*Eccoci
con un altro capitolo. Siamo ancora in quella che nella realtà è stata
l'effettiva migliore stagione di Karim, la 2011-12. Le cose per lui
sembrano andare molto bene ed ha una serie di buoni rapporti che
l'aiutano, ma sicuramente la fonte principale del suo cambiamento in
positivo deriva dalla maggiore vicinanza di Zizou e così un giorno si
sente addirittura di dirglielo. Ma non fa solo questo. Buona lettura.
Baci Akane*
11. IL CORAGGIO DI SÉ
Sono nel mio ufficio, la porta è
aperta come sempre, sto facendo un po’ di lavoro arretrato per il
presidente, lavorare nello staff di Mourinho mi fa trascurare un po’ il
lavoro come consigliere di Perez anche se non è molto impegnativo.
Sto leggendo, sottolineando e
trascrivendo per poi fare un lavoro di ricerca al computer, quando
Karim entra con un breve bussare giusto per annunciarsi.
Ormai sa che può entrare quando vuole, non serve nemmeno che chieda.
Alzo la testa dalle mie
scartoffie e lo guardo senza troppa sorpresa, sorrido e lo saluto
mentre lo vedo che si butta stanco nel divano dello studio.
È un divano piuttosto costoso in
stile con l’arredamento moderno, tutto di colore bianco e nero. A Karim
non sembra importare molto, perché tira su i piedi sui braccioli,
stendendosi completamente come se fosse a casa sua. Fortunatamente le
scarpe pendono oltre il nero in pelle su cui è.
Il braccio sulla fronte, l’altro
sulla pancia. Sembra tranquillo, completamente a suo agio, come sempre.
Ultimamente è la sua posizione preferita, come in uno studio di
psicoterapia.
Arriva più o meno a quest’ora, entra, si stende, parla a ruota libera e poi va.
A volte facciamo colazione o pranzo insieme, altre mia moglie lo invita a casa.
È un appuntamento fisso.
Ultimamente mi parla spesso di
Mourinho, è entusiasta, si trova bene con lui e magicamente quest’anno
Karim è sbocciato. Segna tantissimo, gioca in modo meraviglioso.
Fuori dalla finestra il sole è
basso ma non ci sono ancora cenni di tramonto, gli allenamenti sono al
mattino, ma il centro sportivo è aperto a tutti e annesso al centro c’è
la sede del Real con tutti gli uffici del personale tecnico e
dirigenziale.
Perciò chi viene in palestra, per esempio, può benissimo trovare un allenatore a lavorare in ufficio.
L’atmosfera è tranquilla ed io
vengo qua a queste ore proprio per stare per i fatti miei a fare un po’
di cose di lavoro, sono uno stacanovista e la stagione si avvia al
termine.
Sembra che vinceremo la Liga,
non possiamo dirlo troppo presto, però è stato uno splendido anno per
tutti, Cristiano, Karim e Gonzalo hanno segnato tantissimo e Riky ha
giocato tanto per sostituire Mesut infortunato, perciò le cose sono
andate benissimo anche per lui.
Karim sembra un altro.
- Sai, - Dice dopo un po’ che se ne sta in silenzio ed io ho ripreso le mie carte in mano. Non smetto di scrivere.
- Sì? - Chiedo calmo e tranquillo. Sono felice che mi cerchi, mi mancherebbe se non lo facesse.
- Poco tempo fa ho parlato con José. - Alzo un sopracciglio.
- José? - Chiedo perplesso
sollevando la penna dal foglio e guardandolo. Dalla mia posizione vedo
la testa coi capelli corti e scuri, il braccio sulla fronte, poco
altro.
- Sì, mi ha detto che se voglio posso chiamarlo per nome. - Risponde capendo perché gliel’ho chiesto.
Non lo vedo in viso da qua, ma
se mi alzassi per sedermi sulla poltrona nell’altro angolo, si
capirebbe che lo faccio per guardarlo e forse è strano, così mi sforzo
e ritorno a lavorare in un segno di normalità e consuetudine.
- Mi ha detto una cosa. Che ho
fatto un salto di qualità eccezionale e che finalmente ho mostrato
quello che voleva, che aveva visto. - Smetto di nuovo di scrivere e lo
guardo pur non vedendolo in viso. Sono shoccato.
- Ti ha detto questo? - Lo sento
sorridere e tira giù il braccio dalla fronte per tendere la testa e
guardarmi al contrario, sorride soddisfatto e felice come un bambino e
mi riempie d’orgoglio questo momento.
- Sì! - Gli occhi gli brillano e sorrido.
- Era ora! Sei arrivato dove
volevi. Gli hai dimostrato che mettere pressione non sempre è il metodo
migliore per far lavorare bene qualcuno! - Ricordo quella nostra
conversazione e lui sorride.
- Sì, gliel’ho dimostrato. Però
non è d’accordo. Secondo lui non sono migliorato perché ha smesso di
farmi la guerra fredda. - Almeno lo ha ammesso che faceva la guerra
fredda.
- E per cosa, secondo lui? - Torno a scrivere sui fogli e lui a guardare il soffitto.
- Secondo lui sono migliorato
perché in panchina non avevo più il suo sguardo a giudicarmi ed
agitarmi, ma il tuo a rilassarmi ed incoraggiarmi. Per lui è questo che
mi ha aiutato a giocare bene in campo. - A questo sbaglio il segno che
si allunga e faccio una smorfia, ma dimentico presto lo sbaglio che mi
ha fatto fare e lo guardo. Vorrei ancora alzarmi, ma sto fermo immobile
e trattengo il fiato, lo fisso da qua, vedo ancora solo la sua testa,
la sua fronte, niente altro. Non cambia posizione, non si gira.
- E tu? - Non so come non balbetto, sento il cuore accelerare. Davvero ha fatto un discorso del genere con lui?
- Sono d’accordo. Però gli ho
detto che comunque il fatto che abbia smesso di parlare male di me ai
media e che invece abbia iniziato a salutarmi e a sorridermi, mi ha
aiutato. Insomma, gli ho detto che quest’anno parliamo, scherziamo,
abbiamo un rapporto e che non può negare che questo aiuti un giocatore
a fare meglio il suo lavoro. Lui ha detto che è vero, sicuramente
aiuta, e che io sono una persona molto chiusa, diffidente e complessa e
che riuscire ad arrivare a me, a fare una breccia, non è facile. Però
quando si riesce si ottiene molto di più che con il bastone. Però ha
sostenuto fermamente che gran parte del merito è tuo, del fatto che tu
semplicemente sei seduto in panchina e mi guardi giocare. Il tuo
sguardo in partita mi rilassa. Lui ne è proprio certo. - Per un momento
immagino la sua arroganza mentre lo dice e non posso che convenire, lo
ammetto, è vero.
Karim odiava il suo sguardo
pressante e cattivo, come lo definiva. Questo lo deconcentrava
completamente. Ma io penso che semplicemente Mou ha smesso di fare
quello sguardo e Karim lo ha visto, tutto lì.
Però il fatto che lo pensi, che
Karim pensi che sia merito mio… è dolcissimo da parte sua. Sorrido
ebete, intenerito, ma non dico nulla ed allora lui si muove per
guardarmi, torna a tendere la testa per guardarmi al contrario e i
nostri occhi si agganciano.
Trattengo il respiro, ma non abbasso lo sguardo.
- Che ne pensi? - Temevo lo chiedesse.
Mi imbarazzo per la prima volta e per non arrossire, svio l’argomento.
- Non saprei, non posso
giudicare io. Sei migliorato molto, il motivo ha poca importanza. -
Così torno a scrivere o almeno tento visto che non ricordo che diavolo
stavo facendo ed allora lo leggo come se fosse armeno.
Karim così si alza stizzito dal
divano e si appoggia alla scrivania coi gomiti, tutto proteso verso di
me. Alzo lo sguardo, non ho scelta, lui mi fissa insistente,
contrariato. Mi irrigidisco e lo guardo sorpreso.
- Beh? - Chiedo fingendo di non capire.
- Andiamo, lo sai che è anche
merito tuo. Per me avere te in panchina che sei comunque dalla mia
parte, che mi conosce, mi apprezza, mi aiuta, mi consiglia, che tiene
davvero a me… beh, insomma, per me è importante. Non puoi non saperlo!
-
Karim insiste come di solito non
fa, così i nostri occhi si incontrano, mi irrigidisco, i miei gomiti
sulla scrivania, le mani a sostenere il mio mento, la penna
dimenticata. Lui ha le sue sulle carte dove dovevo scrivere, siamo
molto vicini, pochi centimetri. Potrei annullare la breve distanza e
baciarlo oppure aumentarla e appoggiarmi allo schienale.
Però rimango esattamente dove sono, respiro piano, non distolgo lo sguardo dal suo.
- Adesso lo so e ne sono molto
felice. Però voglio che tu sappia che è merito tuo se hai fatto questo
salto di qualità. Perché il talento è dentro di te e semplicemente
l’hai tirato fuori. Tu sei bravo, Karim. E l’hai potuto dimostrare
perché lo sei, sei tu che lo sei. - Lo ripeto mettendo forza e
convinzione nelle mie parole, rigirandomi questo momento in mio favore.
Ho mantenuto tutto su un certo piano e vorrei continuare così.
Però ora mi crea un certo disagio e la consapevolezza che la porta sia aperta è un problema, ora.
Non muovo un muscolo e lui così
si morde la bocca indeciso, così bella la sua bocca morbida, il labbro
inferiore è pieno che a volte vorrei succhiarlo.
Le sue dita si muovono e
prendono le mie unite sotto il mento, me le afferra e tira a sé e
togliendomi l’appoggio, mi muovo automaticamente verso di lui.
In questo modo le labbra si sfiorano, lui apre le sue e le posa delicatamente, timidamente, sulle mie.
A volte ci sono questi momenti.
Momenti in cui Karim trova il coraggio di sé e si vive, vive quel che
desidera. Poi se ne rende conto e va in confusione, ma in certi momenti
ci riesce ed è una specie di magia.
Mi guardo bene dal respingerlo,
chiudo gli occhi e mi rilasso schiudendo le labbra, accolgo le sue e
succhio quelle che mi ha fatto desiderare ardentemente. Succhio il suo
labbro inferiore pieno e caldo e appena me ne rendo conto, appena mi
rendo conto che sto accettando il suo bacio e che sto rispondendo, mi
sale su una tale emozione incontrollabile da non potermi fermare.
Mi tiene una mano con la sua
solo tramite le dita intrecciate, sospese fra noi due. L’altra è
semplicemente caduta e senza rifletterci vado alla sua guancia,
l’appoggio delicatamente lì e il mondo scivola via improvviso mentre
tira fuori la lingua e la infila nella mia bocca.
Non voglio interrompere la
magia, non voglio assolutamente farla finire. Così schiudo e gli vado
incontro, le lingue si toccano e si intrecciano, è il mio primo bacio
con un ragazzo, il primo bacio vero. Ed è il primo vero che do a lui.
Anzi, che ci diamo.
Non volevo, non dovevo, ma le parole di David tornano alla mente.
‘Non frenare nulla.’
Sarebbe difficile. A meno che…
un rumore dal corridoio, una porta si chiude e si apre poco più in là
di questa e così ci separiamo di soprassalto realizzando che la nostra
è ancora aperta e possono vederci.
È lui il primo ad andare nel panico e sono fortunato che non è incosciente, ma fermamente riservato.
Si raddrizza sconvolto, si gira
subito a vedere ed effettivamente passa qualcuno che ficcanasa nello
studio, saluta ed io sorrido ricambiando, Karim è in un lampo
dall’altra parte della stanza e cammina respirando velocemente come in
un attacco di panico. Si fa anche aria con la mano. Così non mi resta
che ridere, mi alzo e vado con calma a chiudere la porta, non so che
idea ho, non so cosa dovrei fare ora o cosa vuole fare lui. Però lo
raggiungo e sempre calmo, anche se sono molto eccitato e felice di
questo bacio, gli metto le mani sulle braccia e strofino per calmarlo.
Cerco il suo sguardo che lui invece devia.
- Ehi… va tutto bene… - Dico
piano, conciliante. Le mani si muovono e lui lentamente smette di
tremare. Vorrei abbracciarlo e dirgli che non è successo niente, che
non succederà più, che non è brutto e che lo volevo da una vita, però
forse gli renderei l’esistenza troppo complicata. Lui che fa di tutto
per gestire il suo privato come un agente dei servizi segreti, quanto
sarebbe in grado di gestire me con distacco?
Con Gonzalo ha i suoi problemi e non è ancora chiaro cosa prova per lui.
Poi mi fermo e lo realizzo.
- Provi qualcosa per me? - Non è
il modo migliore di metterlo a suo agio, ma non è che ci sia un modo in
realtà. Lui alza lo sguardo di scatto ed indietreggia come un gatto
randagio, spaventato. Lo lascio e si appoggia alla libreria,
incastrandosi da solo, io non mi sposto, rimango davanti a lui, però
non lo tocco. Lo guardo cercando di non essere inquisitore, ma lui
sembra voler solo evaporare. Lo metto a disagio ed è inevitabile.
- Non lo so. Sì. Sicuramente
qualcosa sì. Non ho mai voluto pensarci. Mi è venuto di baciarti e l’ho
fatto, eravamo in un certo momento e non sono riuscito a trattenermi.
Mi è sembrato lo volessi anche tu, come quella volta. Avevo promesso
che non l’avrei più fatto, ma tu hai risposto ed io… - Ed io dovrei
dire qualcosa.
Cosa dico? Lo bacio di nuovo?
Lo faccio mio?
Ma poi Veronique, i miei figli,
i nostri ruoli, le sue enormi paure delle relazioni e dell’amore. Tutto
mi piomba addosso di nuovo e forse è meglio che faccio un passo
indietro, calmo, alzo le mani e sorrido dolcemente.
- Non importa cosa sia. È stato
bello e spontaneo. Ci vogliamo bene e quando due si vogliono bene a
volte certe cose nascono spontanee. Va bene lo stesso. - Dico
semplicemente.
Però continuo ad indietreggiare
e lasciargli modo di andarsene, lui respira meglio, rimane fermo
imbambolato a guardarmi, indeciso. E mentre lo fa, io torno a tirare su
il muro.
- È meglio se vai da Gonzalo. - Dico poi tornando alla scrivania, col sottinteso che non ne riparleremo più.
Non so quanto senso abbia, non
so come la viva e cosa ne pensi e forse non è proprio da Gonzalo dove
andrà. Forse cercherà qualcun’ altro di fidato da cui andare a
confidarsi e dirgli quel gran caos che ha dentro adesso.
Spero sia Mesut, ma per un momento ho paura che sia José. Paura.
Paura per cosa?
Perché José è imprevedibile e
non sai mai cosa gli salterà in mente sapendo le debolezze di qualcuno.
Perché oggi è tutto un amico, ma domani potrebbe diventare il tuo
peggior nemico. E mentre annuisce agitato e prende il telefono dal
tavolino vicino al divano, vorrei dirglielo.
Va da Mesut e non da José. Ma
poi forse sarebbe troppo, da parte mia, e non dico nulla. Sperando di
non aver appena gestito malissimo una delle cose più importanti della
mia vita.
Ho avuto subito la sensazione d’averla gestita male, ma purtroppo ormai le cose sono andate.
Per non ferire Karim avrei dovuto cedere a questo sentimento, però lì, sul momento di farlo, quando c’ero, ho avuto paura.
Sono cose che succedono solo se
le vivi, prima ti puoi fare tutti i film che vuoi e dire che ok, lo
farai, sarai pronto, non ti tirerai indietro, ma quando ci sei, quando
TU ci sei, le cose sono ben diverse.
Essere pronti è una parola, esserlo davvero è ben altro.