CAPITOLO XXXI:

ROLAND GARROS




Successivamente Nole mi tormentò non poco, perchè poi dopo Roma arrivò Parigi e al Roland io dovevo farcela a tutti i costi, ma con l'aver scoperto definitivamente tutte le carte del caso, iniziò a tormentarmi in diversi modi e al tempo stesso ad essere dolce avendo accorgimenti a modo suo.
Per prima cosa mi chiese come stavo per sms.
Provai piacere.
Del resto aveva detto che gli importava di me, se non me l'avesse chiesto ci sarei rimasto male.
Sorrisi felice nel ricevere il suo sms.
Poi però cercai di contenermi, non volevo aprirgli troppo facilmente la strada.
Non ne parlammo apertamente, ma mi fece capire che per dimostrarmi che era un uomo di parola e quindi degno di fiducia, intendeva conquistare gli obiettivi importanti a tennis per poi tornare primo.
Se ci fosse riuscito, allora avrebbe dimostrato che era degno di fiducia, che era una persona seria, che quando focalizzava un obiettivo, poi lo raggiungeva.
Così al Roland io mi aspettai di ritrovarmelo fra i piedi, vicino di camera, segnato nei miei orari di allenamento in campi vicino al mio, nei miei orari di massaggi e qualunque cosa potesse invadere il mio spazio.
Ma quando arrivai lo trovai qua per primo e vidi che si era preso già la camera senza aspettare il mio arrivo per prenderne una vicino alla mia. Oltre a questo si era già prenotato per gli allenamenti e la sala a disposizione per i massaggi.
Orari diversi da quelli che prendeva di solito, che erano quelli che di solito prendevo io.
Purtroppo ero arrivato tardi ed i miei soliti orari erano stati tutti presi, così mi ritrovai a dovermi segnare in alcuni momenti con lui o nelle sue vicinanze.
Sapevo cosa sembrava, quello.
Non potevo evitarlo.
Così aspettai che tornasse in albergo controllando dalla finestra come un ossesso e vedendolo arrivare lo aspettai davanti alla camera.
La conversazione surreale che avemmo fu pittoresca.
- Volevo dirti che non ti stalkero! -
- Disse quello che mi aspettava davanti alla porta! -
- Hai finito? -
- Scusa! -
- Avrai viste le prenotazioni che ho fatto! Sono arrivato tardi e molti posti erano occupati, gli orari che facevo di solito erano molto gettonati, per questo arrivavo presto e mi segnavo dove volevo. Però oggi ho fatto tardi e niente, ho dovuto prendere quel che c'era! Volevo dirti solo questo, che non ti seguo! Anzi... ho visto che hai cercato di prendere altri orari rispetto al tuo solito. Ho capito che cercavi di lasciarmi i miei spazi. E volevo ringraziarti. Non è da te, ecco! Mi hai stupito! -
- Stai dicendo che sto crescendo? Sto maturando? -
- Sto dicendo che hai fatto una cosa carina che non hai mai fatto e l'hai fatta quando serviva! Tutto qua! -
- E' carino starti lontano? Tutte le volte che ti stavo appresso non ti piacevano? Avevo capito che invece le aspettavi... -
- No, dico che di solito non fai una cosa per me se a te non va! Fai solo quello che pare a te! È la prima volta che cerchi di fare quello che preferisco io! Ed era solo un ringraziamento! Perchè devi rovinare sempre tutto? Devi sempre dire qualcosa, non sai stare zitto e basta! Ad un grazie si risponde con... - E proprio mentre mi ero inalberato, imbarazzato e seccato per la conversazione idiota che mi obbligava ad avere, lui mi baciò. Posò solo le labbra sulle mie.
Pittoresco, appunto.
Mi tolse il fiato e la capacità di pensiero.
La verità era che vivevo per queste cose, vivevo ancora per queste cose. Non respirai, non batté nemmeno il cuore.
- Con un bacio. - Disse piano vicino alla mia bocca dopo che si fu separato di poco. - Ad un grazie io rispondo con un bacio. -
- E lo fai con tutti? - Chiesi polemico per cercare di riprendere possesso delle mie facoltà mentali.
- Ovviamente è una tua prerogativa. - mi teneva il viso fra le mani, mi carezzava con le dita e mi guardava assorbito da me, felice di questo momento, di quello che stava succedendo. Non aveva idea di come mi sentivo io, di come mi stava facendo sentire.
Chiuse gli occhi ed io feci altrettanto, abbandonandomi a qualcosa che volevo disperatamente e che a quanto pareva voleva davvero anche lui.
Avevo sempre dubbi, tanti dubbi, ma ora cominciavo a credere alle sue parole. Se non altro quelle che dicevano di amarmi.
Mi sembrava di sentirlo, il suo amore. Mi sembrava di viverlo.
Ma adesso era così perchè avevamo litigato e lui doveva riconquistarmi. Se fossimo tornati insieme, quanto ci avrebbe impiegato a ferirmi come aveva già fatto?
Era questo che mi chiedevo di continuo.
- Devo sempre rovinare tutto. Ho questa brutta mania, ma ci sto lavorando su. - Disse poi come se mi leggesse dentro. Pensavo a questo. Pensavo che ci amavamo, ma non eravamo capaci di viverlo come si doveva perchè lui rovinava sempre tutto in qualche modo.
- Sbrigati. - Dissi senza resistere, perchè lo volevo, volevo che ci riuscisse. Doveva farcela. Doveva convincermi che era maturato, che era uno di cui ci si poteva fidare.
Doveva.
Non importava se sarebbe tornato primo come era nei suoi piani, poteva anche andare male a tennis, io volevo solo che mi facesse capire che potevo fidarmi. In qualche modo.
Infilò un dito fra le mie labbra dopo avermele carezzate, io lo accolsi e con la punta della lingua lo leccai istintivo, volendolo con tutte le parti più istintive di me, eccitato e desideroso di perdermi in lui. Sentii una violenta scossa su tutto il corpo, ci eccitammo tutti e due, ma rimanemmo fermi uno davanti all'altro senza fare altro.
- Come sta la tua schiena? -
- E' stata meglio, ma tiro avanti. - Comunque avevo mal di schiena, comunque ero al mio Roland. Avrei fatto di tutto per vincerlo. Qualunque cosa.
Perchè quando volevo una cosa dovevo averla in qualche modo, non importava a quale costo. Ero così. Fatto male, forse, ma così. Sulla mia parola si poteva contare.
- Stai attento, tieniti da conto. -
- Non sono al cento percento, ma farò del mio meglio, darò tutto quello che posso per vincerlo. - Sorrise.
- Lo so. - Poi mi sfiorò ancora le labbra con le sue. - Ed io sono qua per dimostrarti che faccio sul serio su ogni aspetto della mia vita. Sono una persona seria che quando fissa un obiettivo lo ottiene. Vita professionale e privata. - lì capii cosa puntava. Puntava a convincermi andando bene a tennis. Tornando primo.
- Ti sto aspettando. - Alla fine lo ammisi apertamente, era così inutile nasconderlo e fare la parte di quello arrabbiato. Non ero riuscito ad odiarlo per molto tempo, dopotutto.
- Taglierò i miei traguardi. E poi verrò da te. - annuii, lo volevo quanto lui. Non essere superato a tennis, ma che lui tagliasse i traguardi affinchè venisse da me. In quel momento per me le due cose non erano necessariamente collegate e comunque non me ne importava così tanto il risultato tennistico quanto quello nostro, personale.
Doveva farcela e sbrigarsi, perchè l'amavo più di prima e volevo essere amato da lui come si doveva. Volevo potermi fidare. Volevo che fosse il mo rifugio. Volevo tutto.

Per il resto ci incontrammo in alcune occasioni una più imbarazzante dell'altra ed in tutte lui mi tormentò sul sapere la 'mia' versione di certi eventi. Tipo cosa avevo pensato la prima volta che l'avevo incontrato, cosa avevo pensato in una data occasione specifica... insomma, furono scambi diversi sfociati spesso in cose non consigliabili per due che erano in uno stato delicato di stallo.
Ma risposi e gli diedi corda perchè sapevo che era importante per lui, al di là delle conseguenti reazioni, capire cosa era successo in passato negli episodi fra di noi, visto che ci eravamo sempre capiti male e fraintesi. Sempre.
Lui mi provocava un orgasmo? Secondo lui ero confuso sessualmente e stavo scoprendomi gay, per questo venivo con lui in certi momenti. No, cazzo! Venivo perchè mi piaceva lui e quel che mi faceva! Che poi a volte per orgoglio rigirassi un po' la frittata era diverso, ma dalla mia avevo che ero sicuro di essere visto come un buco. Cioè che non volesse la stessa cosa che volevo io. Per questo cercavo un po' di respingerlo subito dopo aver avuto orgasmi in questione.
Insomma, furono momenti diversi ed intensi, conversazioni un po' doverose, diciamo giuste. Ci aprimmo gli occhi a vicenda, vedemmo tutto dal punto di vista uno dell'altro e l'aiutai a capire.
A capire che a volte agivo io di mia iniziativa verso di lui perchè mi spingeva ad un punto tale da non potermi trattenere. Perchè volevo talmente tanto una cosa che alla fine non riuscivo a fermarmi da solo. Ed allora, magari, gli saltavo addosso o lo toccavo per primo.
Fortunatamente non parlammo e non nominammo le volte in cui si era ubriacato. Non le ricordava davvero. Sospettava, ma non ricordava. Per cui era meglio non menzionare nulla.
- So che anche questo fa parte di te, non mi aspetto che lo cancelli, non potresti. Si tratta di mostrare anche il resto di te che, invece, hai sempre nascosto bene. - Fu il succo di quello che concludemmo coi nostri dialoghi.
Forse non ci eravamo mai parlati abbastanza, era stato questo il nostro problema, dopotutto.
- Ti ho sempre frainteso, non ho mai capito niente di te. Ed ora ne pago lo scotto. -
- Hai capito come farmi ridere e come rilassarmi. - Non volevo che distruggesse tutto, perchè io lo amavo e non lo amavo solo per le volte che aveva flirtato con me, che mi aveva provocato, quando mi aveva toccato fra le gambe o mi aveva fatto avere quei famosi orgasmi. Io mi ero innamorato di lui per qualcosa e non volevo che demolisse tutto di sé per cambiare, volevo che tirasse fuori quel lato che non aveva mai vissuto, quello che aveva nascosto, soffocato per paura di... cosa? Essere vulnerabile in qualche istante della sua vita?
Per che cosa aveva nascosto la sua capacità di essere serio?
Perchè poi avrebbe dovuto anche vivere i legami, rinforzarli, essere troppo unito a qualcuno che aveva il potere di gioia e di tristezza su di sé? Per cosa?
Capire Nole stava diventando un bell'enigma, un enigma fantastico ed il risultato era che, volta dopo volta, me ne stavo innamorando ancora di più se possibile. Nonostante tutto.
Le sue paure. Stavo vedendo le sue paure di essere serio, maturo ed affidabile per quel che erano. Paura di legarsi troppo. Paura di soffrire. Paura di dipendere troppo da qualcuno, di non essere indipendente, forte.
Ed era stupendo.
Però doveva arrendersi ed abbattere questa paura. Questa fobia dei legami. Doveva diventare serio in amore, doveva essere disposto a tutto in amore, anche a scottarsi e a soffrire, perchè l'altra persona era disposto alla stessa cosa. L'altra persona rischiava le sue stesse cose.

Potevo riconoscere il suo bussare fra mille, perchè sapevo quando sarebbe venuto alla mia porta ed anche quando e perchè.
E non mi deluse.
Aveva capito che avevo ancora seri problemi alla schiena.
Se non gli avessi aperto avrebbe svegliato tutto il piano. Aprii e rimasi sulla fessura della porta, il viso accostato, lui uguale al di fuori. Dietro di lui il buio della notte, in corridoio.
Non dimentico i suoi occhi, lo sguardo preoccupato, sentitamente preoccupato, sul punto di piangere dalla preoccupazione. Ero tentato di farlo entrare e riprovarci subito. Ero tentato, volevo.
- Sei sicuro di continuare a giocare così? - Stavo giocando il Roland con la schiena a pezzi e nessuno lo sapeva a parte lui.
- Non posso tirarmi indietro. Non qua. - Mormorai io mostrandomi nudo, facendogli vedere come si faceva e che andava bene fra di noi. Quanto volevo farlo entrare.
- Se solo potessi fare qualcosa... - chiese con un tocco di disperazione che mi colpì.
Io lo volevo, volevo che lo facesse. Volevo poter mettermi con lui ed essere sicuro che sarebbe andato tutto bene, che sarei stato felice. Che saremmo stati l'isola protettiva uno dell'altro.
- Raggiungi i tuoi obiettivi. È questo che puoi fare per me. - Mormorai allora capendo che farlo entrare ora avrebbe significato fermare il suo percorso di maturazione. Era importante farlo arrivare fino in fondo. Era importante che ce la facesse. E non importava in che modo, a quale costo. Ma doveva farcela. Per lui stesso.
Lui annuii concordando e mi baciò il dito sulla porta che tenevo aperta. Io sorrisi.
- Notte. - Mormorò andandosene.
 Poco dopo ci scrivemmo un sms ciascuno.
Lui mi disse che gli dispiaceva per aver invaso il mio spazio, io gli dissi che a me non era dispiaciuto.
Perchè l'amavo e doveva sapere che l'amavo ancora. Non doveva perdere di vista l'obiettivo. Il motivo per cui camminava e si sforzava.
Ed io sentivo ancora, sempre con maggiore intensità, il suo amore per me.

Nole piano piano mi stava facendo dire tutto.
- Mi sei piaciuto lentamente. - Fu una delle conclusioni di un'altra conversazione dove mi aveva tormentato su cosa avevo pensato la prima volta che ci eravamo incontrati. Alla fine, dopo un dialogo dei nostri, conclusi con la mia onestà disarmante che trovavo estremamente appagante.
Mi era piaciuto lentamente. Non da subito. Ma era quel tipo d'amore che poteva durare per sempre, se ricambiato.

Quella finale fu la più dura della mia vita, non perchè più lunga, anzi. Forse ce n'erano state obiettivamente altre più difficili e combattute.
Era stata dura perchè l'avevo fatta contro me stesso.
Scesi in campo arrabbiato con Nole perchè avevamo avuto una discussione, non lo stato d'animo ideale con cui giocare.
Lui aveva detto che non potevo giocare con la schiena nelle mie condizioni, io avevo detto che non mi sarei tirato indietro.
Lui a quel punto mi aveva detto che non sapeva come giocare sapendomi così ed io mi ero arrabbiato.
Cosa aveva pensato sarebbe stato?
Doveva dimostrarmi che faceva sul serio senza giocare contro di me?
Cosa aveva creduto che fosse?
Alla fine aveva detto che non aveva pensato ad una finale fra noi due ed io avevo capito che lui si era convinto io non sarei andato oltre un certo punto, con la schiena così.
La discussione non si chiuse bene, io sbraitai che gli avrei dato una dimostrazione di come si fa seriamente.
Beh, gliela diedi.
Non ero agguerrito per quello, cioè anche ma non solo.
Ero agguerrito contro me stesso, perchè avevo un impedimento fisico a bloccare la mia strada.
Io volevo quel trofeo, il nono della mia carriera.
Il nono Roland Garros, lo Slam della terra rossa. Io lo desideravo con tutto me stesso e non avevo mai desiderato nulla con tanta intensità.
Ma il male che avevo alla schiena non mi permetteva di giocare come volevo, di fare le cose come mio solito.
Ero contratto e limitato in molte cose.
Non ero al livello dello slam australiano, ma non ero in me.
Però lo volevo, lo volevo tantissimo ed alla fine lo ottenni.
Dio, non so come feci. Nole cominciò forte perchè voleva darmi una lezione, era arrabbiato con me, ma poi vedendo quanto lottavo e continuavo nonostante tutto, vacillò e mollò.
Me ne resi conto cammin facendo. Non era una questione di approfittare, era una questione di rimanere concentrati e focalizzati sull'obiettivo.
In quel momento esisteva solo la vittoria finale. Non esisteva altro.
Non c'erano più precedenti fra me e lui, non c'erano più situazioni difficili, litigi, contese e dimostrazioni.
In quel momento c'ero solo io, il tennis e quel trofeo che volevo.
Lottai duramente, ma ce la feci e quando realizzai, quando realizzai che ero arrivato alla meta agognata piansi. Mi trovai a piangere fuori controllo, come non mi era mai capitato di fare vincendo qualcosa.
Avevo vinto durissime lotte contro campioni del calibro di Roger e Nole, in partite bellissime, lunghe e combattute.
Però quella lì, quella lì mi aveva fatto piangere.
Forse era l'ultimo trofeo della mia vita, forse no. Però io l'avevo ottenuto.
Avevo avuto quello.
Il maggior trofeo del mio terreno di gioco preferito.
Non so cosa fosse di preciso che mi faceva quell'effetto. Ma piansi e tutto venne spazzato via, tutto.
La rabbia verso Nole, il risentimento, il rimprovero, la delusione.
Vedevo tutto sotto un'altra prospettiva.
Nole era stato bravo, ma si era fatto prendere dal sentimento che provava verso di me. A modo suo era la prova più grande che mi amava sul serio.
Quello che aspettavo mi dimostrasse.
Volevo dirglielo.
Ok, per me va bene così. Ho capito quanto sei serio quando mi dici che mi ami davvero e che vuoi provarci solennemente da qui in poi.
Però lui aveva fatto una promessa a cui teneva molto, al punto da essere uno straccio dopo questa sconfitta.
Per cui non potevo interrompere la sua crescita.
Avrebbe lottato duramente per adempiere alla promessa, io non glielo avrei impedito. Non era importante che riuscisse in quel che aveva detto di voler fare, arrivare di nuovo primo a tennis. Era importante che mantenesse la parola.
Che raggiungesse l'obiettivo.
Era importante il fatto in sé, non il cosa.
Per cui non l'avrei fermato, anche se la tentazione fu enorme, grandissima.
Perchè lo vidi sotto le docce con la sua aria abbattuta da cane bastonato oltre che bagnato ed io provai quell'istinto di abbracciarlo e dirgli che andava bene lo stesso.
- Non erano questi gli obiettivi che volevo raggiungere. - Fece amareggiato.
Lo guardai mentre mi mettevo sotto il getto dell'acqua calda che mi carezzò portandomi sollievo fisico. La voglia di andare da lui.
- Lo spero bene che il tuo obiettivo non fosse perdere. - Dissi con fermezza. Non ero arrabbiato, mi stavo obbligando a non fare quello che volevo tanto. Consolarlo.
Era importante ce la facesse da solo.
- Non credo ti dispiaccia di aver vinto però... - Fece lui. Io lo guardai corrucciato mentre ci lavavamo nervosi e frenetici, a disagio, incapaci di gestire questa strana situazione. Non capivo cosa voleva, si stava scusando, attaccando o cosa? Non capivo. - Voglio dire, se io mantenevo la parola e raggiungevo l'obiettivo, superarti e tornare il numero uno del mondo, significava che tu perdevi e non so quanto saresti stato felice! Penso che forse quando sarei venuto da te mi avresti picchiato e mandato a cagare. -
In realtà volevo ridere, ma rimasi fermo a fissarlo encomiabile. Non so come riuscii a trattenermi.
Aveva quella mania di dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Alla fine scrollai le spalle e mi sciacquai con cura per dargli una piccola ulteriore lezione. Solo una semplice tortura. Non lo guardai ma sapevo che non mi staccava gli occhi di dosso.
- Non ha senso parlarne ora, visto che le cose sono andate così. - Risposi con alterigia ed insufficienza. Facevo finta di essere arrabbiato perchè era più facile controllarmi dall'abbracciarlo e dirgli che andava bene così.
Doveva arrivare ai suoi obiettivi, a qualunque costo. Doveva imparare a farcela in ogni caso, anche se poi otteneva comunque qualcosa. Non doveva accontentarsi.
- Io ci speravo davvero. - Chiusi il rubinetto ed esitai prima di uscire, anche lui si sciacquava ed era serio mentre lo diceva. Io volevo raggiungerlo, come volevo raggiungerlo.
Ma fu così che non riuscii a frenare tutto di me. Riuscii a non andare da lui, ma non riuscii a tacere:
- No, pensavi più alla mia salute. Se ci avessi sperato davvero non avresti avuto pietà, come nel primo set. Dal terzo in poi hai pensato più alla mia salute che al tuo obiettivo. -
Non volevo sotterrare l'ascia di guerra, volevo fargli sapere che me ne ero accorto. Non era né un'accusa né un ringraziamento. Non era nulla.
Però alla fine io avevo raggiunto il mio obiettivo, lui no.
Rimaneva solo questo.
- E' una colpa essere troppo innamorato? - Chiese amareggiato, con un filo, appoggiandosi alla parete dietro di sé, mentre la mano era sul rubinetto che era ancora aperto.
Io mi limitai a scuotere il capo, non dissi nulla, ma non era quello il punto. Non era quello il fatto, però lui si incentrava troppo su quello.
Per questo era bloccato.
Mi seguì di là nello spogliatoio, mi stavo asciugando e lui iniziò a fare rabbioso la stessa cosa.
- E' una colpa amarti? Preoccuparmi per te? - Insistette ostinato. Io non ce la facevo più, non ce la facevo perchè non aveva ancora capito niente.
All'ennesima gettai l'asciugamano a terra e mi girai così com'ero, nudo, a guardarlo battagliero.
- Quando hai la racchetta in mano sei un tennista, Nole! E quando sei un tennista giochi per vincere, per essere il numero uno! Questo lo puoi fare in un solo modo. Non avendo pietà dell'avversario! -
- E' questo che ti fa infuriare! Sei arrabbiato con me non perchè ho perso o per l'atteggiamento, ma perchè credi che io abbia avuto pietà? Che il mio amore per te mi abbia cosa, impietosito? Tu sei completamente fuori strada, non è questo! Tu hai vinto per la tua tenacia, non per la mia pietà! Io non ho avuto pietà! Io... - ma io mi avvicinai con uno scatto, mani ai fianchi, aria di sfida, sempre nudo, come poi era anche lui. Ci sfioravamo ma ero troppo arrabbiato per realizzarlo e provocante dissi:
- Cosa? Cosa hai avuto? Cos'era quella se non pietà? -
Allargò le braccia teatrale.
- Impressionato, Rafa! Ero incredulo, ammirato, sconvolto da quello che stavi facendo! Ero distratto da te, ma non ti ho certo mostrato pietà! Non ti ho fatto vincere, toglitelo dalla testa! Hai vinto perchè lo volevi come un disperato! Io ero solo shockato! - Nole ora era molto arrabbiato, indignato, ed io mi ritrovai senza fiato e preso in contropiede.
Il silenzio calò improvviso, lui smise di parlare ed io non trovai nulla da dire nell'immediato e fu lì che mi accorsi che eravamo nudi uno davanti all'altro, umidi, un po' ancora bagnati, i miei capelli tutti spettinati intorno al viso, i suoi occhi chiari, furiosi.
Volevo mandare tutto a quel paese e mettermi con lui, volevo dirgli ok, basta così. Per me è sufficiente.
Io ce l'avevo perchè aveva mescolato vita professionale e privata, uno che puntava al primo posto non poteva permetterselo e oltre a questo volevo che si sbrigasse a mantenere quella promessa, una promessa a me, ma per sé stesso, perchè sarebbe arrivato al punto in cui doveva arrivare, dove sarebbe stato giusto essere.
Lui era arrabbiato perchè io ero arrabbiato. Di fatto era così.
Per lui era impossibile separare le due cose, per me era doveroso per raggiungere i nostri scopi.
Alla fine questo eludeva dal fatto che mi aveva dimostrato che mi amava sul serio.
Era ad un passo da quell'obiettivo, ma aveva mollato perchè troppo preoccupato per me.
Stavo per cedere, quando batterono alla porta per dire che era ora di andare.
Ci scuotemmo dal torpore ipnotico e ci vestimmo in fretta.
Non dicemmo più nulla, ognuno perso nei propri pensieri.
Solo prima di separarci, lui mormorò vicino a me:
- Mi dispiace averti deluso. - Questo mi demolì.
Non riuscii a cancellarlo, mi impegnai a metterlo da parte, ma non riuscii a cancellarlo.
Non risposi, non potevo, ma non mi andò via dalla testa nemmeno un istante, le sue parole scavarono in me in profondità.
Andai avanti nelle altre mie cose da vincitore, focalizzandomi a fatica su un discorso confuso fra le lacrime dove non riuscii ad esprimere quel che significava per me quel trofeo.
Poi, dopo molto, una volta da solo, non sapendo come altro fare per fargli sapere che non era come diceva lui, non era una questione di delusione, gli scrissi un sms.
'Aspetto sempre di vedere chi sei davvero'.
Non mi interessava che vincesse, perdesse, arrivasse primo o rimanesse secondo.
Quel che contava era il modo in cui ci provava, l'attitudine che ci metteva, il sistema che usava, come cercava di arrivare a vincere.
E quella volta aveva fallito perchè ad un certo punto non ci aveva più provato, perchè mi amava troppo.
Non era quello il Nole che volevo, che doveva dimostrarmi di essere. Io sapevo che lo era. Non volevo cambiasse, volevo che tirasse fuori quel lato.
Poco dopo lui mi scrisse:
'Prova ancora, sbaglia ancora, sbaglia meglio.'
Io sorrisi riconoscendo la citazione del tatuaggio di Stan, la volta successiva ci sarebbe arrivato, indipendentemente dai miei risultati e dal nostro numero finale in classifica. Ci sarebbe arrivato al prossimo Slam.
'Non dimenticarlo.'
Ormai lo sentivo vicino. Eravamo lì.