CAPITOLO
VI:
PERDONAMI
Come
riuscì ad arrivare in camera non seppe nemmeno lui, gli parve di essere
un fantasma che vagava senza più consistenza.
Per
uno qualunque ammettere una crisi nel proprio matrimonio, forse, non
sarebbe stato poi tanto pesante, ai giorni attuali e nel suo ambiente.
Ma per lui, con la fede che si ritrovava, che tutto ciò che affrontava
lo faceva in base a Dio, una cosa simile era terribile ed
inammissibile. Sinonimo di fallimento ma non verso sé stessi o sua
moglie, bensì verso Dio davanti a cui aveva giurato di amare Caroline
per tutta la vita.
Ci
aveva creduto e l’aveva fatto tanto da arrivare vergine all’altare.
Quello
era il modo in cui lui credeva in Dio.
Quello
era lui.
Totale
e vero, non certo tanto per fare.
Per
Ricardo anche solo ammettere che il suo matrimonio era in crisi, e
senza avere ben chiaro un solo piccolo motivo, era una specie di
tragedia.
In
che misura era in crisi?
Perché
non gli bastava più sua moglie per superare quel suo momento difficile
nel lavoro, perché aveva bisogno di altro… un altro che, dopotutto, non
era nemmeno Dio.
E
questo per lui erano il pensiero e la consapevolezza peggiori.
Quando
se lo vide entrare in camera, Cristiano veniva da un’ora terribile
durante la quale si era immaginato il suo grazioso compagno di camera a
letto con signor pervertito a compiere tutte le pose del kamasutra e ad
inventarne un paio di nuove!
Piazzato
mezzo nudo col broncio davanti alla finestra spalancata alla ricerca di
un po’ di fresco, aveva pensato e ripensato a Ricardo e José mentre si
rotolavano allegramente nel letto, nel pavimento e poi magari anche nel
soffitto con un paio di acrobazie, poi nel pieno delle sue gelosie più
acute, in uno stato d’animo capace di sparare a chiunque senza nemmeno
una pistola, aveva sentito alle sue spalle la porta aprirsi e quando si
era girato aveva visto il suo compagno di stanza tornare silenzioso più
che mai, con un’espressione tremendamente angosciata. Lo guardò in viso
e notò immediatamente che era sull’orlo del pianto e vederlo in quello
stato era come una stilettata nella milza. Si rabbuiò istintivamente.
-
Quel maniaco cosa ti ha fatto? - La prima cosa che gli venne in mente
fu quella, che il mister avesse perso il controllo davanti alla sua
dolce ingenuità -come spesso accadeva anche a lui- e avesse cercato di
violentarlo. A nulla servì la ragione che cercava di dirgli che c’era
una certa differenza di stazza e di forza…
Avanzò
deciso verso di lui con l’intenzione di uscire in boxer e dirigersi a
passo spedito da José e massacrarlo di pugni, ma quando fu davanti a
Ricardo si rese conto che lo guardava spaesato seppure in mezzo alle
sue elucubrazioni, quindi capì di essere fuori strada.
Un
paio di centimetri a separarli.
-
Non ti ha fatto niente? - Chiese allora non sapendo più cosa pensare.
Ricardo
sgranando gli occhi lucidi, non capì proprio a cosa si riferisse…
-
Cosa doveva farmi? - E se non fosse stato in evidenti condizioni
pietose, lo avrebbe sbattuto contro il muro e se lo sarebbe fatto
seduta stante.
Se
non la finiva di essere così candido, davvero non si sarebbe più
controllato!
Strinse
i pugni e tirò tutti i muscoli che si videro all’istante dal momento
che erano già in bella mostra. I lineamenti sinuosi di natura si
indurirono mentre cercava di capire, poi senza successo semplicemente
chiese:
-
Che c‘è, allora? - E lì davanti alla porta chiusa, quello che prima
aveva cominciato a spezzarsi davanti a José ma che aveva fatto di tutto
per trattenere, si sciolse completamente in Ricardo.
Si
sciolse facendo uscire gli argini e solo per l’idea di dover dire cosa
era successo.
Spiegare
che aveva capito qual era il vero problema che lo assillava e l’aveva
spento.
Era
partito tutto con il lasciare la sua squadra, la sua città -o per lo
meno quelli che ormai erano diventati suoi-, era proseguito con uno
spegnersi repentino, un non riuscire più a riprendersi come un tempo,
un non farcela davvero, era sfociato in un non sentirsi capito nemmeno
e soprattutto da sua moglie, un sentirsi addirittura solo. Ed ora tutto
quello aveva un nome.
Lo
disse in un mormorio mentre lo fissava negli occhi senza riuscire più a
vederlo bene poiché la nebbia improvvisamente era uscita appannando la
sua vista.
-
Il mio matrimonio è in crisi… - E mentre Cristiano sentiva assurdamente
un egoistico senso di sollievo nel sentirglielo dire, lo sentì premersi
contro di sé e si vide quasi dall’esterno mentre lo circondava con le
sue braccia forti e protettivo l’abbracciava preso anche alla
sprovvista. Impacciato, quasi.
Ricardo
nascose il viso sul suo petto nudo dove la pelle sensibile, sentendo le
sue lacrime che scendevano a bagnarlo ed il suo respiro irregolare,
reagiva facendolo rabbrividire.
Per
uno come lui non doveva essere facile ammettere una cosa simile, tanto
meno affrontarla.
Lo
sentì quasi a peso morto addosso, quindi senza pensarci si girò
appoggiandosi con la schiena alla porta, tenendosi ben stretto a sé
quello che ora gli appariva come un ragazzino sperduto. Il ragazzino in
questione si appiattì completamente su di lui senza rifletterci un
secondo, aggrappandosi alla sua schiena forte. Ricardo era docile e
faceva tutto quello che lui voleva.
Se
avesse voluto se lo sarebbe potuto prendere, e la questione in quel
momento, mentre piangeva fra le sue braccia come un bambino facendo
uscire tutta l’angoscia che l’aveva oppresso in quegli ultimi tempi,
era se sarebbe stato abbastanza maturo da capire che non era giusto lì,
così, con il compagno attualmente più fragile che mai.
Lo
desiderava come non era mai arrivato a desiderarlo.
-
E’ colpa mia… - Lo sentì mormorare singhiozzando. Brividi prepotenti su
tutto il corpo.
-
Perché? - Chiese piano carezzandogli lentamente i capelli arruffati e
successivamente giù la schiena che tremava.
-
Non lo so… ma ne sono sicuro… - Oh, non lo era affatto e lo si capiva,
ma sapeva che uno con una fede simile, rendendosi conto di qualcosa di
quella portata, non poteva far altro che accusare sé stesso nella
ricerca di una redenzione.
-
Non è vero… perché dici che siete in crisi? - Non gli interessava nulla
del perché erano in crisi e dannazione, il suo bassissimo controllo
stava scemando pericolosamente via, mano a mano che le sue calde
lacrime gli bagnavano il torace e che premeva anche il bacino con una
tale ingenuità da fargli male.
-
Non mi basta… Caroline non mi basta più… non mi sento capito… mi sento
solo quando sono con lei… non va come avrebbe dovuto… non sono ancora
riuscito a superare il trasloco, il mio essere così fuori forma, la
mancanza dei miei amici, di quella che ormai era casa mia… mi sarebbe
dovuto bastare lei. Lei doveva essere il mio tutto. La mia famiglia. Ma
io sono ancora spento e non riesco a riprendermi e lei non capisce
perché, non riesce ad aiutarmi. Io ho bisogno di altro che mi tiri
fuori da qui… - Lo sfogo era arrivato come un fiume che straripava
dagli argini, quindi ascoltandolo Cristiano cominciò ad accarezzarlo
più sentitamente e prima che se ne accorgesse le mani avevano preso a
muoversi per conto proprio.
Sotto
la sua maglietta, a cercare il contatto con la pelle accaldata per
tentare di fermare quel tremore che lo scuoteva a quel modo.
Non
poteva sopportare di vederlo in quelle condizioni, era una cosa che
detestava dal profondo. Lui era luce, ora le sue ombre erano davvero
troppe ed era ora di finirla.
Era
davvero ora di finirla, non poteva lasciare che si avvinghiassero
intorno a lui a quel modo e che glielo portassero via.
-
Andrà tutto bene… ce la farai… non sei davvero solo… - Ed anche se
dopotutto non erano cose da lui, quelle, si sentì di dirgliele
semplicemente perché Ricardo invece ne aveva davvero bisogno ed
infatti, credendoci, tirò su la testa cercando i suoi occhi. I loro
visi vicinissimi, i respiri che si confondevano, quel bel volto dai
lineamenti dolci e delicati stravolto dalle lacrime che scendevano.
E
tutto il suo autocontrollo troppo labile che andava a puttane.
Totalmente
a puttane.
Senza
alcun avviso e nemmeno il tempo di realizzarlo, Cristiano a quel punto
prese il viso di Ricardo fra le mani e l’attirò a sé ulteriormente
annullando anche quella minima distanza.
Trovando
finalmente le sue labbra carnose e salate che tremavano.
Riuscendo
a fermarle con dolcezza.
Aprendole
ed infilandosi in esse, facendosi strada con la lingua fino a trovare
la sua immobile e paralizzata come ogni altra parte di sé.
Quella
purezza, ora che finalmente l’aveva nella sua bocca e poteva
mangiarsela, era davvero meravigliosa.
Lo
realizzò mentre lo baciava, conscio che l’altro era troppo shockato per
rispondere o fare qualunque altra cosa.
La
ragione era ormai ben lontana da lui e quella gioia incontrastata era
ormai il demone che lo possedeva facendolo uscire di testa a quel
contatto che, doveva ormai ammetterlo, aveva desiderato a lungo ma non
aveva mai osato prendersi.
Ed
ora?
Ora
perché sì?
Cos’era
cambiato, ora?
Quando
un piccolo angolo della sua testa completamente andata per Ricardo gli
rimandò quella domanda, si accorse che ora era semplicemente lo stato
d’animo dell’angioletto ad essere cambiato.
Era
crollato, era fragile, era spaesato, confuso, perso e lui ne aveva
semplicemente approfittato.
Certo,
una cosa da lui ma non con Ricardo.
Assolutamente
non con lui a cui nessuno osava mettere mano visto il tipo particolare
che era.
Nessuno
osava sporcarlo.
Lui
ora l’aveva fatto e proprio nel suo momento di massima fragilità.
Realizzandolo
sgranò gli occhi e lo staccò da sé bruscamente fino a non farsi più
toccare da lui.
Ricardo
rimase paralizzato a fissarlo incredulo per quel che era appena
successo e probabilmente senza nemmeno capirlo ancora.
Cristiano
si guardava bene dal toccarlo ancora, visto cosa era successo al primo
vero contatto.
-
Mi dispiace… - Cominciò allora in un sussurro sinceramente pentito. Non
pensava di essersi mai sentito peggio. - perdonami… - Lui era un verme
di norma, senza morale e riguardi per nessuno, ma Ricardo era diverso.
Come aveva potuto fare con lui come faceva con tutti? E proprio in un
momento simile? Il brasiliano lo fissava più confuso che mai senza
riuscire a capire. - …io… sono una vera bestia… ho approfittato così
del tuo momento di debolezza… non dovevo, ti prego, perdonami… -
Ricardo
spaesato non capiva, cosa aveva significato quel bacio?
Certo,
per lui una cosa simile non era normale e forse desiderava spiegazioni
che non poteva ancora capire con il caos che aveva, ma non voleva
vedere Cristiano così, come impanicato e mortificato. Non era da lui,
sempre così forte e deciso.
-
Va… va tutto bene… - Anche se non ne era molto sicuro. Però gli premeva
rilassarlo e tranquillizzarlo. Allungò istintivamente una mano e lo
toccò sul braccio, ma il compagno si spostò immediatamente come se
farsi sfiorare ancora potesse provocare una scossa ed accendere una
miccia che, quella volta, sarebbe stato impossibile spegnere.
-
E’ meglio se… bè… è un momento delicato per entrambi… - La fatica che
Cristiano stava facendo per trattenersi e controllarsi era davvero
evidente ed immane, Ricardo lo capì ma non se lo chiarì, suo malgrado
decise di rispettarlo.
Lo
vedeva imbarazzato per la prima volta.
E
lo era davvero, dal momento che aveva una di quelle eccitazioni da
capogiro e che se l’avesse avvicinato ancora una volta sarebbe
semplicemente venuto.
Non
poteva, non era il caso, non adesso, non dopo tutto quello…
Senza
sapere come dirglielo, evitò proprio di farlo e sparì svelto dentro al
bagno a sfogare il resto delle sue basse voglie prepotenti, mentre
nella camera Ricardo ancora confuso non capiva sa potesse continuare a
disperarsi o se dovesse preoccuparsi per l’amico che si comportava in
modo così strano.
Un
modo davvero insolito per concludere uno sfogo…