CAPITOLO III:
FIDATI
Tornato negli
spogliatoi, gli altri suoi compagni avevano quasi finito e la maggior
parte erano usciti; Ricardo cominciò a spogliarsi pensieroso mentre il
viso dell’allenatore e le sue parole gli gironzolavano ossessive per la
testa. Che potesse veramente fare una cosa del genere? Farlo tornare al
Milan?
Ne dubitava, era
lì solo da un anno…
- Che ti ha
detto? - gli chiese a bruciapelo Cristiano facendogli prendere un
colpo, l’amico lo guardò trattenendo uno sguardo truce che comunque non
sarebbe mai riuscito a fare, quindi notandolo il portoghese ridacchiò
divertito mentre si asciugava il collo ed il lato della testa
strafondo, appena uscita dalla doccia.
- Che devo
fidarmi di lui. - Disse puntando l’attenzione solo sull’ultima frase
come se su tutto il discorso, per lui contasse solo quello.
Cristiano si
fermò e lo guardò con stupore:
- Cosa? Mourinho
ti ha detto una cosa simile?! Così, senza motivo? - Ricardo allora si
rese conto che messa così appariva effettivamente strana, considerando
il soggetto di cui parlavano, così prendendo le sue cose per lavarsi
spiegò con finta noncuranza -cosa che non gli venne bene poiché si
capiva quanto quel discorso l’avesse toccato-
- Ha detto che
non mi sono ripreso dal trasferimento e che se voglio tornare a Milano
glielo devo dire. Ha anche detto che se fossi un altro giocatore del
mio livello penserebbe ad un infortunio, ma mi conosce e sa che sono
sottotono perché non riesco a lasciarmi alle spalle la mia precedente
squadra. -
- Intuitivo il
tipo! - Rispose ironico.
- Mi ha detto
che lui può fare tutto! Di fidarsi. - Concluse Ricardo mostrando un
aperto turbamento per quel dialogo. Non se lo spiegava ma non riusciva
comunque a mascherare nessuno dei suoi stati d’animo, era troppo aperto
e pulito, come persona.
Entrò nel box
della doccia senza dire altro, quindi Cristiano cominciando a vestirsi,
continuò a parlargli ad alta voce:
- E tu che ne
pensi? - Fra le voci dei compagni rimasti che stavano finendo di
prepararsi, riuscirono a sentirsi ugualmente:
- E cosa devo
pensare? Non credo proprio che possa farmi tornare a Milano così
facilmente come dice lui… - Al ragazzo che l’ascoltava, per poco non
gli venne un colpo e affacciandosi dal muretto in piastrelle, lo guardò
stupito per capire se fosse serio o meno:
- Tu che dubiti
di qualcuno?! Non è da te, Riky! - Pur dicendolo con una certa ironia,
era anche serio visto che effettivamente il trequartista, da quando lo
conosceva, non aveva mai dubitato di nessuno, nemmeno si era lamentato
del suo peggior nemico -certo, perché non ne aveva, di nemici…-
Ricardo, che era
sotto il getto dell’acqua e al momento era quindi bagnato come un
pulcino, si girò a guardarlo spaesato. Aveva ragione, non poteva
dubitare così di nessuno, specie del suo nuovo mister. Uno che per di
più aveva la fama di dire tutto quel che pensava senza perdere tempo in
ipocrisie di alcun tipo. Rendendosi conto che non era davvero da lui
comportarsi così, rimase a ricambiare lo sguardo sbalordito ed ironico
del compagno che, invece di aggiungere qualcosa di divertente per
sdrammatizzare -come faceva di solito- strinse le labbra in un gesto
vago di disappunto e dispiacere. Lo conosceva abbastanza, ormai, da
sapere che Ricardo in quelle condizioni era davvero alla frutta.
Non aggiunse
nulla, tornò negli spogliatoi a finire di vestirsi, quindi continuando
a pensare ad una buona risposta, provò a dire qualcosa che, invece, non
sarebbe mai stato da lui.
- Se ti ha detto
di fidarti, fidati. - Semplice e lineare, no? Davvero una parola!
Ricardo sospirò
passandosi le mani sul viso più volte nella speranza che l’acqua
portasse via tutti i suoi dubbi e quello stato d’animo pesante che non
gli apparteneva.
Doveva
riscuotersi e farla finita, una buona volta.
Eppure anche il
fatto che nemmeno sua moglie riuscisse ad aiutarlo e a capirlo, lo
buttava solamente più a fondo. Insieme alla consapevolezza che
strisciante si faceva strada in lui.
La sua fede gli
aveva insegnato che in Gesù tutto si poteva risolvere e che sarebbe
bastato l’amore per superare ogni momento difficile, ma per quanto
avesse amato sua moglie e sposandola da vergine ne fosse stato
convinto, ora stava provando sulla sua pelle -e in maniera brutale per
uno come lui- che invece non era così.
L’amore, quella
volta, non stava bastando. Non stava bastando al punto da fargli
chiedere se, dopotutto, non avesse scelto la donna sbagliata.
Arrivare a venti
anni vergine forse poteva rappresentare un arma a doppio taglio. Certo
era un gesto di fiducia totale in chi andava a sposare, ma forse era
anche motivo di abbaglio, in un certo senso. È che all’epoca gli era
parso di desiderare talmente quella ragazza da fare quel passo, un
passo in cui lui credeva come la sua stessa vita.
Però ora
ritrovarsi infelice e non capito da lei, lo faceva sentire anche solo
ed era terribile.
Forse ammettere
che il suo stato d’infelicità era provocato anche da sua moglie, l’avrebbe
aiutato in un certo modo. O forse affondato di più.
Ammettere di
aver idealizzato un qualcosa che nella realtà era diverso, aver messo
tutto in un rapporto che poi si stava rivelando diverso da quello che
lui pensava, il fallimento nel realizzare che colei che avrebbe dovuto
saperlo aiutare, invece non ci riusciva e cercare di capire perché, non
era facile per uno che aveva una fede simile e che tutto quel che aveva
fatto, l’aveva sempre compiuto a seconda del suo credo personale.
Seguire la
strada di Gesù, dopotutto, non era facile. Quando eri convinto di
averlo fatto da tutta una vita e poi arrivava il momento in cui ti
rendevi conto che, forse, non era proprio così, era davvero terribile.
Come poteva dire
che non era solo una questione di città e squadra e compagni ma anche
di matrimonio?
Ammettere che
con sua moglie non andava come lui aveva progettato e sempre creduto,
era ammettere che la sua fede aveva dei buchi e per lui era
inammissibile. Sarebbe stato peggio di qualunque cosa in assoluto.
Però i fatti
parlavano.
Caroline non
riusciva ad aiutarlo, a comprenderlo, a farlo sentire meglio.
E questo
peggiorava tutto influenzando negativamente ogni altro aspetto della
sua vita, ripercuotendosi nella cosa che faceva più di tutti, il
calcio.
Però non era
ancora pronto a parlarne con anima viva, specie perché effettivamente
non sapeva proprio con chi.
Un tempo avrebbe
saputo con chi farlo, al Milan erano tutti i suoi fratelli maggiori.
Con Andry, soprattutto, avrebbe affrontato subito il discorso.
Ma lì ancora non
riusciva a trovare nessuno con cui parlarne.
Con Cristiano si
era instaurata una bella amicizia nonostante fino a pochi anni prima
erano stati rivali in campo e non avessero mai avuto un rapporto
idilliaco. Madrid era una città splendida, i suoi compagni nuovi erano
in gamba ed erano sempre stati solidali con lui, guardandolo come uno
dei nuovi membri importanti del Real. Però era troppo presto per
sentirsi talmente in sintonia con loro da poter confidare una cosa
simile.
Nessuno di loro
sapeva quanto per lui fosse importante la sua fede e quindi cosa
significasse anche solo dubitare del suo matrimonio.
Però ora l’amore
non gli bastava a c’era qualcosa che non andava, doveva guardare in
faccia la realtà.
No, non sapeva
proprio come fare e quello stato d’oppressione insopportabile, stava
crescendo sempre più portandolo a fondo, dove non voleva andare.
Doveva
aggrapparsi alla sua fede, lo sapeva, e pur facendolo si sentiva una
sorta di traditore visto che c’era quella dannata possibilità di aver
invece sbagliato tutto e di stare con una donna che invece non amava
quanto aveva pensato all’inizio, quando l’aveva sposata.
Uscì dalla
doccia schiacciato da tutte le sue considerazioni di fallimento
personale, quindi si stupì nel trovare lo spogliatoio vuoto ad
eccezione di una persona. Si fermò e ancora una volta non mascherò il
proprio stato d’animo, quindi senza vergognarsene disse:
- Cris… ma che
ci fai qua? Pensavo fossi andato con gli altri… -
Lo vide
sorridergli senza l’intenzione di alzarsi dalla sua postazione sulla
panchina, sull’orlo, con le gambe allungate in avanti ed incrociate,
quindi disse semplicistico:
- Ti aspettavo,
non vedi? - Certo che lo vedeva, ma ugualmente gli pareva stranissimo.
Non l’aveva mai fatto se tardava così tanto.
- Pensavo
morissi di fame… -
- Non così tanto…
- Fece allora alzando le spalle, fingendosi indifferente. Lui, invece,
a mascherare ciò che pensava ci riusciva benissimo!
Ricardo rinunciò
a capire meglio quello strano individuo che di anno in anno lo stupiva
sempre. Da creatura non molto simpatica lentamente era diventato un suo
amico lì a Madrid ed ora addirittura lo aspettava come se fossero
affiatati.
Improvvisamente
si sentì meglio e mentre si vestiva in silenzio, gli parve nettamente
che il peso allo stomaco si stesse rimpicciolendo un po’.
Forse anche se
un tipo di amore falliva, si poteva confidare in uno di altro genere,
ma sempre valido.
L’amicizia, Gesù
insegnava, era la cosa più preziosa al mondo e comunque era amore anche
quello.
Che il rapporto
con Cristiano fosse di vera amicizia, dunque?