto come lui, intubato.
Che qualcuno lo salvi.

- Sai come devi fare per tagliarti le vene e morire? - Mi chiede ad un certo punto mentre mangia la cena che gli ho portato. Io scuoto la testa.  Lui, serio facendomi impressione, risponde quasi irriconoscibile dal solito buffone. Ma forse ormai mi sto abituando a questa versione perché con me l’assume spesso: - Un taglio profondo in verticale dal palmo all’avambraccio, quasi sul gomito interno… - Dice mimando il taglio di cui parla col pollice nel braccio interno. - E poi altri due in orizzontale come a fare una doppia croce. E devono essere profondi! Devi recidere le vene principali! -
So dove deve andare a parare, mi fa impressione che lo sappia.
Lo guardo serio e lui, sempre con lo sguardo spento, continua:
- Ti sei mai tagliato superficialmente? - Annuisco. - Faceva male? - Faccio un sì un po’ vago.
- Abbastanza. -
- Hai idea di quanto male faccia l’operazione nel complesso? - Continuo a stare zitto per farlo parlare, in questo caso ne ha davvero bisogno. - Appena fai la prima incisione, appena affondi il coltello nella carne, ti viene subito da gridare e staccarlo. Non solo lo devi affondare, ma devi andare ben dentro e poi muoverlo per almeno 15/20 centimetri! - Annuisco ancora serio mentre mangio anche se mi viene difficile, seduto nel divano di casa loro, mentre lui mi spiega queste cose. Se non vomito ora sono un mito. - E devi fare in tutto 6 incisioni profonde! - Poi si appoggia allo schienale, è accanto a me, piega una gamba e mette il piede sul divano. Posa scomposta. - Devi sopportare l’inferno per farlo. E poi ha un sacco di tempo d’attesa prima della morte e sperare che non ti trovino e ti salvino! L’acqua calda aiuta perché fa fluire meglio il sangue fuori, per questo lo fanno in una vasca calda! - Jacoby non si ferma più, ma questa volta voglio dire una cosa, mentre lui sembra incapace di capire.
- Devi essere fuori per non sentire un dolore simile. Così fuori da non capire nemmeno come ti chiami, probabilmente. - Jacoby mi guarda di nuovo come se mi vedesse per la prima volta e arriccia le labbra poco convinto.
- Dici? Semplicemente fuori di testa? Così facile? -
- Non c’è niente di facile nella follia… -
- No, ma secondo me uno che si suicida non è solo fuori, non so… credo che ci sia di più, che sia altro… - Cerca di capirlo, cerca di definirlo, lo sguardo si perde, non è più qua, poi scuote la testa, sospira e addenta il panino. - Non lo so! -
- È troppo complicato per noi. Non passando quel che ha passato lui… - Cerco di togliergli dalla testa di provare a capire le intenzioni e la testa di un suicida, però penso che non sarà facile riaverlo e forse la verità è che non lo abbiamo mai avuto. Nessuno ha mai avuto Jacoby. Nessuno lo avrà.


_______
È vero che: un amico di Jacoby, suo compagno di stanza nel periodo degli inizi, quando ancora lavorava come lavapiatti, ha tentato il suicidio e l’ha trovato proprio lui e portato in ospedale. Questa esperienza e gli sfoghi del suo amico hanno ispirato Last Resort.
 Anche suo padre ha tentato il suicidio quando erano piccoli, dopo quell’occasione sua madre lo ha lasciato definitivamente e poco dopo ha conosciuto l’attuale compagno, una brava persona.