CAPITOLO XIX:
PERCHE’ ERA LA SUA PERSONA

Aveva passato tutta la giornata a sistemare i dettagli del tour del gruppo, ma lo sguardo al cellulare l’aveva lanciato sempre ed ogni volta che suonava si era innervosito talmente tanto per il non vedere nel display il nome di Karim, che aveva litigato con un sacco di gente.
Bè, in realtà con lui non si poteva litigare perché bisognava avere il coraggio di farlo e non erano molti quelli che l’avevano.
José non era alto e nemmeno grosso o muscoloso ma aveva un modo di fare e degli sguardi talmente cattivi e sferzanti che terrorizzavano tutti, di conseguenza nessuno ci si metteva contro. Anche solo a parole sapeva essere molto più terribile di uno che alzava le mani.
Oltretutto non aveva paura di niente e nessuno, provocava anche un bufalo inferocito, non gli interessava. In un modo o nell’altro se la cavava sempre.
Tornato a casa aveva sperato con tutto sé stesso di ritrovare Karim, ma vedendo che la sua macchina non era parcheggiata, sbuffando, prese il cellulare.
Non chiamò né Cristiano, né Ricardo, né tanto meno l’interessato. Chiamò Iker per assicurarsi sull’ora in cui avevano finito e si erano separati, sapeva che lui era discreto e che Karim non era lì.
Venendo a sapere che erano due ore abbondanti che si erano separati, l’umore andò di pari passo col temporale che si era scatenato fuori.
Contraendo la mascella respirò profondamente rivelando un umore pericolosamente sull’orlo di un’esplosione atomica, quindi poi senza dire niente altro mise giù la comunicazione e senza nemmeno la fame, si sedette nel divano a guardare un po’ di televisione per distrarsi un po’.
Era solo un’idiota, si ripeteva. Eppure il sapere che fino a due ore fa era ancora vivo e vegeto l’aveva sollevato molto.
Il telegiornale locale per uno che doveva distrarsi non era comunque l’ideale e incupendosi ulteriormente su tutte le brutte notizie ricevute, incapace più di stare fermo in casa, specie seduto su un divano a guardare immagini catastrofiche, si alzò consapevole che se non avesse fatto qualcosa sarebbe potuto diventare matto.
La tentazione di chiamare Karim e Ricardo l’ebbe ma la vinse quando pur di non farlo lasciò l’apparecchio in casa e lui uscì così com’era, in maniche di camicia, sotto la pioggia che Dio mandava con una furia impressionante.
Quando l’elemento lo ricoprì infradicendolo in un istante, sentì quasi del sollievo, come se i bollenti spiriti si fossero calmati.
Non era inverno ma nemmeno piena estate, girare liberamente così sotto il temporale non era la cosa più sensata.
Non prese la macchina e pensando che si sarebbe limitato ad arrivare alla casa di Cristiano a pochi isolati da lì per vedere di nascosto se l’auto di Karim era parcheggiata, s’incamminò con tutti i pensieri più catastrofici di cui era capace.
Fu inevitabile per lui andare coi ricordi a quando l’aveva incontrato.
La notizia sul ragazzo trovato in overdose nel quartiere basso di Los Angeles l’aveva scosso non poco. Come se dall’alto qualcuno si divertisse ad infierire e mettere il dito nella piaga.
Era già la sua fissa, quella di poter trovare Karim come l’aveva visto la seconda volta, non serviva che glielo ricordassero in quel modo. Arrabbiato col mondo e con Dio sopra ogni cosa che gli aveva messo sul cammino un’esemplare auto distruttivo simile, non sentiva nemmeno le gocce grandi che lo schiacciavano appesantendolo.
Lo sguardo affilato e furioso, le mani sprofondate nelle tasche, le strade deserte dove ville e villette scorrevano davanti ai suoi occhi.
Fiumi di pioggia ai bordi dei marciapiedi, finestre come cascate ed il cielo che sembrava dovesse venire giù fino alla fine del mondo.
Ma negli occhi solo Karim.
La prima volta che l’aveva incontrato suonava il basso acustico in una stazione della metropolitana, indossava dei jeans scoloriti, consumati e strappati dal cavallo basso e sopra una felpa col cappuccio tirata su. Ai piedi aveva uno zainetto con probabilmente i pochi averi e l’aria di chi non mangiava da tempo lo impressionò subito perché tanto malridotto era nell’aspetto, quanto bravo col basso. José ci aveva messo poco, col suo orecchio esperto, ad immaginarselo con un basso decente ed elettrico. Aveva subito capito il talento di quel giovane senzatetto che viveva ai margini della città, ma più che da quello era rimasto colpito dalla scelta dello strumento. Solitamente non si suonavano bassi per tirare su qualche spicciolo.
Lo sguardo spento era rimasto fisso a terra.
La seconda volta che l’aveva incontrato l’aveva riconosciuto subito per i vestiti logori, ma pioveva e lui non suonava più.
Non poteva dire che si era perso, José non camminava mai per le vie malfamate della città e quella volta l’aveva fatto nella speranza precisa di ritrovare quel ragazzo e vedere se era ancora vivo.
Non ci aveva ragionato molto perché non pensava a quel che faceva a meno che non si trattasse di lavoro. Aveva solo agito d’istinto.
Nella metro dell’altra volta non l’aveva visto e deluso se ne era andato prendendo un’altra via secondaria. Sempre così, senza un motivo particolare.
Aveva visto per prima la custodia del basso, poi una massa a terra.
Si era avvicinato curioso e quando aveva capito che era lui e che stava andando in overdose di chissà quale schifezza, aveva scaricato tanti di quegli insulti al giovane che per un momento si era ripreso.
Se si era salvato era stato solo per merito suo, aveva chiamato in tempo i soccorsi che l’avevano aiutato e tirato sulla Terra per un pelo.
José era rimasto per tutto il tempo ad aspettare di sapere se ce l‘avrebbe fatta, quando gli avevano dato conferma se ne era andato incazzato nero con gente che non sfruttava il dono che aveva. Ed ovviamente aveva dato la sua assicurazione per le cure. José aveva orecchio per la musica, i musicisti ed i cantanti, riconosceva subito quelli bravi e le buone scelte, era un asso nel suo lavoro ma era stonato e non sapeva suonare uno strumento che fosse uno, nonostante ci avesse provato aveva capito di non essere portato. Strimpellava il piano, tutto lì.
Però la prima cosa che aveva tentato era stata la carriera da musicista, era andata male ed aveva ripiegato sul manager per gruppi e cantanti.
Quel ragazzo l’aveva segnato, trovarlo quasi morto, capire che usava il suo dono in quel modo sporco, solo per uccidersi… no, era stato deleterio, per lui.
Però invece di muoversi in auto, qualche settimana dopo aveva ripreso la metro senza motivo specifico se non quella di rivederlo.
Non aveva un progetto, nessun perché. Forse solo vedere se continuava per quella stupida strada.
Sì, l’aveva sempre rivisto là e sempre con quell’aria spenta, il suo cappuccio sulla testa e il basso in mano.
Non aveva mai capito perché l‘aveva fatto, anche ripensandoci non ci riusciva. Forse perché da quando l’aveva visto sull’orlo della morte ci aveva pensato di continuo ed il rivederlo vivo ma sempre su quella via, bè, forse quello l’aveva spinto a fare qualcosa.
Di gente così ne era piena, anche con un gran talento, ma che sceglieva di suonare un basso forse no. O forse lui si era fissato con quello perché l’aveva salvato da una morte certa, non poteva saperlo, non l’avrebbe mai capito. Comunque prendendogli lo strumento di mano e lo zainetto da terra con fare prepotente e deciso, gli aveva ordinato di seguirlo che aveva una proposta di lavoro da fargli.
Ci aveva messo tanta fatica a disintossicarlo perché Karim all’inizio non ne aveva voluto sapere, aveva detto che preferiva non sentire niente piuttosto che tornare a rendersi conto di tutte le schifezze del mondo.
Quando José l’aveva preso per il braccio e trascinato sul tetto di casa sua, l’aveva invitato a buttarsi giù. Solo nel realizzare che non l’avrebbe fermato Karim aveva capito che non voleva morire, solo non provare niente.
José aveva invece appreso che quel ragazzo voleva tornare a vivere veramente e risolvere tutti i suoi problemi, ma che non aveva nemmeno il coraggio di dirlo. Per questo poi ci aveva pensato lui. Ci aveva sempre pensato lui e sempre senza farsi domande, sempre sperando che ce la facesse, che non ci ricadesse, che tornasse a casa, che si mettesse a posto.
Quando aveva visto che Ricardo era riuscito a farlo smettere di bere l’aveva preso per un miracolo, per questo glielo aveva lasciato vicino. Quello che però non era in grado di capire era perché Ricardo ce l’aveva fatta, aveva compiuto l’ultimo passo, e lui no.
Per questo il non rivederlo in casa, il saperlo in giro da due ore chissà dove lo sbatteva tanto fuori. Perché poteva tornare in quel maledetto vicolo a finire l’opera di quel giorno.
Vedendo che a casa di Cristiano l’auto di Karim non c’era ma solo quella di Cris, capì che doveva essere andato via.
Sempre ripensando a quanto idiota fosse, fece il giro dei locali dell’isolato per poi andare alla fermata della metro vicino a casa sua, quella dove l’aveva visto le altre volte.
Solo quando l’aveva trovata vuoto si era risollevato appena, ma comunque il non sapere dove fosse lo stava di nuovo uccidendo.
Ormai nemmeno la pioggia gli raffreddava gli istinti violenti, niente serviva più.
Forse Karim voleva veramente andarsene e piantarlo per l’incapacità di vivere da solo.
Perché non sapeva chiedere agli altri quello che voleva e desiderava e aspettava sempre che fossero gli altri a fare il primo passo e a fargli le domande che voleva.
Ma se voleva vivere doveva farlo da solo, non era giusto che lui lo spingesse sempre a fare la cosa giusta, non si poteva contare ogni volta sugli altri, bisognava imparare a vivere bene anche da soli.
Quando svoltò l’angolo e vide casa propria, aveva appena finito di immaginarselo in overdose con gli occhi della mente.
Un’immagine, quella che aveva visto dal vivo, che non gli sarebbe mai andata via dalla memoria. Mai.
Però fu lieto che la pioggia gli bloccasse le lacrime, perché vedere la macchina di Karim parcheggiata davanti casa gli stimolò uno stupido stimolo assurdo che solo per miracolo riuscì a fermare. Solo l’alzare il viso per farselo bagnare meglio. Solo quello aveva impedito il suo pianto.
Quando rientrò sbatté la porta talmente violentemente che fu subito chiaro a tutti lo stato in cui era.
Una furia simile forse chi lo conosceva se l’era ancora sognata.
Karim era sul divano a guardare la televisione, un programma musicale rimandava video di canzoni di un po’ tutti i generi.
Il tuono che scosse la casa fu nulla in confronto allo sguardo che José gli lanciò. Fulmini allo stato puro.
Karim si raddrizzò a sedere e nel vederlo bagnato fradicio con la camicia tutta attaccata al corpo e i capelli sconvolti e fradici sul viso, la pozza ai suoi piedi e le gocce che gli si staccavano di dosso, capì che forse quel qualcosa che voleva gli dimostrasse ora era lì davanti ai suoi occhi.
Il lampo, il flash e poi di nuovo il rombo che coprì un rumore sordo all’interno della casa, la luce andò via e il flash del fulmine successivo mostrò che José aveva buttato a terra il mobile dell’ingresso.
Tutto si fermò, Karim non osava muoversi ma si era alzato in piedi, ingoiava ripetutamente cosciente che era talmente furioso che persino lui non sapeva cosa fare a quel punto. Non ne aveva paura, però a fatti non riusciva a muoversi o parlare.
- Tu lo sai perché odio che non torni a casa? - Mormorò José con voce bassa e penetrante, si capiva che il momento dopo avrebbe urlato, nonostante questo Karim non aveva la minima idea di come placarlo. Forse era proprio quello che aveva aspettato.
Si fece avanti piano e cauto, quando mormorò: - Perché? - era una domanda retorica perché lo sapeva. O per lo meno aveva creduto di saperlo.
José gli fu davanti dopo il flash successivo, nonostante l’illuminazione scarsa e intermittente, si muoveva veloce e scattante.
Lo prese per il colletto della maglia e quando ebbe il viso a pochi centimetri dal suo, gridò proprio come da lui previsto.
Completamente fuori di sé:
- PERCHE’ LA SECONDA VOLTA CHE TI HO VISTO ERI QUASI MORTO! STAVI ANDANDO IN OVERDOSE E TI HO SALVATO PER UN PELO! ED ORA HO PAURA CHE SE NON TORNI IO TI POSSA RITROVARE IN QUELLO STESSO VICOLO DI NUOVO IN OVERDOSE. ED HO PAURA DI NON ARRIVARE IN TEMPO! -
Karim era gelato, anche le sue emozioni erano in uno stallo totale, sotto shock per quello che vedeva e ascoltava. Non sapeva di quell’episodio…
- Eri tu? - Non si era ricordato il suo viso ed ora sapere come erano andate le cose era come una secchiata d‘acqua gelida. Si rese conto di tremare e di non essere il solo. José sicuramente per la rabbia ma lui? Lui perché tremava?
Senza capirlo assistette al secondo scoppio, guardando fra un lampo e l’altro il viso ravvicinato e furioso dell’uomo che aveva davanti, sentirsi scuotere con violenza, la sua voce gridare ancora:
- CERTO CHE ERO IO! E NON ME NE FOTTE CHE NON TE LO RICORDI, MA NON POSSO CONTINUARE A CERCARTI E TIRARTI FUORI DALLA MORTE. NON POSSO CONTINUARE A DIRTI COSA DEVI FARE PER VIVERE BENE! DEVI FARLO DA SOLO, CAZZO! DEVI AVERNE VOGLIA! DEVI DARTI UNA MOSSA E NON ASPETTARE SEMPRE E SOLO CALCI IN CULO, PORCA PUTTANA! -
Karim ad occhi sgranati e sconvolto cercava di vederlo bene ma senza un’illuminazione decente era difficile, i lampi gli davano a tratti l’immagine furiosa del suo viso contratto mentre gridava e lo scuoteva come un forsennato. Lui raggelato, non sapeva cosa dire, incapace anche solo di azzardarsi un pensiero.
- CHE COSA HAI DA DIRE? DILLO UNA VOLTA PER TUTTE! PARLA! PERCHE’ CAZZO SE VUOI DIRMI QUALCOSA NON ME LA DICI? PERCHE’ DEVI SEMPRE ASPETTARE CHE GLI ALTRI FACCIANO IL PRIMO PASSO? NON PUOI SEMPLICEMENTE FARE QUELLO CHE VUOI SENZA CHE QUALCUNO TI SPINGA A FARLO? PERCHE’ STAI LI’ PIENO DI COSE DA DIRMI ED ASPETTI CHE TE LE CHIEDA? PARLA, CAZZO, KARIM! PARLA! -
All’ennesimo gli vennero le lacrime agli occhi. All’idea di rispondergli e dirgli perché era così il nodo trattenuto per lo shock esplose fuori e fu la fine.
Staccandoselo di dosso con un gesto secco si prese il viso con le mani e se lo coprì senza nemmeno la forza di sedersi o allontanarsi. Poi con voce rotta ringhiò facendo uscire tutta la rabbia che aveva trattenuto probabilmente da una vita:
- Perché non fotte un cazzo a nessuno! -
José provò un istinto talmente forte e grande di ucciderlo che per un momento credette l’avrebbe fatto veramente. Lieto di non avere oggetti contundenti in mano lo spinse così violentemente da farlo cadere sul divano ed anche quando fu giù gli si mise sopra a cavalcioni per prendergli le mani e togliergliele dal viso. Aveva voglia di annullarlo, disfarlo e rifarlo.
Come diavolo poteva dire così dopo tutta la pena che si era dato? Dopo quanto era diventato matto da quando l’aveva incontrato?
- ED IO? IO COSA CAZZO SONO SECONDO TE, SI PUO’ SAPERE? NON SAI COME MI FAI STARE QUANDO TE NE VAI, QUANDO TI CHIUDI, QUANDO TI ADDORMENTI PER NON VIVERE, QUANDO BEVI FINO A VOMITARE L’ANIMA! NON SAI COME MI FAI SENTIRE! E PENSI CHE TUTTO QUELLO CHE FACCIO SIA SOLO UNA FOTTUTISSIMA SFIDA DEL CAZZO PER RIMETTERTI IN PIEDI E AUTOCELEBRARMI? COME DIAVOLO PUOI PENSARLO! GUARDA QUANTO STO DIVENTANDO MATTO CON TE! SE NON ME NE FOTTESSE NIENTE NON STAREI QUA AD URLARE! GUARDAMI! SONO BAGNATO FRADICIO PERCHE’ SONO ANDATO A VEDERE SE LA TUA MACCHINA ERA ANCORA DA CRIS, POI SONO ANDATO NEI LOCALI QUA INTORNO A VEDERE SE ERI UBRIACO E POI SONO ANDATO ALLA FERMATA DELLA METRO DOVE TI HO CONOSCIUTO! GUARDAMI, DANNAZIONE! TI SEMBRO UNO CHE SE NE SBATTE? - La gola gli bruciava per il troppo urlare e non si era nemmeno reso conto che dalla rabbia stava piangendo, quando lo capì lo prese per il colletto e l’attirò a sé in modo da farsi vedere bene e per evitare equivoci la mano che lo teneva se la mise sul viso, sugli occhi bagnati non più di pioggia.
Così non si era mai sentito e non poteva sopportare l’idea che Karim nonostante tutto quello che lui faceva e come si sentiva, credesse di essere solo e incompreso.
Il ragazzo sgranò gli occhi e con la consapevolezza di aver passato un segno che forse non avrebbe più rimesso a posto, spaventato dall’idea di aver perso anche lui, mantenne il suo viso fra le proprie mani e con quella scarsa visibilità premette la fronte alla sua, chiudendo gli occhi perché non sopportava più di vederlo in quello stato, mormorò a denti stretti e disperato:
- Perdonami… perdonami, José… non riesco a vedere ciò che ho veramente… sono terrorizzato dall’idea che tu sia come tutti gli altri, quelli che mi hanno rovinato… e per capirlo aspetto che tu mi chieda di me e del mio passato, che ti interessi a ciò che ero e che sono… ho solo paura che tu sia come… - Non riuscì a finire la frase, al ricordo di chi lo stava paragonando il nodo tornò e si morse il labbro con forza.
José in quello si calmò di botto e come se gli staccassero i fili e gli cambiassero le vesti di scena per un altro personaggio da interpretare, spinse Karim fino a farlo appoggiare con la schiena, non gli lasciò la fronte dalla propria ed anzi gli prese a sua volta il viso fra le mani mentre quelle dell’altro scendevano ad aggrapparsi alla sua camicia bagnata.
José cominciò ad accarezzarlo con una dolcezza incredibile ed insperata, nessuno avrebbe mai pensato di vederlo in quelle vesti e Karim stesso per lo shock si sconnesse per un istante.
Erano belle le sue carezze, si capiva quanto ci tenesse a lui, quanto calore gli stesse trasmettendo, quanta tranquillità, quanta calma.
Era vero che andava tutto bene, ma non glielo stava dicendo a parole.
Rimasero in silenzio qualche istante e quando Karim capì che José aspettava che fosse pronto a parlargliene e che voleva iniziasse da solo, dopo essersi morso il labbro un paio di volte cominciò in quello che per lui era la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua.
Mantenne gli occhi chiusi e benedì quel blackout che gli impediva di vedersi bene.
La sua voce un mormorio indistinto.
- M…mio padre era un uomo molto affettuoso… mia madre una donna un po’ svampita e mio f… fratello… mio fratello era… - Non riuscì a definirlo e quando José capì quanto difficile sarebbe stato per lui dire tutto, realizzò che dopo di quello ce l’avrebbe fatta definitivamente: - Se ne sentono tante, no? Di scandali di casi di pedopornografia in famiglia… quando mi sono accorto che mi filmavano sotto la doccia ed in camera e che poi vendevano il materiale ero troppo grande e capendo la gravità di quel che mi succedeva ho chiesto aiuto a mia madre ma lei mi ha detto che non poteva fare niente contro suo marito, così ho chiesto aiuto a mio fratello e lui mi ha risposto che l’aveva fatto anche a lui e che prima o poi ti ci abituavi. Mi ha riso in faccia quando gli ho detto di aiutarmi a fermarlo. Mi fidavo di mio padre, era un uomo così affettuoso, sembrava il padre modello, che si interessava veramente a me, l’unico che mi capiva… ma da quando ho capito cosa succedeva ha cominciato a farlo in modo più pesante ed aperto, ha mostrato il suo vero volto. Non gli importava niente di me, voleva solo usarmi per fare i soldi in questo modo osceno. Ed io ero grande per capire quanto orrendo fosse quello che mi stava succedendo ma non abbastanza per poter risolvere la cosa da solo. Le minacce mi fermavano sempre. Ho dovuto assecondare il suo volere, troppo terrorizzato. E quando sono riuscito a dare segnali ad altre persone, a scuola, anche lì se ne sono fregati fingendo di non vedere perché uno scandalo simile sarebbe stata una brutta immagine. E poi c’erano quelli che avevano paura di mio padre perché era un nome affermato. E a mio fratello non importava. Quando ha cominciato a farmi fare cose con lui non ce l’ho fatta e sono scappato. Sono finito in una banda di teppisti che mi ha tirato su con la droga, mi facevano fare il fattorino. Sono loro che mi hanno insegnato a suonare il basso. Mi piaceva. Quello che avevo quando mi hai trovato l’avevo rubato. Sono cresciuto nel peggio del peggio. Quando mi hanno proposto di aiutarli prostituendomi sono scappato anche da loro. Sono venuto qua in America nascondendomi nel carico di un camion, una volta sulla nave sono sceso e sono rimasto nascosto tutto il tempo. Quando sono arrivato qua ero io ed il mio basso. Per mangiare rubavo e per tirare su i soldi della droga da cui ormai ero dipendente suonavo. Non sono mai stato capace di farla finita e non so perché, non ne ho idea. Non ho mai voluto morire. È perché mi hanno tradito tutti, tutti quelli che dicevano di volermi bene, di essermi affezionati, di essere dalla mia parte, di fidarmi… è perché mi hanno tradito tutti che io sono così… tutti quelli che dicevano di interessarsi a me in realtà se ne fregavano… ed io ora sono solo Karim il bassista dei Real senza cognomi ed origini, un gruppo che fa musica e va forte. Non sono più il Karim Benzema che viene dalla Francia e che aveva una famiglia benestante. - Ci fu un momento di pausa dove si sentì solo lo scroscio della pioggia cadere fuori dalle finestre.
José non aveva mai nemmeno osato immaginare qualcosa del genere, su tutte le cose che lo indignavano quella era la peggiore. Pedopornografia ed in famiglia per giunta!
Stringeva gli occhi anche lui senza la forza di guardarlo, cercando di trattenere quell’enorme nodo che gli era salito. Poteva uscirgli dagli occhi come lacrime o dalla bocca come urla, ma non voleva farlo smettere. Voleva solo che continuasse a parlare e ad aprirsi, a dirgli tutto quello che aveva dentro, che aveva passato e che aveva provato. Perché era proprio per arrivare a quel punto che aveva lavorato tanto.
Le mani non avevano mai smesso di carezzarlo con dolcezza sul viso come se fosse la cosa più delicata del mondo.
“Ecco perché non si prostituiva!”
In quel periodo aveva cercato di vedere se lo faceva ma l’aveva visto solo suonare il suo basso. L’aveva sempre colpito per le sue scelte particolari, in quei casi la prostituzione era la prima cosa ma Karim forgiato da quella orrenda tragedia personale era diventato uno tutto d’un pezzo fino a quel punto.
Per questo non poteva che esserne sempre più innamorato.
Quando se lo disse, aprì gli occhi di scatto e purtroppo non riuscì a fermare le lacrime per quell’insostenibile peso che aveva condiviso con lui. Per avergli dato tutto ciò che Karim provava.
Continuò sommesso come incapace di fermarsi:
- Per questo mi sono sempre ripromesso di limitarmi a rispondere alle domande che mi facevano. Era una forma di prova. Se me lo chiedevano come minimo ne erano interessati. Se non mi chiedevano niente non volevano saperlo. Riky è stato il primo a farmi domande e poi ad ascoltarmi. Gli altri, qua, hanno sempre dato tutti per scontato che io non parlassi e non volessi farlo. In realtà non mi interessa farlo, però mi fido solo di chi è disposto ad ascoltarmi e vuole sapere di me. Riky è il primo che ci ha provato e l’ha fatto con semplicità, senza essere invadente o rompermi il cazzo. Il primo giorno che è venuto qua mi ha chiesto cosa mi prendesse e mi ha toccato per consolarmi senza paura, poi ha ascoltato il mio sfogo verso di te. Non ha fatto altro. E poi mi ha detto quello che pensava senza paura che me lo mangiassi, dicendomi che eri solo preoccupato per me e che dovevo smettere di dargliene motivo e smettere di bere. L’ho fatto per vedere se facendo così tu continuavi a vedere di me o ti stufavi e mi mollavi. Quando ho visto che continuavo a vedere più lui di te e che non mi chiedevi niente di me ho pensato che fosse vero, che non ti importava poi molto, che forse eri come gli altri che mi avevano tradito e che mi avevano avvicinato con un secondo fine sporco. Però non so perché… sono riuscito a mettere da parte tutto, a cancellare il mio passato, a scappare di casa e poi dalla città pur di sopravvivere a modo mio, pur di allontanarmi dai falsi ipocriti figli di puttana che mi usavano. Però anche se ad un certo punto ho pensato che anche tu fossi così non riuscivo a metterti via, a cacciarti o ad andarmene veramente. Non ho mai pensato di andarmene. Volevo sempre tornare. Non potrei fare le valigie e filarmela di nuovo, non riuscirei mai a lasciarti perché anche se ho paura che tu sia come gli altri spero sempre che non sia così e che mi dimostri che mi sbaglio… solo che mi sto rendendo conto che non esistono prove vere, effettive e grandi capaci di farmi capire questa cosa. Non ci sono prove per la fiducia. Quindi spero solo di sbagliarmi e che ti importi qualcosa di me. Che questa volta almeno a te importi veramente. -
José ormai non riusciva a smettere di piangere per lui ed era incredibile perché in vita sua non gli era mai capitato.
Piangeva perché lo capiva talmente bene da avere la sua vita davanti e non solo, anche il suo cuore, la sua anima e la sua mente.
Aveva tutto ed era lì nelle sue mani, aperto e crudo ma vivo e finalmente autentico.
Niente muri, niente riserve, niente fughe.
Karim era lì per lui e gli stava dicendo in un modo dolcissimo quanto si stesse innamorando di lui.
Senza la capacità minima di parlare, cosa incredibile per lui, cominciò a posargli dei piccoli baci sul viso. Cominciò dalla fronte per poi scendere sugli occhi che anche lui manteneva chiusi. Li sentì bagnati a sua volta, capì che stava piangendo e che aveva cominciato nel momento in cui aveva iniziato a baciarlo. Scese bevendo le sue lacrime per poi proseguire lungo la mascella, sul mento, sull’angolo delle labbra e poi su di esse, pieno e vivo.
Le carezzò e rimase così su di lui senza invaderlo. Non riusciva a parlare, voleva dirgli che era finita e che a lui invece interessava ma aveva capito che a Karim non erano le parole che interessavano. Erano solo i fatti.
Quale prova per la fiducia e l’amore?
Come poteva fare?, si chiese spaventato all’idea di non riuscire a convincerlo quella volta.
Quale prova?
Era importante convincerlo, era importante fargli capire quanto volesse solo che lui stesse bene e vivesse. Era importante lui.
Furono le dita di Karim a rispondergli, quando cominciarono a slacciargli la camicia ancora bagnata ma non più strafonda.
Era una prova d’amore molto grande per Karim, visti i precedenti della sua infanzia.
Realizzò quanto innamorato fosse solo allora, perché era sempre stato disposto da subito a darsi fisicamente mentre lui aveva cercato di aspettare di sistemarlo veramente.
Solo ora capiva che per sistemarlo doveva prenderselo esattamente in quel modo.
Con amore.
Fu allora che gli violò con dolcezza le labbra, aprendogliele con le proprie ed infilandosi con la lingua fino a trovare la sua. Gli si diede come se non aspettasse altro. E riusciva a percepire pur senza aprire gli occhi che la sua espressione era turbata.
Cos’era che l’aveva catturato tanto?
Non aveva mai smesso di chiederselo e mentre corse con le mani alla sua vita per carezzarlo sotto la maglietta fino a farlo rabbrividire, era ancora lì a provare a capirlo.
Perché un bassista che suonava in una fermata della metro procurandosi così i soldi per bucarsi gli era entrato tanto dentro?
Perché si era impuntato tanto?
Non lo capiva proprio ma nel separarsi dalla sua bocca per togliergli la maglietta, si ritrovò con la camicia scesa con fatica giù sugli avambracci, allora l’aiutò a sfilarsela del tutto.
Solo allora si guardarono febbrili e profondamente scossi.
Il temporale era cessato e la luce era tornata da sola, non se ne erano nemmeno accorti, si stupirono nel vedersi entrambi scossi dal pianto e mentre Karim si chiedeva perché José piangeva, lui già aveva le sue risposte e finalmente fu in grado di dargliene.
- Per capire che non sono un falso figlio di puttana puoi solo stare con me e conoscermi meglio, il tempo ti dirà chi sono. Se ti va di rischiare come ho rischiato io a prenderti con me, allora siamo a buon punto. - Karim riuscì solo a chiedere ‘perché’ e quando José rispose provò il famoso tuffo dentro: - Perché una volta che mi accetterai non ti lascerò mai più andare, per nessuna ragione al mondo. Ho lottato troppo per te, non ti pianterò nemmeno se lo vorrai. - Suonò come una minaccia ma per Karim fu la cosa più dolce che potessero dirgli e vi si aggrappò rispondendogli con un bacio che gli tolse il fiato.
Quella sua paura di venir respinto e di risucchiarsi chi aveva davanti era ubriacante e di nuovo tolse la capacità di ragionamento a José.
Si annullò trovandosi ad agire preso dalla frenesia in un crescendo senza fine e riserve.
Consapevole che sarebbe finita senza freni, fu l’inizio della fine.
Una fine dolcissima.
Con le mani sotto i pantaloni di José, Karim se l’attirava a sé con forza e decisione e l’altro non chiedeva altro che essere cercato a quel modo. Slacciatigli i jeans corse ad occuparsi con le dita della sua erezione mentre i respiri continuavano a mescolarsi nelle loro bocche prendendosi e dandosi senza la capacità di andarci piano. Non potevano darsi una regolata, non ne erano capaci, quando cominciavano la miccia esplodeva in un modo incontrollato.
Karim non perse tempo e nel giro di un istante era lì nell’inguine di José e fargli la stessa identica cosa, strofinandogli l’erezione con la mano. Si interruppero dal baciarsi per respirare i rispettivi sospiri di piacere e quando José si sentì vicino all’orgasmo si interruppe scendendo bruscamente giù da lui. Karim se ne seccò ma si rilassò subito quando lo vide sistemarsi per terra fra le sue gambe in modo da prenderlo con la bocca.
La lingua l’assaggiò e poi le labbra lo divorarono con sensuale calore.
Karim premendo la nuca all’indietro sul divano dove era seduto, gli prese brutalmente i capelli e gli mosse volgarmente la testa contro di sé in un aumento di piacere talmente intenso da non avere ancor paragoni.
Quando José si appropriò del suo sapore, non perse tempo e lo spogliò del tutto tirandogli impaziente anche i jeans e i boxer che rimanevano.
Erano vestiti di Cristiano e li riconosceva solo ora.
Ebbe conferma che era stato da loro e se ne sollevò, quindi tirandolo per le gambe con sicurezza tipica sua, gliele alzò per prendersi il suo accesso posteriore.
Karim si ritrovò praticamente steso con le gambe alzate e se le tenne piegate verso di sé in modo da dargli completamente il via libera.
José se lo sarebbe comunque preso ma non gliene fece pentire.
Dapprima con la lingua e le labbra e poi con le dita, cominciò a violarlo con sicurezza e sempre più veemenza.
Fu la cosa più piacevole che Karim avesse mai provato e non si pentì di essersi dato a lui.
Capì che era diverso da tutti gli altri solo in quel momento, perché il piacere che provò niente di sbagliato, falso e schifoso avrebbe potuto darglielo.
Ma fu in realtà una cosa molto più irrazionale di quanto gli sembrò.
Non poteva spiegare cosa c’era in José che lo spingeva a volerlo a quel modo e a fidarsi istintivamente e segretamente. Perché che si era sempre fidato di lui ad istinto era assolutamente vero.
Non poteva capire cosa c’era in lui, però qualunque cosa fosse ora l’aveva e gli faceva capire di aver fatto bene.
Quando lo vide posizionarsi su di lui pronto per entrare, si guardarono quell’istante per capirsi con gli sguardi. Gli occhi si agganciarono e prima di penetrarlo José riuscì a dire roco e pieno di desiderio, con quella sua aria magnetica perenne:
- Posso amarti come meriti? - Non l’avrebbe mai chiesto in condizioni normali, ma era lì anche per dimostrargli che era diverso, che poteva fidarsi, che lo voleva veramente, che stava facendo di tutto per restituirgli ciò che aveva perso.
La sua anima.
E la sua anima gliela ridiede.
Karim annuì solo prendendogli i fianchi con le unghie in modo da avvicinarlo ulteriormente a sé, lui lo teneva a sua volta allo stesso modo pronto per andare fino in fondo e quando gli appoggiò le gambe alte sulle spalle, José scivolò in lui con sicurezza, si fermò un istante e poi cominciò a muoversi piano.
Fu uno strappo dal mondo per entrambi e poi un ritrovarsi al di là della dimensione di nuovo insieme, quindi cominciarono a muoversi e ad aumentare il ritmo pur senza piacere assoluto da parte di entrambi.
Karim strinse gli occhi e trattenne le lacrime per il dolore iniziale, quando cominciò a muoversi in lui fu diverso, fu frenesia perché era José dentro di sé e lo voleva, voleva che continuasse e non smettesse. Si aggrappò alla conferma assoluta che gli importava veramente e che non era una finta perché vide la sua emozione nelle sue lacrime che asciugò fra una spinta e l’altra.
Non avrebbe mai immaginato avvenisse così ma fu la cosa più bella della sua vita e solo mentre lo sentiva raggiungere l’orgasmo in sé, trovò la sua risposta.
Era José che aveva sempre aspettato, ecco cosa c’era in lui di diverso dagli altri, ecco perché l’aveva seguito subito ed era sempre stato con lui, perché aveva sempre insistito e si era fissato per stare con lui.
Perché era la sua persona. La sua e basta.
Semplicemente la sua persona.
Il sentimento che provò in quel momento vinse su tutto e il giorno ebbe ragione della notte una volta per tutte.
Alba.