*Ecco
la seconda parte della fic per Riky e Cris, loro sono la mia OTP, lo
saranno sempre e per sempre (come i bennoda). Possono farmi diventare
matta perchè non si fanno più vedere in pubblico insieme, ma io so che
si vedono ancora e si amano! La cosa che mi ha scatenato questa fic è
stato questo gesto che entrambi hanno fatto a distanza di pochi giorni
uno dall'altro e la rinascita completa di Cris dopo un anno non
allucinante, ma molto peggio. Per me loro saranno sempre una coppia.
Punto. Buona lettura. Baci Akane*
2. LA RIPRESA
"Guardo
sempre le partite del Real Madrid quando posso. E' ottimo per la
squadra avere iniziato così bene ed è bellissimo vedere Cristiano
segnare così tanto. Parlo ancora con Cristiano e Marcelo." - Kakà
/Come un fulmine a ciel sereno.
- Non posso continuare così, Cris. - Il sangue si raggela, è come
un’ondata gelida che ti paralizza e tu sai, perché lo conosci e sai
ogni singola vibrazione della sua voce. Sai che è serio.
- In che senso? - Chiede piano guardandolo con occhi sgranati, seduto
sul letto della casa in Portogallo, uno dei punti d’incontro più
gettonati dei due.
- Lo sai, è un’agonia. Per quanto ci amiamo e fra alti e bassi alla
fine ce la facciamo sempre, è sempre più difficile ingoiare e lasciar
perdere. E so che ti faccio del male ogni volta che me ne esco con
delle scenate, devi stare attento a tutto, non puoi fare nulla perché
poi io ti guardo. Mi rendo conto che la mia mania del controllo, la mia
ossessione su di te, le mie mille insicurezze, ti consumano. Ti vedo.
Si riversa a calcio, il tuo gioco rispecchia il tuo stato interiore. -
Ricardo si veste piano, dà le spalle a Cristiano che è seduto sul letto
e cerca di capire come si infilano i boxer.
- Lascia perdere il mio gioco, lascia perdere come mi sento io e cosa
provo! Non lo puoi sapere ed anche se lo sai non puoi sapere quanto
posso resistere. Non puoi dirlo tu, non puoi decidere sempre tutto tu!
- La voce dura, alterata. Ogni volta è così, Riky sa, Riky sceglie,
Riky decide e a lui resta l’attesa paziente che rinsavisca, uno sfogo
dei suoi nei momenti in cui non stanno insieme e poi ricominciare.
Riky si gira sospirando, è serio, i capelli lunghi sulla fronte gli
incorniciano il viso, scuri e spettinati, così belli. Quel filo di
barba sul volto dolce, ora serio e cupo, gli dona un sacco. Gli occhi
così neri, così dolci, così addolorati e convinti di quel che dice.
- Invece posso parlare e devo farlo perché tu sei convinto di poter
sopportare tutto, che i momenti di pausa siano sufficienti a
ricaricarci per ricominciare, ma non è possibile. Tu non sei così, ti
sforzi per me, perché mi ami ma ti stai consumando ed io non voglio che
cambi così! Devi vivere te stesso al cento percento, come vuoi, come
preferisci. Devi fare quel che sei. - Cris scuote la testa mentre
riesce ad infilarsi i boxer e si alza in piedi di scatto, lascia
perdere il resto dei vestiti, Riky si arrotola i polsini della camicia
perché non riesce ad allacciarli, le mani gli tremano.
- So io come devo vivere, non puoi dirlo tu! È vero che è difficile, ma
come facciamo va bene, ce la faccio! Quel che abbiamo è più importante
dell’essere… come ero! - Riky sospira e distoglie lo sguardo.
- No, non capisci. Non è che tu ERI in quel modo ed ora SEI questo. Tu
SEI ANCIRA quel ragazzo spensierato, maniaco, testa matta che ci prova
con tutti, che va a letto con tutti, che non pensa mai alle
conseguenze, quell’uragano amante della vita in ogni suo verso, che
succhia ogni cosa senza freni! Quel ragazzo di cui mi sono perdutamente
innamorato! Ti ho cambiato ed ora ti guardo e ti vedo così spento, così
sofferente, così preso dal convincermi che quando abbracci James è solo
per amicizia, così concentrato nel non saltare addosso a Fabio perché
poi io mi ingelosisco… ma so che lo vorresti fare perché tu sei così e
magari vorresti anche portarti a letto James anche se non provi nulla,
solo perché è allegro e carino ed è il genere che ti piace portarti a
letto! Non sei leggero, anno dopo anno sei più pesante, meno lucido… io
sono diventato un’ancora, un peso, qualcosa che ti logora e ti amo
troppo per permetterlo. Devo capire quando è ora di smettere. -
Il discorso è il più difficile della sua vita, ma non si ferma, lo fa
tutto fino in fondo, calmo, pacato, con gli occhi lucidi e l’aria di
chi si sta torturando, fermo davanti a lui, vestito, in attesa di
riuscirci. A chiudere davvero per il suo bene.
Cristiano rimane solo coi boxer, lo guarda incredulo, terrorizzato dal
fatto che questa volta sta tirando fuori tutto e parla di
argomentazioni enormi, per lui. Perché sa che per Riky niente viene
prima del benessere della persona che ama di più al mondo, e sa di
essere amato in quel modo da lui.
Ed in quel momento risuonano le parole di Riky di qualche mese prima,
quando ha detto ai media di tutto il mondo che i propri idoli li devi
amare quando li hai con te, perché quando finiranno o se ne andranno
sarà tardi e te ne pentirai. L’aveva detto in uno di quei periodi di
pausa dopo uno dei soliti litigi, perché Riky è complicato e Cris non è
un santo.
Poi Cristiano era tornato da lui di corsa, l’aveva abbracciato ed
avevano fatto l’amore dopo un ‘io sono sempre qua, non è mai tardi fra
noi’.
Ed ora?
Ora sarebbe bastata una di quelle dichiarazioni?
- Io ti amo, non sarai mai un peso. So come sei fatto e ti amo anche
per questo. Perché sei insicuro e ossessivo e mi ami al punto da
volermi rinchiudere in un castello e ti amo perché so che non lo farai
mai visto che mi ami troppo! Amo ogni tua follia nascosta, ogni
difetto, ogni respiro e non puoi decidere per me quando ne ho
abbastanza. Smettila di farlo. Ho 31 anni, quest’anno ne farò 32, è
questo il calo anno dopo anno che vedi, non sei tu, non sarai mai tu!
Ogni volta che torno a giocare bene dopo un periodo brutto è sempre
perché tu mi chiami e torni da me! Non puoi non vedere il bene che mi
fai! Siamo distanti? Ma a me basta sentire la tua voce, la tua
dolcissima voce che mi dice che mi ama e che sa che domani farò una
tripletta. Perché poi io l’indomani faccio sempre quella tripletta, se
tu me lo dici! -
Cris si sta lasciando andare, il gelo si sta sciogliendo e sta
arrivando la piena, Riky sospira, gli prende le braccia, scivola sulle
mani, le stringe forte e poi, guardandolo negli occhi con quel sincero
sguardo d’amore e di dispiacere, gli bacia le labbra.
- Non è come dici, perché i momenti bui sono comunque colpa mia.
All’inizio sarà difficile, ma poi andrà bene. Tornerai a quei livelli,
il tuo fisico è forte, te ne prendi cura in modo maniacale, per te
l’età non è un fattore, non ora. Se non vai bene è perché emotivamente
sei a pezzi ed è colpa mia. Permettimi di prendermi cura di te
un’ultima volta. Sarà dura, lo sappiamo, ma poi andrà bene. Vedrai che
andrà bene. Fidati. - Cris torna a gelarsi, la gola si annoda, non esce
un suono dalle sue labbra, nulla, niente. Non riesce perché sa che
questa volta lui è serio, è così serio. Così tanto serio.
- Non farlo, ti prego… - Ma Riky sa che quando si finisce in una palude
stagnante, per quanto sembra che sia la cosa migliore, prima o poi
bisogna uscirne e sa, ne è certo, che l’unico modo è quello.
Lui è la palude di Cris, ora lo spingerà lungo il fiume a forza fino a
che non tornerà nel mare aperto a cui appartiene. E poi tornerà a stare
bene e a brillare.
Lo farà per forza.
Riky lo abbraccia, Cris rimane immobile, non riesce nemmeno ad alzare le mani. Sta lì, non trema perché è rigido.
Scuote la testa, ma Riky fa sì. Poi un sussurro dolcissimo sul suo orecchio.
- Qualunque cosa succeda da qui in poi, sappi che ti amo e ti amerò
sempre e che lo faccio per te. Permettimi di amarti come si deve, senza
essere più egoisti. -
Ma Cris non risponde e Riky prende tutto il coraggio che gli rimane, lo
guarda ancora una volta gelato, sconvolto, prende la sua borsa da
viaggio e se ne va. Esce dalla loro casa in Portogallo, la guarda
convinto che non la rivedrà più. Infine sale sulla macchina noleggiata
e va in aeroporto a prendere il proprio jet col quale attraverserà
l’Atlantico per tornare ad Orlando. Una decina, poco meno, di ore di
viaggio di lacrime l’aspettano, ma non importa. Lo fa per lui. Un
giorno starà di nuovo bene. /
“È come se sapevo che era la volta definitiva. Le altre volte quando
litigavamo di brutto e ci lasciavamo, andavo con altri per ripicca, per
dimostrare a me stesso che lui non era tutto il mio mondo, ma questa…
questa è stata diversa. Dopo di questa non sono riuscito ad avvicinarmi
a nessun altro, non un’anima viva, non volevo, avevo il rifiuto verso
tutto.
Sarebbe stato un attimo con James, così dolce e disponibile e carino…
ma non potevo farcela. E quando ho visto che si era fatto la ragazza,
come per dirmi che sta facendo sul serio, io ho risposto istintivamente
facendomene un’altra a mia volta, di cui non me ne frega niente. Si
vede? Credo che si veda.
E non ho toccato nessuno, non tocco nessuno. Il bello di essere famosi
è che non devi convincere nessuno a stare con te, se gli dici che vuoi
che lei sia la tua ragazza e che esca con te, lo fa. Non devi
corteggiarla e convincerla troppo, non devi sforzarti.
Ma non sono mai andato davvero con qualcuno, non potrei.
E forse lo sapevo, in realtà, che lui non sarebbe tornato.
Dio, questa volta non ce la farò. Credo che il grande CR7 sia finito,
ormai. Affronteremo il Bayern in queste condizioni con una potenza
d’attacco ridicola perché Gareth è sempre infortunato e Karim è pieno
di casini personali che solo lui sa e Apriti Cielo se qualcuno ne sa
qualcosa.
Ed io qua… così… a far finta di essere il CR7 di una volta, quello che
non sono in grado di essere perché è come se non riuscissi a muovere i
piedi con la stessa velocità e a fare le scelte giuste.
Non vinceremo, il grande CR7 è finito, faremo una figura di merda. Perderemo tutto. Tutto.”
Cristiano passò i giorni successivi alla chiamata di Riky in queste
condizioni, a ripetersi come un mantra che era finita e che non poteva
farcela.
Fino alla vigilia della partita.
I quarti di Champions d’andata si svolgevano a Monaco di Baviera, in casa degli avversari.
Erano andati là come di consueto il giorno prima, avevano fatto un
allenamento nel campo in cui avrebbero giocato e poi erano andati in
albergo a riposare.
L’atmosfera era strana, c’era chi pensava con gioia e timore al tempo
stesso a rivedere Ancelotti e c’era chi era terrorizzato dal giocare
contro una squadra forte. Lewandowski alias Satan come lo chiamavano i
tifosi avrebbe giocato? I due difensori migliori della Germania? Ed il
portiere attuale più forte del mondo?
Tante le domande che alimentavano lo spogliatoio e poi la sala relax a disposizione ed infine la mensa.
E poi ricordi di quando Ancelotti era stato alla loro guida, episodi della Decima, l’anno in cui era nata la BBC.
Altri si distraevano completamente parlando d’altro, facendo altro.
In un angolino, da qualche parte, James discuteva con Karim, dall’altra
Zidane li guardava serio e attento mentre i suoi collaboratori
parlavano e lui faceva finta di ascoltarli.
Da un’altra parte ancora c’erano Alvaro, Isco, Dani e Nacho, il solito
quartetto, che scherzavano e ridevano molto facendo il consueto
baccano.
Luka, Sergio e Marcelo tenevano banco coi ricordi dell’anno della
Decima e di quella volta che avevano invaso la conferenza stampa di
Ancelotti bagnando tutti i media.
Toni e Lucas erano in un altro mondo parallelo, mentre i più giovani
erano seriamente terrorizzati e parlavano di continuo del Bayern e
della partita di domani.
Cristiano insieme a Casemiro che gli raccontava qualcosa che non riusciva ad ascoltare, Danilo con loro.
Si girò per vedere dall’altro lato Marcelo che continuava a fare
baccano, scosse il capo e sospirò. Come faceva? Lo invidiò e ricordò
quel giorno in cui era andato da lui a piangere dopo la grande litigata
focosa con Riky, dopo che non si era presentato ad omaggiarlo per il
Pallone D’Oro nella cerimonia organizzata al Bernabeu quell’anno.
Quando aveva capito quanto era finita. Quando si era arrabbiato come
non mai.
Era andato da Marcelo, l’unico che non aveva mai avuto implicazioni
particolari con lui e di cui Riky non era mai stato geloso, il fratello
adottivo.
Era andato lì e si era messo a piangere senza riuscire nemmeno a parlare.
Lui, il buffone di sempre, l’aveva abbracciato serio senza dire nulla,
non gli aveva chiesto nulla, l’aveva tenuto lì con sé per tutto quel
tempo infinito, più di un’ora a piangere e smettere senza riuscire a
parlare. Poi alla fine aveva solo detto ‘Riky?’ e lui in risposta aveva
pianto ancora.
Lo invidiava, non sapeva come faceva ad essere così spensierato ed ottimista, così positivo, così speciale.
Sospirò e finito di mangiare, si stiracchiò pigramente e fingendo di sbadigliare stanco, si alzò dicendo che andava a dormire.
Marcelo lo guardò stupito fermandosi dal parlare con gli altri.
- Vengo anche io? - Chiese perché a volte Cristiano preferiva che si
ritirassero insieme a dormire per non essere svegliato dopo che si
metteva giù.
Cristiano alzò le spalle e scosse la testa.
- No, rimani pure lì, non preoccuparti! Ho solo mal di testa, non credo
di dormire subito! - Marcelo annuì dicendo che comunque non sarebbe
rimasto su tanto.
Cristiano così si trovò a camminare da solo per il corridoio
dell’albergo a loro disposizione, si massaggiò gli occhi e si infilò in
camera.
Il silenzio lo accolse e per un momento riuscì a sentirsi meglio, un
momento solo. Poi di nuovo la pesantezza, la paura, l’angoscia, il buio
lo invasero. A volte gli sembrava di non respirare nemmeno bene, il
peso al petto era così pressante, così insistente.
Si mise in pigiama e si preparò per dormire, si lavò il viso con il
latte detergente come se si fosse truccato, si lavò i denti con la
consueta cura e si mise la crema per la notte. Infine tornò in camera
dove prese il telefono guardando su WhatsApp i messaggi di suo figlio e
di sua madre che gli auguravano buona fortuna per l’indomani. Sorrise
ed in quel momento la porta si aprì, era in piedi di spalle. Cristiano
pensando fosse Marcelo parlò sorpreso:
- Già qua? Potevi rimanere ancora, non erano problemi, davvero. -
Quando però non lo sentì rispondere col solito consueto chiasso, si
girò per vedere che cosa avesse e quando vide chi era, fece cadere il
telefono di mano che grazie alla moquette nel pavimento, non si ruppe.
Lì davanti a lui il sorriso più dolce e mortificato mai esistito, due
occhi neri e meravigliosi, i capelli e la barba invariati dall’ultima
volta che l’aveva visto di persona e per un momento fu un deja-vu.
Anche la camicia era bianca come quella volta.
Gli parve di non essere mai andato oltre quel giorno terribile, gli parve d’aver avuto una visione lunghissima insopportabile.
- Riky…?! - Chiese insicuro che fosse vero. Riky sorrise di più mettendo giù la chiave magnetica.
- Mi ha dato una mano Marcelo. Gli ho scritto se poteva farmi entrare
di nascosto e portarmi da te. Ovviamente è stato felice di fare da
complice. - Spiegò come se fosse importante. Cristiano non aveva
ascoltato nemmeno una parola, aveva visto la sua bocca muoversi, ma
nelle orecchie un fischio fortissimo gli aveva impedito di capire cosa
aveva detto.
Disconnettersi, staccarsi completamente da sé, quasi come se il proprio
corpo astrale potesse essere sbalzato fuori. Per un momento Cristiano
si sentì così fermo davanti alla stanza, in pigiama, davanti a lui.
Così.
Chiuse gli occhi e si sentì svenire per un momento, incredulo, incapace
di realizzare che era lì, era lì davvero. Forse era un sogno, uno dei
tanti che faceva.
Stava così male da avere le allucinazioni.
Si strofinò il viso e rimase zitto, immobile. Poi, dolcemente, le
braccia di un angelo lo avvolsero e lui si sentì finalmente a casa dopo
una vita passata in terra straniera.
Di nuovo tornò a sentire il suo corpo, sé stesso proiettato al presente, cosciente, vivo.
Le sue labbra, delicate e morbide, sul suo orecchio ed un mormorio da brivido.
- Mi dispiace, perdonami se ci ho messo tanto a capire. Cercando di
aiutarti ti ho distrutto, avevi ragione tu, ho sbagliato tutto. Non
avrei mai dovuto agire di testa mia. E non so se è tardi, spero di no.
Ho fatto di tutto per vederti prima della partita di domani. Spero non
sia tardi e che tu possa perdonarmi. - Riky ne aveva di cose da dire e
forse se le era preparato o magari erano del tutto spontanee. Ma mentre
le pronunciava piano sul suo orecchio, con le braccia tutt’intorno a
lui, Cris si scioglieva e sempre stringendo forte gli occhi risalì con
le mani fra di loro, gli prese il viso e lo baciò zittendolo
bruscamente, togliendogli il fiato e la voce.
Premette con forza e disperazione le labbra sulle sue e come se fosse
stato in apnea per tutto quel tempo, tornò a respirare, gli occhi
stretti.
Si separarono un secondo, si guardarono negli occhi rimanendo vicini
fino a sfiorarsi ancora, il viso di Riky sempre stretto nelle mani di
Cris.
- Ti perdono se giuri su Dio di non lasciarmi mai più. Mai più. Per
nessuna ragione al mondo. - Disse piano, la voce tremava, ma gli occhi
erano ancora saldi, lucidi e carichi di un’emozione vivida.
- Lo giuro su Dio. Ti amo e non ti lascerò più. - E forse erano le cose
che si dicevano sempre, ma Cris sapeva che se Riky giurava su Dio, era
per sempre e vero. Perché non aveva mai, mai giurato su Dio in nessun
caso in vita sua e sapeva che prima veniva Lui e poi qualunque altra
cosa.
Solo sentendoglielo dire lasciò che le emozioni fluissero
completamente, le lacrime uscirono ed il mondo sparì così meraviglioso,
improvviso, mentre tutto si appannava.
Tornò a baciarlo di nuovo premendo le labbra sulle sue, le dita di Riky
fra i suoi capelli corti, sempre un po’ duri per il gel che li tenevano
perfetti. Morbide le sue labbra, tremanti anche quando si aprirono e
salate di lacrime ed un pianto liberatore e di gioia assoluta.
Umide le loro lingue, un sapore che si mescolava col dentifricio e una gomma da masticare buttata poco prima di entrare da lui.
L’intreccio esplose nell’emozione più assoluta, tornare alla vita,
tornare alle emozioni, abbandonarsi così, amare ancora la vita, essere
di nuovo felici e non riuscire a contenere tutto quello. Non riuscire
nemmeno un secondo di più.
E Cris non si trattenne mentre scendeva febbrile con le dita sui bottoni della camicia e gliel’apriva.
Riky non si oppose andando alla sua vita, prendendogli la maglia del pigiama e alzandogliela.
Si separarono mentre si ritrovarono a torso nudo e si guardarono
turbati, con un bisogno vivo negli occhi, sconvolti per quanto era
grande quel che provavano ora.
Un istante di sospensione per leggersi per poi dirigersi senza
separarsi sul letto, togliersi il resto velocemente, staccandosi un
istante, un istante durante il quale si tolsero pantaloni e boxer, ma
gli occhi rimasero incollati ossessivamente su di loro.
Si ritrovarono, intrecciarono le dita un momento, si guardarono
respirando affannati uno sull’altro, le labbra aperte in attesa di un
altro bacio.
- Ti amo più della mia vita, Riky. Non esiste niente se non posso
amarti. Questo è quello che sono oggi. Un uomo che ama te e amerà
sempre te e che fa tutto in funzione di questo. Sono felice così. -
Riky ora lo sapeva, ora l’aveva capito, e l’avrebbe capito il giorno
dopo e quelli dopo ancora quando, a suon di goal, avrebbe conquistato
una partita dietro l’altra contro le squadre più forti.
Riky in risposta scivolò sul letto stendendosi, appoggiò la testa al
cuscino, aprì le gambe e tese le braccia dolcemente. Cris lo raggiunse
adagiandosi nel mezzo, il calore tornò in entrambi, avvolgente, e loro
carichi di un bisogno incombente si strinsero, si premettero uno
sull’altro, si abbracciarono forte e si baciarono e rimasero così per
un tempo infinito, lo stesso che impiegarono a scivolare lentamente uno
nell’altro.
Cris, senza staccarsi da lui di un millimetro, scese su di lui, la
bocca sul suo collo e poi sul suo petto, e poi febbrile dentro di lui
con una spinta decisa, la seconda più forte e poi con pazienza tornare
a spingere e rifarlo fino a ritrovare la sua via, il suo posto dentro
di lui, un posto che gli era sempre appartenuto e che non era stato di
nessun altro.
Cris capì che Riky non era andato con altri perché fece fatica, me Riky
non lo lasciò, le braccia rimasero intorno alla sua testa a tenerlo
stretto e Cris non uscì per bagnarsi meglio. Si resero la vita più
difficile, ma dopo un po’ riuscirono di nuovo a sincronizzarsi alla
perfezione, ad unirsi completamente e a stare insieme come da tanto,
troppo non facevano.
I gemiti si unirono diventando sempre più forti, Cris perso col viso
contro il suo collo, Riky a mordere la sua spalla e poi i movimenti più
veloci, le spinte più profonde ed un’intensità più coinvolgente.
Fino a chiamarsi e a sospirare con impeto, dimenticandosi di dove erano e di chiunque potesse sentire dall’altra parete.
Un’unione unica, sentita, desiderata e meritata.
Completa.
Fino a che entrambi non raggiunsero l’orgasmo, fino a che non furono
felici e soddisfatti tutti e due. Fino a che il mondo non sparì di
nuovo, confuso intorno a loro.
Tornarono dopo un tempo indefinito, uno nelle braccia dell’altro. Dolcemente.
Piano.
Senza fretta.
E le labbra ancora insieme umide, ansimanti.
Cris si sollevò e lo guardò prima di buttarsi di lato sulla schiena,
sfinito e realizzato. Lo vide più bello che mai, scarmigliato, sudato,
felice. Sorrise con gli occhi che tornavano a brillare, gli carezzò il
viso, gli spostò una ciocca dalla fronte e nel toccare ancora i suoi
capelli come miliardi di volte aveva fatto in squadra con lui e poi
dopo quando si erano rivisti tutte le altre volte, gli sembrò di
tornare a quel paradiso perduto.
Per fortuna non per sempre.
La sensazione più bella di tutte.
- Sono così felice. -
- Anche io. - Rispose dolcemente Riky. Cris soddisfatto si lasciò
cadere di lato e poi sulla schiena, Riky si issò sopra ma prima di
adagiarsi comodamente, lo guardò appoggiando il gomito vicino alla sua
testa. - E sai, vero, che domani tu vincerai e segnerai perché sei
ancora il migliore, no? -
Cris sorrise felice e tornò con le mani fra i suoi capelli di cui a volte meditava di rubargli delle ciocche di nascosto.
- Adesso lo so. -
Dopo di questo Cristiano segnò una doppietta all’andata, una tripletta
al ritorno ed un’altra contro l’Atletico in andata di semifinale e
questo solo in Champions, dopo che in questa competizione Cristiano
aveva fatto un unico goal nella fase a gironi.
E così Riky ebbe le sue conferme e le sue risposte.
Forse Cristiano era cambiato, ma non era detto che fosse in peggio, ma
soprattutto non poteva davvero più dire che la sua presenza
l’appesantiva e lo bloccava, visto che aveva fatto molto peggio la sua
assenza.
Per quanto difficile era, sarebbe sempre stato meglio così che senza. Sempre.