CAPITOLO
XVI:
OBIETTIVI
Non erano gli
stati d'animo ideali, ma forse quella rabbia mi giovò. Di norma se
ero nervoso non ero lucido, ma lì il problema più grande era
l'avere Rafa davanti. Facevo tutto quello per lui, per conquistarlo,
in un certo senso. Se avevo successo nel tennis, avrebbe capito che
ero uno di parola, affidabile, un uomo.
Avercela con
lui in quel momento mi aiutò a non distrarmi col pensiero che stava
male, giocai senza pietà ed andai come un treno.
Il primo set,
almeno.
Quello lo vinsi
6 a 3.
Purtroppo
arrivò il secondo e se nel primo avevo pensato di aver avuto
ragione, che non poteva essere competitivo con la schiena in quelle
condizioni, nel secondo mi ricredetti.
Non solo tenne
duro, ma lo vinse!
7 a 5.
Vincere un set
7 a 5 significava andare di testardaggine e forza di volontà, perchè
arrivi ad un passo dal tie break e a quel punto uno lo lascia andare
concentrandosi proprio su quello, giocandosela lì. Non si sforza
troppo per prendersi il set. Di solito funziona così.
Sul 6 a 5 con
l'avversario di servizio, focalizzi il tie break aspettando il 6 a 6.
ma Rafa spinse
come un matto per farmi break e lo fece prendendosi il maledetto 7.
Quando lo vidi
non ci credevo!
Era
impossibile.
Stava male, lo
sapevo e lo vedevo perchè certe cose non le provava proprio, niente
gioco acrobatico, niente mosse da pazzo. Alcune non gli riuscivano,
certe le sbagliava e non erano da lui, pochi scatti, poca corsa da
scavezzacollo, molte palle non tentava di recuperarle a tutti i costi
come suo solito.
Insomma, era un
Rafa snaturato eppure era lui... era lui perchè si aggrappava con
unghie e con denti al suo desiderio di vincere.
Vederlo vincere
un set in quel modo mi riportò bruscamente alla realtà facendomi
dimenticare la discussione e tutto il resto.
Davanti a me
avevo la persona che amavo, che contava di più, e giocava con una
schiena probabilmente a pezzi e non ne aveva proprio ma faceva di
tutto per vincere lo stesso. E ce la poteva fare.
Io non mi
capacitavo di come poteva.
Non mi
capacitavo proprio.
Questo mi
deconcentrò.
Se fosse stato
uno qualunque ce l'avrei fatta, ma con lui non ci riuscii. Non perchè
lui era superiore a me. In quel momento non lo era per forza di cose,
ovvero il mio fisico era superiore al suo, ma era lui a tentare
l'impresa che definire titanica era riduttivo.
Oltre al fatto
che era il suo nono Roland. Cioè sarebbe stata la sua nona vittoria
nello Slam.
Non... non
potevo farcela. Non potevo perchè era la persona che amavo e stava
tentando un'impresa disperata e giocava con una tale convinzione e
voglia che non ci credevo. Non credevo che riuscisse a prendersi
punto dopo punto, a giocare in quel modo.
Non riuscivo a
crederci!
E lo stavo
amando di più per quel che stava facendo.
Cioè non so,
credo mi stesse commuovendo, anche se mi innervosiva dall'altro lato
perchè io in compenso non ci stavo riuscendo.
Lui mi
impressionava ed io mi deconcentravo.
Non riuscii più
a tornare nel match.
Il terzo set se
lo prese per 6 a 2 ed il quarto per 6 a 4.
In due parole
mi schiacciò in una condizione totalmente contraria, quando ero io
lì per dimostrargli qualcosa.
Invece avevo
fallito, me l'aveva dimostrata lui ancora una volta.
Lì, mentre
andai a salutarlo stordito ed incredulo, lo vidi irraggiungibile.
Vacillai, forse
mollai. Non so bene. Ero come in uno di quei sogni in cui fai senza
capire cosa perchè hai uno stato d'animo totalmente fuori di te.
Ero deluso da
me stesso, mi vergognavo, volevo nascondermi, non uscire più allo
scoperto.
Non ero
arrabbiato e furioso. Ero proprio moralmente a pezzi.
Ma quando lo
vidi lì a terra che piangeva, appena dopo aver vinto il punto, capii
che ci aveva semplicemente creduto più lui, o forse semplicemente
l'aveva desiderato di più.
Forse io, dal
terzo set in poi, avevo solo sperato che non stesse troppo male.
Il mio primo
pensiero era diventato la sua salute. Io penso questo.
Vederlo
piangere ad una vittoria era una cosa che credo mi mancasse,
sconvolto da questo fatto tutto venne spazzato via. La sensazione di
essere in un incubo, quello shock, quella cocente delusione verso me
stesso.
Vederlo così
mi fece tornare in me, quel me che lo adorava e che non ci poteva
fare nulla per questo.
Ero distrutto
per la mia sconfitta, ma ero anche felice per la sua vittoria.
Si era vinto il
nono titolo e lui stesso non ci poteva credere.
Il suo nono
Roland.
Rafa era
entrato nella storia e mi insultavo perchè ero fiero di lui.
Ma questo
significava anche averlo deluso e mi tornarono alla mente le sue
parole nello spogliatoio, prima della partita.
Specie quando
poi ci tornammo per lavarci in attesa che fuori preparassero tutto
per la premiazione.
La
dimostrazione di come si fa seriamente qualcosa.
Ebbene me
l'aveva data lui, alla fine.
Io ero ben
lontano da lui e da quel che mi ero prefissato.
Forse non
l'avrei mai raggiunto.
Mi scoraggiai,
cominciai a sprofondare mentre, solo con lui nello spogliatoio, mi
toglievo i vestiti fissando in basso ed evitando con cura il suo
corpo.
Lo sentivo
trattenere il fiato e intravedevo le sue smorfie di dolore che
cercava di nascondere. Stava male, ma ce l'aveva fatta lo stesso. Io
non capivo proprio come ci fosse riuscito.
Non osavo
dirgli nulla, mi vergognavo di non avercela fatta, sapevo d'averlo
deluso.
Lui aspettava
me, che arrivassi agli obiettivi, che dimostrassi chi ero davvero,
per tornare con me e non ne ero stato in grado.
Nel silenzio
più completo, andai sotto la doccia chiedendomi se però non fosse
giusto parlare ora. Dopotutto ci eravamo lasciati con delle parole
specifiche e comunque io gli avevo fatto una promessa non mantenuta.
Quando lo
sentii sotto la doccia a sua volta, mi girai e lo guardai incerto. Mi
sentivo interiormente a pezzi ed ero irriconoscibile.
- Non erano
questi gli obiettivi che volevo raggiungere. - Feci amareggiato, come
se dovessi scusarmi. Beh, lo stavo facendo in effetti.
Rafa si voltò
verso di me, un muretto sottile e basso a separarci, arrivava ad
altezza anca. Non si era messo vicino a me, eravamo separati da uno
vuoto.
Lui aveva una
di quelle espressioni indecifrabili. Non felice, non arrabbiato.
Non... non so proprio cosa fosse.
- Lo spero bene
che il tuo obiettivo non fosse perdere. - Disse secco. Era ancora
arrabbiato e forse ora lo era di più perchè non avevo mantenuto la
promessa.
- Non credo ti
dispiaccia di aver vinto però! - Dissi io senza rifletterci bene.
Lui mi guardò corrucciato senza capire cosa insinuavo, nel mentre ci
lavavamo nervosi, frenetici. - Voglio dire, se io mantenevo la parola
e raggiungevo l'obiettivo, superarti e tornare il numero uno del
mondo, significava che tu perdevi e non so quanto saresti stato
felice! Penso che forse quando sarei venuto da te mi avresti
picchiato e mandato a cagare. - Rafa mi fissò indeciso, forse da
qualche parte dentro di sé voleva ridere della mia sfacciataggine.
Sparavo certe cose azzardate nei momenti più sbagliati. Ma alla fine
scrollò le spalle e si infilò sotto il getto dopo aver inschiumato
con cura ogni parte del suo splendido e favoloso corpo che stavo
faticando a non guardare.
- Non ha senso
parlarne ora, visto che le cose sono andate così. - Ci rimasi male,
come sempre lui e le sue risposte troppo serie. Poteva cogliere il
tentativo di alleggerire la situazione e scherzare, ma forse era
meglio evitare in effetti.
Si parlava di
fare i seri.
- Io ci speravo
davvero. -
Rafa chiuse il
rubinetto e aspettò prima di uscire, mentre anche io mi sciacquavo.
- No, pensavi
più alla mia salute. Se ci avessi sperato davvero non avresti avuto
pietà, come nel primo set. Dal terzo in poi hai pensato più alla
mia salute che al tuo obiettivo. - Era duro e sferzante, non indorava
la pillola e non sotterrava alcuna ascia di guerra. Credo che fosse
rimasto deluso dal mio atteggiamento, dal mio approccio alla
situazione.
Forse se avessi
perso lottando con tutto me stesso, avrebbe considerato il nostro
obiettivo raggiunto. Ovvero capire che ero serio quando mi prendevo
un impegno.
Avevo sbagliato
tutto.
- E' una colpa
essere troppo innamorato? - Chiesi senza rifletterci.
Rafa si limitò
a scuotere il capo senza dire nulla, poi uscì dal locale delle
docce. Io chiusi il rubinetto e gli andai dietro. Appena di là, lui
si stava strofinando con il telo, io ne presi uno e me lo passai
distratto, ma insistetti senza distogliere lo sguardo dalla sua nuca,
tutto quello che mi dava.
- E' una colpa
amarti? Preoccuparmi per te? - continuavo ad insistere senza capire
che non era quello il punto e all'ennesima si girò gettando
l'asciugamano a terra, vederlo tutto nudo non mi aiutò a
concentrarmi meglio!
- Quando hai la
racchetta in mano sei un tennista, Nole! E quando sei un tennista
giochi per vincere, per essere il numero uno! Questo lo puoi fare in
un solo modo. Non avendo pietà dell'avversario! - Fu come se
accendessero la luce e capendo sgranai gli occhi in un'aria di
stupore.
- E' questo che
ti fa infuriare! - Rafa colto in fallo si irrigidì. - Sei arrabbiato
con me non perchè ho perso o per l'atteggiamento, ma perchè credi
che io abbia avuto pietà? Che il mio amore per te mi abbia cosa,
impietosito? Tu sei completamente fuori strada, non è questo! Tu hai
vinto per la tua tenacia, non per la mia pietà! Io non ho avuto
pietà! Io... - Rafa però si avvicinò con uno scatto, mani ai
fianchi, aria di sfida, sempre nudo come idioti. Ora ci sfioravamo,
anche. Io inghiottii a vuoto, a fatica.
- Cosa? Cosa
hai avuto? Cos'era quella se non pietà? -
Allargai allora
le braccia teatrale ed ovvio.
-
Impressionato, Rafa! Ero incredulo, ammirato, sconvolto da quello che
stavi facendo! Ero distratto da te, ma non ti ho certo mostrato
pietà! Non ti ho fatto vincere, toglitelo dalla testa! Hai vinto
perchè lo volevi come un disperato! Io ero solo shockato! - Ero un
treno e Rafa ne venne investito, si ritrovò senza fiato, preso in
contropiede, shockato dalle mie parole che mai di certo avrebbe
pensato.
Ci perdemmo a
fissarci e forse lì realizzammo di essere nudi uno davanti
all'altro.
Forse eravamo
pazzi.
Non disse
nulla, io non mi mossi. Lasciai cadere le braccia e lui stringeva le
mani sempre sui fianchi, affondava nella carne in una tensione
evidente. Stava cercando di domare la voglia di arrendersi ai suoi
desideri più veri, ma non potevo spingerlo, mi avrebbe odiato.
Doveva essere libero di tornare da me.
Non sapevamo
nemmeno come scrollarci da quella situazione pericolosa, era tutto
cresciuto a dismisura ed ora un minimo movimento e sarebbe stata la
fine, ma spettava a lui decretarla, io ero pronto a tutto.
A decidere per
noi furono i battiti sulla porta e la voce di uno
dell'organizzazzione che ci chiamava per dire che erano pronti per la
premiazione e che aspettavano solo noi.
Così ci
scuotemmo e ci vestimmo in fretta e furia. Scossi, sconvolti,
imbarazzati.
Forse sarebbe
successo, forse sarebbe bastato poco. Lo voleva anche lui. Ma sapevo
dentro di me che non era ancora il momento perfetto.
Ce ne sarebbe
stato di sicuro un altro, non avevo dubbi, ormai.
Rafa lo voleva
più di me.
Uscimmo in
silenzio, raggiungemmo di nuovo lo stadio, seguimmo la premiazione,
eseguimmo i soliti riti ormai conosciuti a memoria e poi in quello
che sapevo sarebbe stato l'ultimo momento disponibile prima di
vederlo scappare e partire via lontano da me, lo salutai. Ci
incrociammo davanti a tutti per i soliti complimenti e proprio in
quell'occasione, viso contro viso, mentre io lo tenevo a me con le
mani sulle sue spalle, gli mormorai piano.
- Mi dispiace
averti deluso. - quello che forse avrei dovuto semplicemente dire
dall'inizio.
Non sapevo se
era finita o meno, non riuscivo a vedere le cose con lucidità,
volevo solo che non sparisse e che non finisse.
Rafa non
rispose, serrò la bocca e non sorrise nemmeno.
Durante la
premiazione ed il suo discorso pianse rendendosi di nuovo conto che
quello che stringeva fra le mani era il suo adorato nono Roland, fu
più sconvolgente lui che piangeva abbracciato a quel trofeo, che la
mia sconfitta.
Dolce e
sconvolgente. Rafa era lì finalmente aperto a tutti, nella sua
totale fragilità ed io volevo poterlo stringere, ma sapevo non me
l'avrebbe permesso.
Fragile,
timido, impacciato, imbarazzato.
Quante cose
avevo scoperto in due settimane di lui?
Quante cose
c'erano ancora da scoprire?
In quanti altri
modi potevo ancora amarlo?
E forse ormai
era perso tutto.
Lui, così
definitivo, risoluto, secco.
Feroce.
Rimasi in un
altro universo per tutto il tempo, riuscii a tornare solo quando, una
volta entrambi verso casa propria, mi arrivò un sms.
Come temevo non
ci eravamo più incrociati, io non avevo avuto il coraggio di
cercarlo e lui non l'aveva fatto.
Però leggere
quel messaggio mi sconvolse fino a farmi bruciare gli occhi e
annodare lo stomaco.
'Aspetto sempre
di vedere chi sei davvero'
Come per dire
di continuare, di non mollare, di riprovarci, che si falliva e si
riprovava. Mi venne in mente il motto di Stan.
'Prova ancora,
sbaglia ancora, sbaglia meglio.'
Gli scrissi
questo e credo che la risposta gli piacque.
'Non
dimenticarlo.'
Fece solamente.
Sorrisi. Mi stava ancora aspettando.