CAPITOLO
XVII:
L'ENNESIMO
PIANO SBAGLIATO
A darmi la
forza di insistere e continuare me la diede quel messaggio, lui mi
aspettava, non era finita.
Non mi ero mai
trovato a volere tanto una cosa come in quel momento. Naturalmente
Rafa non voleva che lo superassi nel tennis, ma voleva che
raggiungessi gli obiettivi che mi prefissavo per dimostrare che
sapevo fare sul serio, per cui nel caso in cui ci fossi riuscito ci
sarebbe stato un doppio stato d'animo.
Mi chiesi se,
riuscendoci, sarei potuto comunque andare da lui a cercarlo. Avrei
dovuto?
Avrebbe
significato superarlo, dopotutto.
Mi obbligai a
non cercarlo, non gli scrissi, mi concentrai sul tennis e sugli
allenamenti. Puntavo a Wimbledon, non potevo fallirlo, era tassativo.
Fallito quello
sarebbe finito tutto fra me e Rafa.
La nostra
storia era appesa ad un filo sottile, Dio così sottile...
Mi trovai ad
aver bisogno più che altro di esercizi di concentrazione, di
controllo dello stress. Nei momenti cruciali era sempre quello che mi
fregava.
Col mio staff
lavorai molto su questo, lo svuotare la mente senza dimenticare gli
obiettivi.
Quando si era
nel punto chiave del momento avere troppo in testa non andava bene,
ma nemmeno troppo poco. Però non si poteva pensare costantemente a
quello che si cercava di fare, eppure non andava bene nemmeno
dimenticarlo.
Quindi mi
trovai a lavorare molto su questo ed un po' mi salvò.
Ok, forse
completamente.
Però credo che
più che altro fu il destino. O Dio. Insomma, qualcuno, qualcosa ci
mise lo zampino.
Perchè non me
lo spiegherei altrimenti l'arrivare in finale con Roger e non con
Rafa.
Per quanti
esercizi di controllo avevo fatto, il ritrovarmi in finale di
Wimbledon con Rafa sarebbe stato deleterio, per me.
Esserci con
Roger era duro ma fattibile, lo potevo affrontare, ce la potevo fare.
Il Re non era
nel suo anno migliore, stava recuperando, ma era inevitabile che a 32
anni non fosse più come a 28.
Ed in ogni caso
non avevo una relazione con lui.
Rafa l'aveva
avuta o per lo meno lui l'aveva desiderata in passato. Giocare contro
di lui aveva un senso emotivo, ma non mi schiacciava perchè ormai
sapevo che ero stato io a scalzarlo nel cuore di Rafa.
Ero io che mi
ero preso Rafa, l'avevo sottratto a Roger senza accorgermene,
lentamente.
Per cui potevo
vincere contro Roger anche la finale di Wimbledon, mi dissi.
Rafa era uscito
senza superare la prima settimana. Era partito molto bene, sembrava
un treno che aveva recuperato i problemi fisici, ma poi contro un
ragazzino sbruffone sconosciuto, aveva malamente perso e lì avevo
capito che non era la rivelazione del secolo, come era successo
quando Rafa era spuntato battendo il grande Roger.
Era Rafa che
non stava ancora bene e mi venne il dubbio che ormai, per tutto
l'anno, non lo sarebbe mai stato.
Non sapevo come
comportarmi, quando uscì.
Non l'avevo
incrociato, mai, nemmeno un istante. Per tutto il torneo ero riuscito
ad evitarlo, come non gli avevo scritto nulla per cellulare nel
periodo di distacco.
Volevo rimanere
focalizzato sul tennis, ma pensavo a lui lo stesso. Quando mi dicevo
perchè dovevo farcela.
Per lui.
Ero in un
equilibrio perfetto e precario e sapevo che mi sarebbe bastato
vederlo, averlo davanti anche solo una volta, per crollare.
Mi sentivo
molto zen e non ce la facevo a rischiare di perdere quel delicato ed
importante stato d'animo, ma vacillai molto quando lo vidi perdere in
quel modo e sentii la sua breve intervista successiva.
- Se pensate
che io sia sconvolto vi sbagliate. Sto benissimo. - Chiaramente era
furioso e chiaramente aveva rotto racchette e chissà cos'altro.
Volevo andare
da lui e assicurarmi in quali condizioni reali fosse la sua schiena,
potevo giurarci che la stava trascinando, guariva il minimo per
giocare e poi riprendeva. Così non guariva mai davvero. Perdeva
alcuni movimenti, alcuni riflessi. Non lo voleva capire.
Quando mi
trovai sull'orlo dell'uscire dalla camera per bussare alla sua e
vedere come stava, soffrii molto.
Pensai che a
quel punto comunque il mio equilibrio era andato a puttane, quindi
decisi di andare a vederlo. Forse avevo la presunzione che Rafa non
avesse giocato al suo meglio anche per colpa mia, perchè l'avevo
evitato come la peste. E chiaramente non era da lui cercarmi per
primo o scrivermi. Ma forse non lo faceva perchè ce l'aveva con me e
anche se dopo il Roland aveva detto che aspettava di vedere i miei
risultati, magari non voleva saperne di me. L'avevo deluso comunque.
Me ne dicevo di
tutti i colori e quando uscii per bussare alla sua porta, vidi
sfilare il suo staff più o meno in massa e capii che aveva dato
l'ordine di preparare tutto per la partenza. O che li aveva cacciati
tutti perchè aveva bisogno di stare solo.
Sospirai
scuotendo la testa. Forse avrei fatto peggio.
Avremmo finito
per litigare, perchè litigavamo in condizioni normali figurarsi in
quelle. E poi io avrei giocato di merda il resto di Winbledon.
Ero indeciso
sul da fare, quando incrociai Roger proprio in quel momento o per lo
meno lo notai.
Mi fermai dal
rientrare in camera mia e gli sguardi che ci scambiammo furono molto
significativi, lui sapeva tutto, Rafa doveva essersi confidato con
lui su tutto.
Il suo sguardo
dispiaciuto parlò molto chiaro.
Mi incoraggiava
da un lato a non mollare, dall'altro non sapeva bene cosa dirmi. Io
mi appoggiai alla porta che tenevo chiusa, guardai in basso, poi
verso la camera di Rafa poco più in là, per la prima volta non
vicino alla mia.
- Cosa dovrei
fare, Rog? - Lo chiamavo così anche piuttosto spesso, in realtà.
Roger di nuovo
la sua aria dispiaciuta. Si strinse nelle spalle scuotendo la testa.
- Non so
dirtelo, Nole. Rafa è un campo minato. Voi lo siete. Io non avrei
fatto tre quarti delle cose che avete fatto voi, per cui lo sai tu
cosa fare, ora. - Per la prima volta il saggio Roger non aveva saputo
cosa dire. Nessun consiglio, nessuna risposta.
Alzai la testa
appoggiando la nuca dietro di me, gli occhi alti che si riempivano di
un pianto sull'orlo dell'uscire. Lo trattenni ma li sentii bruciare.
Cosa dire, cosa
fare?
Che momento
cruciale.
- Fra te e
Stanley tutto bene? - Chiesi cambiando discorso perchè non sapevo
proprio cosa dire.
Roger, sorpreso
della domanda, rispose spaesato.
- Sì, direi di
sì... molto bene, anzi... - Sorrisi sentendomi meglio per qualche
motivo che ignoravo, forse era bello sapere che loro continuavano a
farcela.
- E pensare che
fra tutti noi, Stan era quello sicuro che non ce l'avrebbe mai fatta
con te. Tu il sogno impossibile, io quello sicuro che ce l'avrei
fatta. Ed ora guarda... voi siete la coppia perfetta e noi... forse
non lo saremo mai! - Roger a questo punto si avvicinò vedendo quanto
quel mio equilibrio stava andando a quel paese, mi mise la mano sulla
spalla e guardandomi da fratello maggiore quale ormai spesso mi
sembrava, disse calmo e sicuro:
- Non esistono
storie perfette o facili. Esistono solo storie. E tu e Rafa ne avete
una. Se vuoi aiutarlo, mantieni la tua promessa e dimostragli che sei
un uomo di parola. - Non era nel suo interesse dirmelo e lo capii, ma
riusciva a separare la vita professionale da quella personale e lo
ammirai per quella sua capacità favolosa.
Io non ci
riuscivo, ma dovevo farcela per fare quel salto che cercavo di fare
da una vita.
Annuii
sorridendo con fatica, speranzoso di farcela.
- Grazie Rog. -
Con questo riuscii a rientrare in camera.
Credo che non
ce l'avrei fatta ad arrivare in finale se in quel momento avessi
incontrato Rafa, ma ignoravo come stava lui effettivamente.
Forse se
l'avessi visto in quel momento saremmo tornati insieme, avremmo fatto
sesso e tutto sarebbe andato a posto così. Perchè lo sapevo molto
bene. Però non sarei riuscito ad essere lucido nelle partite
successive e forse alla prima occasione con Rafa sarebbe finita
comunque, perchè non gli avevo dimostrato che poteva fidarsi di me,
che ero un uomo di parola, non gli avevo mostrato quanto lo amavo.
Per cui dovevo
arrivare a lui da uomo ed un uomo raggiungeva sempre i suoi
obiettivi, un uomo manteneva le sue promesse.
Io dovevo
diventare il numero uno del mondo, il miglior tennista in
circolazione. Come dicevo da sempre. Quello che cercavo di fare
torneo dopo torneo, anno dopo anno. L'obiettivo di sempre.
Sarei diventato
un uomo di parola e lui avrebbe capito chi ero davvero, avrebbe visto
che arrivavo agli obiettivi, che realizzavo le promesse.
Vinsi Wimbledon
senza sapere come, senza crederci. Ma forse dopotutto era chiaro il
modo.
In tutti i
momenti difficili di quelle oltre quattro ore di gioco massacranti
contro Roger, ogni volta che sembrava finita, riuscivo a calmarmi e a
cacciare la tensione ed il nervoso che si affacciavano e lo facevo
pensando a Rafa.
'Rafa', mi
ripetevo nella mente.
E tutte le
volte aveva funzionato.
Dovevo farcela,
dovevo vincere proprio Wimbledon, superarlo, diventare il nuovo
numero uno del mondo.
Dovevo
riuscirci.
E poi andare da
lui e dirgli eccomi qua, ce l'ho fatta, te l'avevo detto.
Ti amo, ti
amerò sempre, qualunque cosa io faccia e mi capiti, amerò sempre
te, credimi. Fidati.
Mi ripetevo il
suo nome e dietro tutto c'era questo ed alla fine forse proprio per
questo, perchè quella volta avevo una motivazione diversa da sempre,
ce la feci.
Il salto di
qualità nel momento chiave della mia carriera.
Vincere uno
slam e superare il numero uno diventandolo io a mia volta come già
avevo fatto nel 2011.
Quando
realizzai che ce l'avevo fatta piansi e piansi di più con la coppa
fra le braccia, proprio come aveva fatto Rafa poche settimane prima
col Roland.
Piansi e mi
sentii scoppiare, libero da un peso che mi aveva schiacciato per
mesi.
Mi sembrava di
volare, mi sembrava di essere così leggero da poter sparire. Piansi
ed il bisogno di dedicarlo a lui fu così forte che lì col microfono
davanti alla bocca, provai del sano panico mentre nella mente avevo
ancora il suo nome, il suo.
Mi aveva visto?
Cosa aveva
pensato?
L'avevo evitato
tutto questo tempo, forse ce l'aveva con me.
Come fargli
capire che era stato fatto tutto per lui?
Avevo raggiunto
i miei obiettivi come avevo promesso, sapeva quanto felice fossi?
Era contento
anche lui o furioso perchè l'avevo superato?
E lì al
momento del mio discorso, proprio fra le lacrime di commozione per
l'impresa titanica raggiunta, mi costrinsi a non dirlo.
Lo stavo per
fare, volevo farlo.
In ultimo
evitai di dedicare la vittoria a Rafa e sostituii il suo nome con
Jelena ed il futuro nascituro, la mia futura moglie ed il mio futuro
bambino.
Così annunciai
quello che aveva mandato in crisi il mio rapporto con Rafa.
Comunque avrei
dovuto dirlo, comunque sarebbe successo e dirlo per non dire 'per
Rafa', era stata la cosa più sensata.
Ma mentre
parlavo contento, commosso, pensai se Rafa come suo solito avesse
interpretato male anche quello.
La gioia lenta
scemò mentre il peso volato via tornò ad opprimermi insieme al
terrore che comunque qualunque cosa avrei potuto fare, lui avrebbe
sempre vissuto tutto male, perchè lui era Rafa, era fatto così.
Cominciai
dunque a ripetermi che sicuramente mi odiava per averlo superato, che
voleva insultarmi per la dedica commossa alla mia futura moglie, che
non poteva sopportare il fatto che io fossi al suo posto.
Quante cose
avevo fatto sbagliate? Come poteva essere contento per me, come
poteva aspettarmi?
Fu così che
non lo chiamai e non lo cercai, non organizzai alcuna spedizione
segreta da lui, dove sapevo faceva le vacanze. Non feci nulla e forse
fu la cosa più sensata.
Ero stato uno
stupido a credere che lui volesse essere superato da me solo per
vedermi raggiungere i miei obiettivi.
Ero un uomo di
parola, certo, ma non potevo stare con lui.
Da qualunque
prospettiva la guardassi, era impossibile stare insieme.
Non mi avrebbe
mai voluto, mai.
Per cui
passando dalle stelle alle stalle e realizzando d'aver sbagliato
tutto per l'ennesima volta, come ogni volta che mi facevo dei piani,
mi fece rimanere a dir poco sconvolto quello che successe dopo.
Stavamo
organizzando il matrimonio, per cui ogni minuto di quei giorni era
incentrato su quell'evento che si sarebbe tenuto a breve. Io non
riuscivo ad esserne coinvolto, non mi ci sentivo e lasciavo fare
tutto a Jelena.
Ero bravo a
fingere, un attore nato. Mi dimostravo molto felice, ma un pessimo
organizzatore, per cui lei faceva ogni cosa. In realtà ero molto
bravo a preparare e decidere, solo che non avevo certo la testa in
quel periodo.
L'usanza della
nostra gente voleva che la sposa stesse separata dallo sposo per
almeno una settimana, per cui in quei giorni ero tranquillo a casa,
da solo.
Pensavo e
ripensavo a tutto e non mi capacitavo di quel che avevo fatto. Come
avevo potuto non considerare che comunque anche nel diventare quel
tennista che promettevo da sempre di essere, Rafa non sarebbe stato
felice?
Con che faccia
andavo da lui a dirgli 'eccomi ho mantenuto la promessa, manterrò
anche la nostra!'
Che promessa
gli avevo fatto, poi?
Che l'avrei
amato per sempre, non l'avrei lasciato, che volevo vivere questa
storia con lui sul serio.
Lui invece
sosteneva che non ero affidabile, perchè ero capace di interpretare
male tutto e vendicarmi per cose che non esistevano. Ero io quello
che rovinava tutto, perchè immaturo e capriccioso.
Non aveva
torto, ma dimostrargli che quel che promettevo realizzavo, era il
primo passo per spingerlo a fidarsi di me.
Il mio 'ti amo'
non gli era bastato e non sapevo come fare per convincerlo.
Adesso avevo
realizzato il mio sogno, tornare primo.
Il fatto che mi
sposavo perchè diventavo padre aveva rovinato tutto ed
improvvisamente, nonostante mi avesse tenuto in vita il pensiero di
dovermi realizzare professionalmente per convincere Rafa di essere
meritevole, ora che ci ero riuscito, non vedevo per niente tutto così
bello e fantastico.
Non consideravo
la mia vittoria una vera conquista come avevo sperato e non c'era più
nulla a tenermi su, nulla.
Stavo vivendo
quei giorni come un lutto, una separazione vera e propria e a Rafa
sarebbe andato più che bene così.
Non potevo
cercarlo, non potevo.
Quando suonò
la porta non avrei certo mai pensato di ritrovarmelo davanti, avevo
mille persone che venivano di continuo, mille amici e parenti che in
quei giorni avevano preso casa mia per un porto di mare.
Vedere il suo
viso davanti a me senza schermi o chilometri di distanza, mi shockò
molto. Non ero pronto, non sapevo come vivere quel momento, non
l'avevo programmato nemmeno nelle mie rosee aspettative.
Eppure lui era
lì lo stesso a sorprendermi come aveva sempre fatto.