L’ALTRA
FACCIA DELLA LUNA
CAPITOLO
I:
SONO
FINITO
Tutto
iniziò qualche settimana dopo il rientro di Ricardo nei campi
d’allenamento del Real Madrid.
Cinque
mesi di fermo e poi l’apparente guarigione completa dal ginocchio
operato, le prime partite giocate per pochi minuti ciascuna erano state
promettenti tanto che tutti si erano rilassati.
Peccato
che qualche tempo dopo Ricardo cominciò a covare uno strano nuovo
qualcosa.
No,
niente di evidente od eclatante, non aveva mostrato comportamenti
allarmanti o da preoccupato, però ogni tanto gli veniva una strana
rughetta sulla fronte, era fugace e nessuno se ne accorgeva. Escluso
Cristiano, naturalmente, il quale non si perdeva un solo respiro del
compagno da poco tornato ad allenarsi con lui.
Era
stato al settimo cielo durante i primi giorni insieme sul campo e non
si era nemmeno reso conto di essere diventato estremamente apprensivo
ma solo nei suoi confronti.
Naturalmente
aveva notato subito quel piccolo pensiero che vorticava nella testa del
suo compagno e quando per lui c’era stata la conferma, glielo aveva
chiesto diretto e deciso senza giri di parole o attendere certezze o
dare spazi di alcun tipo.
-
Cosa c’è? -
Ricardo
lo guardò preso alla sprovvista e mentre era in fila con gli altri per
degli esercizi che poi compivano uno dietro l’altro rimettendosi in
coda, chiese non sicuro a cosa si riferisse:
-
Cioè? - Non aveva davvero fatto alcuna espressione particolare, anzi…
ma a Cris quel niente di particolare non era sfuggito comunque.
Trentamila
altre cose gli sfuggivano costantemente, specie se non lo riguardavano
da vicino, però quelle su Ricardo no, mai.
-
Hai qualcosa che ti impensierisce ultimamente… che ti prende? - Che si
sbagliasse non era nemmeno contemplato!
A
quel punto Ricardo capendo che a lui non poteva farla, sfoderò
liberamente la sua espressione incerta e poco convinto si guardò le
gambe sussurrandolo attento a farsi sentire solo dal compagno accanto:
-
Mi dà ancora fastidio il ginocchio… da qualche giorno… - Cristiano
corrugò immediatamente la fronte sempre più apprensivo e toccandogli il
braccio glielo guardò prendendolo come un fulmine a ciel sereno.
-
Sicuro? - Chiese sforzandosi di apparire comunque tranquillo sapendo
quanto emotivo l’altro fosse. Riky infatti si incupì nettamente e
stringendo le labbra contrariato annuì alzando gli occhi a cercare i
suoi, li trovò e per un attimo non vacillò credendo di avervi letto per
assurdo un’incertezza.
Non
sarebbe stato possibile, non ci avrebbe mai creduto ed infatti Cris
accorgendosi di essere guardato si schiarì subito.
-
Dai, non sarà niente, l’avrai sforzato un po’ troppo, cerca di non
esagerare con gli allenamenti, sei tornato da poco in fondo…
l’operazione che hai subito non è una passeggiata. - Argomentazioni
valide che tirarono su Ricardo scacciando l’insicurezza dimostrata in
un attimo di esitazione.
Se
glielo diceva anche lui non aveva motivo di dubitarne già per partito
preso, dopotutto era una risposta più che logica.
Risposta
che aveva considerato già da solo i giorni precedenti, quando aveva
cominciato ad accusare i primi fastidi.
Si
costrinse a rasserenarsi a forza e questo fu l’inizio di una sorta di
reazioni a catena destinato solo a peggiorare inevitabilmente.
Alla
fine fingere che non fosse niente di grave aveva solo portato ad un
peggioramento generico di tutto e non solo del ginocchio, anche
dell’umore.
Quello
di Ricardo precipitò giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento,
partita dopo partita ed il culmine fu raggiunto un giorno quando non ce
la fece più a resistere e a trattenersi per non dire semplicemente le
cose come stavano, perché se l’avrebbe fatto di nuovo sarebbe stato
tutto reale ed allora avrebbe dovuto affrontare di nuovo il problema
seriamente.
La
partita appena giocata era stata l’ennesima delusione ed evitando con
ogni forza dentro di sé lo sguardo bruciante del mister, uno sguardo
che lui era certo sarebbe stato sicuramente deluso, aveva finito per
superare il proprio limite.
Non
l’aveva visto però l’aveva immaginato ed era stato certo che
l’allenatore aveva ormai perso la fiducia sul suo ritorno in forma, la
verità era che in realtà l’aveva solamente persa lui stesso.
Erano
venuti insieme ed insieme se ne erano andati, la strada del ritorno
l’avevano passata in perfetto silenzio come se ci fosse un enorme
discorso osceno da dire che nessuno aveva il coraggio di affrontare.
Renderlo
reale, era questo tutto quello che doveva fare e poteva farlo in un
unico modo.
Alla
fine dopo aver spinto dentro al vaso tutto quello che aveva potuto, a
forza, controvoglia, il tappo non aveva più retto ed era tutto esploso
solo che le esplosioni di Ricardo non erano come quelle di Cristiano o
di un qualunque altro ragazzo normale.
La
sua esplosione fu un sussurro che raggelò Cristiano proprio perché se
l’era aspettato da un momento all’altro e che pur attendendolo non
aveva saputo immaginarsi una risposta valida da dargli.
Ed
ora c’erano.
Guardandosi
le mani abbandonate sulle gambe e lugubre più che mai, Ricardo mormorò
non facendocela più a tenerlo per sé:
-
Sono finito. -
Quella
fu la prima volta che Cristiano si scontrò con il primo quarto
dell’altra faccia della luna del suo compagno. Una faccia destinata a
completarsi in poco tempo mostrando tutto ciò che lo componeva.
Se
non inchiodò fu un miracolo, quindi continuò a guidare con fatica
corrucciando la fronte come ad aver sentito male. Scherzava? Ci sperò
ma scrutando il suo profilo abbassato capì che così non era, ma fare il
finto ottuso fu tutto ciò che gli riuscì.
-
Sei fuori? - Per lui sarebbe stato comunque inconcepibile anche solo
pensarlo, figurarsi dirlo.
Ricardo
sospirò drammaticamente e girando la testa dall’altra parte, verso il
finestrino, guardò il mondo che gli passava accanto senza vederlo
veramente. Al suo posto sé stesso e l’ennesima prestazione terribile.
-
Il ginocchio. Non tornerà più come prima. Nemmeno io. - L’assolutismo.
Cristiano
era preso così alla sprovvista da quel suo nuovo lato che non sapeva
cosa dire e si rendeva conto di non saper essere effettivamente utile
come voleva, ma non aveva la minima idea di che cosa dire.
-
Non è da te dirlo, hai sempre creduto nel tuo ritorno, nel tuo
recupero, in questo nuovo ciclo… - Cercò di ricordargli tutto il suo
solito ottimismo ma non ci fu verso poiché pareva proprio defunto e
perduto. Non l’aveva mai visto più nero di così e disorientato pensò
che era l’assoluto fatto persona.
Capace
di essere o totalmente positivo o totalmente negativo, ma vie di mezzo
non ne aveva.
Aveva
sempre pensato che quella fosse una propria caratteristica, si
conosceva ed era onesto nel definirsi uno senza mezze misure, però in
Ricardo era diverso.
-
Non avevo previsto che il ginocchio cedesse di nuovo. Questa volta è
finita. - Ne era tragicamente convinto e Cristiano non avendolo mai
avuto così poté solo capire in cosa era diverso il suo assoluto dal
proprio.
Quello
di Riky era un assoluto emotivo e come ogni emotivo, quando diventava
negativo si inabissava deprimendosi in modo impressionante.
Quando
invece era positivo trascinava tutto e tutti con la sua luce accecante
che trasmetteva a tutti.
Come
poteva essere la stessa persona?
Lo
conosceva da poco e stavano insieme da qualche mese, non aveva
contemplato mai la possibilità di quella faccia della luna ed un po’
era stata una sua mancanza, un po’ Ricardo l’aveva nascosta davvero
bene.
-
Non è come dici tu, credimi, io lo so. Sono momenti difficili e ti
viene da credere che è finita e che non recupererai più, ma sei giovane
ed è presto e poi nessun esperto ti ha ancora dato una vera diagnosi,
sei tu che ti sei convinto che… -
-
Il mio ginocchio non funziona più, io non arrivo a giocare ai miei
livelli, non riesco a recuperare la forma e psicologicamente sto
andando in pezzi. Ci vuole tutto per riprendere quanto perso ed io ora
quel tutto non ce l’ho. Non ho niente di quel tutto. L’ho solo perso e
basta. Evidentemente Dio si sta riprendendo ciò che mi ha dato, forse è
finito il tempo della grande fortuna e vuole darne un po’ a qualcuno
che ne ha più bisogno… quando mi ha salvato la vita da piccolo mi ha
dato un grande dono che io ho usato e dato frutto in tutti i modi, ora
probabilmente me lo sta chiedendo indietro. Semplicemente. -
Certamente
tutti quei lati cupi non li aveva mai conosciuti ma una cosa di lui
sapeva perfettamente.
Quando
metteva in mezzo Dio e le sue convinzioni drastiche di fede, smentirlo
e sminuirlo era l’idea peggiore e se ne guardò bene dal farlo.
-
Ascolta, sono sicuro che Dio non ti sta chiedendo indietro niente, non
è tipo da dare e riprendersi, secondo me. Poi tu puoi credere in quello
che vuoi ma è solo un’altra piccola prova che ti chiede, tu non puoi
arrenderti così, non è da te, non ti riconosco… -
Arrivarono
a casa, le loro due ville erano vicine quindi Cris parcheggiò nel
proprio giardino rimanendo in macchina per assicurarsi di averlo
convinto. Non voleva trascinarsi dentro quella depressione, una volta
varcata la soglia voleva solo godere della splendida compagnia del suo
ragazzo.
Ricardo
allora lo guardò contrariato ed insofferente:
-
Non è che non mi riconosci, non mi conosci proprio perché questo è ciò
in cui io credo e sono convinto che se Dio vede che non sono più degno
dei suoi doni per un qualunque motivo che io non so vedere, allora se
lo riprende ed è giusto così. Però mi fa male lo stesso, anche se devo
trovare la forza di accettare la sua decisione. Lui vede molto più di
me anche se io non ci arrivo. -
Cristiano
alla fine non resistette e si ribellò a quelle idee che reputava
assurde e stupide, quindi senza riuscire a frenare più la lingua parlò
liberamente, infervorandosi ed accendendosi:
-
Ma sei tu qua che vivi e che devi combattere, lui non è un burattinaio,
ognuno decide per sé del proprio destino! Non puoi rassegnarti se pensi
che qualcosa non vada. Lotta per farla andare bene! Prendi le cose in
mano, datti da fare! Pensi di avere problemi al ginocchio operato?
Assicurati che sia così, porca puttana! Vai da un dottore e chiedi il
suo parere e poi eventualmente curati! Uno che ha un dono non lo perde
da un giorno all’altro! Non è un oggetto che puoi perdere, è qualcosa
che sei! -
Si
scontrò in pieno con la loro diversità opposta e sebbene fino ad ora
gli fosse piaciuta, lì gli diede un enorme fastidio senza precedenti,
per lui quei discorsi erano inconcepibili. Uno sapeva fare una cosa
dalla nascita alla morte, non perdeva alcuna capacità per strada.
Poteva perdere il mezzo per compierla, ma quello non era un volere
divino bensì al massimo sfortuna. Ma soprattutto le persone decidevano
da sole come vivere, cosa fare e cosa tenere, non si lasciavano vivere
passivamente credendo che qualcuno di più forte muovesse tutto e che
quindi opporsi era inutile. Accettare cosa? La decisione di qualcuno
che non eri tu?
Però
anche Ricardo rimaneva fermamente convinto delle sue credenze, quella
era la fede che l’aveva forgiato facendolo diventare quel ragazzo
straordinario che era e che a molti piaceva. Per lo meno quello
positivo e ottimista.
Piccato
e più acceso, infatti, rispose:
-
Fin’ora ho lottato ed insistito e guarda che cosa ho trovato? Solo un
altro buco nel’acqua! Magari è un messaggio chiaro che non ho l’umiltà
di leggere. È semplicemente finita. Tento e non va, tento e non va,
tento e non va. Lotto, come dici tu, faccio tutto quello che è
umanamente necessario, ma ogni volta c’è sempre qualcos’altro… va
avanti da quando sono venuto a Madrid. O ho sbagliato ad andarmene ed
il messaggio è questo ed ora mi sta punendo -ed io credo in un Dio
misericordioso e grande quindi mi rifiuto di pensare a
quest’eventualità-, o è finito il tempo che mi ha regalato quel giorno
lontano in cui ero piccolo, quando ho visto la morte e per miracolo
sono tornato di qua. -
-
Cosa diavolo vuol dire, questo? Che è finito come, quel tempo regalato?
- Non urlò per miracolo ma poco ci mancò e soprattutto non lo toccò
consapevole che alterato com’era avrebbe potuto prenderlo a sberle,
però la rabbia che gli montava quel discorso era grande e non sapeva
più come trattenersi.
Ricardo
non ebbe paura del suo sguardo furente e reggendolo con decisione, lo
ricambiò con uno altrettanto battagliero e sicuro, poi tagliente disse:
-
Io ho sbagliato qualcosa da qualche parte ed anche se non so vederlo,
Lui sì e siccome tutto quello che ci succede è una conseguenza delle
nostre azioni e che abbiamo solo ciò che meritiamo, evidentemente io mi
merito questo sbarramento definitivo davanti a me. Devo sapere vedere
quando una strada finisce, semplicemente. -
-
Ma puoi davvero credere a puttanate simili? In Dio credo anche io ma
sicuramente non è uno che gioca a dadi con noi e chiude strade a
piacimento. Siamo noi che guidiamo, noi che eventualmente sbagliamo
strada ma sempre noi che paghiamo. Sta a noi, quindi, saper stare in
carreggiata. Se la strada che percorriamo ci piace semplicemente
continuiamo e non c’è un semaforo rosso eterno! Non esiste! Sono solo
blocchi momentanei del cazzo da superare. Tutto è da superare. Niente è
eterno e noi dobbiamo darci da fare con ogni mezzo invece che piangerci
addosso e rassegnarci e dare colpe o meriti a qualcuno che non è qua a
vivere al nostro posto. Dio è semplicemente là, dispensa i doni, come
dici tu, e di certo non se li riprende indietro, ma soprattutto non
blocca strade e nemmeno si diverte a muovere i personaggi come in un
videogioco. Ci dà quello che ci deve dare e ci manda quaggiù coi mezzi
per farcela da soli, poi aspetta che torniamo da Lui! Se vuoi
continuare a giocare a calcio, gioca, se vuoi mollare molla, ma sei tu
che molli, nessuno ti obbliga a farlo, nessuno ti ferma veramente se tu
non vuoi! Cazzo, Ricardo, svegliati! -
Alla
fine era lui quello che era scoppiato per primo, totalmente impreparato
a quella versione devastante e negativa di Ricardo, essendo invece
abituato solo ad una persona dolce, luminosa e ottimista.
Se
avesse saputo di questo suo lato oscuro probabilmente si sarebbe
preparato, ma lì preso in contropiede aveva reagito d’istinto e male.
Dopo
la sfuriata Cristiano scese dall’auto e sbattendo la porta si avviò a
passo di carica in casa chiudendosi violentemente dentro.
Ricardo
rimasto inebetito in macchina, cercò di capire se avesse solo sognato
quel loro litigio o se fosse avvenuto davvero.
Stordito
ed ancora troppo preso dalle sue drastiche e pessimistiche
considerazioni, scese dall’abitacolo come un automa e rimanendo a
guardare la porta di Cris chiusa, scosse il capo cominciando a non
trovare il senso nemmeno nel rincorrere uno che non poteva capirlo e
quindi tanto meno aiutarlo.
Era
solo ad affrontare quel momento terribile e quella ne era stata la
dimostrazione più evidente.
Infine
girandosi dall’altra parte andò verso l’uscita del giardino galattico
per dirigersi verso casa propria.
Certe
cose semplicemente si perdevano, ne era convinto, ma non si perdevano
perché c’era della sfortuna dietro, si perdevano perche non si
meritavano più per un qualche motivo causato da sé stessi.
Questa
era l’unica verità, per lui.
Ora
poteva solo prenderne atto, per quanto atroce e difficile sarebbe stato.