CAPITOLO
I:
QUALCOSA
CHE NON VA
La
cupezza del Bambino D’Oro cominciò a farsi più incombente subito dopo i
mondiali, quando una volta tornati erano stati liberi di riposare.
Che
tutto quel tempo per pensare non gli avesse fatto bene, poteva essere
una valida teoria, peccato che nella vita non potesse fare a meno di
farlo, che lo volesse o meno.
Tutto
l’anno non era stato facile ma aveva nascosto molto bene le sue
perplessità, nessuno aveva percepito il suo stato d’animo via via
sempre più sull’orlo di una crisi leggendaria. Del resto bisognava dire
che dei suoi nuovi compagni nessuno lo aveva conosciuto prima talmente
bene da sapere quale fosse il vero Ricardo.
Però
era riuscito a controllarsi bene e domarsi, aveva legato subito con
tutto il gruppo ed era entrato facilmente nelle simpatie di ognuno. Del
resto era praticamente impossibile che non piacesse a qualcuno, era la
persona più onesta, gentile e solare del mondo.
Bè,
solare magari di meno, non certo come quando era a Milano…
Però
faceva del suo meglio e non poteva lamentarsi, tutti lo aiutavano ad
ambientarsi. Avevano la vaga idea che le sue prestazioni non fossero al
cento per cento ma capivano che staccarsi da un club che gli era
entrato tanto dentro non era facile.
Iker
e Cristiano soprattutto se l’erano presi a cuore, anche se l’avevano
dimostrato in modo differente. Il portoghese, arrivato in contemporanea
al brasiliano, gli si era attaccato come un polipo sia per il fatto che
parlavano la stessa lingua, sia perché aveva sentito che la maggior
parte degli altri nuovi compagni sulle prime aveva dimostrato di avere
riserve nei suoi confronti mentre l’unico privo totalmente di
pregiudizi era stato proprio Riky.
Aveva
inoltre percepito da subito il suo malcontento segreto ed il suo
sottotono che tardava a sistemarsi, a modo suo aveva cercato di
aiutarlo e si era convinto che sarebbe bastato diventargli amico e
legare con lui.
Bè,
con lui ci aveva legato, ed anche molto, e dopo che erano diventati
amici nel giro di subito si era innescato un meccanismo particolare.
Cristiano
aveva bevuto da Ricardo come una spugna trovando ogni lato positivo per
nulla nascosto. Gli era entrato nelle ossa e l’aveva fatto in un modo
lento e strisciante, dopo che aveva constatato che uno così era vero ed
autentico e non una falsa copia di un angelo perfetto.
Non
lo era, aveva quei difetti che però non pesavano e complessivamente
risultava una persona davvero da mangiare, così l’aveva definito.
Solo
che il portoghese non era molto bravo a fare il confidente e
soprattutto a suscitare quel tipo di istinto.
Ricardo
nonostante fosse diventato subito suo amico e avesse ringraziato Dio
ogni giorno della sua vita lì a Madrid per averglielo affiancato poiché
così ritrovava facilmente il buonumore e la voglia di ridere e
scherzare, non aveva mai trovato il coraggio o forse la spinta giusta
per parlare seriamente con lui e confidarsi.
Non
in quel primo anno.
Invece
ci era riuscito col capitano.
Iker
era una persona carismatica, aperta e di polso, acuto e sveglio ed era
estremamente corretto. Non si faceva mai mettere i piedi in testa e
quel che doveva dire lo diceva ma trovava sempre le parole giuste.
Di
certo la guida ideale sia di un club così importante che della
Nazionale Spagnola.
Aveva
ispirato da subito una grande fiducia in Ricardo e mancandogli una
figura adulta, seria e matura di riferimento che non era riuscito a
trovare, stranamente, nell’allenatore, si era tuffato a capofitto su
Iker.
Non
aveva però trovato il coraggio di iniziare per primo il dialogo e
l’anno era passato in vari tentativi da parte di entrambi di andare in
argomento.
Il
più delle volte Iker tirava su di morale un moscio Ricardo che si
rendeva conto di non aver giocato come sapeva, gli dava un’amichevole
pacca sulla spalla e gli diceva che sarebbe andata meglio la prossima
volta, di non crucciarsi che era normale dopo tanti anni al Milan non
riuscire a ritrovarsi in una squadra così diversa.
Ricardo
si aggrappava a quelle parole e se le ripeteva di continuo… finché non
arrivava subito dopo puntuale Cristiano a sparare qualche battuta
spassosa che lo faceva piegare in due dal ridere rischiarandogli
totalmente l’umore.
Aveva
lentamente capito quanto preziosi fossero entrambi, solo che i
sentimenti che li legava ad uno e all’altro erano certo diversi.
Diverso anche l’istinto che lo spingeva verso Cristiano.
Un
istinto che nel ritiro dell’estate del 2010 avrebbe ampiamente scoperto
grazie alla brutalità di qualcuno molto ma molto insistente… e allo
zampino non da poco di un certo nuovo allenatore, qualcuno che
finalmente lo conosceva già da prima di approdare in quella squadra.
Subito
dopo la fine dei mondiali, Ricardo aveva fatto di tutto per non
pensarci e per distrarsi dal pensiero assillante ed insistente che
ormai fosse finito come giocatore, sebbene fosse presto e dovesse
essere positivo poiché era importante non deprimersi in quel momento.
Certo
l’avere tutto quel tempo libero non l’aveva aiutato per niente e più si
ostinava a schiacciare in profondità queste idee negative, più si
notava che aveva effettivamente qualcosa che non andava.
Con
l’arrivo a Madrid di Iker e la fine delle conseguenti e meritate
vacanze, decise di approfittarne per andare da lui a complimentarsi
come si doveva. In Sudafrica l’aveva fatto ma era stato fugace e
caotico, ora ci teneva a farlo come si doveva e così era finito a casa
sua, nella sua non piccola villa ad interrompere il meritato riposo
prima dell’inizio di un nuovo massacrante anno calcistico.
Sempre
più impaziente, tra mille paranoie se fosse o meno il caso di rompergli
le scatole o meno, l’aveva traumaticamente buttato giù dal letto alla
bellezza delle… undici del mattino!
Immaginando
che lui fosse abbastanza normale da prendere alla lettere il periodo di
riposo e che quindi effettivamente riposasse, si era sforzato di non
andare a disturbarlo troppo presto.
L’aveva
comunque trovato scarmigliato ed assonnato, in tenuta da notte che
consisteva in un paio di boxer ed una canottiera intima bianca, scalzo,
tutto spettinato e le pieghe del lenzuolo ben evidenti sul viso dagli
occhi mezzi chiusi e la fronte aggrottata. Era favolosamente abbronzato
e doveva ammettere che complessivamente faceva la sua figura anche in
uno stato simile poco presentabile.
Però
era evidente che non riuscisse a capire in che parte dell’universo
fosse e trattenne a stento una sonora risata, pensando di non dover
fare il maleducato.
-
Iker? - Lo chiamò titubante dandogli tempo di riconnettersi. - Sono
venuto a quest’ora per non disturbarti ma mi sa che l’ho fatto lo
stesso… - asserì onesto e già mortificato facendo la sua famosissima e
assolutamente naturale aria da cucciolo dispiaciuto. Non ricevendo
ancora un minimo cenno -Iker era appoggiato alla porta aperta e
sembrava riuscisse a dormire anche in quella posizione scomoda!- si
fece coraggio e proseguì: - Volevo complimentarmi per i mondiali ma mi
sa che preferiresti dormire, posso tornare un’altra volta! -
Essere
di peso era una cosa tremenda per lui, così prima che potesse dire
altro il brasiliano si girò avviandosi verso il giardino spazioso e
sistemato con gusto.
Una
presa non molto ferrea ma comunque convincente lo fermò prendendolo per
il braccio, quindi si voltò nuovamente e vide un Iker in difficoltà che
tentava di esprimere quello che la sua mente aveva composto con fatica.
-
Fa nulla… vieni… - La sua voce era roca per il sonno e così pareva
particolarmente profonda.
Ricardo
dedusse che non voleva se ne andasse e che non importava anche se
l’aveva svegliato, ma pensando lo facesse solo per gentilezza cercò di
divincolarsi, senza successo:
-
No, lo capisco, riposati, io torno magari in serata, dai! - Era agitato
all’idea di essere stato tanto inopportuno.
Iker
contrasse ulteriormente i lineamenti affascinanti in un’espressione di
sforzo, quindi tentando di articolare meglio la contro risposta
l’attirò dentro senza troppi complimenti, in perfetto stile Cristiano!
-
No problema! - Borbottò infine trascinandoselo fino in soggiorno. Era
ampio e accogliente.
Ricardo
si guardò intorno per capire se fosse solo e alla conferma di ciò da un
altro bofonchio traducibile in ’Sara lavora, non c’è nessuno ed io ho
fatto le ore piccole per questo sono uno zombie’, Ricardo si sentì
ancora più un verme, ma ormai era dentro e pur cercando di liberarsi
non ci riusciva. Forse non lo voleva poi tanto…
Iker
comunque lo mollò sul divano e vi si buttò di schianto a sua volta
senza la forza di andare in cucina a cercare del caffè; tirò su una
gamba che piegò per appoggiarsi col gomito e quindi il mento al palmo,
l‘altra l‘allungò sul tavolino basso davanti. Non era una posa molto
aggraziata, come quella assunta dall’ospite, anzi… e considerando le
sue vesti poco convenzionali ed i capelli arruffati, c’era da chiedersi
dove fossero finite le buone maniere.
Ricardo
sorrideva fra sé sforzandosi di non farlo apertamente per non
dimostrarsi maleducato più di quanto non lo fosse già stato, però
vedere il proprio capitano in quelle condizioni era buffo, non si
lasciava mai andare tanto, ci teneva alla sua immagine!
Comunque
si chiese a cosa servisse averlo fatto rimanere se poi si metteva a
sonnecchiare…
-
Sei sicuro che vuoi che rimanga? - Fece a disagio non sapendo proprio
cosa fosse meglio fare… certo voleva rimanere ma gli pareva di stare
torturarlo!
Iker
annuì con un occhio chiuso ed uno aperto solo per metà. In quella
fessura la pupilla e l’iride scura erano magneticamente puntate
sull’amico seduto accanto a disagio. Le testa era sempre più cadente.
Forse
non voleva farlo andare via perché capiva che quella visita era tanto
importante quanto insolita visto che non si era mai preso la briga di
’disturbre’ tanto!
Cercava
di riattivarsi per capire cosa succedesse al suo trequartista, ma non
era facile. All’ennesimo scrutamento semi imbarazzato di Ricardo,
questi optò per una possibile soluzione:
-
Un caffè ti farebbe bene… - Fece cauto e gentile. Iker annuì
pesantemente ma non si mosse. - Lo… lo faccio io, se per te va bene e
non sono troppo invadente… è il minimo dopo che ti ho svegliato… è che
pensavo non dormissi… altrimenti portavo io la colazione! -
All’idea di mangiare, lo spagnolo si contorse accomodandosi meglio in
una posizione quasi distesa. Appoggiò il gomito direttamente al divano
e fece cadere così il ginocchio fra loro; lanciando poi un’altra
occhiata al compagno seduto elegantemente accanto, bofonchiò un grato
ringraziamento che sfociò nella sua testa che sfuggiva alla presa della
mano finendo distrattamente addosso a Ricardo.
Al
gesto involontario quest’ultimo rise e si alzò subito decidendo che per
una volta avrebbe fatto il maleducato facendo da sé gli onori di casa
altrui.
Dopo
un paio di traffici durante i quali si era sentito ignobile come un
ladro, uscì vittorioso dalla cucina con una grande tazza fumante di
caffè caldo, quando però tornò al divano lo vide naturalmente
addormentato, come aveva immaginato di trovarlo.
Comodamente
accoccolato di lato sembrava un intrigante angioletto. Anche se i suoi
lineamenti non avevano molto di etereo… erano più tentatori e decisi in
realtà.
Sorrise
intenerito e divertito insieme, quindi scosse la testa e poggiando la
tazza sul tavolino accanto al bello addormentato, fece per andarsene in
silenzio ma fu nuovamente fermato da una mano che questa volta lo
artigliò dietro al ginocchio, la prima cosa che fu trovata.
Il
punto particolarmente sensibile ed il modo in cui lo prese, fece
reagire Ricardo di riflesso e al solletico che provò si piegò
incontrollatamente all’indietro, peccato che lo fece così tanto da
trovare un ostacolo sul quale rovinò inevitabilmente.
L’ostacolo
era il ragazzo steso sul divano!
Gli
piombò addosso in un groviglio confuso di gambe e braccia che ebbe il
potere di svegliare drasticamente il sonnambulo.
Ricardo
con fatica cercò di districarsi ma senza successo per la posizione
scomoda, quindi decise di fermarsi e di dare un senso al caos.
Quando
si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Iker, ora finalmente sveglio,
confuso e corrucciato, gli venne un colpo che lo paralizzò facendolo
cadere nell’indecisione: imbarazzarsi, mortificarsi o ridere?
All’espressione
buffa del suo capitano vinse l’ultima in un’esplosione d’ilarità volta
anche a nascondere la vergogna. Premette il viso sul suo torace
cercando di domarsi ma quando sentì le mani altrui frugarlo nel
tentativo di alzarlo da sé, provò di nuovo quell’incontrollata ondata
di solletico e scattando senza controllarsi diede una testata al mento
di Iker che quasi svenne!
Ci
fu un lungo momento d’incertezza ulteriore dove la vittima si teneva il
viso e il carnefice più mortificato che mai si sentiva un meschino
senza precedenti. Naturalmente non aveva pensato di dispiacersi
alzandosi da quello che non era un divano ma bensì un corpo, così fra
brontolii e lamenti non identificati, lo spagnolo dalla corporatura
possente ritrovò le forze tutte in una volta e si alzò con decisione,
facendo finire l’amico steso dall’altra parte mentre lui era finalmente
seduto.
Un’operazione
complicata che poi a ripensarci non sarebbe mai stata chiara nemmeno a
loro due, tuttavia Ricardo rimase giù shockato a fissarlo come un
grazioso cagnolino bastonato che chiedeva umilmente perdono al padrone!
-
Ma che diavolo combini? - Chiese Iker massaggiandosi il mento che
ancora gli doleva. Si girò a guardarlo per capire cosa gli avesse preso
poiché non si era nemmeno reso conto di averlo afferrato proprio dietro
al ginocchio, punto debole di chiunque, ma notando lo stato mortificato
del compagno ancora immobile così come l’aveva scaraventato, non poté
che ridacchiare spontaneamente divertito.
-
Mi hai fatto il solletico, non mi sono controllato… - Si giustificò con
una vocina sottile non osando ancora muoversi, quasi spaventato dalla
reazione per un istante brutale del suo capitano.
Iker
accentuò la risata mentre l’immagine di un cocker nero si sovrapponeva
a alla sua, così l’afferrò per il braccio e lo alzò di forza senza
troppi complimenti. Una volta seduto cercò di domare le risa, per cui
si prese la tazza e cominciò a sorseggiarla, ora sì che era sveglio!
-
Sì, ma perché te ne stavi andando… - Spiegò cercando di ricostruire
l’attimo precedente al caos.
-
Dormivi… - Era logico…
-
Riposavo gli occhi! - Rispose puntualizzando fintamente serio.
-
Se sembravi un angioletto! - Commentò spontaneo Ricardo ora rilassato,
sistemandosi i vestiti stropicciati ed i capelli in disordine.
-
Qua l’unico angioletto sei tu, caro! - Concluse deciso e diretto Iker
non capendo ancora quali fossero i propri pensieri e quali invece le
parole che uscivano dalla bocca. In qualche modo doveva averlo colpito
lo stesso virus che aveva fatto radice in Cristiano, visto che aveva
appena preso la sua stessa mania di non ragionare!
A
giudicare dall’espressione stupita e dal rossore sul suo viso candido,
dedusse che quell’ultima sparata l’aveva detta ad alta voce e non poté
non continuare a pensare a Cristiano e le sue soluzioni contro
l’imbarazzo o le gaffe: fingere di aver fatto tutto di proposito e di
non essersene pentito per niente. Certo questo lo faceva spesso passare
per uno sbruffone presuntuoso pallone gonfiato, però lo tirava sempre
fuori da ogni ingombro!
Così
seguendo le sue orme, ma solo per quella volta, fece finta di aver
fatto di proposito quell’uscita equivoca e Ricardo non ebbe il coraggio
di commentare né tornare sull’argomento.
Fu
lieto di intavolare finalmente un dialogo pseudo normale sui mondiali,
sul nuovo allenatore, sul ritiro alle porte, sulle vacanze e su
qualunque altra cosa gli potesse passare per la mente.
L’ora
passò in un attimo e fu piuttosto piacevole se non ché Iker tornò su
ciò che non gli era sfuggito nemmeno da addormentato.
Lo
fece con fare discreto ma deciso, buttandola come se fosse una
chiacchierata normale:
-
Come mai sei venuto qua? - Come se tutti i discorsi fatti fino a quel
momento non lo giustificassero veramente.
Ed
era così.
Il
brasiliano sospirò e col suo viso espressivo e avvilito si mordicchiò
imbarazzato il labbro carnoso inferiore.
Si
passò anche le mani fra i capelli scarmigliati per via del groviglio
precedente, quindi guardò l’ambiente circostante e sforzandosi di
evitare lo sguardo dell’amico, disse con un filo di voce, facendosi
improvvisamente serio, lasciando perdere i convenevoli sul ‘ma che dici
così di punto in bianco.’
-
Pensavo che un anno bastasse… ma mi sbagliavo… - Il tono estremamente
ponderato con cui lo disse colpì Iker che sebbene se lo aspettasse capì
solo ora quanto a cuore gli stesse quel discorso. Un discorso che di
certo aveva cercato di fargli da tempo ma che non aveva mai trovato il
coraggio di fare.
Non
lo interruppe ma lo guardava con intensità da quella distanza
ravvicinata, il suo profilo delicato e regolare, lo sguardo basso, le
sopracciglia aggrottate e la bocca verso giù.
Sospirò
e si contorse le mani, poi proseguì con un filo di voce:
-
Ho qualcosa che non va e non so cosa sia di preciso. Ho paura di
deludere il nuovo mister. Io lo conosco bene, se non lo soddisfo non ci
pensa due volte a mettermi da parte nonostante i milioni che hanno
speso per me appena una anno prima. - E forse metterla sul piano
calcistico era più facile.
Iker
capì che quella era la punta dell’iceberg e che c’era molto di più
dietro, ma capì anche che non ne parlava perché non ne aveva ancora
idea e non poteva forzarlo, per cui lo rispettò e sperando di essere
abbastanza attivo da non dire cavolate rispose senza pensarci su molto,
con una delicatezza ed una calma che talvolta sapeva tirare fuori solo
lui:
-
Devi capire da dove deriva quello che non va. Di cosa si tratta di
preciso ed affrontarlo. È l’unico modo per tornare al tuo massimo. - Ed
era un anno che aveva atteso di dirglielo, l’aveva fatto per rispetto
nei suoi confronti, perché sapeva che doveva essere lui a chiedergli un
parere altrimenti sarebbe solo stato rifiutato e basta.
Pensando
di essere stato troppo brutale, cosa che non era vera, gli poggiò
amichevole la mano sulla schiena ricurva appoggiandosi allo schienale,
mettendosi più comodo e guardandolo per dietro. La nuca abbassata, le
braccia strette in avanti.
-
Lo so, ma non è facile… dopo un anno sono ancora confuso. Non so se si
tratta di Milano o di cos’altro. Però con Mourinho non c’è tempo per
queste cose. Io ora non so che fare… - a quello si girò guardando il
proprio capitano da sopra la spalla e lo sguardo che gli lanciò fu così
carico di smarrimento che sconvolse il destinatario; aveva immaginato
fosse qualcosa di negativo, non certo così grosso.
Il
punto era che finché il ragazzo non capiva di preciso di cosa si
trattasse, nessuno poteva fare niente, nemmeno lui.
Ed
in tutta onestà non aveva la benché minima idea di che cosa potesse
essere.
Colpito
da quel suo stato e dispiaciuto per lui, seguì l’istinto e fece
scivolare la mano dalla schiena alla spalla opposta cingendolo
protettivo, l’attirò così a sé poggiandolo allo schienale e se lo tenne
stretto come se fosse il suo ragazzo.
Non
ci fu imbarazzo ma solo un forte senso d’appartenenza ed una sorta di
energia benefica. Qualcosa identificabile in trasmissione di forza e di
coraggio, proprio quello che il giovane spagnolo con quel gesto aveva
voluto fare.
Continuando
a guardarlo da quella vicinanza quasi equivoca, aggiunse piano:
-
Vedrai che presto lo capirai ed andrà tutto bene. Appunto perché il
mister ti conosce meglio degli altri, sa cosa fare con te. Nonostante
quello che dicono su di lui sono certo sia una persona in gamba.
Fidati. - Non poteva onestamente dargli soluzioni istantanee, non ne
aveva, ma Ricardo aveva bisogno di fiducia, quella fiducia che pareva
aver perso in sé stesso e per lo meno quella poteva aiutarlo a
riaverla. Dandogli la propria.
Il
ragazzo sospirò e strinse le labbra piegandole successivamente in un
tenero sorriso di gratitudine sincero.
Cominciò
a sentirsi veramente meglio nonostante non avesse nessuna soluzione
concreta, forse però il fatto di aver condiviso un piccolo dubbio con
qualcuno ed aver ottenuto comunque la sua fiducia, era importante e
sufficiente per il momento.
Capì
dunque di aver fatto bene a parlarne con lui e dopo essersi rischiarato
sentì incontrollato ed istintivo il bisogno assurdo di ridere. Ridere
in quel modo che solo Cristiano riusciva a fargli fare.
Ridere
proprio in quel modo spensierato fino a scacciargli i pensieri tristi.
L’immagine
del portoghese si affacciò nella mente sovrapponendosi al volto
rassicurante di Iker e si chiese cosa potesse significare, ma fu una
domanda troppo fugace per essere considerata seriamente.
-
Ehi, io sto morendo di fame, ti va di mangiare qualcosa? - Chiese
allora Iker improvviso ed allegro. Il cambiamento di tono riportò al
presente Ricardo che sorridendo apparentemente disteso accettò di buon
grado l’invito, contento di essere venuto lì, capendo finalmente che
dopotutto il suo compagno poteva veramente diventare un punto di
riferimento.
Un
vero capitano.
Dunque,
allora, Cristiano cos’era?