CAPITOLO XXX:
CAOS PRIMORDIALE
Asfissiai Roger che invece se la passava fra alti e bassi.
Alti con Stan e bassi con sua moglie. Non sapeva come comportarsi e mi trovai a dargli molti suggerimenti sulla questione.
Arrivati a quel punto non valeva la pena dirle tutto e separarsi o comunque rovinare la serenità della famiglia.
Aveva 2 coppie di gemelli, 4 figli. Non era il caso.
L'aveva capito decisamente tardi di amare Stan, ma ormai le cose stavano così e mandare a puttane una famiglia non aveva senso.
Forse non amava Mirka, ma amava i suoi figli ed il suo dovere era mantenere la serenità in casa.
Se le avesse detto tutto sarebbe finito ogni cosa. Non era giusto.
Era così facile aiutare gli altri.
Del resto io avevo poco da fare. Poco e nulla.
In effetti avevo solo da aspettare Nole, di rivederlo e vedere che sarebbe successo.
Ufficialmente avevamo
chiuso, ma magari aveva capito quello che gli dicevo e si era deciso a
lottare per me come si doveva, lasciando perdere tutti quegli
atteggiamenti poco seri che mi allontanavano.
Volevo solo essere l'unico centro del suo mondo, in fondo cosa chiedevo?
Era strano?
Però i giorni passavano ed io ero sempre più impaziente, intrattabile, nervoso.
La verità era che non vedevo l'ora di incontrarlo. Sarebbe cambiato qualcosa, quella volta?
Aveva riflettuto su quello che ci eravamo detti?
Era davvero deciso a vivere quella storia con me?
Ci aveva rinunciato?
Quando si amava non si smetteva, non c'era un interruttore.
Non perchè tu dicevi basta all'altro effettivamente smettevi di amare.
Ci pensavi e ripensavi
tormentandoti. Aspettando l'ora in cui l'avresti rivisto contro la tua
logica che ti dice no, non va bene.
È questo amare.
Ed io vissi così il tempo che ci vide separati.
Però non avevo idea di quanto avesse segnato la mia fine quel periodo. Non ne avevo idea.
Le mie speranze di uomo
innamorato si infransero su lui che si presentò da me, quel giorno a
Roma per il torneo, con quell'aria seria.
Così serio ricordo d'averlo visto pochissimo, forse mai.
Aveva un che di solenne quando aprii la porta la sera, col silenzio dell'albergo in cui eravamo ospiti.
Non si sentiva una mosca.
Io zitto lo feci entrare.
Era normale una resa dei conti, forse più che altro avevo aspettato quello.
Sembrava dovesse scoppiare a piangere da un momento all'altro, non era un'impressione, era vero. Era così.
Mi voleva lasciare?
Voleva dirmi che gli andava bene di smettere?
Era la fine vera?
L'avevo voluta, era giusta così.
- Cosa succede? - Chiesi con un tono teso. Era chiaro.
Adesso mi avrebbe detto
che ci aveva pensato ed aveva deciso che gli andava bene di tornare ad
un normale rapporto professionale.
Che poi io e lui professionali non credo fossimo mai stati, c'era sempre stato qualcosa, in fondo.
Si sedette su una sedia
evitando il letto, io lo notai e rimasi in piedi con le mani ai fianchi
e l'aria torva, un sopracciglio alzato. Teso, ansioso, solenne.
Cosa doveva dirmi?
Era peggio di un 'sono d'accordo con te, con quello che hai detto'.
- Mi sposo, Rafa. Lei è
incinta, è successo così dopo un po' che stiamo insieme ed ho deciso di
sposarla, avremo un bambino del resto... -
Me lo dice come se me lo dovesse, come se fossimo una coppia.
Mi perdo.
Io... io credo che mi perdo.
Credo che si chiami blackout, non so bene.
Per un momento il cervello è completamente sconnesso. Completamente.
Non so cosa faccio e per quanto sto qua. So solo che poi il mondo, il mio mondo, sospeso, bloccato, esplose come un big bang.
Un casino primordiale, ecco cosa fu.
- Quindi è questo il tuo fare seriamente con me? La metti incinta e la sposi? Sei proprio grande, sai? -
Apparivo freddo, è così
che mi sentii. Freddo, piatto. Mi ricordo che Roger fu uguale quel
giorno, quando dovette affrontare la questione di Stan e Nole a letto
insieme.
Capii per un attimo cosa aveva provato lui, come si era sentito, quello che aveva avuto dentro.
L'apocalisse.
Come l'aveva trattenuta?
Io sapevo che sarei esploso.
Ero lì davanti a lui che lo guardavo seduto e sapevo che sarei esploso.
Roger non era mai esploso, non lì, non subito.
Nole si alzò
avvicinandosi, ma io non gli permisi di toccarmi, rimasi con le braccia
conserte sul petto ed i muscoli tesi. L'aria scura.
- Non l'ho fatto apposta, è successo... -
- Di metterla incinta? -
Dissi sempre più duro. Sapevo che sarebbe finita male, in ogni caso, in
qualunque modo l'avrei presa, sarebbe finita male.
- Ero arrabbiato con te,
sicuro di non avere speranze, che non mi avresti più voluto vedere... e
poi pensavo che non ti saresti mai deciso, con me, che non volessi
davvero. Tira e molla, più tira che molla... mille errori, poche cose
giuste... non sapevo più cosa fare con te, ho creduto di essere al
capolinea e mi son detto fanculo, mi faccio una vita e lui si fotta!
Però... - Fu qua che non resistetti e reagii.
Non me ne resi conto, non decisi ‘adesso reagisco.’
Solo che non potevo, non potevo proprio sentire ancora la sua voce dire stronzate.
Dio mio, come osava? Come osava dire quelle cose?
Lo spinsi improvviso e così forte che cadde di nuovo sulla sedia.
Ero furioso, così furioso
che non mi ero reso conto subito d'averlo spinto con forza. Sentivo un
fuoco bruciare ed usciva fuori di me, dovevo gridare, dovevo gridare
assolutamente.
Rimase fermo a fissarmi shockato, occhi spalancati, le mani strette sui braccioli della sedia.
- Cosa stai... - Non lo feci finire. Non potevo più tenere, avevo tenuto troppo e non ero bravo a farlo.
- Come... come hai potuto?
Come hai potuto non capire che aspettavo solo ti facessi avanti
seriamente? Come hai potuto non capire che ti stavo aspettando? Che ti
decidessi a fare sul serio? Che le tue parole diventassero realtà! Che
i tuoi 'faccio sul serio' fossero seri, fossero fatti e non solo
parole! Ma sono state sempre e solo parole e poi vendette e poi sesso e
poi rese. Io ti aspetto da moltissimo, Nole! -
Non volevo dirlo, avevo deciso di chiudere senza dirglielo. Ma uscì da solo dalle mie labbra.
E la verità fluì fuori dal mio controllo.
Sentivo il caldo arrivato
agli occhi sotto forma di lacrime che volevano uscire, ma la rabbia che
provavo era tale che non riuscivo a piangere. Non ricordo in vita mia
di essermi mai sentito così.
Ero deluso, furioso,
ferito. Avevo riversato tutto su di lui, i miei sentimenti, la speranza
di essere felice e nonostante lo sapessi che sarebbe finita male,
proprio come avevo sempre detto, ero sempre rimasto lì ad aspettarlo
come un coglione!
Ma avevo sempre avuto ragione.
Le sue erano sempre state solo parole.
'Ti amo sul serio solo finchè fai quello che mi va, altrimenti vado con qualcun altro'.
Con una donna, questa volta. L'aveva messa incinta, l'avrebbe sposata.
Non era quello quanto il fatto che di nuovo, quando c'era una difficoltà con me, andava con un'altra persona.
Ed io in base a questo dovevo accettarlo nella mia vita?
Io lo amavo sul serio, dannazione!
Nole si alzò dopo aver realizzato cosa significavano le mie parole, dopo aver capito precisamente quanto coglione era stato:
- Non ha importanza che mi
sposo e faccio un figlio. È successo, succederà, ma non ha importanza,
perchè... - ma io non lo feci finire, lo tornai a spingere furioso.
Cosa significava che non ha importanza se si sposa?
Non aveva capito un cazzo ancora!
Non era il punto il matrimonio ed i figli, il punto era il modo in cui reagiva quando le cose non andavano come voleva lui!
Mi tradiva, cazzo!
Questa volta rimase in
piedi, indietreggiò e tornò da me, mi prese i polsi, ma io mi dimenai
furioso insultandolo in spagnolo, fuori di me, completamente fuori di
me.
Mi teneva con tutta la sua forza per non cedere.
Continuammo così fino a
che non mi abbracciò forte per farmi smettere, ma io continuai a dargli
colpi sulla schiena, tutto quello che riuscivo a fare. Non potevo
mollare, non riuscivo, non ce la facevo. Poi lo presi per la maglia,
sulla schiena, tirando. Ma non si mosse ancora, mi teneva ancorato fra
le sue braccia, la mano sulla nuca.
- Come puoi risolvere
tutto così? Fai tutto facile e non prendi niente sul serio e quando fai
stronzate alzi le spalle e dici che non è la fine del mondo! Come posso
fidarmi? È questo il tuo modo di amare? Devo aspettare che ti stufi,
che mi scarichi? Devo accontentarmi delle briciole che ti va di darmi
in attesa che tu cresca e che accompagni azioni vere a parole? - Non
riuscivo a fermarmi, ero un fiume in piena e dicevo cose maledettamente
sensate, lo sapevo che avevo ragione.
- Pensavo amassi Roger,
che ci fosse solo lui per te, che non ci fosse spazio per nessuno, per
questo non ho capito cosa provavi per me, credevo non mi sopportassi,
che ti sforzassi di andare d'accordo perchè eravamo troppo in vista per
non sopportarci e che quelle volte che ti eccitavi era per la tua
sessualità, perchè ero bravo a stuzzicarti, ma non perchè ero io! -
Riuscì a dire mentre non potevo parlare perchè le lacrime cominciarono
a superare la soglia degli occhi.
Piansi fra le sue braccia
e non per le sue parole, ma perchè era tutto così finito che non potevo
sopportarlo comunque. Avevo avuto un piccolo assaggio, nulla dopotutto.
Solo un paio di notti splendide. Non avrei mai avuto la persona che
amavo.
Come si poteva stare male così?
- Certo che lo amavo e tu
me l'hai tolto dalla testa! Sei tu che me l'hai estirpato perchè
lentamente pensavo più a te che a lui, alle nostre partite, alla volte
che ti avrei incrociato in albergo o nei campi o in piscina... a cosa
avresti fatto... se fosse successo qualcosa... mi sono trovato a
fantasticare su di te sperando ti decidessi davvero e non così per modo
di dire... perchè in quel momento ti andava di scherzare e la volta
dopo lo facevi con un altro allo stesso modo... prima ci provavi con me
e poi con un altro! Ho avuto orgasmi con te, te lo sei dimenticato? Ma
per te era tutto normale, era il tuo modo di fare! -
Piangevo e lui mi stringeva a sé, non potevo andarmene, ma sarebbe successo, perchè era finita.
- Perdonami, perdonami,
perdonami... non avevo capito, non volevo illudermi di vedere male...
non sapevo gestirla... non ho mai saputo gestirla... mi facevo piani
per vincere, ma non ho capito quanto semplice fosse... perdonami... -
io iniziai a scuotere la testa contro il suo collo, tirai su col naso e
mi strofinai il viso infilando la mano fra me e lui.
- Perchè non ti andava
davvero, Nole. Non ti andava di capire. Era più facile pensare che non
volevo perchè così non dovevi sforzarti di fare sul serio. Tu non sei
capace. Hai paura del serio. -
Lui non sapeva più cosa
dire, l'avevo prosciugato, eravamo al capolinea ed io continuavo a
piangere e fra le lacrime sentii la sua voce mormorare piano al mio
orecchio:
- Ma io ti amo, Rafa... -
Dio quanto volevo perdermi in quelle parole, crederci, dirgli che
l'amavo anche io e che era tutto superato. Ci volevamo provare, ci
potevamo provare.
No, non funzionava così. Non avrebbe funzionato così.
E fu lì che trovai la
forza, Dio non so proprio come. Ma lasciai del tutto la sua maglietta
dalla schiena, chiusi i pugni contro il suo ventre e spinsi mentre
scivolai con la testa sotto le sue braccia, sfilandomi via.
- Non è sufficiente.
Queste sono solo parole. E a me non bastano. - Poi andai alla porta,
non so con quale forza nel corpo, ero finito, non avevo idea di come
avrei fatto a giocare a tennis, in quel momento mi sentivo sotto un
tritacarne.
Si fermò a guardarmi sconvolto cercando di capire se fosse vero.
- Rafa... ti prego... cosa
posso... - Cercò di dire con voce spezzata, dispiaciuto, colpito,
sconvolto. Stava male, stava sinceramente male e lo vedevo, ma anche io
stavo male ed era colpa sua e non potevano bastare delle parole dette
al momento giusto se poi era bravo a distruggere tutta la fatica che
facevo per fidarmi.
- Nulla. - Scossi il capo mentre volevo solo continuare a piangere.
Si avvicinò, io girai la testa dall'altra parte, lui me la prese fra le mani, la porta socchiusa da me.
Rimase a guardarmi
sperando che gli permettessi di guardarlo negli occhi, ma non mi forzò
e appoggiai la fronte alla sua guancia in un ultimo disperato tentativo.
Lo voleva perchè avevo fatto finire tutto, altrimenti non si sarebbe impegnato tanto.
Perchè lui non ne era capace.
- Permettimi di
dimostrarti quanto lo voglio, quanto sul serio faccio... che non ti
avevo mai capito, ma ora sì ed anche se mi sposerò e sarò padre, sarai
sempre tu la persona che amo. Ti prego. -A quello mi girai verso di
lui, alzò la testa, i visi vicinissimi, io duro e gonfio di lacrime ora
sospeso.
Lui pieno di speranza in quegli occhi chiari e lucidi, così belli, così speciali. Così amati.
- Allora torna quando l'avrai dimostrato. - Dissi deciso come fosse una sentenza.
Volevo che ci riuscisse,
speravo l'avrebbe fatto. Però non potevo dargli l'occasione subito. Non
potevo dire ok, proviamo, sei in prova ma alla prima che fai sei finito.
Perchè la prima sarebbe arrivata presto e non sarebbe mai stata l'ultima.
Doveva capire, doveva capire che ogni cosa aveva una conseguenza e che la peggiore era il non crescere.
Se voleva stare con me,
doveva crescere. Doveva essere una persona seria che raggiungeva i suoi
obbiettivi solennemente, che non si perdeva per strada, che non faceva
il capriccioso, che non prendeva tutto alla leggera divertendosi tutte
le volte che poteva.
Doveva farmi vedere a cosa era disposto davvero per stare seriamente con me.
Non era una cosa veloce, non era un lampo, non era subito.
Ed io trovai la forza di dire e fare la cosa giusta. L'unica.
E nonostante tutto gli diedi l'occasione, gli diedi la possibilità.
L'avrei aspettato e forse l'avrei aspettato sempre.
In effetti, penso che comunque non avrei più amato in quel modo.
Mi teneva ancora il viso fra le mani, mi fissò negli occhi, i miei duri e vuoti, carichi di dolore.
- Te lo dimostrerò. Lo giuro. Non ti perderò. -
Poi mi sfiorò le labbra, morbide e calde. Combaciò dolcemente, lento, assaporando.
Chiusi gli occhi trattenendo il respiro, tenendo con me quella splendida sensazione.
Poi mi lasciò e scivolò silenzioso fuori dalla camera.
Rimasto solo, mi appoggiai alla porta che chiusi e scivolai giù accucciato mentre le lacrime tornavano a piede libero.
Non so quanto piansi e non so quando arrivai al letto e presi il telefono per chiamare Roger.
Arrivò poco dopo e rimase con me tutta la notte dopo aver parlato con Stan.
Mi abbracciò, mi consolò, parlò e mi ascoltò. Tutta la notte fino a che non riuscii ad addormentarmi.
Al mattino era lì, steso nel letto matrimoniale con me, che dormiva vestito come ero anche io.
Ricordai poco e nulla
della notte, il dolore provato cancellò in me ogni ricordo delle parole
e delle ore passate e quando gli chiesi se avevo detto o fatto qualcosa
di eccessivo o di cui dovevo scusarmi, Roger sorrise fraterno e mi
carezzò la testa.
- Con me non ti devi scusare mai di nulla. - almeno un rapporto ero in grado di gestirlo bene, forse l'unico.
- Grazie. - Dissi. - Per
esserci. - E ci sarebbe stato molte altre volte, per ore, per giorni.
In qualsiasi situazione. Lui ci sarebbe sempre stato.
Mi buttai anima e corpo
nel tennis, elaborai il lutto sotto forma di rabbia. Avevo bisogno di
annullarlo per cui arrabbiarmi con lui era la sola soluzione
accettabile.
Mi impegnai ad odiarlo
perchè lui era così inconcludente e poco serio ed immaturo e per colpa
di questo io soffrivo, per cui riuscii ad odiarlo e glielo dimostrai.
Io con l'odio viaggiavo bene. Era col dolore puro che viaggiavo male.
Ma giocai benissimo fino ad arrivare in finale.
Volevo dargli una lezione
in qualche modo, fargli vedere che potevo superarlo, che ce l'avrei
fatta, che io ero quello serio, che anche se avevo problemi personali
potevo giocare bene e vincere un torneo. Dovevo dimostrargli questo.
Così che sapesse cosa intendevo quando dicevo essere seri. Fare seriamente qualcosa. Prendersi quel che si voleva.
Certo, rivederlo in finale dopo che l'avevo abilmente evitato in tutti i modi, fu un duro colpo.
Perchè giocare bene odiandolo senza vederlo era un conto, ora dovevo riuscirci avendo proprio il suo viso davanti.
Non era facile, ma dovevo
cominciare col fare tutte le cose che facevo sempre. Ogni rito. Non
dovevo cambiare nessun abitudine perchè altrimenti mi sarei
deconcentrato e lui avrebbe capito che era speciale, che stavo male.
Non doveva capire che stavo male. Non volevo dargli alcuna
soddisfazione di alcun genere.
Così mi cambiai negli spogliatoi, dopo aver posato alcune delle mie cose per il cambio dopo.
Lui entrò per fare altrettanto e mi trovò di schiena senza maglietta.
I miei riti.
Mi girai e mi tesi
oscurandomi, trattenni il fiato e cercai di respirare a fondo
ritrovando la concentrazione. Ero lì per quello.
Lui salutò, io non ricambiai.
Ero chiuso forzatamente in me, mi stavo forzando di odiarlo per riversare tutto quel che provavo nel gioco contro di lui.
Non era facile incanalare quel che provavo. Non era per nulla facile. Infatti non ci riuscii.
Avevo preteso troppo da me.
Forse semplicemente non era possibile odiarlo e giocare bene a tennis.
O forse non era possibile odiarlo e basta.
Non so cosa successe, ci provai ma complice dei problemi alla schiena che mi stavo trascinando, non giocai bene come volevo.
Non ero serio, non ero stato serio, però gli avevo dimostrato come odiavo.
Non gli rivolsi la parola
una sola volta, pochi gesti, pochi sguardi, pochi atteggiamenti.
Confronto al solito dove ci abbracciavamo e parlavamo ridendo insieme,
non c'erano paragoni.
Anche negli spogliatoi fu così, mi sbrigai per andare presto a lavarmi, volevo evitarlo anche se di solito lo aspettavo.
Appena sotto l'acqua
calda, sentii la schiena in tensione rilassarsi e mi fermai. Non
riuscivo più a muovermi. Non riuscivo più a fare un movimento.
Non stavo andando bene.
Stavo crollando sotto ogni punto di vista.
A tennis andavo male, avevo problemi fisici e sentimentalmente stavo di merda.
Peggio non poteva andare.
Ero primo, ma per quanto?
Come potevo pensare di rimanerci? Avevo appena perso la finale di Roma. Avevo perso mille punti importanti.
Stava andando tutto male ed io non riuscivo a muovermi per il male alla schiena.
E stava per entrare Nole.
- Tutto bene? - Mi corressi, era entrato.
Imprecai fra me e me, ma mi riscossi cercando di riprendermi. Dovevo aver perso la cognizione del tempo.
- Sei qua da un po' e non
sembri stare bene... - Disse piano. Non sapeva come prendermi, ma
dolore fisico ed interiore a parte, ero ancora arrabbiato con lui per
il suo essere.
Atteggiamenti a parte, era la sua natura che odiavo, perchè era fatto così. Era così e basta.
Era fatto male!
Si mise comunque due
scomparti più in là per evitare tentazioni, io annuii, chiusi il
rubinetto, scrollai la testa provando un dolore indicibile per il gesto
e avvolgendomi nell'asciugamano, uscii.
Quando andai di là, mi
sedetti sulla panca così com'ero, gocciolavo appoggiato coi gomiti alle
ginocchia e una smorfia sul viso. Le mani reggevano la testa in attesa
che il dolore alla schiena si calmasse.
- Tu hai qualcosa che non
va! - Disse lui di nuovo, raggiungendomi. Quanto era passato? Avevo di
nuovo perso la cognizione del tempo.
Io lo guardai torvo, ancora astioso nei suoi confronti, per cui risposi con testardaggine.
- Non ti riguarda! - Mi infilai i calzini con movimenti meccanici, avevo davvero male.
- Rafa, cos'hai? - Chiese lui mani ai fianchi e asciugamano alla vita come me. Perchè non mi lasciava in pace?
- Cazzi miei! - Grugnii io.
- No invece! -
- Certo che sì! - non volevo saperne di dargliela vinta e mi sentivo in piena ragione. Totale.
Mi infilai gli slip mentre lui continuava a chiedermelo.
- Sono cazzi miei perchè
ci tengo a te, sono preoccupato. Ho capito che c'è qualcosa. Hai male
da qualche parte? - lo ignorai scoprendomi completamente e vestendomi
cercando di fare il più veloce possibile. Mi irritava questa sua
curiosità mascherata per premura e preoccupazione!
- Caviglia? No,
zoppicheresti. Spalla? Beh, non muoveresti proprio il braccio.
Influenza? Cervicale? Giramenti di testa? Nausea? - Continuava
imperterrito aumentando solo la mia voglia di sparargli. Poi
finalmente, purtroppo, capì: - E' la schiena! Non è ancora guarita! -
Con questo reagii d'istinto girandomi verso di lui, dandogliene conferma.
- Non sono cazzi tuoi, ti
dico! Hai vinto, sei stato bravo! Non ti sei fatto prendere dal nervoso
come fai di solito quando hai qualche problema per i fatti tuoi!
Finalmente hai giocato con freddezza! Adesso vestiti e vatti a prendere
il tuo cazzo di trofeo e non rompermi! - Fui il più velenoso possibile,
volevo solo chiudere con lui per poter ricominciare da solo. Volevo
riprendermi, potevo riprendermi?
- Sei un idiota! - Sbottò
poi lui infilandosi i boxer dopo che si era tolto il telo facendosi
guardare da me. Non era facile non fissargli le parti basse visto che
le avevo sempre apprezzate. Quando si coprì con la biancheria tornai
a guardarlo in viso.
- Perchè? - Chiesi senza volerlo sapere davvero, mi infilai la maglietta.
- Perchè pensi che visto
che sei arrabbiato e deluso da me, a me non debba importare di te!
Pensi che siccome tu hai chiuso con me, anche io abbia chiuso con te.
Beh, vuoi sapere una cosa? - A questo punto lui era vestito, si
fermò e mi puntò col dito arrabbiato quanto e più di me. - Non ho
smesso di amarti solo perchè ti ho deluso! Mi dispiace averlo fatto, ma
ho detto che riconquisterò la tua fiducia e lo farò! Nel frattempo non
congelerò di certo i miei sentimenti per te! Posso cercare di gestirli
in modo più adeguato, ma questo non significa che sono eliminati! -
Rimasi senza parole appena lo disse. Provava ancora i sentimenti che diceva di provare per me.
Forse ne era ancora
convinto. Perchè ad un certo punto smettevi di dirlo. Per cui se
continuava su quella linea, osando addirittura arrabbiarsi dopo aver
scoperto ogni carta a vicenda, significava solo che lui lo credeva
davvero. Di essere innamorato di me.
Ma non era forse quello, poteva essere vero.
Era che non era capace di
amare davvero. Poteva innamorarsi, ma poi... poi appena pensava gli
facessi qualche sgarbo andava da qualcun altro.
Non era capace di amare.
Però era coerente con la sua versione, i suoi comportamenti, le sue parole erano coerenti con il ruolo che si era costruito.
Per cui non riuscii a reagire subito.
- E' solo che mi importa
di te e mi dispiace se stai male. - Mi disse mettendomi una mano
sulla guancia, dopo aver finito di prepararsi. Lo disse con
dolcezza, senza più rabbia.
Io non lo respinsi, rimasi
di sasso a pensarlo... pensare che forse, forse non ne era
semplicemente convinto di amarmi. Forse mi amava davvero. Forse era
vero, questi sentimenti che diceva di provare erano autentici, non
erano solo parole.
Ma ugualmente a non andare
bene era il modo in cui amava, il suo modo di vivere le relazioni. Il
fatto che non era una persona seria.
Era immaturo. Era questo.
Mi amava. ok. Potevo accettarlo.
Ma era immaturo. E questo non andava bene. Non poteva.
Non mi mossi, shockato da quello che avevo realizzato, da quello che ormai ero certo di aver capito.
Io lo amavo, e lui mi
amava. Ma non eravamo in grado di viverlo, perchè io volevo una
relazione a tutto tondo e lui non era capace di darmela.
Però ci amavamo tutti e due. Ci amavamo.
Era vero.
Rimasi a ripetermelo
imbambolato mentre volevo piangere perchè quelle erano le cose che
avrei voluto sapere da una vita, a cui volevo credere da mesi.
Ma era così che amava?
Che modo sbagliato...
- Ce la faccio. - Dissi
infine riscuotendomi, dovevo fare qualcosa, assolutamente. Eravamo
ancora uno davanti all'altro. Dovevo reagire.
- Pensa alla tua salute, miraccomando. - Continuò morbido, dolce. La mano sempre sulla mia guancia dove mi piaceva che stesse.
- E tu ai tuoi obiettivi. - E fu lì, mentre lo dissi prima di averlo realizzato io stesso, che capii che volevo essere convinto.
Volevo essere convinto da lui, dal suo amore, dal fatto che poteva cambiare e crescere.
Volevo che maturasse.
Volevo che mi dimostrasse che poteva anche essere una persona
affidabile, seria, che faceva quello che diceva. Che era di parola. Che
ci si poteva fidare delle sue promesse.
Era questo che volevo. Era in questo che speravo. Ed era la prima volta che mi mettevo ad osare sperare.
Voglio dire sul serio. Con una tale intensità da svenire.
Sfilò la mano dalla mia guancia e mi sorrise stupito, con la luce di gioia per questa speranza che gli avevo dato.
Rimasto solo mi coprii il viso con le mani e piansi.
Stavo per infossarmi in un altro ennesimo catastrofico finale distruttivo.
Ne sarei uscito distrutto.