CAPITOLO
I:
PREDESTINAZIONE
/Stan/
-
Cosa stai facendo? - La voce di Roger si leva nel silenzio della
camera. Io, cercando di rimanere concentrato, rispondo mantenendo un
tono calmo e gli occhi chiusi.
-
Visualizzazione. - E' un esercizio che faccio tutte le volte che devo
fare partite dove ci sono molti nervi. Mi stendo in camera e nel buio
e silenzio faccio respirazione, svuoto la mente e visualizzo cose
rilassanti. Poi mi addormento. È una cosa utile perchè sono troppo
emotivo ed altrimenti non combino molto a tennis, un gioco parecchio
mentale.
-
Cioè? - Ma Roger insiste a fare domande proprio ora. Io, con tanta
pazienza, continuo a rispondere.
-
Rilasso i nervi. - La versione breve. Spero che molli.
-
Oh... - Silenzio. Un silenzio che dura molto poco. - E come lo fai? -
A questo i famosi nervi partono.
-
Stando zitto! - Ringhio esasperato. Roger non risponde, cosa strana.
Così sospirando spazientito apro gli occhi e li giro verso di lui,
nella penombra della camera lo vedo perfettamente seduto sul letto,
gambe incrociate, che mi fissa col broncio.
La
visione di Roger in versione bambino offeso mi fa partire un conato
di risate che sfociano nelle lacrime, mentre mi rotolo sul letto a
pancia in giù.
I
letti sono due e singoli e messi uno contro la parete e l'altro
separato solo dai comodini. Dall'altra parte la porta finestra che dà
sul terrazzo.
Finisce
che ride anche lui ed andiamo avanti per un bel po', fino a che mi
alzo a sedere e asciugandomi gli occhi, cerco di spiegargli di cosa
si trattava.
Alla
fine lui annuisce cercando di fare il serio.
- No
è che anche io sono nervoso per domani e speravo di poter parlare...
- Le risa sono ancora sull'orlo di uscire, ma pensando a domani
rabbrividisco e penso che sia meglio che entrambi troviamo un modo di
calmarci.
- Ok,
stenditi. - Faccio allora alzandomi ed avvicinandomi al suo letto.
Lui mi guarda come se fossi matto, allora poco gentilmente lo spingo
obbligandolo a stendersi.
Lui
esegue polemico.
- Ok,
ok, mi stendo... che modi! A volte sei un animale! E dire che sembri
tanto docile e mite! -
- Non
sono un cane, sono una persona! - Rispondo polemico a mia volta ed
indispettito rimanendo in piedi accanto al suo letto.
Lui
ora è steso e mi guarda con le mani alzate a mezz'aria che gesticola
mentre parla.
- Ma
no, è per dire... ma insomma, cosa vuoi fare, soffocarmi? - Non lo
facevo così difficile e diffidente.
- In
effetti ho la tentazione... - Mormoro a denti stretti e lui fa la
faccia scura per minacciarmi, così distendo il mio viso in un
sorriso ed anche lui fa altrettanto.
-
Zitto e ascoltami. - Faccio alla fine.
- Ma
non voglio stare zitto, voglio parlare! - Replica incapace di stare
zitto.
Sospiro
alzando gli occhi al cielo e mi siedo sul bordo del suo letto, poi
gli prendo le mani e gliele metto giù ai lati.
-
Adesso stai buono! - Dico con fermezza.
Per
stare seduto vicino a lui steso, ci tocchiamo un po' coi corpi, ma
niente di particolare.
Non
contento gli poso la mano sul petto e questo lo zittisce
immediatamente, proprio mentre stava per partire con qualche
lamentela.
- Ti
faccio vedere come si fa. - Dico piano.
Lui
mi sta ancora guardando, come anche io del resto. È diffidente ma
non si muove e non mi caccia.
- Sei
sicuro? - Io annuisco.
- Con
me funziona. Sai, sono molto emotivo e quando mi sono trovato ad
affrontare le partite serie di tennis ho dovuto trovare un sistema.
Non funziona sempre, ma diciamo che a volte mi aiuta. - Spiego ancora
calmo. Lui è assorbito da me e quindi non mi interrompe, finalmente.
- Le prime volte non sono facili, perchè si è pieni di pensieri e
blocchi. -
- Hai
la mano caldissima. - dice poi mormorando. C'è la stoffa della
maglietta a separarci, ma non è sufficiente perchè sembra che lo
stia toccando direttamente sulla pelle.
Io mi
concentro cercando il battito del suo cuore, ma il nervoso sale anche
in me così opto per un altro sistema.
Sposto
la mano sinistra sul suo ventre e la destra la metto sul suo collo,
non come per strozzarlo ovviamente. L'appoggio in modo che le dita
arrivino sul collo a trovare la vena pulsante.
La
sento veloce così come il suo respiro irregolare.
Così
non può nascondere il suo reale stato d'animo e per un momento mi
chiedo perchè sia tanto teso e nervoso.
-
Adesso devi calmarti. Devi abbassare i battiti e la respirazione. -
Spiego così perchè lo sto toccando.
- Le
tue mani sono sempre più calde. - Non so perchè insiste su questa
cosa.
- E'
una cosa strana ma che funziona. Però devi lasciarti andare. Chiudi
gli occhi. -
-
Perchè le tue mani sono così calde? - Chiede ancora insistendo
mentre i battiti aumentano e la sua respirazione anche. Improvviso mi
piazza una sua sul viso, è gelida e sudata.
-
Roger, sei nervoso. Devi rilassarti o non funziona. - Gliela prendo e
gliela metto sul suo stomaco, sotto la mia. Gliela tengo così per
fargli sentire quello che sento io.
-
Ecco, ascolta come respiri veloce. - I battiti non sono da meno. -
Chiudi gli occhi. - annuisce.
Cala
finalmente un'atmosfera strana, che prima non c'era. Sono io stesso
emozionato, ma cerco di domare questa cosa che sto provando. Mi è
capitato altre volte, in sua compagnia, di essere strano, nervoso od
emozionato. Quando mi ha chiesto di giocare il doppio delle olimpiadi
con lui ho avuto una crisi di nervi.
Adesso
è una cosa che torno a provare, non la crisi di nervi, ma la forte
emozione correlata a lui, a lui in particolare. Al fatto che sto
facendo qualcosa di speciale con lui.
-
Inspira, espira. - Comincio ad indicargli piano e placido la
respirazione, chiudo a mia volta gli occhi mentre lo faccio anche io,
da seduto.
Piano
piano si calma, il respiro è normale ed i battiti si placano.
Dopo
un po' lo guido in un posto che penso possa piacergli e rilassarlo.
È
svizzero come me, sicuramente gli piacciono le montagne ed i laghi.
Gli
parlo di una passeggiata in un posto su dalle nostre parti che toglie
il fiato e piano piano la mano che gli sto tenendo sul suo addome, è
calda e asciutta come la mia.
Quando
la visualizzazione finisce, lo faccio tornare qua, nel letto, con me,
a Pechino.
-
Adesso, quando ti sentirai pronto, apri lentamente gli occhi. - Lo
faccio anche io, poco dopo li apre e mi cerca, gli sguardi si
incontrano e sono io, ora, che ha bisogno di calmare i battiti. C'è
una specie di ondata particolare che provo e non so... non so proprio
definirla.
È la
prima volta che c'è così chiara e netta.
Sorrido
dolcemente e lui fa altrettanto.
-
Come ti senti? - Chiedo piano. Lui, con stupore, annuisce.
-
Bene! Benissimo... come... come hai fatto? -
Sorrido
contento.
- Me
lo hanno insegnato dopo che passavo la notte prima delle partite a
vomitare dall'ansia. - spiego.
- No,
ma voglio dire... io... ho sentito... come posso dire? Dalle tue mani
su di me, quel calore... è come se me lo trasmettessi nel mio corpo
tramite delle punture. Come un siero che si espandeva lentamente
dappertutto... - Io faccio per ritirare le mani che ho ancora su di
lui ma me le prende colpito da quello che ho fatto.
- E'
l'effetto del rilassamento... - Cerco di essere evasivo, ma lui
trattenendole riprende colpito.
- No,
non è... era diverso... ho come sentito la tua energia dentro di
me... è una sciocchezza? - Chiede vedendo che sono a disagio e cerco
di andarmene. Io sono a disagio perchè sto provando qualcosa che non
andrebbe provato per nessuno.
Cioè
non per un altro ragazzo, un amico.
Mi
sta piacendo avere le mani nelle sue e mi è piaciuto questo lungo
contatto.
-
Credo sia possibile. Quando mi hanno insegnato questo esercizio, le
prime volte lo facevamo così e sentivo la stessa cosa. Il suo calore
direttamente dentro di me. Mi ha detto che siamo fatti di energia e
che in certe circostanze possiamo trasmettercela l'un l'altro. Non è
una cosa facile e che riesce a tutti. Poi io non lo so, è quello che
lui mi diceva... - Sospira e mi lascia andare capendo che voglio
scappare. Appena mi molla si tira su sui gomiti e mi guarda tornare
nel mio letto.
- Può
essere. Di qualcosa siamo pur fatti, no? L'energia andrà bene! -
Dice sorridendo per allentare questa strana tensione, che poi non è
nemmeno proprio tensione.
Io mi
infilo nel letto e mi metto sul fianco, verso di lui, intimidito e
preoccupato.
C'è
stata una forte empatia, con lui, ma non so come esprimermi.
Io...
a me è piaciuto. È piaciuto avere le mani su di lui, tenergli la
sua, guidarlo in questa cosa, stabilire questa connessione, colpirlo,
aiutarlo, calmarlo. Mi è piaciuto.
È
stato intimo.
Sono
sconvolto, ma devo superarlo e metterlo da parte.
Forse
non è nulla, forse è normale quando si fa l'esercizio così.
- E'
interscambiabile. - Fa poi continuando a pensarci stupito e curioso.
- Siamo interscambiabili! - ripete divertito come se fosse comico.
Forse lo è, forse no, però mi metto a ridere per allentare i nervi
e lui mi imita.
E
poi, quando smettiamo, come se fosse normale:
-
Grazie. - Io sbatto le palpebre un paio di volte, colto in
contropiede.
- Per
questa sciocchezza? Ma figurati! Spero che ti aiuti! - Sorride in uno
dei suoi modi strani che mi piacciono tanto.
-
Sono sicuro di sì! - Poi si stende sulla schiena togliendomi gli
occhi di dosso.
- E
tu cosa provavi? - Chiede poi dopo un po'. Mi mordo la bocca a
disagio.
- A
guidare? -
-
Sì... - Non mi guarda, fissa il soffitto con gli occhi sottili, come
se riflettesse, se cercasse qualcosa che gli sfugge. Io però sono
perso nel suo profilo che mi piace molto.
- Non
so, è la prima volta che lo facevo. È stato... - Non so trovare
altro termine che quello. - intimo. - Non volevo dire quello, ma è
esattamente quello che è stato e spaventato dal fatto che possa
prenderla male, lo fisso in attesa. Lui ci pensa ed annuisce, poi si
gira.
- E'
proprio vero, è stato intimo! Bello! - E' sincero e spontaneo e non
se ne vergogna. È bellissimo. E'... è sconvolgentemente bello.
Lui e
quello che è successo e come ha preso la cosa. È limpido. Non se ne
vergogna sul serio.
-
Come facevi a sapere che mi piace quel posto? - Sapevo che lo
riconosceva. Io sorrido.
- Non
lo sapevo, ho tirato ad indovinare. Siamo svizzeri, mi piace quel
posto e l'ho descritto. -
-
Bello. Ci vado spesso quando posso. - Ammette. Io sorrido felice, gli
occhi mi brillano ed anche i suoi.
-
Anche io. -
-
Allora ci andremo insieme... - Dice poi. E a questo punto trovo il
coraggio di fargli la domanda che volevo fargli da giorni.
-
Perchè mi hai chiesto di partecipare con te nel doppio? Sono le
olimpiadi, era una scelta importante... - Mi sono tormentato con
questa domanda. Io non sono poi così eccezionale, spero di riuscire
a migliorare, non sono in ultima posizione ma nemmeno nelle prime.
Lui è
sorpreso dal fatto che gli faccia questa domanda.
-
Perchè dovevo venire con un connazionale. - La risposta non mi
soddisfa e storgo le labbra.
-
Potevi scegliere qualcun altro, non sono poi il migliore, non
penso... - Ce ne sono alcuni più o meno sul mio livello, ma lui si
alza di nuovo sul gomito e mi fissa aggrottando la fronte.
- Ma
tu sei quello con più potenziale e che da quando ha iniziato a
giocare nell'ATP è migliorato di più. Tu vai sempre meglio di anno
in anno e ti ricordo che ti conosco sin da ragazzini, posso dirlo che
sei migliorato... - Il mio potenziale e la capacità di
miglioramento.
Colpito,
rimango inebetito a guardarlo ed allora continua sicuro.
- Non
sottovalutarti, Stanley. Vedrai che arriverai in alto, io lo so! -
Non so cosa ci vede in me, sicuramente qualcosa che io stesso non
vedo, ma se lo vede allora ci credo. Ci credo che ci sia. Devo
crederci ed iniziare a tirarla fuori.
Piano
piano questo lavora in me, inizia, ma so che nel tempo sarà quello
che mi permetterà di raggiungere grandi risultati.
-
Grazie. - dico timido. Lui sorride e annuisce tornando a mettersi
comodo.
- Lo
penso davvero e ne sono sicuro. Vedrai che ho ragione. - Poi prosegue
continuando a fissarmi pensieroso, con un bel sorriso sul viso. - Sei
molto chiuso e timido, è questo il tuo freno, se riuscirai ad
aprirti in generale di più col mondo esterno riuscirai a migliorare
ancora più in fretta. -
E'
uno strano consiglio e lo guardo stranito.
-
Davvero? -
- Sì.
Ed il bello è che con me non sei timido e chiuso. All'inizio, quando
ci siamo conosciuti da ragazzi lo eri, ma poi quando siamo diventati
amici ti ho visto aprirti, come sei fatto... con me ti sei lasciato
molto andare ed ho capito che oltre ad essere speciale ed
interessante, se ti apri anche col mondo, migliorerai prima. Non so
spiegarti perchè, ma è una cosa che aiuta. - Non gli chiedo
spiegazioni, bevo tutto quel che dice e annuisco contento che me ne
abbia reso partecipe. Sapere quel che pensava, quel che pensa, è
bellissimo e arrossisco.
- Non
è facile, ma ci proverò. - Dico. Lui sorride ancora e rimane a
guardarmi contento della conversazione. Io dormirò poco, già lo so.
Penserò a lui e lo fisserò come un ebete cercando di capire cosa mi
succede, ma saranno i giorni più belli della mia vita.
Indimenticabili.
Me lo
sento.
Ho
incontrato Roger da bambino, lui era più grande di me di tre anni,
giocavamo gli stessi tornei a livello nazionale. Lui era molto più
bravo di me, però ci scontravamo molto spesso nei tornei. Ero felice
di giocare contro di lui perchè mi piaceva, lo trovavo simpatico e
mi faceva ridere.
Ero
timidissimo, da piccolo, e non spiccicavo parola con nessuno nemmeno
sotto tortura. Il tennis per me era perfetto perchè non dovevo fare
amicizia per forza, non dovevo fare gruppo e cose simili.
Per
cui anche quando eravamo in quei tornei dove dovevamo passare tutta
la giornata, dalla mattina alla sera, a giocare a tennis in attesa
dei nostri turni, io non ero obbligato a fare amicizia con gli altri
ragazzi.
Stavo
sempre in disparte e mi concentravo sulla partita, motivo di grande
tensione sin da piccolo.
Zio
Frank diceva che ho sempre avuto qualcosa di speciale, da piccolo me
lo spiegava dicendo che ero molto sensibile e questo lavorava in me
in tanti modi. In parte mi faceva chiudere e mi intimidiva, ma in
parte mi rendeva particolarmente recettivo. Non capivo cosa
intendesse, crescendo ho capito.
Percepisco
tutto quello che mi circonda ed in particolar modo gli stati d'animo
degli altri.
Lo
zio, che non è davvero mio zio ma un amico di famiglia un po'
strambo, non parla solo di stati d'animo, però semplificando assorbo
quel che provano gli altri. Lo capisco subito e finisco per provarlo
a mia volta.
Questo
fa sì che io abbia le mie emozioni e quelle degli altri. Ovviamente
quelli con cui ho a che fare.
Provare
tutte queste emozioni è sconvolgente, mi scombussolava al punto da
spingermi a chiudermi per non provare quello che provavano gli altri,
per tenerli emotivamente alla larga da me.
È
una cosa che ho iniziato a fare sin da piccolissimo, mi hanno detto i
miei.
Perchè
non sapevo gestire quello che sentivo.
Allora
ad un certo punto mi sono trovato chiusissimo agli altri, tanto che
non li guardavo quasi in faccia, non ci parlavo, non li salutavo. Non
dico di aver sfiorato l'autismo, ero consapevole del mondo che mi
circondava, ma mettevo una barriera, non volevo averci niente a che
fare.
Il
tennis era una valvola di sfogo, un gioco divertente che mi
permetteva di avere un rifugio sano.
Una
specie di terapia.
Così
succedeva che in quelle giornate di tornei io stessi tutto il
sacrosanto tempo da solo, rigorosamente da solo, isolato a pensare
alle tecniche o a guardare gli altri giocare.
È
così che ho conosciuto Roger.
Ci
avevo già giocato una o due volte contro, lui aveva sempre vinto ed
aveva vinto anche tutto il torneo intero.
Era
uno che chiaramente avrebbe avuto un bel futuro, guardandolo giocare
lo capivo benissimo e dentro di me lo ammiravo da un punto di vista
tennistico, ma mi obbligavo a non guardarlo sotto altri punti di
vista. Per me era solo unicamente tennis, non volevo capire che tipo
fosse e immaginare cosa provasse per poi ritrovarmi a provarlo a mia
volta.
Quella
volta ero immerso nella partita che stavo guardando, all'ombra di un
albero, ovviamente in disparte da tutti.
La
sua voce arrivò a distrarmi e spaventarmi, era allegro e squillante
e sembrava conoscermi da una vita, cosa che non era.
- Non
male quello a sinistra, vero? - io saltai di soprassalto e lo
guardai, vidi il suo profilo alto e sorridente, senza un minimo di
timidezza.
-
A-ah.... - Feci spaesato senza aver capito cosa aveva detto. Allora
lui mi guardò indicando il ragazzo.
-
Quello a sinistra. Ha un gran bel servizio ed è molto veloce, vero?
-
Inghiottii
ritrovandomi con un batticuore insensato. Stavo parlando forse per la
prima volta con qualcun altro e non capivo perchè quello si fosse
avvicinato a me per dirmi che quello era bravo. Che me ne importava?
-
Beh, direi di sì... ma l'altro non è ancora molto sudato. - Roger
mi guardò senza capire ed io nervoso spiegai. - Quello a sinistra
tira forte e corre molto ma è sudato fradicio ed a momenti molla di
sicuro, quello a destra fa poco, si limita a rispondere ai colpi, ma
ha più forze. Vedrai che quello che dura di più vince! - Roger,
colpito dalla mia analisi, si mise a guardare la partita e quando
vide che quello di sinistra stava mollando perchè stanco e che
quindi perdeva colpi, si mise a battermi la mano sul braccio
incredulo ed entusiasta come se avessi fatto chissà quale predizione
portentosa!
- Ma
dai avevi ragione! E sì che ne guardo di partite! Sei stato acuto!
Come hai fatto? Hai qualche potere? Mi predici chi vince il torneo? -
Parlò a macchinetta tutto ridente mentre continuava a darmi colpi al
braccio ed io, shockato e preso contropiede, non riuscivo a schivare
quella che non so come definire se non ondata d'empatia.
In un
istante provai tutta la sua gioia ed il suo grande divertimento per
quello che era stata una sciocchezza e rimasi inebetito a guardarlo.
- Ma
dai, era chiaro che vinceva quello con più resistenza! -
- Ma
no, era una tattica, lui ha giocato così apposta, ma non me ne ero
accorto! Pensavo fosse solo scarso! Sei stato bravo, ti dico! Avanti,
dimmi chi vince il torneo! - Insistette smettendo di darmi colpi al
braccio, ma continuando a guardarmi divertito.
Io
non sapevo come comportarmi, avevo voglia di ridere perchè lui stava
ridendo anche se non capivo cosa ci fosse da ridere.
Effetto
empatia.
-
Non... non saprei... come faccio a dirlo? -
Roger
però non avrebbe mollato, così non ebbi scelta che dire qualcosa.
- Che
ne so, tu? - A quello si fermò contento e soddisfatto piegando le
labbra in un sorriso sornione che fu molto buffo.
- Tu
sì che ne capisci di tennis! - La sua esclamazione fu così
spontanea e comica da farmi ridere di mio, finalmente, cosa che non
mi era mai riuscita in pubblico.
Risi
e Roger contento d'avermi fatto ridere, rise con me ed in un istante
ci trovammo a ridere perchè rideva l'altro e non finimmo più.
Alla
fine Roger fu chiamato per prepararsi alla sua partita che sarebbe
iniziata fra poco, quindi si alzò e si pulì i pantaloni per dietro.
-
Devo andare... - Fece ancora divertito. Poi si girò verso di me
ancora seduto all'ombra dell'albero. - Ci vediamo in giro. - Io
annuii a bocca aperta senza saper che dire, sempre preso in
contropiede, impreparato a quella cosa. Emozionato. Emozionato come
cercavo sempre di evitare di essere.
Tremavo
tutto, ma cercavo di nasconderlo. Sentivo un tremore da dentro.
Un
fortissimo tremore.
Come
una scarica d'adrenalina.
-
Magari visto che io vinco il torneo, tu arrivi secondo! Sarebbe fico,
no? - Ero ancora incredulo che si fosse messo a parlare amichevole
con me senza motivo, e mentre si allontanava non riuscivo a
togliergli gli occhi di dosso.
Poi
si fermò di nuovo e si girò, era controluce e assottigliai gli
occhi perchè accecato dal sole alle sue spalle che fece uno strano
gioco di luce intorno a lui, come se avesse un'aura dorata.
-
Comunque sono Roger! - Io sorrisi.
- So
chi sei! - Risposi spontaneo, ancora un po' colpito da lui e da quel
che era successo.
- E
tu? - Mi chiese.
-
Stan! - Annuì.
- A
dopo, Stan! - Alzò la mano e se ne andò. Io rimasi a guardarlo
correre dai suoi che lo aspettavano, poco dopo fui chiamato anche io
per la mia partita, ma il cuore mi batteva ancora così forte che non
capivo cosa mi fosse successo.
Quando
dovetti spiegarlo alla mamma, dissi impacciato:
- Ho
conosciuto un ragazzo del torneo... -
- Ah,
chi? - Chiese interessata e colpita dal termine che avevo usato:
'conosciuto' presupponeva che io ci avessi parlato, dialogato.
-
Roger Federer, quello che vince spesso... - Il suo nome si sentiva
non di rado nei tornei in cui partecipavamo entrambi e la mamma si
illuminò dicendo che era un ragazzo che prometteva molto bene e che
sarebbe stato bello se l'avessi preso ad esempio e che farci amicizia
era una gran bella cosa.
- Ti
ha scosso? - Disse poi vedendo che non riuscivo a concentrarmi sul
riscaldamento. Io arrossii ed annuii. - Come mai? - Mi strinsi nelle
spalle. - E' bello se ti fai amici, sai? - La guardai
vergognandomene.
-
Adesso non riesco più a concentrarmi. - Ricordo che faticai a
tornare in me e la mamma, che non capiva cosa mi fosse successo,
pensò che riguardasse la nuova conoscenza fatta.
Penso
che avesse ragione, ma non come poteva pensare lei.
Non
ero scosso perchè non facevo amicizia e quindi quando ne facevo ero
sconvolto.
Ero
scosso perchè in lui c'era stato qualcosa, avevo sentito subito
qualcosa. Non sapevo come spiegarmi, non so nemmeno ora dire di
preciso di cosa si trattava, ma successivamente lo zio mi disse che
avevo sentito quello che saremmo diventati.
Io
ero piccolo, non capii, così la liquidò nel più semplice dei modi.
'Probabilmente
diventerete grandi amici!'
Sorrido
ora a ripensarci.
Si
può sentire in anticipo una cosa del genere quando incontri qualcuno
che un giorno sarà speciale per te?
Qualcuno
lo chiama colpo di fulmine, ma noi eravamo piccoli all'epoca e poi
tutt'ora non so come chiamare quel che provo. So solo che è una
delle persone più importanti della mia vita.
Quella
volta lui finì di giocare presto e venne a vedere il finale della
mia e si mise a fare un gran tifo e a gridare consigli a tutto
andare, tanto che mi diede una carica che non avevo mai avuto.
Fu la
prima volta che giocai in quel modo, con una carica esplosiva, con la
voglia matta di farcela, il desiderio profondo di riuscirci.
Fu la
prima volta.
E
vinsi. Quella e le altre partite fino ad arrivare in finale proprio
contro di lui.
Ovviamente
vinse lui, ma io fui secondo, proprio come avevamo predetto.
Da
quel giorno cominciai ad ascoltare di più i vaneggiamenti di mio
zio.
Non
so quanto vere siano le cose spirituali che dice, però a volte una
specie di predestinazione nelle cose che facciamo e viviamo c'è ed
io penso che fra me e Roger sia successo questo.
O non
mi spiegherei in altro modo quel che provai quel giorno, visto che
oggi io sono qua a giocarmi le olimpiadi di Pechino in coppia con lui
al doppio.
Predestinazione?
Perchè
no?
Siamo
fatti di qualcosa, oltre a carne, ossa e cervello. Qualcosa porta
avanti la macchina, no?
Se
questo qualcosa è astratto, inafferrabile, inconsistente, credo che
in qualche modo possa creare connessioni fra persone affini.
Questa
è la predestinazione.
Ed io
e Roger eravamo affini e predestinati a giocare a tennis insieme.
E a
diventare amici.