CAPITOLO IV:
L’ERRORE SAREI IO, NO?

Il mattino dopo Cristiano decise di farsi forza e scacciare quell’inquietudine che ormai l’attanagliava per colpa anche di quei sogni.
Non erano nulla, si ripeteva. Doveva essere carico e allegro anche per il suo compagno che a fine mattina sarebbe arrivato.
Avrebbero pranzato insieme, gli voleva cucinare lui qualcosa tipicamente portoghese, poi l’avrebbe obbligato a fare sesso fino allo sfinimento.
Solitamente con lui funzionava il sesso che gli toglieva ogni forza, quando era depresso per qualche motivo poi stava meglio.
Si spompava, si distraeva e sfinito com’era non ricordava nemmeno più per cosa prima era stato depresso.
Per non dire che comunque il piacere superava ogni negatività.
Il sesso a Cris curava tutto, di conseguenza se le cose reputate normalmente buone per ogni essere umano con Riky non avevano funzionato, magari il suo metodo personale sì.
Senza contare che ne aveva lui stesso bisogno o sarebbe impazzito.
Se anche quello sarebbe andato a vuoto non aveva proprio più idee e non era tipo da saper stare semplicemente vicino ad uno che non stava bene senza provare a tirarlo su in tutti i modi a sua conoscenza.
Non era proprio tipo.
Convinto che quelle cose uccidessero un rapporto, non sarebbe mai rimasto semplicemente fermo a guardare la disfatta della triplice Alleanza dal vivo senza far nulla. Esserci non poteva essere sufficiente. Per lui non lo era mai, di conseguenza nemmeno per gli altri poteva.
Ragionava così.

Dopo essere uscito a fare colazione nel suo bar preferito -per ricaricarsi-, aver fatto la spesa per il pranzo -cosa che gli aveva procurato non poco entusiasmo-, essere andato a trovare suo figlio da sua madre e averle chiesto i particolari per una ricetta speciale, era tornato a casa con un sorriso vivace sulle labbra e la certezza che quel giorno sarebbe andato tutto alla grande.
Quella volta ci sarebbe riuscito a strappargli un briciolo di espressione serena e positiva, fosse pure un mezzo vago sorriso.
Dio, come gli mancavano i suoi sorrisi…
Quelle finestre sul paradiso…

Quando Ricardo arrivò Cristiano era già nel pieno della lotta per l’atroce dubbio che non sarebbe venuto.
Con gioia lo vide arrivare così si tirò istantaneamente su di parecchio, l’accolse con un largo sorriso che ebbe dello stupefacente considerando la situazione.
- Sapevo che saresti venuto! - Disse trascinandoselo dentro e abbracciandolo entusiasta appena dopo aver chiuso la porta.
Tanto Ricardo non sapeva che invece aveva dubitato fino all’ultimo minuto!
Il compagno non ricambiò davvero l’abbraccio, si limitò a mettergli le mani sui fianchi in riflesso ma l’altro decise di non arenarsi a quello.
In realtà se lo sarebbe portato subito a letto, la voglia di baciarlo e prenderlo era talmente grande da essere imbarazzante persino per sé stesso. Del resto erano settimane che non si toccavano e quei giorni insieme Ricardo non gli aveva concesso nulla, specie perché all’aperto in mezzo a molte persone.
Ma nemmeno a creare le occasioni propizie si era poi lasciato andare.
In realtà chiunque avrebbe pensato subito che il punto nodale della sua crisi era che voleva lasciarlo, ma l’egocentrismo ed il narcisismo di Cris glielo impediva categoricamente.
Di certo il problema era altro.
- Vieni che c’è l’aperitivo! - Disse prendendolo per mano e trascinandolo in sala da pranzo.
Era orgoglioso di poterla finalmente usare, solitamente non invitava nessuno, andavano sempre a casa degli altri per mangiare o addirittura in qualche ristorante, a meno che non si facesse delle feste ma in quel caso si occupava la stanza principale ed in ogni caso non le contava. Cenette simili non ne faceva mai ed infatti pentole, piatti, posate e bicchieri erano ancora quasi intatti.
C’era da chiedersi se sapesse poi cucinare… in realtà sì. Quattro cose, ma quelle quattro egregiamente.
Tutte portoghesi imparate e tramandate alla famiglia da generazioni… quel genere di cose, insomma.
Nessuno, però, sapeva di questa sua dote, seppure non comprendesse altro all’infuori di quei quattro piatti di numero.
Ricardo, convinto che avrebbe ordinato qualcosa fuori, si sorprese di sentire quel profumo di cibo tipico di chi aveva passato quasi tutta la mattina ai fornelli e colpito da ciò decise di sforzarsi per lo meno di gustare il pranzo che il suo compagno gli aveva cucinato.
Erano cose svenevoli da coppiette innamorate che vivevano in un mondo fatato dove non esistevano problemi al mondo, era consapevole che la realtà era diversa ma visto che Cris pareva crederci non voleva rovinargli la giornata infrangendo i suoi sogni romantici.
Era stato davvero molto carino, in effetti, ed in condizioni ottimali avrebbe apprezzato moltissimo il suo gesto, anzi, si sarebbe sciolto fino alle lacrime, ma lì il cinismo abbondava in lui portato dalla convinzione che si era messo addosso in quell’ultimo periodo, ovvero che per lui la carriera calcistica era finita e che aveva sbagliato qualcosa con Dio.
Bè, di certo qualcosa con Lui l’aveva sbagliato e sapeva anche cosa, ma quando guardava Cris non aveva la forza ed il coraggio di dirglielo.
Dall’impianto stereo stellare di Cristiano partì della musica per rallegrare l’atmosfera che si presagiva già piuttosto pesante. Le canzoni preferite del portoghese cominciarono a risuonare, quelle della scorsa estate e di quell’inverno più allegre e movimentate che le si poteva ballare per lo più nei locali e nelle discoteche.
Ricardo sospirò, non era musica a lui congeniale ma non poteva farci nulla, a lui piaceva e quella era casa sua, avrebbe rispettato ogni singolo gesto del compagno con pazienza. Che poi da fuori si vedesse che erano tutti comportamenti ostentati e che in realtà fossero forzati, lui non se ne rendeva minimamente conto.
Cristiano però testardamente andò dritto per la sua strada, aveva progettato una giornata tranquilla e perfetta, di quelle che a Riky piacevano tanto. Conosceva bene i suoi gusti e nei mesi che erano stati insieme erano state più le volte in cui si era dimostrato felice per giornate del genere piuttosto che quelle passate fuori a fare qualcosa di diverso e movimentato.
Ricardo era una persona molto classica e calma nonché estremamente sentimentale ed infantile. Infantile nel senso buono, aveva il suo lato di bambino molto sviluppato e Cris era convinto che fosse per quella sua fede così forte che gli impediva di fare certe cazzate tipiche degli adulti. Di conseguenza il lato infantile di bambino era molto forte.
Pranzarono senza grossi intoppi, Ricardo gustò abbastanza volentieri quello che il compagno gli aveva con fatica ed entusiasmo preparato ma non aveva commentato in modo particolare come si sarebbe aspettato.
Non era normale che Cris cucinasse per qualcuno -ed in generale proprio che cucinasse…-, eppure buono o non buono, non gli aveva detto nulla a proposito, per cui male ci rimase eccome ma ingoiando il boccone amaro -uno dei tanti-, decise di darsi da fare ed andare ulteriormente avanti.
Con uno stato d’animo come il suo era normale non essere brillanti nei commenti e non dire cose simpatiche. Però il Ricardo per cui aveva perso la testa era anche quello che lo faceva morire dal ridere e che aveva quelle uscite incredibilmente buffe e brillanti, quello che lo spiazzava con battute e trovate originali e divertentissime. Quel suo lato insolito -a guardarlo non l’aveva immaginato nemmeno per sbaglio che quella persona così rispettosa, gentile e composta fosse anche estremamente divertente e allegra- l’aveva adorato dal primo momento in cui l’aveva scoperto.
Sospirò, era certo che sarebbe tornato ad esserlo.
Del resto anche quella era una sua parte autentica, per quanto brutta e noiosa fosse.
Se era così bravo a tirare su gli altri con la sua allegria contagiosa doveva quasi per forza esserlo anche a deprimersi e buttarsi giù. Non che fosse automatico ma quasi, solo che si era convinto che uno così fosse una roccia, che non potesse affondare facilmente.
Chissà come mai…
Dopo pranzo sorseggiarono con calma il caffè sul divano e pieni come uovi -Riky naturalmente aveva sì mangiato tutto ma la metà delle porzioni abbondanti che gli aveva fornito- rimasero tranquilli uno a parlare quasi a macchinetta delle cose più divertenti che gli venivano in mente e che gli capitavano e l’altro ad ascoltare con scarso interesse e nemmeno mezzo sorriso. In seguito al cosiddetto ammazzacaffè, ovvero l’amaro che bevve solo Cristiano, questi decise che aveva digerito abbastanza e che era ora di tirarlo su diversamente, quindi senza la minima esitazione ed essersi ancora fondamentalmente smontato -certamente l’idea di riuscire finalmente a fare l’amore con lui lo caricava bene- andò all’attacco con la sua maestria, pronto a sfoderare tutte le sue arti amatorie irresistibili. Ed ego o non ego sapeva di essere piuttosto bravo in quello anche senza impegno, se poi ci dava dentro allora non c’erano Santi che tenessero, ne era convinto e non si vergognava di quei pensieri.
Tanto più che ora erano soli a casa sua, non c’erano scuse per rifiutarglielo, non esisteva proprio.
Senza la minima fretta apparente -nonostante dentro ne avesse eccome- gli si sistemò accanto come se volesse stendersi per fare un sonnellino, piegò le gambe sul divano ed appoggiò la testa sulla sua spalla, non era  steso su di lui ma poco ci voleva. Erano i suoi soliti modi di fare, senza chiedere o capire se potesse dar fastidio. Ricardo non lo mandò via ma si irrigidì impercettibilmente.
Cris mosse la mano appoggiandola sul suo ginocchio e con una lentezza quasi esasperante cominciò a muoverla risalendo sulla coscia avvolta dai jeans.
Il compagno continuava a non muoversi e a respirare piano, non capiva se era per il desiderio che proseguisse oppure per la voglia di scappare. Poteva essere entrambe, visto lo stato d’animo da psicotico che aveva quello ultimamente.
Non si diede per vinto e non vacillò.
Con apparente naturalezza, come se non badasse minimamente a ciò che faceva, Cris cominciò a procurargli del piacevole solletico con la punta delle dita che poi si soffermarono a disegnare sull’inguine ancora rigorosamente coperto. Non sentiva molto grazie alla stoffa spessa dei jeans ma quel po’ bastava per accenderlo e volere di più. Certamente non era indifferente a quel leggero tocco sapiente.
Ricardo però ancora non reagiva e Cris, rimanendo appoggiato col capo alla sua spalla, gli slacciò abilmente i bottoni, in breve riuscì ad andare oltre i pantaloni e a giungere sotto i boxer, la sua intimità era calda e morbida e non accennava ancora a nessuna minima tensione. Cristiano cominciò a preoccuparsi ma non demorse infatti si limitò ad integrare alla mano che esperta si muoveva nel suo inguine, anche la bocca che cominciò calma e languida ad assaggiare partendo dal suo collo.
Gli era mancato il suo sapore così come la sensazione della sua erezione sotto le dita, stringerglielo e farlo suo a piacimento.
Quando la lingua cominciò a giocare seriamente con la pelle sensibile del collo, notò finalmente una concreta reazione alle parti basse e con soddisfazione si disse che ancora una volta non aveva fallito. Forte dell’eccitazione di Ricardo, proseguì il massaggio con maggiore intensità, risalendo con le labbra fino ad allacciarsi alle sue. Rimasero inizialmente serrate ma erano morbide e non rigide come acciaio, quindi ci mise poco a tormentargliele e a schiudergliele. Quando superò la soglia esterna e lo cercò per baciarlo come si doveva, constatò che ancora Ricardo era intento a non collaborare.
Gli si stava dando ma non aveva la minima intenzione di collaborare in alcun modo.
Si chiese cosa ci fosse di sbagliato, cosa non andasse e senza trovare risposta, continuò testardo, convinto che se a quello era indifferente, al resto avrebbe reagito bene.
Non esitò dunque a scendere, uscì dalla sua bocca e senza eccessiva fretta ed irruenza ma nemmeno troppa calma, si impossessò del suo inguine con le labbra. L’avvolse con esse e lo riscaldò ulteriormente inumidendolo con la lingua, cominciò poi a muoversi sempre più deciso ed impetuoso come lui sapeva essere.
Dopo il primo momento di assaggio aveva cominciato a muoversi con passione facendosi sentire più che mai e allo stesso modo l’eccitazione di Ricardo non poté che reagire a dovere. Più soddisfatto non avrebbe potuto sentirsi, sicuro che ormai era suo e che non gli avrebbe più negato niente.
Poi si corresse, il suo corpo glielo stava dando, il punto era che non ricambiava e che non era attivo nemmeno per il minimo.
Ricordava come si accendeva ai suoi tocchi intimi e decisi, come era capace di farlo andare fuori di testa fino a farlo urlare, graffiare e mordere. Ricordava il fuoco che l’accendeva grazie a come lo gestiva.
Ora non era nemmeno l’ombra di quello.
Turbato interruppe il proprio lavoro a metà e senza farlo concludere -e non certo con l’intenzione di ritardarlo per venire insieme dopo- si tirò su fino a guardarlo a quei pochi centimetri che li separavano. Sentiva il respiro sulla pelle del viso, vedeva tutte le piccole imperfezioni e le inclinazioni della sua espressione vuota e amorfa. Poi lo notò, in quel preciso momento si stava solo sforzando di rimanere così poiché in realtà era ben altro ciò che provava e sentiva. Il punto era… quel che provava era buono o brutto?
Decise una volta per tutte di venirne a capo e questa volta definitivamente, se ne sarebbe uscito distrutto per lo meno poteva dire di aver lottato con ogni mezzo.
Fissò gli occhi castano intenso in quelli neri come la notte di Ricardo, dopo esservi perso per qualche istante e col cuore in gola che batteva impazzito per la delusione cocente di cui aveva il terrore di imbattersi, disse:
- Dimmi cosa diavolo ti prende una volta per tutte. - E non era una domanda vera e propria ma un ordine, l’ordine di dirglielo, perché era chiaro che ci fosse qualcosa di preciso oltre al solito e vago ‘sto affondando perché non riesco più a giocare a calcio come vorrei, perché sono finito come giocatore, perché non ho più il dono di un tempo’ e via discorrendo
Perché anche se uno pensava queste cose, non c’era motivo per rifiutare in quel modo tutto ciò che solo mesi prima l’aveva fatto stare bene e che poteva ancora avere.
Ricardo trattenne il fiato e finalmente mostrò la disillusione che albergava nei suoi occhi, poi uscì l’amarezza. Tanta amarezza. Così nel suo sguardo non ne aveva mai vista e Cris cominciò a spaventarsi.
Odiava spaventarsi, ma era così.
- Mi dispiace davvero, Cris… - Esordì nel peggiore dei modi ed il giovane si tese raddrizzandosi sul divano, non si allontanò comunque, continuando a fissarlo da vicino ed inquisitore. Doveva domare la propria tempesta interiore, quel terrore di sapere dove volesse andare a parare.
- Per cosa? - Chiese con un filo di voce… magari era vergogna dimostrarsi così spaurito e debole, ma lì non riuscì proprio ad evitarlo perché era come ascoltare un copione già letto. Come se avesse già immaginato quel momento.
Voleva rifiutarsi di ascoltarlo ma doveva, non poteva essere vero ma doveva appurarlo. Doveva.
Ricardo prese forza con un respiro profondo, l’afferrò per le spalle con fermezza e con la cupezza che l’aveva caratterizzato in quei giorni, una cupezza mai vista in nessuno, disse lugubre e fermo:
- Io ti amo, lo sai. Tu sei la mia parte autentica, mi hai aiutato a guardarmi dentro e ad accettarmi per quello che sono ed i miei sentimenti non cambieranno mai. Ma non è una questione di sentimenti. È una questione di fede, ora. Ho provato a vivere ascoltando me stesso ma il risultato è stato lo smarrimento della mia strada. Per cui non trovo altra soluzione che questa. Tornare a percorrere la via giusta. -
Cristiano aveva la netta sensazione di essere in un sogno, anzi un incubo. Si avvicinò impercettibilmente al suo viso e gli prese a sua volta le spalle, si sforzò di non stringere ma gli sembrava anche di tremare.
- Giusta per chi? - Chiese con voce tesa di chi si tratteneva a stento.
A Ricardo non rimase che dargli l’ultima stoccata, il colpo di grazia, e dandoglielo sapeva che l’avrebbe ucciso ma non c’era verso di evitarglielo giunto a quel punto.
Non c’era proprio.
- Per Dio, perché sai che la mia vita gli appartiene. Lui me l’ha salvata e lui se la può riprendere quando vuole. Ho perso di vista le cose veramente importanti ed il risultato è stato questo. - Fece riferendosi chiaramente ai suoi numerosi problemi fisici che si ripercuotevano sul calcio impedendogli di giocare come un tempo. L’idea di essere finito come calciatore lo mandava nel panico perché era convinto di non essere altro al di fuori di quello.
- E quindi cosa intendi fare? - Improvvisamente lo mollò come se si stesse scottando, Ricardo invece rafforzò la presa.
- Mettere fine a questo errore e tornare a vivere sulla Giusta Via come facevo quando andava tutto bene. -
- L’errore sarei io, no? - Cristiano si tolse istericamente la mani di dosso ma al momento di scattare e gridare e fare la piazzata, lo fissò, i suoi occhi dispiaciuti e cupi ma convinti di quello che diceva. Era sincero in ogni singola parola e gesto. Era davvero innamorato di lui ma convinto che Dio non volesse la loro unione e siccome per lui Dio contava sopra ogni cosa, anche sé stesso, non poteva continuare a scontentarlo così.
Era davvero convinto che fosse giusto lasciarlo.
Davvero.
E quello lo smontò, lo smontò come non mai perché… come poteva competere con Quello Lassù?
Il nodo crebbe spropositatamente fino a minacciare di uscirgli lì e subito e terrorizzato anche da quello, si voltò senza dire più nulla. Aveva esaurito le sue forze, le sue risorse e la sua testardaggine. Aveva esaurito tutto, semplicemente non aveva più niente da dare se non quella stupida voglia di piangere, ma non l’avrebbe fatto lì. Perché ormai lui non era più nessuno per Ricardo e lui davanti ad uno che non era niente non piangeva.
Non gli disse nemmeno di andarsene, non un cenno. Solo a spalle basse risalì le scale e si chiuse in camera.
Ricardo rimasto solo sospirò profondamente turbato da quella sua reazione, pronto a litigare di brutto si era stupito di quel suo silenzio ma soprattutto gli si era sinceramente stretto il cuore a guardarlo in quello stato. La cosa più straziante, il suo non combattere più.
Detestava quando qualcuno stava male per colpa sua ma ancora di più se questo qualcuno per lui contava sopra ogni altra cosa. E lui lo amava veramente, solo che ora ci vedeva, riconosceva quali erano gli errori ed aveva visto gli effetti del compierli lo stesso. Non poteva ignorare tutto quello.
Non poteva proprio.
Mordendosi il labbro e con la voglia a sua volta di piangere perché per la prima volta in vita sua non voleva assolutamente percorrere la strada giusta, uscì di casa finendo per camminare per il resto della giornata da solo, senza meta, per le vie deserte e tranquille della periferia.
Non era affatto giusto…