Scritta
quest'inverno.
NOTE: ovviamente dopo il Classico di sabato sera e dopo la scenetta
finale di Riky con la palla in testa a Xavi mi è uscita questa breve
fic corta e senza pretese, volevo solo proporre un probabile retroscena
post partita, sempre fra i miei due preferiti. E poi dovevo consolare
un po’ il povero Cris perché i 30 minuti di Riky sono stati addirittura
meglio dei 90 minuti di Cris, cosa quasi impensabile eppure vera! Che
dire? Rialziamoci le palle cadute ed andiamo avanti. Buona lettura e
forza Real!!! Baci Akane
IL SOLITO
CLASSICO
/
Got to love you - Sean Paul ft Alexis Jordan /
Raggiuntolo
gli spettinò la testa ignorando i capelli sudati che si scomposero
ulteriormente, Ricardo riconobbe subito la sua mano. Oltre che era
l’unico a farglielo, comunque l’avrebbe distinto fra mille ad occhi
chiusi.
Si
girò con un’espressione indecisa, avevano perso e come ad ogni scontro
col Barcellona Cristiano aveva giocato molto sotto tono perché troppo
teso, di conseguenza non poteva essere di certo sereno e spensierato.
Nonostante
ciò lo vide accennare ad un ghigno divertito.
-
Se non l’avessi fatto davanti ai miei occhi non ci avrei creduto! -
Ricardo capì immediatamente a cosa si riferiva e lasciò che le proprie
labbra prendessero una piega di vago sorriso. Ancora non era sicuro che
stesse bene.
-
Volevo alleggerire il momento ma poi si è scatenato come al solito il
putiferio… per una sciocchezza… in realtà volevo passarti la palla
perché dovevi tirare tu il calcio di punizione, ma poi ho visto Xavi lì
in mezzo e la mano mi si è mossa da sola! - Normalmente Cris avrebbe
riso di gusto dicendo che l’aveva contagiato col suo virus letale, ma
lì gli diede solo una pacca amichevole sulla schiena altrettanto sudata
e con aria sicura di sé eppure con un fondo di malinconia, disse:
-
Ah, ma Xavi è un rottinculo, non capisce il termine scherzo e
alleggerire! - Ricardo se ne risollevò comunque anche se non era la
reazione che si sarebbe aspettato, aveva avuto un po’ timore che i suoi
compagni non avessero apprezzato il suo gesto, quando aveva tirato la
palla in testa a Xavi aspettando di tirare il calcio di punizione
finale, visto che poi si erano messi tutti a spintonarsi come idioti;
invece uscendo dal campo gli avevano dato varie pacche accompagnate dai
complimenti sia per i suoi trenta minuti ottimi che per la palla in
testa a quel gonfiato di Xavi.
Entrati
negli spogliatoi dopo i soliti saluti, complimenti vari ed interviste
al volo, erano riusciti a scambiarsi giusto un paio di frasi messe in
croce, niente di che alla fine. Ricardo voleva solo assicurarsi che
Cristiano stesse bene ma c’era sempre qualcuno che si intrometteva ed
alla fine decise di rinunciare all’idea e farlo più tardi. Tanto
abitando vicini andavano e venivano insieme il più delle volte.
Quando
finalmente furono in macchina diretti a casa, Ricardo quasi non aspettò
di essere in strada per chiederglielo. Finalmente erano soli e nessuno
li avrebbe interrotti.
-
Come stai? - Una domanda tanto banale e sciocca quanto dolce e
appropriata al tempo stesso.
Era
il fatto che glielo chiedesse e che fosse lui a sollevare Cristiano
ogni volta. Per il resto, se era qualcun altro a porgliela era la fine,
ma se era lui andava bene. Gli piaceva che glielo chiedesse.
Storse
la bocca contrariato cercando di trovare una parola adatta, ma alla
fine non seppe cosa dire.
Era
in uno stato d’animo comunque devastante e l’idea di darci voce era
quasi utopistico.
Si
strinse nelle spalle e piegò la testa di lato, Ricardo che non gli
staccò gli occhi di dosso chiuse lo stereo dell’auto e continuò a
fissarlo. Decise che avrebbe cominciato lui e sapeva che era meglio
parlarne subito e fargli dire qualcosa perché tanto era palese che non
stava bene ed uno come lui che teneva qualcosa di forte dentro era
davvero pericoloso. Lo conosceva e sapeva cosa fare per aiutarlo.
-
E’ stata meno pesante dell’anno scorso, dove io non ho giocato e di cui
posso solo immaginare la pesantezza effettiva, però penso sia un po’
come essere tornati indietro nel tempo lo stesso. L’anno scorso ci è
costata il primo posto che si sono presi loro, questa volta siamo pari
e loro hanno comunque una partita in più di noi. Non significa molto la
posizione attuale in classifica dove siamo allo stesso punteggio solo
momentaneamente e si spera ce lo riprendiamo al prossimo giro.
Ragionando in termini puramente tecnici non è la peggiore, però è
sempre seccante perdere contro di loro. E non è una questione di quel
che pensano gli altri ma è proprio un discorso personale. Non riusciamo
a considerarli una squadra come le altre perché semplicemente non lo
sono. Sono diversi. -
A
lui veniva così bene aprirsi e parlare di sé. Parole in libertà senza
freni e sempre giuste. Ci riusciva senza prendersi troppo ed agitarsi.
Arrivati
a casa di Cristiano, una zona leggermente fuori mano rispetto alla
città, entrò in giardino e parcheggiò in garage, lì rimasero un po’
nell’auto spenta, quasi completamente al buio.
Cristiano
respirava appena appena più pesantemente del solito, poteva passare
inosservato ma a Ricardo non sfuggì e siccome non stava più guidando e
non erano in pubblico, gli prese una mano nella propria senza il minimo
senso di vergogna e con altre due dita gli girò il viso obbligandolo
con dolce fermezza a girarsi e guardarlo.
I
suoi occhi erano insolitamente grandi e fissi, non batteva quasi le
palpebre e c’era solo una minuscola rughetta fra le sopracciglia,
indice che era invece seccato anche se cercava di non darlo a vedere.
Era davvero buio, però, e nemmeno sforzandosi riuscì a vedere nei
dettagli le sue iridi e le sue pupille, di certo avrebbe notato
qualcosa di indicativo solo per lui.
A
Cris facevano bene quegli atteggiamenti che Ricardo si ostinava a
riservargli, erano balsamo.
-
Ehi… puoi dire qualcosa, sai? Anche solo un’imprecazione e basta. Ma è
meglio se lo dici. - Mormorò piano e indulgente. Ci sapeva estremamente
fare e chiunque si sarebbe chiesto come ci riusciva, specie perché
Cristiano non era uno stinco di santo.
Quando
si sentì preso da quel fuoco caldo e ristoratore che rispondeva al nome
di Riky, Cris si rilassò di schianto e con una contrazione della
mascella sbottò brevemente ma incisivo:
-
Fanculo! - Che non era di certo diretto all’interlocutore che aveva a
pochi centimetri da sé. Questi infatti sorrise sollevato, gesto anomalo
ma comprensibile a loro due, infatti vedendolo anche l’altro lo fece a
sua volta ed ogni tensione andò definitivamente via insieme a tutte le
smorfie, le contratture, le rughette e i respiri pesanti.
-
Meglio? - Fece piano avvicinando il viso al suo. Cristiano ci pensò un
istante, poi rispose prendendosi le sue labbra in un bacio leggero.
-
Ora sì. - Ricardo sorrise divertito riprendendosi le sue aprendole e
donandogliele a sua volta. Il bacio riprese e venne approfondito senza
aggiungere nulla, le mani che si stringevano alla nuca e dietro al
collo per non separarsi mai più, la voglia di stare così per sempre
perché così non pensavano alle cose che non andavano e tutto sembrava
andare bene e basta.
Quando
si separarono di un soffio per prendere fiato, aprirono gli occhi e si
guardarono, c’era desiderio in entrambi ma la stanchezza quella sera
superava tutto e restituendo alla voglia l’uno dell’altro la giusta
dimensione, Ricardo tornò a carezzargli dolcemente il viso. Ci riusciva
senza risultare esagerato, imbarazzante o fuori luogo e solo se lo
faceva lui, se ci provava Cristiano risultava troppo romantico ed
eccessivamente innamorato. Fesso, lo definiva José.
Ripensò
in quel momento alle sue parole e specchiandosi nelle sue iridi nere,
si sentì meglio anche se stanco. Interiormente stanco. Era assurdo
subire tanto la tensione delle partite veramente importanti e finire
per fare la parte del mediocre sul campo. Era inaccettabile per lui.
Preferiva perdere una partita giocando personalmente alla grande che
vincere giocando male ed in ogni caso non ci si pensava se si vinceva,
ma quando si perdeva sì che pesava, il proprio rendimento personale.
-
Non è la sconfitta in sé, vero? - Fece Ricardo improvviso e sempre con
quel suo fare delicato e mai fuori luogo. - E’ che non hai giocato come
volevi. - Gli lasciò qualche secondo per assimilare ed al suo silenzio
aggiunse ribaciandogli le labbra. - Se ti può consolare anche Leo non
era il solito Leo. Certo sempre grande, ma per i suoi canoni era
sottotono. -
-
Certo, perché se lo fosse stato avrebbe fatto un cinque a zero! -
Sbottò un po’ duro, Ricardo non si turbò e accentuando un sorriso
rilassato continuò ad accarezzargli il volto come se fosse la cosa più
delicata ed importante del mondo.
- E
se lo fossi stato anche tu sarebbe stato un cinque a cinque! - Non era
per mettere il dito nella piaga, ma sapeva che con lui solo quel metodo
funzionava. Cristiano storse di nuovo la bocca ma con le sue mani
addosso era difficile arrabbiarsi, non se la prese veramente ed alla
fine, nei suoi occhi vicini e sinceri, dovette ammetterlo anche lui.
-
Esattamente. - Ricardo finse di dargli un amichevole pugno sullo
stomaco, ma poi la mano scese lentamente mentre gli rispose placido e
sicuro.
-
Ma guarda, ed io che pensavo che a calcio si giocasse in undici più
quello a bordo campo tutto urlante ed isterico. - L’urlante ed isterico
era l’allenatore e nella fattispecie José, Cristiano figurandoselo rise
della definizione e tornò a sciogliersi. Solo lui ci riusciva tanto
bene e così facilmente, aveva un dono che nessun altro aveva.
-
Afferrato il concetto… - Rispose nascondendo il viso contro il suo
collo un po’ per stanchezza e un po’ per resa. Continuare a credersi il
più importante della squadra senza cui essa affondava era davvero
deleterio perché poi finiva magari che lo faceva assurdamente diventare
vero, mentre credersi solo uno dei tanti, parte di un gruppo, era tutta
un’altra cosa, ma quello era un passo che avrebbe imparato a fare pian
piano.
Quando
la mano giunse sotto la sua maglia, fra la giacca aperta, la pelle
rispose subito al suo contatto diretto rabbrividendo e figurandosi
mentalmente la sua espressione amorevole, Cristiano si strinse a lui
ancor di più godendosi quelle carezze speciali. Sapeva proprio cosa
fare per aiutarlo. Era sistematico. Se aveva qualcosa che non andava
finchè non poteva stare solo con Ricardo aveva tempo di morire.
-
Ti amo, non so cosa farei senza di te. -
Fece
a quel punto contro il suo collo che rabbrividì a sua volta.
-
Ce la giochiamo, ecco cosa facciamo ora. È il bello del calcio, no? Non
pensarci più. E non pensare nemmeno a cosa faresti senza di me perché
tanto ci sono. E comunque è reciproco, anche io non so cosa avrei fatto
senza di te, specie i primi due anni qua a Madrid, e lo sai bene. - Era
vero, era un rapporto paritario nel senso che i primi due anni era
stato Riky ad avere problemi di ogni tipo ed era stato Cris il suo
grande sostegno, senza di lui probabilmente avrebbe mollato moltissimo
tempo addietro, ma era ancora lì e poteva ricambiare tutto con gli
interessi. Era ora di restituire un po’ di cose ed era felice di
poterlo fare, di tanto in tanto.
Oltretutto
pensare a cosa avrebbero fatto l’uno senza l’altro era una cosa ora
come ora non sopportava e non permetteva nemmeno a Cris.
Pensare
a quando si sarebbero separati. Il loro lavoro avrebbe potuto portarli
veramente lontani anche presto o magari più tardi di quel che potevano
immaginare. Od anche mai. Ma anche il solo provare a pensare a quelle
cose era sintomo di non sapersi godere dei rari e speciali doni del
presente.
Lottare
per la felicità faticosamente conquistata significava anche non pensare
al domani ed ai ‘se’ ma solo alle certezze del presente.
Non
avrebbe mai smesso di dirglielo e nonostante ormai Cris lo sapesse e la
pensasse allo stesso modo, amava dirgli quelle frasi perché amava
sentirgli poi dire quelle cose.
Il
suo ottimismo era la sua certezza, così come i suoi stessi sentimenti.
Certamente
le cose veramente importanti erano altre.
Tornando
a prendersi le sue labbra lo dimostrò a sé stesso e Ricardo l’aiutò
nella dimostrazione.
FINE