CAPITOLO
XIX:
PERCHE’
ERA LA SUA PERSONA
Aveva
passato tutta la giornata a sistemare i dettagli del tour del gruppo,
ma lo sguardo al cellulare l’aveva lanciato sempre ed ogni volta che
suonava si era innervosito talmente tanto per il non vedere nel display
il nome di Karim, che aveva litigato con un sacco di gente.
Bè,
in realtà con lui non si poteva litigare perché bisognava avere il
coraggio di farlo e non erano molti quelli che l’avevano.
José
non era alto e nemmeno grosso o muscoloso ma aveva un modo di fare e
degli sguardi talmente cattivi e sferzanti che terrorizzavano tutti, di
conseguenza nessuno ci si metteva contro. Anche solo a parole sapeva
essere molto più terribile di uno che alzava le mani.
Oltretutto
non aveva paura di niente e nessuno, provocava anche un bufalo
inferocito, non gli interessava. In un modo o nell’altro se la cavava
sempre.
Tornato
a casa aveva sperato con tutto sé stesso di ritrovare Karim, ma vedendo
che la sua macchina non era parcheggiata, sbuffando, prese il cellulare.
Non
chiamò né Cristiano, né Ricardo, né tanto meno l’interessato. Chiamò
Iker per assicurarsi sull’ora in cui avevano finito e si erano
separati, sapeva che lui era discreto e che Karim non era lì.
Venendo
a sapere che erano due ore abbondanti che si erano separati, l’umore
andò di pari passo col temporale che si era scatenato fuori.
Contraendo
la mascella respirò profondamente rivelando un umore pericolosamente
sull’orlo di un’esplosione atomica, quindi poi senza dire niente altro
mise giù la comunicazione e senza nemmeno la fame, si sedette nel
divano a guardare un po’ di televisione per distrarsi un po’.
Era
solo un’idiota, si ripeteva. Eppure il sapere che fino a due ore fa era
ancora vivo e vegeto l’aveva sollevato molto.
Il
telegiornale locale per uno che doveva distrarsi non era comunque
l’ideale e incupendosi ulteriormente su tutte le brutte notizie
ricevute, incapace più di stare fermo in casa, specie seduto su un
divano a guardare immagini catastrofiche, si alzò consapevole che se
non avesse fatto qualcosa sarebbe potuto diventare matto.
La
tentazione di chiamare Karim e Ricardo l’ebbe ma la vinse quando pur di
non farlo lasciò l’apparecchio in casa e lui uscì così com’era, in
maniche di camicia, sotto la pioggia che Dio mandava con una furia
impressionante.
Quando
l’elemento lo ricoprì infradicendolo in un istante, sentì quasi del
sollievo, come se i bollenti spiriti si fossero calmati.
Non
era inverno ma nemmeno piena estate, girare liberamente così sotto il
temporale non era la cosa più sensata.
Non
prese la macchina e pensando che si sarebbe limitato ad arrivare alla
casa di Cristiano a pochi isolati da lì per vedere di nascosto se
l’auto di Karim era parcheggiata, s’incamminò con tutti i pensieri più
catastrofici di cui era capace.
Fu
inevitabile per lui andare coi ricordi a quando l’aveva incontrato.
La
notizia sul ragazzo trovato in overdose nel quartiere basso di Los
Angeles l’aveva scosso non poco. Come se dall’alto qualcuno si
divertisse ad infierire e mettere il dito nella piaga.
Era
già la sua fissa, quella di poter trovare Karim come l’aveva visto la
seconda volta, non serviva che glielo ricordassero in quel modo.
Arrabbiato col mondo e con Dio sopra ogni cosa che gli aveva messo sul
cammino un’esemplare auto distruttivo simile, non sentiva nemmeno le
gocce grandi che lo schiacciavano appesantendolo.
Lo
sguardo affilato e furioso, le mani sprofondate nelle tasche, le strade
deserte dove ville e villette scorrevano davanti ai suoi occhi.
Fiumi
di pioggia ai bordi dei marciapiedi, finestre come cascate ed il cielo
che sembrava dovesse venire giù fino alla fine del mondo.
Ma
negli occhi solo Karim.
La
prima volta che l’aveva incontrato suonava il basso acustico in una
stazione della metropolitana, indossava dei jeans scoloriti, consumati
e strappati dal cavallo basso e sopra una felpa col cappuccio tirata
su. Ai piedi aveva uno zainetto con probabilmente i pochi averi e
l’aria di chi non mangiava da tempo lo impressionò subito perché tanto
malridotto era nell’aspetto, quanto bravo col basso. José ci aveva
messo poco, col suo orecchio esperto, ad immaginarselo con un basso
decente ed elettrico. Aveva subito capito il talento di quel giovane
senzatetto che viveva ai margini della città, ma più che da quello era
rimasto colpito dalla scelta dello strumento. Solitamente non si
suonavano bassi per tirare su qualche spicciolo.
Lo
sguardo spento era rimasto fisso a terra.
La
seconda volta che l’aveva incontrato l’aveva riconosciuto subito per i
vestiti logori, ma pioveva e lui non suonava più.
Non
poteva dire che si era perso, José non camminava mai per le vie
malfamate della città e quella volta l’aveva fatto nella speranza
precisa di ritrovare quel ragazzo e vedere se era ancora vivo.
Non
ci aveva ragionato molto perché non pensava a quel che faceva a meno
che non si trattasse di lavoro. Aveva solo agito d’istinto.
Nella
metro dell’altra volta non l’aveva visto e deluso se ne era andato
prendendo un’altra via secondaria. Sempre così, senza un motivo
particolare.
Aveva
visto per prima la custodia del basso, poi una massa a terra.
Si
era avvicinato curioso e quando aveva capito che era lui e che stava
andando in overdose di chissà quale schifezza, aveva scaricato tanti di
quegli insulti al giovane che per un momento si era ripreso.
Se
si era salvato era stato solo per merito suo, aveva chiamato in tempo i
soccorsi che l’avevano aiutato e tirato sulla Terra per un pelo.
José
era rimasto per tutto il tempo ad aspettare di sapere se ce l‘avrebbe
fatta, quando gli avevano dato conferma se ne era andato incazzato nero
con gente che non sfruttava il dono che aveva. Ed ovviamente aveva dato
la sua assicurazione per le cure. José aveva orecchio per la musica, i
musicisti ed i cantanti, riconosceva subito quelli bravi e le buone
scelte, era un asso nel suo lavoro ma era stonato e non sapeva suonare
uno strumento che fosse uno, nonostante ci avesse provato aveva capito
di non essere portato. Strimpellava il piano, tutto lì.
Però
la prima cosa che aveva tentato era stata la carriera da musicista, era
andata male ed aveva ripiegato sul manager per gruppi e cantanti.
Quel
ragazzo l’aveva segnato, trovarlo quasi morto, capire che usava il suo
dono in quel modo sporco, solo per uccidersi… no, era stato deleterio,
per lui.
Però
invece di muoversi in auto, qualche settimana dopo aveva ripreso la
metro senza motivo specifico se non quella di rivederlo.
Non
aveva un progetto, nessun perché. Forse solo vedere se continuava per
quella stupida strada.
Sì,
l’aveva sempre rivisto là e sempre con quell’aria spenta, il suo
cappuccio sulla testa e il basso in mano.
Non
aveva mai capito perché l‘aveva fatto, anche ripensandoci non ci
riusciva. Forse perché da quando l’aveva visto sull’orlo della morte ci
aveva pensato di continuo ed il rivederlo vivo ma sempre su quella via,
bè, forse quello l’aveva spinto a fare qualcosa.
Di
gente così ne era piena, anche con un gran talento, ma che sceglieva di
suonare un basso forse no. O forse lui si era fissato con quello perché
l’aveva salvato da una morte certa, non poteva saperlo, non l’avrebbe
mai capito. Comunque prendendogli lo strumento di mano e lo zainetto da
terra con fare prepotente e deciso, gli aveva ordinato di seguirlo che
aveva una proposta di lavoro da fargli.
Ci
aveva messo tanta fatica a disintossicarlo perché Karim all’inizio non
ne aveva voluto sapere, aveva detto che preferiva non sentire niente
piuttosto che tornare a rendersi conto di tutte le schifezze del mondo.
Quando
José l’aveva preso per il braccio e trascinato sul tetto di casa sua,
l’aveva invitato a buttarsi giù. Solo nel realizzare che non l’avrebbe
fermato Karim aveva capito che non voleva morire, solo non provare
niente.
José
aveva invece appreso che quel ragazzo voleva tornare a vivere veramente
e risolvere tutti i suoi problemi, ma che non aveva nemmeno il coraggio
di dirlo. Per questo poi ci aveva pensato lui. Ci aveva sempre pensato
lui e sempre senza farsi domande, sempre sperando che ce la facesse,
che non ci ricadesse, che tornasse a casa, che si mettesse a posto.
Quando
aveva visto che Ricardo era riuscito a farlo smettere di bere l’aveva
preso per un miracolo, per questo glielo aveva lasciato vicino. Quello
che però non era in grado di capire era perché Ricardo ce l’aveva
fatta, aveva compiuto l’ultimo passo, e lui no.
Per
questo il non rivederlo in casa, il saperlo in giro da due ore chissà
dove lo sbatteva tanto fuori. Perché poteva tornare in quel maledetto
vicolo a finire l’opera di quel giorno.
Vedendo
che a casa di Cristiano l’auto di Karim non c’era ma solo quella di
Cris, capì che doveva essere andato via.
Sempre
ripensando a quanto idiota fosse, fece il giro dei locali dell’isolato
per poi andare alla fermata della metro vicino a casa sua, quella dove
l’aveva visto le altre volte.
Solo
quando l’aveva trovata vuoto si era risollevato appena, ma comunque il
non sapere dove fosse lo stava di nuovo uccidendo.
Ormai
nemmeno la pioggia gli raffreddava gli istinti violenti, niente serviva
più.
Forse
Karim voleva veramente andarsene e piantarlo per l’incapacità di vivere
da solo.
Perché
non sapeva chiedere agli altri quello che voleva e desiderava e
aspettava sempre che fossero gli altri a fare il primo passo e a fargli
le domande che voleva.
Ma
se voleva vivere doveva farlo da solo, non era giusto che lui lo
spingesse sempre a fare la cosa giusta, non si poteva contare ogni
volta sugli altri, bisognava imparare a vivere bene anche da soli.
Quando
svoltò l’angolo e vide casa propria, aveva appena finito di
immaginarselo in overdose con gli occhi della mente.
Un’immagine,
quella che aveva visto dal vivo, che non gli sarebbe mai andata via
dalla memoria. Mai.
Però
fu lieto che la pioggia gli bloccasse le lacrime, perché vedere la
macchina di Karim parcheggiata davanti casa gli stimolò uno stupido
stimolo assurdo che solo per miracolo riuscì a fermare. Solo l’alzare
il viso per farselo bagnare meglio. Solo quello aveva impedito il suo
pianto.
Quando
rientrò sbatté la porta talmente violentemente che fu subito chiaro a
tutti lo stato in cui era.
Una
furia simile forse chi lo conosceva se l’era ancora sognata.
Karim
era sul divano a guardare la televisione, un programma musicale
rimandava video di canzoni di un po’ tutti i generi.
Il
tuono che scosse la casa fu nulla in confronto allo sguardo che José
gli lanciò. Fulmini allo stato puro.
Karim
si raddrizzò a sedere e nel vederlo bagnato fradicio con la camicia
tutta attaccata al corpo e i capelli sconvolti e fradici sul viso, la
pozza ai suoi piedi e le gocce che gli si staccavano di dosso, capì che
forse quel qualcosa che voleva gli dimostrasse ora era lì davanti ai
suoi occhi.
Il
lampo, il flash e poi di nuovo il rombo che coprì un rumore sordo
all’interno della casa, la luce andò via e il flash del fulmine
successivo mostrò che José aveva buttato a terra il mobile
dell’ingresso.
Tutto
si fermò, Karim non osava muoversi ma si era alzato in piedi, ingoiava
ripetutamente cosciente che era talmente furioso che persino lui non
sapeva cosa fare a quel punto. Non ne aveva paura, però a fatti non
riusciva a muoversi o parlare.
-
Tu lo sai perché odio che non torni a casa? - Mormorò José con voce
bassa e penetrante, si capiva che il momento dopo avrebbe urlato,
nonostante questo Karim non aveva la minima idea di come placarlo.
Forse era proprio quello che aveva aspettato.
Si
fece avanti piano e cauto, quando mormorò: - Perché? - era una domanda
retorica perché lo sapeva. O per lo meno aveva creduto di saperlo.
José
gli fu davanti dopo il flash successivo, nonostante l’illuminazione
scarsa e intermittente, si muoveva veloce e scattante.
Lo
prese per il colletto della maglia e quando ebbe il viso a pochi
centimetri dal suo, gridò proprio come da lui previsto.
Completamente
fuori di sé:
-
PERCHE’ LA SECONDA VOLTA CHE TI HO VISTO ERI QUASI MORTO! STAVI ANDANDO
IN OVERDOSE E TI HO SALVATO PER UN PELO! ED ORA HO PAURA CHE SE NON
TORNI IO TI POSSA RITROVARE IN QUELLO STESSO VICOLO DI NUOVO IN
OVERDOSE. ED HO PAURA DI NON ARRIVARE IN TEMPO! -
Karim
era gelato, anche le sue emozioni erano in uno stallo totale, sotto
shock per quello che vedeva e ascoltava. Non sapeva di quell’episodio…
-
Eri tu? - Non si era ricordato il suo viso ed ora sapere come erano
andate le cose era come una secchiata d‘acqua gelida. Si rese conto di
tremare e di non essere il solo. José sicuramente per la rabbia ma lui?
Lui perché tremava?
Senza
capirlo assistette al secondo scoppio, guardando fra un lampo e l’altro
il viso ravvicinato e furioso dell’uomo che aveva davanti, sentirsi
scuotere con violenza, la sua voce gridare ancora:
-
CERTO CHE ERO IO! E NON ME NE FOTTE CHE NON TE LO RICORDI, MA NON POSSO
CONTINUARE A CERCARTI E TIRARTI FUORI DALLA MORTE. NON POSSO CONTINUARE
A DIRTI COSA DEVI FARE PER VIVERE BENE! DEVI FARLO DA SOLO, CAZZO! DEVI
AVERNE VOGLIA! DEVI DARTI UNA MOSSA E NON ASPETTARE SEMPRE E SOLO CALCI
IN CULO, PORCA PUTTANA! -
Karim
ad occhi sgranati e sconvolto cercava di vederlo bene ma senza
un’illuminazione decente era difficile, i lampi gli davano a tratti
l’immagine furiosa del suo viso contratto mentre gridava e lo scuoteva
come un forsennato. Lui raggelato, non sapeva cosa dire, incapace anche
solo di azzardarsi un pensiero.
-
CHE COSA HAI DA DIRE? DILLO UNA VOLTA PER TUTTE! PARLA! PERCHE’ CAZZO
SE VUOI DIRMI QUALCOSA NON ME LA DICI? PERCHE’ DEVI SEMPRE ASPETTARE
CHE GLI ALTRI FACCIANO IL PRIMO PASSO? NON PUOI SEMPLICEMENTE FARE
QUELLO CHE VUOI SENZA CHE QUALCUNO TI SPINGA A FARLO? PERCHE’ STAI LI’
PIENO DI COSE DA DIRMI ED ASPETTI CHE TE LE CHIEDA? PARLA, CAZZO,
KARIM! PARLA! -
All’ennesimo
gli vennero le lacrime agli occhi. All’idea di rispondergli e dirgli
perché era così il nodo trattenuto per lo shock esplose fuori e fu la
fine.
Staccandoselo
di dosso con un gesto secco si prese il viso con le mani e se lo coprì
senza nemmeno la forza di sedersi o allontanarsi. Poi con voce rotta
ringhiò facendo uscire tutta la rabbia che aveva trattenuto
probabilmente da una vita:
-
Perché non fotte un cazzo a nessuno! -
José
provò un istinto talmente forte e grande di ucciderlo che per un
momento credette l’avrebbe fatto veramente. Lieto di non avere oggetti
contundenti in mano lo spinse così violentemente da farlo cadere sul
divano ed anche quando fu giù gli si mise sopra a cavalcioni per
prendergli le mani e togliergliele dal viso. Aveva voglia di
annullarlo, disfarlo e rifarlo.
Come
diavolo poteva dire così dopo tutta la pena che si era dato? Dopo
quanto era diventato matto da quando l’aveva incontrato?
-
ED IO? IO COSA CAZZO SONO SECONDO TE, SI PUO’ SAPERE? NON SAI COME MI
FAI STARE QUANDO TE NE VAI, QUANDO TI CHIUDI, QUANDO TI ADDORMENTI PER
NON VIVERE, QUANDO BEVI FINO A VOMITARE L’ANIMA! NON SAI COME MI FAI
SENTIRE! E PENSI CHE TUTTO QUELLO CHE FACCIO SIA SOLO UNA FOTTUTISSIMA
SFIDA DEL CAZZO PER RIMETTERTI IN PIEDI E AUTOCELEBRARMI? COME DIAVOLO
PUOI PENSARLO! GUARDA QUANTO STO DIVENTANDO MATTO CON TE! SE NON ME NE
FOTTESSE NIENTE NON STAREI QUA AD URLARE! GUARDAMI! SONO BAGNATO
FRADICIO PERCHE’ SONO ANDATO A VEDERE SE LA TUA MACCHINA ERA ANCORA DA
CRIS, POI SONO ANDATO NEI LOCALI QUA INTORNO A VEDERE SE ERI UBRIACO E
POI SONO ANDATO ALLA FERMATA DELLA METRO DOVE TI HO CONOSCIUTO!
GUARDAMI, DANNAZIONE! TI SEMBRO UNO CHE SE NE SBATTE? - La gola gli
bruciava per il troppo urlare e non si era nemmeno reso conto che dalla
rabbia stava piangendo, quando lo capì lo prese per il colletto e
l’attirò a sé in modo da farsi vedere bene e per evitare equivoci la
mano che lo teneva se la mise sul viso, sugli occhi bagnati non più di
pioggia.
Così
non si era mai sentito e non poteva sopportare l’idea che Karim
nonostante tutto quello che lui faceva e come si sentiva, credesse di
essere solo e incompreso.
Il
ragazzo sgranò gli occhi e con la consapevolezza di aver passato un
segno che forse non avrebbe più rimesso a posto, spaventato dall’idea
di aver perso anche lui, mantenne il suo viso fra le proprie mani e con
quella scarsa visibilità premette la fronte alla sua, chiudendo gli
occhi perché non sopportava più di vederlo in quello stato, mormorò a
denti stretti e disperato:
-
Perdonami… perdonami, José… non riesco a vedere ciò che ho veramente…
sono terrorizzato dall’idea che tu sia come tutti gli altri, quelli che
mi hanno rovinato… e per capirlo aspetto che tu mi chieda di me e del
mio passato, che ti interessi a ciò che ero e che sono… ho solo paura
che tu sia come… - Non riuscì a finire la frase, al ricordo di chi lo
stava paragonando il nodo tornò e si morse il labbro con forza.
José
in quello si calmò di botto e come se gli staccassero i fili e gli
cambiassero le vesti di scena per un altro personaggio da interpretare,
spinse Karim fino a farlo appoggiare con la schiena, non gli lasciò la
fronte dalla propria ed anzi gli prese a sua volta il viso fra le mani
mentre quelle dell’altro scendevano ad aggrapparsi alla sua camicia
bagnata.
José
cominciò ad accarezzarlo con una dolcezza incredibile ed insperata,
nessuno avrebbe mai pensato di vederlo in quelle vesti e Karim stesso
per lo shock si sconnesse per un istante.
Erano
belle le sue carezze, si capiva quanto ci tenesse a lui, quanto calore
gli stesse trasmettendo, quanta tranquillità, quanta calma.
Era
vero che andava tutto bene, ma non glielo stava dicendo a parole.
Rimasero
in silenzio qualche istante e quando Karim capì che José aspettava che
fosse pronto a parlargliene e che voleva iniziasse da solo, dopo
essersi morso il labbro un paio di volte cominciò in quello che per lui
era la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua.
Mantenne
gli occhi chiusi e benedì quel blackout che gli impediva di vedersi
bene.
La
sua voce un mormorio indistinto.
-
M…mio padre era un uomo molto affettuoso… mia madre una donna un po’
svampita e mio f… fratello… mio fratello era… - Non riuscì a definirlo
e quando José capì quanto difficile sarebbe stato per lui dire tutto,
realizzò che dopo di quello ce l’avrebbe fatta definitivamente: - Se ne
sentono tante, no? Di scandali di casi di pedopornografia in famiglia…
quando mi sono accorto che mi filmavano sotto la doccia ed in camera e
che poi vendevano il materiale ero troppo grande e capendo la gravità
di quel che mi succedeva ho chiesto aiuto a mia madre ma lei mi ha
detto che non poteva fare niente contro suo marito, così ho chiesto
aiuto a mio fratello e lui mi ha risposto che l’aveva fatto anche a lui
e che prima o poi ti ci abituavi. Mi ha riso in faccia quando gli ho
detto di aiutarmi a fermarlo. Mi fidavo di mio padre, era un uomo così
affettuoso, sembrava il padre modello, che si interessava veramente a
me, l’unico che mi capiva… ma da quando ho capito cosa succedeva ha
cominciato a farlo in modo più pesante ed aperto, ha mostrato il suo
vero volto. Non gli importava niente di me, voleva solo usarmi per fare
i soldi in questo modo osceno. Ed io ero grande per capire quanto
orrendo fosse quello che mi stava succedendo ma non abbastanza per
poter risolvere la cosa da solo. Le minacce mi fermavano sempre. Ho
dovuto assecondare il suo volere, troppo terrorizzato. E quando sono
riuscito a dare segnali ad altre persone, a scuola, anche lì se ne sono
fregati fingendo di non vedere perché uno scandalo simile sarebbe stata
una brutta immagine. E poi c’erano quelli che avevano paura di mio
padre perché era un nome affermato. E a mio fratello non importava.
Quando ha cominciato a farmi fare cose con lui non ce l’ho fatta e sono
scappato. Sono finito in una banda di teppisti che mi ha tirato su con
la droga, mi facevano fare il fattorino. Sono loro che mi hanno
insegnato a suonare il basso. Mi piaceva. Quello che avevo quando mi
hai trovato l’avevo rubato. Sono cresciuto nel peggio del peggio.
Quando mi hanno proposto di aiutarli prostituendomi sono scappato anche
da loro. Sono venuto qua in America nascondendomi nel carico di un
camion, una volta sulla nave sono sceso e sono rimasto nascosto tutto
il tempo. Quando sono arrivato qua ero io ed il mio basso. Per mangiare
rubavo e per tirare su i soldi della droga da cui ormai ero dipendente
suonavo. Non sono mai stato capace di farla finita e non so perché, non
ne ho idea. Non ho mai voluto morire. È perché mi hanno tradito tutti,
tutti quelli che dicevano di volermi bene, di essermi affezionati, di
essere dalla mia parte, di fidarmi… è perché mi hanno tradito tutti che
io sono così… tutti quelli che dicevano di interessarsi a me in realtà
se ne fregavano… ed io ora sono solo Karim il bassista dei Real senza
cognomi ed origini, un gruppo che fa musica e va forte. Non sono più il
Karim Benzema che viene dalla Francia e che aveva una famiglia
benestante. - Ci fu un momento di pausa dove si sentì solo lo scroscio
della pioggia cadere fuori dalle finestre.
José
non aveva mai nemmeno osato immaginare qualcosa del genere, su tutte le
cose che lo indignavano quella era la peggiore. Pedopornografia ed in
famiglia per giunta!
Stringeva
gli occhi anche lui senza la forza di guardarlo, cercando di trattenere
quell’enorme nodo che gli era salito. Poteva uscirgli dagli occhi come
lacrime o dalla bocca come urla, ma non voleva farlo smettere. Voleva
solo che continuasse a parlare e ad aprirsi, a dirgli tutto quello che
aveva dentro, che aveva passato e che aveva provato. Perché era proprio
per arrivare a quel punto che aveva lavorato tanto.
Le
mani non avevano mai smesso di carezzarlo con dolcezza sul viso come se
fosse la cosa più delicata del mondo.
“Ecco
perché non si prostituiva!”
In
quel periodo aveva cercato di vedere se lo faceva ma l’aveva visto solo
suonare il suo basso. L’aveva sempre colpito per le sue scelte
particolari, in quei casi la prostituzione era la prima cosa ma Karim
forgiato da quella orrenda tragedia personale era diventato uno tutto
d’un pezzo fino a quel punto.
Per
questo non poteva che esserne sempre più innamorato.
Quando
se lo disse, aprì gli occhi di scatto e purtroppo non riuscì a fermare
le lacrime per quell’insostenibile peso che aveva condiviso con lui.
Per avergli dato tutto ciò che Karim provava.
Continuò
sommesso come incapace di fermarsi:
-
Per questo mi sono sempre ripromesso di limitarmi a rispondere alle
domande che mi facevano. Era una forma di prova. Se me lo chiedevano
come minimo ne erano interessati. Se non mi chiedevano niente non
volevano saperlo. Riky è stato il primo a farmi domande e poi ad
ascoltarmi. Gli altri, qua, hanno sempre dato tutti per scontato che io
non parlassi e non volessi farlo. In realtà non mi interessa farlo,
però mi fido solo di chi è disposto ad ascoltarmi e vuole sapere di me.
Riky è il primo che ci ha provato e l’ha fatto con semplicità, senza
essere invadente o rompermi il cazzo. Il primo giorno che è venuto qua
mi ha chiesto cosa mi prendesse e mi ha toccato per consolarmi senza
paura, poi ha ascoltato il mio sfogo verso di te. Non ha fatto altro. E
poi mi ha detto quello che pensava senza paura che me lo mangiassi,
dicendomi che eri solo preoccupato per me e che dovevo smettere di
dargliene motivo e smettere di bere. L’ho fatto per vedere se facendo
così tu continuavi a vedere di me o ti stufavi e mi mollavi. Quando ho
visto che continuavo a vedere più lui di te e che non mi chiedevi
niente di me ho pensato che fosse vero, che non ti importava poi molto,
che forse eri come gli altri che mi avevano tradito e che mi avevano
avvicinato con un secondo fine sporco. Però non so perché… sono
riuscito a mettere da parte tutto, a cancellare il mio passato, a
scappare di casa e poi dalla città pur di sopravvivere a modo mio, pur
di allontanarmi dai falsi ipocriti figli di puttana che mi usavano.
Però anche se ad un certo punto ho pensato che anche tu fossi così non
riuscivo a metterti via, a cacciarti o ad andarmene veramente. Non ho
mai pensato di andarmene. Volevo sempre tornare. Non potrei fare le
valigie e filarmela di nuovo, non riuscirei mai a lasciarti perché
anche se ho paura che tu sia come gli altri spero sempre che non sia
così e che mi dimostri che mi sbaglio… solo che mi sto rendendo conto
che non esistono prove vere, effettive e grandi capaci di farmi capire
questa cosa. Non ci sono prove per la fiducia. Quindi spero solo di
sbagliarmi e che ti importi qualcosa di me. Che questa volta almeno a
te importi veramente. -
José
ormai non riusciva a smettere di piangere per lui ed era incredibile
perché in vita sua non gli era mai capitato.
Piangeva
perché lo capiva talmente bene da avere la sua vita davanti e non solo,
anche il suo cuore, la sua anima e la sua mente.
Aveva
tutto ed era lì nelle sue mani, aperto e crudo ma vivo e finalmente
autentico.
Niente
muri, niente riserve, niente fughe.
Karim
era lì per lui e gli stava dicendo in un modo dolcissimo quanto si
stesse innamorando di lui.
Senza
la capacità minima di parlare, cosa incredibile per lui, cominciò a
posargli dei piccoli baci sul viso. Cominciò dalla fronte per poi
scendere sugli occhi che anche lui manteneva chiusi. Li sentì bagnati a
sua volta, capì che stava piangendo e che aveva cominciato nel momento
in cui aveva iniziato a baciarlo. Scese bevendo le sue lacrime per poi
proseguire lungo la mascella, sul mento, sull’angolo delle labbra e poi
su di esse, pieno e vivo.
Le
carezzò e rimase così su di lui senza invaderlo. Non riusciva a
parlare, voleva dirgli che era finita e che a lui invece interessava ma
aveva capito che a Karim non erano le parole che interessavano. Erano
solo i fatti.
Quale
prova per la fiducia e l’amore?
Come
poteva fare?, si chiese spaventato all’idea di non riuscire a
convincerlo quella volta.
Quale
prova?
Era
importante convincerlo, era importante fargli capire quanto volesse
solo che lui stesse bene e vivesse. Era importante lui.
Furono
le dita di Karim a rispondergli, quando cominciarono a slacciargli la
camicia ancora bagnata ma non più strafonda.
Era
una prova d’amore molto grande per Karim, visti i precedenti della sua
infanzia.
Realizzò
quanto innamorato fosse solo allora, perché era sempre stato disposto
da subito a darsi fisicamente mentre lui aveva cercato di aspettare di
sistemarlo veramente.
Solo
ora capiva che per sistemarlo doveva prenderselo esattamente in quel
modo.
Con
amore.
Fu
allora che gli violò con dolcezza le labbra, aprendogliele con le
proprie ed infilandosi con la lingua fino a trovare la sua. Gli si
diede come se non aspettasse altro. E riusciva a percepire pur senza
aprire gli occhi che la sua espressione era turbata.
Cos’era
che l’aveva catturato tanto?
Non
aveva mai smesso di chiederselo e mentre corse con le mani alla sua
vita per carezzarlo sotto la maglietta fino a farlo rabbrividire, era
ancora lì a provare a capirlo.
Perché
un bassista che suonava in una fermata della metro procurandosi così i
soldi per bucarsi gli era entrato tanto dentro?
Perché
si era impuntato tanto?
Non
lo capiva proprio ma nel separarsi dalla sua bocca per togliergli la
maglietta, si ritrovò con la camicia scesa con fatica giù sugli
avambracci, allora l’aiutò a sfilarsela del tutto.
Solo
allora si guardarono febbrili e profondamente scossi.
Il
temporale era cessato e la luce era tornata da sola, non se ne erano
nemmeno accorti, si stupirono nel vedersi entrambi scossi dal pianto e
mentre Karim si chiedeva perché José piangeva, lui già aveva le sue
risposte e finalmente fu in grado di dargliene.
-
Per capire che non sono un falso figlio di puttana puoi solo stare con
me e conoscermi meglio, il tempo ti dirà chi sono. Se ti va di
rischiare come ho rischiato io a prenderti con me, allora siamo a buon
punto. - Karim riuscì solo a chiedere ‘perché’ e quando José rispose
provò il famoso tuffo dentro: - Perché una volta che mi accetterai non
ti lascerò mai più andare, per nessuna ragione al mondo. Ho lottato
troppo per te, non ti pianterò nemmeno se lo vorrai. - Suonò come una
minaccia ma per Karim fu la cosa più dolce che potessero dirgli e vi si
aggrappò rispondendogli con un bacio che gli tolse il fiato.
Quella
sua paura di venir respinto e di risucchiarsi chi aveva davanti era
ubriacante e di nuovo tolse la capacità di ragionamento a José.
Si
annullò trovandosi ad agire preso dalla frenesia in un crescendo senza
fine e riserve.
Consapevole
che sarebbe finita senza freni, fu l’inizio della fine.
Una
fine dolcissima.
Con
le mani sotto i pantaloni di José, Karim se l’attirava a sé con forza e
decisione e l’altro non chiedeva altro che essere cercato a quel modo.
Slacciatigli i jeans corse ad occuparsi con le dita della sua erezione
mentre i respiri continuavano a mescolarsi nelle loro bocche
prendendosi e dandosi senza la capacità di andarci piano. Non potevano
darsi una regolata, non ne erano capaci, quando cominciavano la miccia
esplodeva in un modo incontrollato.
Karim
non perse tempo e nel giro di un istante era lì nell’inguine di José e
fargli la stessa identica cosa, strofinandogli l’erezione con la mano.
Si interruppero dal baciarsi per respirare i rispettivi sospiri di
piacere e quando José si sentì vicino all’orgasmo si interruppe
scendendo bruscamente giù da lui. Karim se ne seccò ma si rilassò
subito quando lo vide sistemarsi per terra fra le sue gambe in modo da
prenderlo con la bocca.
La
lingua l’assaggiò e poi le labbra lo divorarono con sensuale calore.
Karim
premendo la nuca all’indietro sul divano dove era seduto, gli prese
brutalmente i capelli e gli mosse volgarmente la testa contro di sé in
un aumento di piacere talmente intenso da non avere ancor paragoni.
Quando
José si appropriò del suo sapore, non perse tempo e lo spogliò del
tutto tirandogli impaziente anche i jeans e i boxer che rimanevano.
Erano
vestiti di Cristiano e li riconosceva solo ora.
Ebbe
conferma che era stato da loro e se ne sollevò, quindi tirandolo per le
gambe con sicurezza tipica sua, gliele alzò per prendersi il suo
accesso posteriore.
Karim
si ritrovò praticamente steso con le gambe alzate e se le tenne piegate
verso di sé in modo da dargli completamente il via libera.
José
se lo sarebbe comunque preso ma non gliene fece pentire.
Dapprima
con la lingua e le labbra e poi con le dita, cominciò a violarlo con
sicurezza e sempre più veemenza.
Fu
la cosa più piacevole che Karim avesse mai provato e non si pentì di
essersi dato a lui.
Capì
che era diverso da tutti gli altri solo in quel momento, perché il
piacere che provò niente di sbagliato, falso e schifoso avrebbe potuto
darglielo.
Ma
fu in realtà una cosa molto più irrazionale di quanto gli sembrò.
Non
poteva spiegare cosa c’era in José che lo spingeva a volerlo a quel
modo e a fidarsi istintivamente e segretamente. Perché che si era
sempre fidato di lui ad istinto era assolutamente vero.
Non
poteva capire cosa c’era in lui, però qualunque cosa fosse ora l’aveva
e gli faceva capire di aver fatto bene.
Quando
lo vide posizionarsi su di lui pronto per entrare, si guardarono
quell’istante per capirsi con gli sguardi. Gli occhi si agganciarono e
prima di penetrarlo José riuscì a dire roco e pieno di desiderio, con
quella sua aria magnetica perenne:
-
Posso amarti come meriti? - Non l’avrebbe mai chiesto in condizioni
normali, ma era lì anche per dimostrargli che era diverso, che poteva
fidarsi, che lo voleva veramente, che stava facendo di tutto per
restituirgli ciò che aveva perso.
La
sua anima.
E
la sua anima gliela ridiede.
Karim
annuì solo prendendogli i fianchi con le unghie in modo da avvicinarlo
ulteriormente a sé, lui lo teneva a sua volta allo stesso modo pronto
per andare fino in fondo e quando gli appoggiò le gambe alte sulle
spalle, José scivolò in lui con sicurezza, si fermò un istante e poi
cominciò a muoversi piano.
Fu
uno strappo dal mondo per entrambi e poi un ritrovarsi al di là della
dimensione di nuovo insieme, quindi cominciarono a muoversi e ad
aumentare il ritmo pur senza piacere assoluto da parte di entrambi.
Karim
strinse gli occhi e trattenne le lacrime per il dolore iniziale, quando
cominciò a muoversi in lui fu diverso, fu frenesia perché era José
dentro di sé e lo voleva, voleva che continuasse e non smettesse. Si
aggrappò alla conferma assoluta che gli importava veramente e che non
era una finta perché vide la sua emozione nelle sue lacrime che asciugò
fra una spinta e l’altra.
Non
avrebbe mai immaginato avvenisse così ma fu la cosa più bella della sua
vita e solo mentre lo sentiva raggiungere l’orgasmo in sé, trovò la sua
risposta.
Era
José che aveva sempre aspettato, ecco cosa c’era in lui di diverso
dagli altri, ecco perché l’aveva seguito subito ed era sempre stato con
lui, perché aveva sempre insistito e si era fissato per stare con lui.
Perché
era la sua persona. La sua e basta.
Semplicemente
la sua persona.
Il
sentimento che provò in quel momento vinse su tutto e il giorno ebbe
ragione della notte una volta per tutte.
Alba.